Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
SECONDO UNO STUDIO DELLA UIL, CHI SI ERA ILLUSO DI NON PAGARE PIU’ L’IMU SI RITROVERA’ UNA TASSA MAGGIORE
Rischia di non essere un buon affare per gli italiani il passaggio dall’Imu alla Tasi. 
Lo mostra uno studio del Servizio Politiche territoriali della Uil, secondo cui in 12 grandi città capoluogo di provincia, su 32 che hanno deliberato già le nuove aliquote, la nuova imposta sarà più cara della precedente.
Tra queste, ci sono Milano (+ 34 euro), Genova (+67), Bergamo (+21) e Palermo (+2).
Ma l’elenco potrebbe essere destinato ad allungarsi visto che, come riferisce lo stesso sindacato, solo 832 degli oltre 8000 comuni italiani hanno comunicato le nuove aliquote, e solo 514 le hanno pubblicate sul sito del Ministero dell’Economia.
In prospettiva, quindi, il conto potrebbe essere più salato per molti italiani.
Anche perchè oltre alle aliquote differenziate a seconda dei vari tipi di immobili i comuni devono anche scegliere la varie detrazioni previste a seconda di redditi e rendite catastali.
In totale, così, sarebbero circa 75.000 secondo la Uil le possibili combinazioni previste nella penisola per pagare l’imposta.
A Bologna ad esempio, spiega lo studio, ci sono “ci sono 23 detrazioni diverse in base alla rendita catastale dell’immobile, decrescenti con il crescere della rendita: si parte da 175 euro per gli immobili con rendita catastale fino a 327 euro fino ad arrivare a 5 euro per una casa con rendita catastale di 1.637 euro”.
I dati resi disponibili fino ad ora mostrano comunque come molti comuni abbiano spinto al massimo l’asticella dell’aliquota fino al massimo del 3,3 per mille previsto (2,5 di aliquota base +0,8 per le detrazioni).
Scelta che non sempre comporta un’imposta media automaticamente più alta.
A Milano, ad esempio, dove si rischia di pagare di più, l’aliquota è rimasta fissata al 2,5 e più bassa di quello della vecchia Imu l’effetto detrazioni è complessivamente più scarso e i proprietari di prima casa si troveranno a pagare in media 430 euro, contro i 396.
Tra i più penalizzati, secondo la Uil. i genovesi, la cui imposta dovrebbe essere in media di 439 euro, rispetto ai 372 della vecchia Imu.
Ma, simulazioni a parte, il vero nodo riguarda i ritardi nella deliberazione delle aliquote visto che è proprio questa la ragione all’origine dello stallo di questi giorni. La grande maggioranza delle amministrazioni, complici soprattutto le elezioni in arrivo, non ha ancora provveduto a stabilire le nuove aliquote, creando un vero e proprio caos per la riscossione del tributo.
Dal vertice oggi a Palazzo Chigi tra i tecnici del Tesoro e Anci non è ancora arrivata una decisione, dopo che questa mattina il presidente dei sindaci Piero Fassino aveva indicato una soluzione: lasciare la scadenza al 16 giugno per il versamento della prima rata solo ai comuni che hanno già deliberato le aliquote, e concedendo un rinvio a settembre per tutti gli altri, a patto di anticipare ai comuni l’equivalente gettito previsto, circa due miliardi.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
VIENE CELEBRATO SUL BLOG DI GRILLO, MA VOTERA’ PER TSIPRAS
Il blog di Beppegrillo pubblica una foto nella quale Adelmo Cervi – figlio di Aldo e nipote degli altri sei fratelli fucilati dai fascisti il 28 dicembre 1943 – consegna a Beppe Grillo una copia con dedica del suo libro appena uscito.
Seguono parole di ringraziamento e i commenti di numerosi fans di Beppegrillo che arruolano Adelmo (a sua insaputa) nel loro partito.
Gli entusiasti commentatori che scambiano la consegna di un libro per una adesione saranno molto delusi di sapere che Adelmo, pochi giorni prima, aveva già fatto il medesimo omaggio a Nichi Vendola.
Addirittura, Adelmo ha consegnato il libro anche a Pierluigi Bersani ed ha intenzione fare la stessa cosa con altri leader politici, con buona pace di chi ritiene che tutti siano Casta, tranne ovviamente Beppegrillo.
Ma per gli entusiasti commentatori è in arrivo una delusione anche maggiore.
Perchè Adelmo è ostinatamente di sinistra, non ha mai votato Beppegrillo e non lo voterà nemmeno alle prossime elezioni.
Una fonte presumibilmente bene informata – Adelmo stesso – mi ha anticipato quale sarà la sua scelta alle elezioni europee.
Per mantenere la suspence, mi limiterò a dire che la lista fa riferimento a un greco che di nome si chiama Alexis e che lunedì prossimo parlerà in piazza Maggiore a Bologna.
Ma non ditelo ai commentatori entusiasti del blog di Grillo. Altrimenti anche Adelmo Cervi rischia di finire dritto filato nella Casta.
