Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
“CI SONO STATI MOLTI ERRORI, LA GENTE AVEVA BISOGNO DI SPERANZA. ORA DOBBIAMO RIPARTIRE”
Il sindaco di Parma chiama tutto il Movimento 5 stelle a un’attenta riflessione. Lasciando aperte tutte le possibilità . “I bambini finchè vengono tenuti per mano non riescono a camminare da soli, a un certo punto bisogna lasciarli andare. Altrimenti non ci riescono”.
Il riferimento, anche e soprattutto ai vertici, è molto chiaro.
Sindaco, i giornali dicono che sia una bocciatura anche per lei, il Pd a Parma è tornato a percentuali molto alte. È vero?
A Parma siamo al 19 per cento, in linea con il dato nazionale, molto più alto di quello di Bologna, se vogliamo fare un paragone. Il problema è proprio la trasposizione di risultati locali su un’elezione che era europea. Paragone non affrontabile. Anzi, credo che in tutta la campagna elettorale si sia parlato troppo di Italia e poco di Europa. Probabilmente dire solo no all’euro non era sufficiente. Ed è stato sbagliato personalizzarla: Grillo, Berlusconi e Renzi. Non c’era altro.
La sua è una critica a tutti. Ma anche e soprattutto a Grillo.
Non è una critica, ma una riflessione che oggi dobbiamo imporci: portare la discussione sul piano delle idee e non delle persone
Cioè?
Dobbiamo portare il Movimento 5 stelle a una nuova maturazione. Cambiare i toni. Probabilmente quello che andava bene un anno e mezzo fa non è più efficace oggi. Ce lo dice il risultato. E il mio è un tono assolutamente propositivo. Mi sono sentito con Beppe Grillo quando ho fatto le mie considerazioni sui candidati alle europee e siamo in attesa di vederci. Faccio queste dichiarazioni da sindaco, eletto con il Movimento e dentro al Movimento. Dunque penso al futuro.
Secondo lei Grillo, soprattutto negli ultimi dieci giorni, ha alzato eccessivamente il tono del confronto?
Non è un problema di dieci giorni. Forse l’atteggiamento propositivo, nei toni pacato, andava usato appena siamo entrati in parlamento. Quel giorno dovevamo cambiare l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni, dovevamo far capire ai nostri elettori che avevamo ricette e non solo propositi distruttivi. Non critico il lavoro, sempre egregio. Sottolineo ancora il tono. Che doveva essere istituzionale senza stravolgere la nostra natura. Dovevamo cambiare il passo e oggi lo paghiamo.
Però il tono aggressivo imposto dal vostro frontman, Beppe Grillo, vi ha portato al 25,5 per cento. E oggi resta oltre il 20. Non sarebbe esagerato buttare tutto?
Non dico di cambiare tutto, dico di adeguarci. Ce lo dicono i risultati.
Ha vinto la speranza piuttosto che “andate tutti a casa”…
Esattamente. La gente probabilmente aveva bisogno di quello. E da noi non è arrivata.
A cosa si riferisce?
A tutto e a niente. Prendiamo l’Expo: si mettono in galera i colpevoli della corruzione, ma l’opera deve andare avanti. Il no a tutto non funziona. Io lo so meglio di altri perchè amministro un Comune.
Però il Movimento 5 stelle è un partito di opposizione, cambiare l’atteggiamento non vorrebbe dire adattarsi?
Io lo trovo più coerente e al passo con la stagione che si vive. Abbiamo visto che non ha funzionato, si va avanti e si cambia l’approccio. Non c’è niente di drammatico in tutto questo. E lo dico sulla base di quella che è la mia esperienza amministrativa.
Lei chiede a Grillo e a Casaleggio di fare un passo indietro?
Non sono io a doverlo dire. L’importante è chiedersi cosa abbiamo sbagliato. L’intento di Grillo era sempre stato quello di accompagnare tutti — parlo di noi, quelli che hanno fatto parte dall’inizio di questa avventura — fino a un certo punto e poi lasciare la gestione diretta in mano agli attivisti. L’ho già detto: non sono io a dover dire quando. Tutto qui. Non polemizzo. Non lascio. Non accuso nessuno. Giusto per prevenire i titoli. Chiedo di valutare cosa sia giusto fare in un momento delicato come è questo.
Emiliano Liuzzi
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
PREVISTO A BREVE UN FACCIA A FACCIA CON IL SINDACO DI PARMA
“Ma quelli lì ci fanno entrare in aula?”. “Perchè scusa?”. “Perchè se io avessi preso i voti loro, oggi
non si dovrebbero nemmeno far vedere”.