Stefano Morselli
(da “Reggioemilianews”)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
DAVIDE BERTOLETTI, CANDIDATO A CESANO BOSCONE, E’ ACCUSATO DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
«Tutte le persone in lista hanno dovuto presentare il casellario giudiziario e i carichi pendenti:
questo è sinonimo di legalità ».
Così tuonava in una intervista il leader (anche se poi specificava che «nel nostro gruppo non ci sono nè capi e nè leader») del Movimento 5 Stelle di Cesano Boscone, popoloso comune dell’hinterland milanese.
Aveva chiesto a tutti il certificato, ma evidentemente non a se stesso: perchè altrimenti sarebbe saltato fuori il guaio giudiziario non da poco in cui l’esponente grillino si trova coinvolto.
Un guaio particolarmente fastidioso per il militante di un movimento che fa del rapporto diretto con la gente il suo punto di forza: proprio dal rapporto con la gente, e in particolare con dei cittadini sprovveduti, il candidato grillino è accusato di essersi approfittato, per organizzare truffe da centinaia di migliaia di euro, scaricandone poi le conseguenze sui malcapitati
La cittadina di Cesano Boscone è divenuta nota recentemente in tutta Italia per la presenza della Sacra Famiglia, l’istituto dove Silvio Berlusconi fa il suo volontariato per i servizi sociali.
Per chi la conosce, Cesano è – come altri comuni della periferia milanese – un laboratorio politico vivace, dove spesso i politici passano da una parte all’altra senza troppi patemi.
E lo stesso è accaduto con i grillini.
Tra gli esponenti di punta dei Cinque Stelle, c’è infatti anche il protagonista di questa storia, che si chiama Davide Bertoletti, e proprio una verginella politicamente parlando non è: è passato dalle file di An a quelle del Pdl, infine è approdato tra le schiere dei fan di Beppe Grillo.
E da questa sponda lancia proclami contro la casta, «mandiamoli tutti a casa», dice nell’intervista rilasciata a un sito locale, in vista della presentazione dei candidati grillini (tra cui lui medesimo) alle elezioni comunali del 25 maggio.
La contraddizione tra i proclami e la realtà è così clamorosa da pensare a una omonimia: invece coincidono anche data e luogo di nascita. E così bisogna rassegnarsi al fatto che il Davide Bertoletti candidato del Cinque Stelle è lo stesso Bertoletti che è sotto processo a Busto Arsizio per associazione a delinquere finalizzata alla truffa.
È una costola di un processo analogo celebrato a Milano: sul banco degli imputati capi e gregari di una banda che assoldava sprovveduti che convinceva a chiedere mutui alle banche, con la complicità di funzionari degli istituti di credito.
Poi i soldi sparivano, e a fare i conti con le cartelle esattoriali restavano i poveretti coinvolti nel gioco.
Bertoletti è accusato di far parte della banda come uno degli «intermediari stabili con il compito di reclutare clienti/prestanome a cui intestare i mutui oggetto delle truffe». Il processo ha avuto vita tormentata, e tutti gli imputati ormai hanno a portata di mano la possibilità di cavarsela con la prescrizione.
Ma cosa farà Bertoletti, seguace di un leader che la prescrizione vuole abolirla?
Luca Fazzo
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL MINISTERO ASSUMERA’ NUOVI SEGRETARI DI LEGAZIONE… GLI SCARTATI POTRANNO SPERARE IN UN POSTO NEI SERVIZI SEGRETI…MENTRE GLI ISTITUTI DI CULTURA CHIUDONO, IL NUMERO DEGLI ASSUNTI CRESCE
AAA diplomatici e agenti dei servizi cercasi.
A dispetto dei tagli annunciati e della spending review arriva anche quest’anno il concorso per la carriera diplomatica: 35 posti per nuovi segretari di legazione.
Mentre tutte le altre categorie di dipendenti statali sono alle prese con il blocco del turn over e vedono ridursi ogni anno le piante organiche, i diplomatici trovano sempre una deroga o un provvedimento d’urgenza che permette di ingrossare gli organici. Basta spulciare l’annuario statistico pubblicato dal ministero degli Affari Esteri per verificare che, nonostante le piante organiche dei diplomatici sulla carta continuino a essere ritoccate al ribasso, nella realtà il loro numero continua a crescere: 909 nel 2010, 919 due anni dopo per salire agli attuali 923.
L’ultimo bando, con scadenza il 26 maggio, prevede l’assunzione di 35 nuovi diplomatici per fare fronte alle esigenze dell’Unione Europea, di Expo 2015 e perfino del semestre di presidenza dell’Ue.
Al di là del fatto che, quando i nuovi segretari di legazione metteranno piede per la prima volta alla Farnesina, il semestre europeo sarà già iniziato da un pezzo, anche le assunzioni per Expo comportano l’assunzione a tempo indeterminato di personale che, una volta terminata l’esposizione, rimarrà a libro paga del Mae.
Il bando spiega poi che agli esclusi ritenuti idonei “potrà essere richiesto (…) di essere presi in considerazione (..) ai fini di un eventuale impiego presso gli Organismi di informazione e sicurezza”. In altre parole, chi non riuscirà ad ottenere l’assunzione alla Farnesina potrebbe essere dirottato ai servizi segreti, nonostante i nominativi dei candidati e degli idonei saranno pubblici e accessibili a tutti.
A rendere possibile l’assunzione di nuovi diplomatici in deroga alle norme di Tremonti e Monti sulla riduzione di spesa è la legge 30 del 2010.
Per fare passare la norma che libera la mani alla Farnesina sull’assunzione di nuovi diplomatici, la si è inserita in un decreto blindato: quello che rifinanziava la missione in Afghanistan.
Da allora, il ministero degli Affari Esteri ha utilizzato a fondo quella possibilità , procedendo all’assunzione di 35 nuovi segretari di legazione ogni anno, per un totale di 140 nuovi assunti.
Secondo il decreto, quando tutte le nuove assunzioni saranno a regime l’aggravio per i conti del ministero sarà di oltre 7 milioni 600 mila euro.
Questo nonostante il rapporto tra funzionari e diplomatici sia di uno a quattro, uno dei più bassi di tutta la pubblica amministrazione italiana.
Non solo. Andando a leggere la storia degli organici, si scopre che il numero di diplomatici con sede a Roma, che di rado quindi svolgono attività diplomatica in senso stretto, continua a salire: 423 a inizio 2013, a fronte dei 387 di due anni prima. Inoltre, il rapporto tra pianta organica teorica e presenze effettive del settore diplomatico sembra una piramide rovesciata: per tutti i ruoli di grado più alto (ambasciatori, ministri plenipotenziari e consiglieri d’ambasciata, cui corrispondono stipendi più gravosi) i diplomatici sono in sovrannumero, mentre c’è ancora posto per l’assunzione di nuovi consiglieri e i segretari di legazione.
Questo è dovuto anche alla manica larga applicata quando è ora di nuove promozioni. L’ultima infornata (quindici ministri plenipotenziari) risale al 30 aprile scorso e porta in calce la firma del ministro Federica Mogherini.
Il concorso riporta a galla lo strabismo della politica.
A partire dalla mamma di tutte le spending review, quella di Monti (DL 95/2012) che imponeva a tutte le amministrazioni dello Stato la riduzione degli uffici dirigenziali e delle relative dotazioni organiche “in misura non inferiore al 20% rispetto alle esistenti”.
La Farnesina riuscì allora a convincere il Dipartimento della Funzione Pubblica a esentare 127 ambasciate, 9 rappresentanze permanenti e 9 consolati per il “ruolo fondamentale di tutela degli interessi del Paese”.
Gli organigrammi rivelano che la pianta organica dirigenziale da allora si è ridotta da 1.120 unità a 1.019, in vero meno del 10%, ma nessun diplomatico ha perso il posto, visto che quelli in servizio sono ancora e sempre 923.
E presto, come abbiamo visto, saranno anche rimpinguati.
E allora questi benedetti tagli? Il ministro Mogherini ufficialmente è tornata alla carica prospettandone per 108 milioni entro il 2016.
Ma l’unico capitolo finora sacrificato è stata la rete delle rappresentanze estere e non senza una serie di clamorosi svarioni, a partire dalla presunte chiusure di sedi mai aperte o chiuse da un pezzo.
Ma a ben vedere anche le chiusure effettive, vendute come sacrificio virtuoso e necessario, qualche dubbio lo sollevano.
Su tutte la cancellazione di otto Istituti Italiani di Cultura che dovrebbero poi essere il collante delle comunità italiane all’estero e gli strumenti di promozione del Bel Paese. Nel mirino finiscono le sedi di Lussemburgo, Salonicco, le sezioni distaccate di Wolfsburg, Francoforte del Meno, Vancouver, Ankara, Grenoble e Innsbruck per un risparmio calcolato in 800mila euro, ben poca cosa.
Ma quello che emerge è ancora l’incoerenza delle singole scelte che, guarda caso, fanno cadere il bisturi sempre e solo su sedi sprovviste di personale diplomatico in servizio, anche al prezzo di chiudere istituti che hanno smesso da un pezzo di rappresentare un costo per lo Stato.
E’ il caso di Salonicco che da tempo aveva bilanci in attivo: a fronte di una dotazione ministeriale ridicola (10mila euro) per l’attività di promozione culturale, riusciva a incassarne 150mila dai corsi di lingua italiana a pagamento.
Chiudendolo, in altre parole, l’Italia ci perde. A Wolfsburg quel che non vuol più pagare lo Stato italiano, cioè l’affitto della sede per 75.600 euro l’anno, si era offerto di pagarlo il comune. Eppure, anzichè approfittarne, si chiude.
A Lussemburgo l’operazione più incredibile: si è chiusa ufficialmente la sede ma il personale (quattro dipendenti) è stato semplicemente trasferito di stanza presso la locale ambasciata cui l’IIC è accorpato da sempre.