Il ritorno a Roma dei parlamentari del Movimento 5 stelle è mesto.
“Quelli lì”, i deputati del Pd, hanno stampato in faccia il sorriso della vittoria.
L’altra metà del cielo prova a esorcizzarlo con l’ironia, ma l’ammissione che il risultato elettorale sia stato tutt’altro che positivo è sulla bocca di tutti.
Il voto ha gettato sale sulle ferite che sembrano cicatrizzate.
Al Senato i fuoriusciti hanno ripreso fiato, e si apprestano a formare un nuovo gruppo parlamentare.
Alla Camera la situazione è tesa. I più critici mordono il freno, increduli di fronte al tentativo dei più ortodossi di minimizzare la portata del voto.
“Grillo e Casaleggio devono assolutamente legittimare ad esistere chi manifesta un’indole un po’ più mite – sbotta Tommaso Currò – per iniziare ad avere un dialogo interno”.
I talebani da quell’orecchio non ci sentono.
Giuseppe Brescia, il capogruppo alla Camera, ha invitato tramite mail al silenzio fino a quando non si stabilirà una linea comune in assemblea congiunta.
Domani si dovrebbero vedere i deputati, dopodomani i senatori, ma la plenaria è stata rinviata non a caso a martedì o mercoledì della settimana prossima.
Al Senato l’apertura alle riforme di Matteo Renzi è stata respinta al mittente.
Domani scadono i termini per la presentazione degli emendamenti, e i senatori sono stati invitati a non fare nessuna apertura alle proposte del governo.
Basso profilo anche con la televisione. Dopo un’overdose di piccolo schermo, i parlamentari diraderanno le loro apparizioni.
Una misura decisa ieri a Milano, per far calmare le acque e evitare scivoloni fino a quando non si sarà messa a punto un’exit strategy.
Per il momento è presto, e la gran parte dello staff è proiettata sull’organizzazione dello sbarco degli europarlamentari a Strasburgo.
Per il resto, il “teniamo duro su tutta la linea” non è piaciuto ai più dialoganti della Camera. Che, una volta posati i trolley nelle loro case romane, hanno deciso di vedersi subito, questa sera stessa, per fare il punto.
L’obiettivo è scardinare, senza farsi buttare fuori, quel che Currò definisce “un cerchio magico in cui i fedeli servitori di Grillo sono in malafede”.
“Non è possibile che Grillo abbia ragione da un anno su tutto – continua – perchè o è un dio che non si può discutere oppure c’è una paura o una convenienza nel non manifestare mai una propria critica”.
Fino ad oggi quest’area (quindici, venti deputati) ha faticato a trovare una linea comune, disperdendo il dissenso nei rivoli dei singoli motivi di malcontento.
Il problema della leadership sembra però essere risolto.
“In queste ore stiamo sentendo costantemente Federico Pizzarotti – racconta un parlamentare – stiamo cercando di capire insieme a lui cosa fare, come muoverci”.
Il sindaco di Parma è stato uno dei pochi ad esporsi: “O facciamo autocritica per crescere o rimarremo relegati all’opposizione”, ha scritto su Facebook.
Proprio quel che dicono tra di loro gli onorevoli dissenzienti, che sembrano aver trovato in Pizzarotti una figura capace di coagulare le monadi dell’universo critico del M5s.
È in programma un incontro, forse già nei prossimi giorni.
Voci impazzite danno il primo cittadino in arrivo a Roma già in queste ore. Se una data per il confronto de visu ancora non è stata fissata, resta fermo il fatto che il filo diretto è stato stabilito.
Forse Beppe Grillo non verrà direttamente messo sul banco degli imputati, ma da quelle parti si vuole un’assunzione di responsabilità più netta.
Un po’ quello che chiede anche Pizzarotti. Spiega un deputato: “Sì, stiamo organizzando di vederci con lui. Ma che male c’è? Lui ha sempre incontrato tutti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
OLTRE ALLO STIPENDIO BASE DI 6.250 EURO, GLI EUROPARLAMENTARI PERCEPISCONO 305 EURO AL GIORNO DI DIARIA
“Troppi candidati fanno finta di dimenticarsi la rinuncia volontaria alla diaria. Non votateli!”. Aveva le idee chiare, lo scorso 5 aprile, Giuseppe Centrone, un iscritto al Movimento cinque stelle critico con molti partecipanti alle europarlamentarie.
A elezioni avvenute, lo scrive il Velino, che anche fra i 17 grillini che voleranno a Strasburgo, ben pochi si sono impegnati in tal senso.