Il taglio di facciata si riduce a un cambio di targhette sulla porta e un giro di scrivanie. Risparmi zero. Peggio. Eliminando la funzione propria dell’istituto si rinuncia ad entrate certe: l’ente riceveva una dotazione ministeriale di soli 50 mila euro ma tra sponsor e costi ne portava 80mila in cassa.
Tutti soldi che contribuivano a pagare l’affitto dell’ambasciata stessa.
Alla fine se ci sarà un risparmio sarà dunque per quei 50mila l’anno, due mesi di stipendio dell’ambasciatore. Ma le luci della cultura italiana si spengono.
Thomas Mackinson e Alessio Schiesar
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
DEMOCRAZIA A CINQUESTELLE… ECCO IL TESTO DELL’INTERVISTA IN CUI LELLO LIGUORI HA DENUNCIATO COME VOLEVA ESSERE PAGATO IL COMICO NEO-MORALIZZATORE
Mentre i leader si materializzano in tv, la base Cinque Stelle si scaglia contro chi tocca Grillo. 
Un militante M5S ha affrontato Lello Liguori, l’impresario che al Giornale ha raccontato di aver pagato in nero il comico per i suoi spettacoli («Per ogni serata prendeva 70 milioni, ma solo 10 erano regolari»), accusandolo di aver raccontato falsità sul leader M5s (che sul blog annuncia querela, «Mai preso soldi in nero, ci vediamo in tribunale»).
Ne è nato uno scontro dove sarebbero volate parolacce e pure qualche schiaffone. Liguori si è detto «profondamente turbato» per l’episodio, sintomo di un clima incandescente a pochi giorni dal voto.
Riportiamo l’intervista di Lello Liguori
Beppe Grillo l’ha inventato lui, Lello Liguori, patron (oggi quasi ottantenne) di locali come il «Covo» di Santa Margherita Ligure e il «54» di Milano, una vita avventurosa tra soldi e scandali, dolce vita e tribunali, con undici processi e undici assoluzioni.
Tra le innumerevoli memorie di una carriera trascorsa «soltanto tra i grandi artisti» (così ha detto recentemente a Tatti Sanguineti), c’è posto per un flashback tutto particolare: «Detesto Beppe Grillo perchè va in giro a fare il politico, a sputtanare tutti quanti, ma quando veniva da me, carte alla mano, si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e 60 in nero. Tranquillo, ho i testimoni».
Liguori l’ha confessato tre anni fa al Secolo XIX.
Ieri il Giornale ha ripubblicato quelle poche righe sul Grillo evasore. E il «Grande Gatsby del Tigullio», come lo definì il quotidiano genovese, ha riaperto il libro dei ricordi.
Liguori, ha letto il Giornale?
«Non ancora, l’ho appena comprato, ma ho ricevuto cento telefonate. Chiamavano e mettevano giù. Ho cercato Tortarolo (il critico musicale del Secolo XIX autore dell’intervista, ndr) ma per sua fortuna è in America».
Lei diceva di avere testimoni del fatto che Grillo intascasse soldi in nero.
«Certo, erano tutti presenti».
Che cosa ricorda? Come li prendeva Grillo quei soldi, in una busta?
«Veniva il suo manager, Marangoni: 10 li pigliava in assegni e 60 in contanti. L’ultima volta glieli ho dati io».
Dove eravate in quella occasione
«Al 54, in corso XXII Marzo a Milano. Ricordo perfettamente quell’episodio. In altri casi Grillo saliva e andava direttamente alla cassa».
Quindi si autogestiva. Vuol dire che eravate in buoni rapporti.
«L’ho fatto nascere io Grillo, da ragazzino veniva lì a rompere le balle dalla mattina alla sera. Ho fatto una trasmissione per la Rai, Tiramisù, da dove sono usciti tutti: Iacchetti, Greggio, tutti quanti, e lui era riuscito a buttarsi dentro. Poi una sera avevo De Andrè: io e Bernardini (il patron della Bussola in Versilia, ndr) avevamo impiegato cinque mesi per convincerlo a fare una serata perchè lui dal vivo non se la sentiva. De Andrè è andato verso il palco, è arrivato subito Grillo, è saltato su e l’ha presentato. Lì la gente l’ha conosciuto».
E lei capì che aveva talento comico
«L’ho portato nei locali a Milano, al Caffè Roma, al 54. Con Grillo avrò fatto una decina di serate, o qualcuna in più. Ero l’unico con cui faceva le serate: a parte la Capannina, dove forse ne ha fatta una, lui non andava nei locali perchè aveva paura».
E abitualmente, dopo essere diventato famoso, una parte del compenso lo prendeva in nero.
«No, anche prima, quando pigliava pochissimo perchè soldi non ce n’erano. Lui faceva molti congressi, al Covo a Santa Margherita ne avrò organizzati 1500. Medici, confindustriali, gente così».
Anche quelli pagati in nero.
«Certo».
Era una cosa normale? Nessuno si poneva il problema di una fattura?
«No, erano i patti».
Vuol dire che era tutto fissato in anticipo?