Cinque per l’esattezza, scrive ancora l’agenzia di stampa.
Non e’ un obbligo, del resto, dal momento che lo stesso blog di Grillo, nelle “Considerazioni aggiuntive per le elezioni europee”, lo scorso 1? aprile aveva specificato: “Ogni candidato potrà liberamente decidere se destinare la sua diaria a un fondo sociale che sara’ scelto dal portavoce degli eletti al Parlamento europeo (chi dovesse optare per questa scelta e’ pregato di inserirla nella propria presentazione)”.
Sta di fatto che – a leggere le dichiarazioni di intenti – solo 5 hanno espressamente preso l’impegno di restituire l’indennità di soggiorno, pari a 304 euro per ogni giorno di presenza all’Europarlamento (alla quale aggiungere altri 152 euro per le riunioni che hanno luogo al di fuori del territorio comunitario).
Fra i “volenterosi” spicca Fabio Massimo Cataldo, praticante avvocato 27enne di Ardea (Roma), secondo degli eletti nel collegio Centro con 38.088 voti. ”
Qualora eletto, decido liberamente di destinare TUTTA la diaria ad un fondo sociale che sara’ scelto a maggioranza dai Cittadini, attraverso i MeetUp del territorio dove insiste il mio collegio elettorale”, ha scritto nella sua presentazione.
Gli altri si limiteranno a destinare soltanto l’eccedenza, al netto dei rimborsi spese.
Come avviene per i parlamentari, in pratica.
E’ il caso di Dario Tamburrano, medico 43enne anche lui di Roma, terzo degli eletti con 28.339 voti: “In caso di elezione destinero’ al fondo sociale l’eccedenza della diaria”.
L’impegno a versare l’indennità di soggiorno (304 euro al giorno) a un fondo sociale manca nelle dichiarazioni d’intenti della maggior parte degli eletti
Un impegno assunto anche da Rosa D’Amato, insegnante di educazione fisica a Taranto che al Sud ha raccolto 41.520 preferenze (“Decido liberamente di destinare la diaria a un fondo sociale che sara’ scelto dal portavoce degli eletti al Parlamento europeo”, ha scritto nella sua presentazione) e da Ignazio Corrao, numero uno al Sud con 70.942 voti e attualmente collaboratore del M5S all’Assemblea regionale siciliana (“Mi impegno a destinare la diaria ad un fondo sociale che sara’ scelto dal portavoce degli eletti al Parlamento europeo”).
Stesso discorso per il milanese Marco Valli, secondo al Nordo-ovest con 21.772 preferenze: “Restituirò la parte eccedente della diaria, indennità ‘ e somme conferite per l’esercizio del mandato al fondo deciso dall’assemblea degli eletti m5s al parlamento europeo”.
Per tutti gli altri? Nessun accenno esplicito.
Insomma, ai 6.250 euro mensili di indennità , ai 4.299 per le spese generali e ai 354 per i rimborsi di viaggio potranno aggiungere, salvo ripensamenti, anche i circa 4 mila della diaria.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
ERA DIVENTATO UN MITO SUL WEB PER IL SUO MANIFESTO ELETTORALE CHE AVEVA SCATENATO IRONIE
Da Venosa arriva una lezione per Giorgia Meloni e Iva Zanicchi. 
In questo comune in provincia di Potenza Nicola Zifarone è stato eletto consigliere per il Movimento 5 Stelle.
Nome a molti sconosciuto, è diventato un mito sul web per il suo manifesto elettorale che ha scatenato l’ironia di tantissimi utenti dei social network.
Zifarone non ha ceduto infatti alla tentazione di ricorrere a photoshop, e la popolarità raggiunta dal suo volto è stata premiata nelle urne aperte domenica per le elezioni comunali di Venosa. Quella di Zifa, come ormai viene chiamato sui social, è la storia di un successo nato sul web.
Il suo manifesto, rilanciato dal blog NonLeggerlo, ha scatenato l’ironia di tutti.
Anche quella di Leonardo Pieraccioni, dice Zifarone in un’intervista rilasciata a Lettera43: “Il regista toscano non è stato offensivo. Anche se ha dimostrato poca intelligenza. Avrei potuto capire la sua provocazione se avesse preso di mira un candidato noto, invece ha solo lucrato su un cittadino comune che ha deciso di impegnarsi in politica per il proprio territorio”, ha affermato leggermente risentito.
Ora però è il momento di festeggiare le 307 preferenze raggiunte, e su twitter è un tripudio per Zifarone: “Ricordate Zifa? Bene, è stato eletto. Ce la possono fare tutti”, scrive un utente.