«Quasi tutti gli artisti pigliano una parte in nero, almeno il 30 per cento, non era solo Grillo. Però lui così sfacciatamente li pigliava quasi tutti in nero. Poi è cominciata questa diatriba perchè ogni volta che saliva sul palco insultava la famiglia Craxi. Una sera in sala al Covo erano seduti tutti, Bettino, la moglie, Stefania, Bobo, tutti quanti, e si sono indignati. Allora sono intervenuto e con Grillo abbiamo litigato».
Avete continuato a collaborare?
«Ho fatto altre serate. Ma avevo 40 locali con quasi mille dipendenti, perciò lo facevo trattare con i direttori. A Santa Margherita lo incrociavo spesso perchè teneva lì la barca, ma dopo quella lite lui scappava per gli angoli».
Quanto prendeva Grillo per ogni serata?
«L’accordo era 70 milioni, di cui 60 in nero e 10 in assegni, di cui Marangoni avrà le fatture».
Lei dice che di serate così ne avrete fatte oltre una decina.
«Tra Milano, Madonna di Campiglio, Parma ne avrò fatte 15, forse 20, ora non ricordo di preciso».
Poniamo fossero soltanto dieci: Grillo ha intascato almeno 600 milioni in nero.
«No, avrà incassato anche 2-3 miliardi».
Settanta milioni era il compenso fisso?
«Sì. Una sera al “54” c’era molto più afflusso del previsto, c’era gente fuori. A un certo momento Grillo mi ha preso da una parte e mi ha detto: guarda che voglio 10 milioni in più altrimenti non lavoro. Naturalmente io non sono l’ultimo arrivato, l’ho preso per le orecchie, l’ho portato in camerino e ha fatto la serata».
Che anni erano?
«Quella sera del 54 era il 1986. Con gli Anni 90 non ci siamo più visti perchè io ero all’estero, sempre in giro».
Lei presume che il sistema di Grillo di intascare in nero sia proseguito anche negli anni successivi?
«Senz’altro. Dopo il vostro articolo ho chiamato Marangoni, che è ancora il suo manager oltre che di Chiambretti e altri artisti, e ha capito subito che era per questa storia».
Perchè, che cosa le ha detto
«Eh, mi ha detto di parlare con il figlio e il figlio di parlare con il papà …».
Paolo Bracalini
(da “il Giornale”)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
PARLA DI LUPARA BIANCA CHE ATTENDEREBBE RENZI, EPPURE DOVREBBE SAPERE ANCHE LUI CHE FINE FANNO GLI UTILI IDIOTI
“Prevenire è meglio che curare. La lupara bianca attende Renzie che in fondo è uno smargiasso, un
fanfarone, quello che si vede quando apre bocca, ma va avvertito, è un essere umano anche lui. Il Sistema assume i suoi uomini a progetto, se ci riescono, bene, altrimenti vengono fatti scomparire nel nulla. Come per la mafia. Lupara bianca. Renzie è stato assunto a progetto per vincere le elezioni europee che perderà ”.
Lo scrive Beppe Grillo sul suo blog chiedendo: “Chi si ricorda di Enrico Letta, il cocco di Napolitano, che spopolava sulle prime pagine dei giornali e nei programmi televisivi? E’ sparito dal mattino alla sera. Solo qualche foto di spalle con il figlio per strada in stile viale del tramonto. E Rigor Montis, il nuovo De Gasperi? Gente che ha fallito e, come avviene per i mafiosi, chi fallisce viene punito. Lupara bianca“.
Grillo dimentica un piccolo dettaglio: se questa analisi circa i politici al servizio di poteri occulti fosse vera (e non ci sarebbe bisogno della sua autorevolezza in materia per non crederci) dovrebbe essere il primo a preoccuparsi, qualora non superasse i voti del Pd.
Vista la sua nota frequentazione di ambasciate straniere, sarà sicuramente ben informato sui rischi che corre Renzi, alla pari di quelli che corre lui stesso.
I piloni di cemento hanno accolto spesso coloro che hanno fallito il mandato ricevuto, sia che facessero ridere, sia che facessero piangere.
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
IL VALORE DEI TITOLI DI STATO DIMINUIREBBE SENZA CHE LE IMPRESE GUADAGNINO IN COMPETITIVITA’… CI GUADAGNEREBBERO SOLO COLORO CHE HANNO GRANDI RENDITE DA CAPITALI ALL’ESTERO
Piaccia o non piaccia, oggi come oggi separarsi dall’euro è un’operazione (quasi) impossibile.
Di certo molto dolorosa ed estremamente rischiosa.
A maggior ragione qualora la scelta avvenisse in modo unilaterale, peggio se in contrapposizione con gli altri paesi che aderiscono alla moneta unica.
I trattati europei prevedono una procedura di uscita dalla Ue ma non dalla sola Unione monetaria.
E’ utile ricordare che dove il diritto è assente le questioni si risolvono, ancora di più, in base alla forza contrattuale delle parti.