“Adesso nessuno del movimento 5 stelle dica ‘Mai una gioia’. Obiettivo Zifarone centrato!”, afferma un altro.
E poi c’è chi a stento trattiene le lacrime: “Piango di gioia. Grazie, ora posso andare a dormire felice”.
Finisce così la lunga attesa di molti utenti ansiosi di conoscere i risultati dello spoglio: “Siamo in trepidante attesa del risultato di Zifarone, sapete qualcosa?”; “Qualcuno sa se il mitico Zifa ha salvato la baracca grilina? #vinciamopoi”.
(da “Huffintonpost”)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
FORTE DELL’AFFERMAZIONE IN ITALIA, IL PREMIER CERCA DI PIAZZARE IL SUO “NEMICO” A BRUXELLES
Renzi tenterà con Letta quel che D’Alema realizzò con Prodi? Anche perchè il presidente del Consiglio italiano ha le carte vincenti in mano, con quel 40,8 per cento di consensi che lo ha reso non solo azionista di maggioranza del Pse ma anche primo partito europeista in Europa, dopo il disfacimento di Hollande e Cameron sotto i colpi dei populisti, degli eurofobici, dei nazionalisti.
Ed ha notoriamente ambizioni adeguate ai propri successi.
Naturalmente, i maligni ricordano che D’Alema trovò in Bruxelles un esilio adeguato per Prodi, che aveva lanciato come premier e capo dell’Ulivo per vincere le elezioni senza doverci mettere un volto di Botteghe Oscure (si rischiava di perdere le elezioni), e infatti Prodi nel ’96 aveva battuto Berlusconi, trasformandosi così in un competitor e per giunta vincente.
Una vulgata -cioè una ipersemplificazione, e che come tale contiene solo un granello di verità – che mal si presta all’oggi.
Renzi di certo, coi risultati che ha ottenuto, non teme competizioni interne.
Semmai, ha il problema di presentare in Europa nomi forti e credibili.
Avrebbe, narrano le fonti, il problema di un sì di Enrico Letta: l’ultimo e unico incontro tra i due il 15 aprile scorso pare non sia stato men che burrascoso. Ma nessuno può dir di no a presiedere la Commissione.
Quando D’Alema mandò Prodi in Europa, dopo il crollo della precedente Commissione tanto rovinoso da far nascere la battuta “avec Santer l’Europe s’enterre”, non bastò certo un primo giro di telefonate.
Quello bastò solo per il via libera, Prodi divenne nel giro di un mese -prima di insediarsi nel maggio del ’99 con ben 392 sì del Parlamento- il presidente in pectore. Fu Schoroeder stesso, dopo la designazione del governo italiano, a compiere un road show tra Bruxelles, Londra e Roma.
Altri tempi, in un’altra Europa, anche popolata da leader di ben diversa statura, e legati da ben più salde solidarietà e consuetudini alla tessitura politica.
Di certo, la sfida del premier italiano che prima delle elezioni si sarebbe accontentato di un «portafoglio» in Commissione ben più modesto (ma fino a un certo punto: l’Agricoltura i francesi non l’avrebbero comunque lasciata facilmente) ha ampliato di molto la propria ambizione.
Considerando che l’Italia già esprime un ruolo-chiave con Mario Draghi presidente della Bce, l’Eurogruppo è fuori portata.
Mentre invece, avendo un nome di salda credibilità come quello di Letta che frequenta l’Europa sin da quando Andreatta lo mandava come ambasciatore da Kohl , la sfida per il presidente della Commissione è possibile.
Sempre che Matteo riesca a convincere i 28, e sempre che Enrico dica sì, naturalmente.
Antonella Rampino
(da “La Stampa”)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
LA CATTIVA PERFORMANCE DI BERLUSCONI E NCD METTE A RISCHIO L’ITALICUM? LA SOLUZIONE È IN PARLAMENTO
“Questo paese è migliore di come ce lo raccontiamo. L’Italia è più forte delle nostre paure”. Abito
scuro, camicia bianca, cravatta grigia, Matteo Renzi per la conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, è così istituzionale che più istituzionale non si potrebbe.
A commentare i risultati elettorali, si presenta da premier nella pienezza dei suoi poteri. Anzi, con i super poteri.
Nonostante il risultato “tecnicamente straordinario”, particolarmente per “un partito del centrosinistra e in questo momento storico”(e quando lo dice gli brillano gli occhi), nonostante quella “#febbre a 40” che spopola su Twitter, i toni sono sobri, non c’è nessun festeggiamento.