Un aspetto che non gioca certo a favore di un paese come l’Italia, se decidesse di andarsene per la sua strada.
Il problema non è però tanto di carattere giuridico, quanto economico e soprattutto finanziario.
Se è difficile stimare in maniera attendibile le possibili ricadute in termini di svalutazione e inflazione derivanti dall’introduzione di una nuova moneta, è invece possibile individuare alcuni punti fermi con cui, volenti o nolenti, saremmo obbligati a fare i conti.
Il pericolo maggiore è che si inneschi un effetto domino di fallimenti bancari e societari di cui si potrebbe molto rapidamente perdere il controllo.
E si può dire con ragionevole sicurezza che il valore dei titoli di Stato – oltre che di gran parte delle azioni e obbligazioni italiane — diminuirebbe. Vediamo perchè.
Italia fuori dai mercati
Se l’ipotesi di un’uscita dell’Italia dall’euro divenisse anche minimamente plausibile, si assisterebbe a una massiccia e repentina fuga di capitali dal paese e a una svendita di titoli di Stato.
Questo avrebbe come primo e immediato effetto quello di ridurre il valore di Bot e Btp.
Se un risparmiatore decidesse di vendere i titoli in suo possesso, andrebbe quindi incontro a perdite sicure. Se invece scegliesse di portarli a scadenza, rischierebbe di vederseli, alla fine, ripagati in una nuova valuta più debole rispetto all’euro con cui li aveva pagati.
Una ridenominazione del debito italiano e dei titoli di Stato che lo rappresentano in una nuova valuta costituirebbe inoltre quello che in gergo si chiama “credit event”. Cioè una situazione che a giudizio degli organismi internazionali farebbe scattare il default sul debito del paese . Il risultato sarebbe la temporanea esclusione dell’Italia dai mercati finanziari internazionali, nonchè un infinito strascico di contenziosi giudiziari.
Banche nella bufera
Il default del debito e la caduta del valore dei titoli avrebbero un impatto immediato sulle nostre banche, che hanno in portafoglio circa 400 miliardi di Bot e Btp.
I fallimenti aziendali, almeno in una prima fase, sarebbero destinati a crescere caricando bilanci bancari già in grave difficoltà di altri crediti inesigibili.
Per tenere in piedi gli istituti di credito si renderebbero necessari massicci interventi di ricapitalizzazione con denaro pubblico, quando non vere e proprie nazionalizzazioni. Ci sono poi aspetti un poco più tecnici ma non meno importanti che spiegano perchè il mercato del credito rimarrebbe paralizzato per un certo periodo.
Le banche utilizzano spesso i titoli di stato come garanzie di prestiti a brevissima durata chiesti ad altre banche.
E’ una pratica comune che serve alle banche per far fronte alle immediate esigenze di liquidità , incrociando le esigenze degli istituti che hanno bisogno di soldi e di quelli che ne hanno in eccesso.
In ogni istante fiumi di denaro scorrono attraverso questi canali. Compromettere queste operazioni, rendendo inutilizzabili come garanzia i titoli di Stato, sarebbe un ulteriore colpo per le banche italiane.
E alla fine l’effetto sarebbe quello di un’ulteriore, significativa riduzione dei finanziamenti per imprese e famiglie.
Imprese penalizzate nell’import
Si parla molto di un presunto recupero di competitività che una moneta più debole garantirebbe alle aziende italiane, facilitate così ad esportare.
Nella teoria il ragionamento funziona bene, nella pratica un po’ meno.
Si dimentica infatti che ormai, e a differenza di 20 anni fa, quasi tutte le produzioni sono strutturate su filiere globali. Componenti prodotti in Cina, Vietnam, Messico che poi arrivano nel paese dell’azienda “madre” per essere assemblate nel prodotto finale. Spesso un’azienda che esporta molto è al contempo un’azienda che importa quasi altrettanto.
Una moneta debole sarebbe un vantaggio da un lato ma uno svantaggio dall’altro. Oggi come oggi puntare sulle svalutazioni per competere sui mercati internazionale è un gioco che può fruttare qualcosa nell’immediato ma alla lunga finisce per essere controproducente.
Anche perchè i concorrenti stranieri non stanno certo a guardare e possono mettere in atto contromisure (come delocalizzazioni della produzione) senza eccessivi problemi. Nell’ipotesi di un’uscita dall’euro, per un tempo più o meno lungo le aziende italiane si troverebbero inoltre a operare con condizioni creditizie più difficili, tra banche in grossa difficoltà nel fornire finanziamenti e mercati che pretenderebbero interessi più alti per concedere prestiti sottoscrivendo nuove obbligazioni.
C’è un poi un altro elemento particolarmente insidioso per molti grandi gruppi italiani.
Si tratta delle obbligazioni che sono state emesse sotto il diritto di un altro Stato (per esempio Inghilterra o Olanda).
E’ una pratica diffusa e normale tra le grandi aziende che si rivolgono ai mercati internazionali.
Se lo Stato italiano optasse per il ritorno alla lira questi titoli, regolati da un’altra giurisdizione, non potrebbero essere coinvolti nell’automatica conversione alla nuova valuta.
Rimborsi e interessi andrebbero quindi in ogni caso pagati nella valuta d’origine dell’obbligazione (euro o dollari, per restare nell’esempio) a fronte di ricavi realizzati in gran parte con la nuova, e più debole, moneta.
Come segnalato da Il Sole 24 Ore sulla base di dati della Banca dei regolamenti internazionali, circa il 25% delle obbligazioni italiane sono emesse sotto diritto estero, una quota seconda soltanto a Irlanda, Olanda e Finlandia.
Di conseguenza anche per alcuni big industriali potrebbe rendersi necessario un sostegno pubblico per evitare il fallimento.
Precedenti? Non esistono
La verità è purtroppo non esistono precedenti a cui rifarsi con una certa attendibilità . Il livello di interconnessione dei mercati finanziari e creditizi dell’area euro è talmente stretto da non essere paragonabile a nessuna situazione verificatasi in passato.
Per di più in un’epoca in cui i movimenti di capitale non hanno limiti e confini e avvengono in un istante.
Su un piano più strettamente economico si tira spesso in causa la vicenda dell’Argentina, che dopo aver abbandonato il cambio fisso con il dollaro ha rapidamente recuperato capacità produttiva e Pil pro capite.
Indipendentemente dal fatto che oggi il Paese cammina di nuovo sull’orlo del baratro, anche a causa della troppa moneta messa in circolazione, nel ricostruire le vicende dello Stato sudamericano spesso si dimenticano, o si omettono, troppe cose.
La ripresa degli anni 2000 fu favorita, oltre che dal cambio più favorevole, dalla forte crescita dell’economia globale e del fabbisogno globale di materie prime agricole di cui l’Argentina è notoriamente grande produttore.
Disponendo di un apparato produttivo intatto e sottoutilizzato dopo il default del 2001, agganciare la ripresa è stato relativamente facile e veloce.
L’uscita? Conviene ai soliti noti
La “exit” conviene di sicuro a chi risiede in Italia e percepisce grandi rendite da investimenti all’estero.
Chi ha la fortuna di disporre di patrimoni ingenti investiti in prodotti finanziari non italiani (dal titolo di Stato tedesco all’azione statunitense o inglese) continuerebbe a percepire rendite e interessi in euro, dollari, yen o quant’altro.
In più potrebbe contare su un gioco dei cambi più favorevole. Vivendo in un paese con moneta svalutata avrebbe un maggior potere d’acquisto.
Altrettanto non si può dire per chi trae le sue risorse da uno stipendio che, pagato con la nuova moneta, subirebbe a sua volta una svalutazione.
In conclusione, è indubbio che l’architettura su cui si regge l’euro presenti criticità e incompiutezze che stanno danneggiando soprattutto i paesi più deboli.
Così come è possibile che la situazione economica europea si deteriori a tal punto da causare effettivamente una rottura dell’Unione monetaria. Tuttavia il processo di integrazione si è ormai spinto troppo avanti per consentire una retromarcia in condizioni di sicurezza.
Tra le diverse strade percorribili, quest’ultima sarebbe la più pericolosa.
Basta saperlo.
Mauro Del Corno
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO LA MACCHINA DEL FANGO DIVENTA UN AUTOGOL… OCCORRE RISPETTO PER LA MADRE DEI PROPRI FIGLI: “SIGNORINI CI FA PERDERE ALTRI VOTI”
Viva Veronica Lario, abbasso Alfonso Signorini. Anche un servizio della rivista «Chi» sull’ex moglie
di Berlusconi suscita sospetti.
Gli uomini, ma soprattutto le donne di Forza Italia, impegnate in una difficile rimonta elettorale, si chiedono perchè proprio ora dare l’occasione alla signora Veronica di rispondere in maniera tagliente in un colloquio con Maria Latella per Il Messaggero.
«Signorini ci fa perdere altri voti», temono in casa Fi.
Ma il direttore di «Chi» replica: «L’indignazione della signora Lario è a orologeria e a sette giorni dalle elezioni si presta a qualche sospetto».
Sarà pure, ma la diretta interessata non ha sopportato quel servizio fotografico che ne sottolinea il giro vita, con tanto di interviste a chirurghi estetici che le consigliano di eliminare le rughe e liposuzioni.
«Sono vittima di agguati fotografici – dice Lario – perchè non mi chiamo più Berlusconi. Offese con me tutte le donne che rifuggono dall’ossessione giovanilista. Non temo di invecchiare.â€‰È venuto meno il rispetto per una donna che è comunque la madre dei figli di Silvio Berlusconi». Anche questo entra in campagna elettorale.
Ma chi immagina che le donne di Fi si schierino con Signorini sbaglia alla grande. Sarà forse una preoccupazione elettorale, perchè le donne elettrici possono essere solidali con Veronica.
Oppure una dignitosa difesa dell’immagine femminile che non passa dai ferri del chirurgo estetico.
L’unica che non vuole dire una parola su questo tema è Daniela Santanchè (già in passato si era scagliata contro l’ex moglie di Berlusconi a proposito dei soldi chiesti per il divorzio), ma si stupisce quando viene a sapere che le donne di Fi danno ragione a Veronica: «Non ci posso credere», dice.
Sentite Renata Polverini. «La penso come la Lario: ognuno ha diritto di invecchiare come vuole e nessuno si può permettere di dire a una signora cosa deve fare. Cos’è, la dittatura dell’eterna giovinezza per fare arricchire i chirurghi? Sono convinta che c’è un problema nella vita di coppia: l’uomo è sempre alla ricerca di donne più giovani e nella psicologia di certe donne scatta il meccanismo di voler apparire sempre giovani per non perdere il proprio uomo. Io ho compiuto 52 anni pochi giorni fa e non ho l’ossessione del tempo che passa. E finiamola con la favola che le donne di Fi sono tutte rifatte».
Deborah Bergamini ha scritto spesso delle donne che esistono e agiscono solo perchè «intermediate da un uomo».
La responsabile comunicazione di Fi vuole prescindere dal caso specifico, ma è chiaro che difende la reazione di una donna che viene sottoposta ai raggi X.
Chi ha lo stress di apparire giovane è «una persona insicura», dice Bergamini, e noi viviamo in una fase di insicurezza che riguarda anche gli uomini: il boom dei cosmetici e dei ritocchi estetici è da quella parte.
«Diciamo – osserva Michaela Biancofiore – che anche Veronica Lario ai suoi tempi qualche ritocco lo ha fatto, ma devo riconoscere che è una donna di grande personalità , con una forte coscienza di sè».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Maggio 19th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX SENATORE GRILLO PARLA CON PREVITI: “MI HA DETTO DI SEGUIRE LE NOMINE”… OGGI NUOVI INTERROGATORI
“Alfano mi ha offerto il ruolo di consigliere economico personale”, col “fine di seguire anche un po’ le nomine”. Così l’ex senatore Pdl Luigi Grillo parlava con Cesare Previti in una telefonata intercettata lo scorso 24 marzo e finita in un’annotazione della Gdf di Milano dello scorso 31 marzo agli atti dell’inchiesta milanese sulla “cupola” con al centro appalti Expo, Sogin e della sanità lombarda.
Tra l’altro si legge ancora, Grillo “dice che gli avrebbe parlato di ‘Giuseppe’ (Nucci)”, ex manager di So-gin, “e su quest’ultimo, Alfano avrebbe risposto ‘sì sì va bene lo mettiamo in conto di dargli uno … poi te ne parlerà anche Cesare’”.
Grillo poi, scrive ancora la Gdf, “aggiunge, sempre parlando di Nucci, che avrebbe ‘sentito anche Giuseppe, gli ho detto guarda ci vediamo domani, con Cesare c’abbiamo sempre a cuore la tua vicenda, non dubitare. Adesso sto andando da Alfano e poi ti dico… ”.
Il nome del ministro dell’Interno arriva dopo che nell’inchiesta sono finiti citati tantissimi politici, da Verdini a Burlando, passando per Cancellieri e Bersani, tutti da “agganciare”.
Come pure Lusetti. “Ah c’è Lusetti (…) Bene! Devo sentire che nomine fanno quelli lì, di quella banda lì, del governo”.
Stavolta è l’ex parlamentare Dc Gianstefano Frigerio a parlare così alla sua segretaria che aveva fissato per lui — il 2 aprile — “una cena” con “l’Onorevole Renzo Lusetti”, ex parlamentare del Pd e dell’Udc.
La Gdf evidenzia “il movente principale dell’incontro con il parlamentare” proprio ‘”nell’argomento delle nomine dei vertici ‘pubblici’, tanto strategico” per i “progetti del sodalizio”.
In attesa dei nuovi sviluppi dell’inchiesta — oggi l’interrogatorio di Angelo Paris, il numero due di Expo finito agli arresti l’8 maggio assieme appunto a Gianstefano Frigerio, Primo Greganti e dall’ex senatore Grillo — resta il rebus sui “poteri” che Renzi ha garantito per Raffaele Cantone, il magistrato presidente dell’Anticorruzione.
Il premier ha detto sostanzialmente “sì” a “poteri particolari” per il pm ma ha frenato sulla possibilità di revoca dei contratti d’appalto sull’esposizione 2015 meritevoli di una “verifica dal punto di vista amministrativo”.
Intanto, tra oggi e domani potrebbe arrivare al Csm un’altra nota di Robledo per rispondere a Bruti Liberati che lo accusa di aver intralciato l’inchiesta su Expo con un “doppio pedinamento”.
Quello dello scontro all’interno della procura di Milano è diventato “l’altro fronte” dello scandalo Esposizione 2015.
Entro domani le due commissioni del Csm che si occupano del caso potrebbero chiudere gli accertamenti e subito dopo potrebbe arrivare la decisione di Palazzo dei Marescialli da cui dipenderà il futuro di due figure “chiave” della Procura.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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