“Responsabilità ” e “umiltà ” le parole che ricorrono di più.
Sul tavolo davanti a lui, Renzi giocherella con il cellulare, in mano ha un fogliettino su cui si è appuntato poche frasi, a penna.
Le linee guida di quello che farà da adesso in poi. Perchè ha un bel dire che “questo non è un voto su di me, ma sull’Italia”. Da subito lui e tutti i suoi hanno chiarito che l’azione di governo ne esce rafforzata.
È arrivata la legittimazione popolare che era mancata al momento della “defenestrazione” di Letta.
Atteggiamento da statista, il primo obiettivo del premier erano e restano le riforme.
“I palazzi del potere non hanno più nessun alibi per non farle”, chiarisce.
Di prima mattina ha parlato con Giorgio Napolitano e a chi glielo chiede la risposta sulle elezioni è netta: “So che vi piacciono tanto, ma ne avrete solo la vostra razione istituzionale”.
Obiettivo dichiarato: fine legislatura, nel 2018. Tutto sta a capire come.
Alla luce del 40% del Pd, c’è il rischio che sia Forza Italia sia Ncd possano mettersi di traverso .
Un pericolo che, però, il premier (che ieri ha sentito Berlusconi al telefono) non teme. “Matteo – spiegano i renziani — non ha ostacoli: la minoranza interna non ha la forza per obiettare e se gli alleati minacciano hanno le armi spuntate visto che un voto anticipato adesso punirebbe chi ha fermato Renzi”.
Sul piatto, la legge elettorale, e soprattutto la riforma del Senato.
E allora, ecco la prima battaglia da combattere: “Mi auguro che nei Cinque stelle ci sia una riflessione. Se questi parlamentari continuano ad utilizzare il Parlamento come luogo di show perderanno i loro elettori. Al tavolo delle riforme nessuno gioca a far confusione o all’inciucio, quindi se volessero portare il loro contributo sarebbero ascoltati”.
E poi, l’appello, quasi evangelico “agli uomini e alle donne di buona volontà ”.
Nella convinzione che si può aprire una “terza via” tra “populismo” e “restaurazione”. Non sono solo parole.
Già a febbraio, all’inizio dell’operazione che avrebbe portato Renzi al governo, alcuni uomini del Pd avevano cercato di portare dalla loro i dissidenti grillini, con l’obiettivo di arrivare a una maggioranza diversa da quella che sosteneva Letta.
Allora non c’erano riusciti. Adesso, l’operazione è ricominciata.
Ad esserne incaricato, tra gli altri, è il vice segretario, Lorenzo Guerini. Ma poi, in molti stanno dando il loro contributo allo “scouting”. E poi ci sarebbe sempre pronto un gruppetto filo governativo di Sel.
“È ripartito il piano inclinato”, spiega un renziano. In una prospettiva di lungo percorso vuol dire arrivare al 2018 con una nuova coalizione, che inglobi quel che resta di Scelta Civica e dei Popolari italiani, Sel e un pezzo di M5S.
Nel frattempo, però, l’asse con Berlusconi resta.
Anche se “Forza Italia ha sbagliato: si sarebbe potuta intestare di più le riforme”.
Un messaggio.
Il sobrio-Renzi-trionfatore ha tutte le intenzioni di imprimere “un’accelerazione” all’azione dell’esecutivo.
Riforme costituzionali e legge elettorale, prima dell’estate. E poi il programma annunciato per la prima volta nella sala al Quirinale, con qualche aggiunta: delega fiscale, probabilmente già giovedì, riforma della Pa, per la quale si pensa a un decreto legge per creare una corsia preferenziale in Parlamento, riforma della giustizia.
E velocizzazione della legge delega sul lavoro.
Poi, c’è il fronte europeo. Al tavolo dei grandi, Renzi a questo punto siederà a capotavola.
E la questione partito. Giovedì ci sarà una direzione con l’analisi del voto, tra due settimane un’assemblea per la nuova segreteria.
I posti vacanti sono molti, a cominciare dal responsabile Organizzazione. Che il partito vada ripensato è chiaro sia a Renzi che ai suoi uomini al Nazareno.
Come, è ancora da vedere. In segreteria dovrebbero entrare le minoranze.
Alle condizioni del segretario, ovviamente.
Il nome ricorrente per il posto da Presidente, lasciato vacante da mesi da Gianni Cuperlo, dovrebbe andare a Paola De Micheli, lettiana.
Dato in entrata anche Matteo Orfini.
Altro equilibrio da ridefinire, quello dei gruppi parlamentari. Alla Camera la guida è affidata a Roberto Speranza, che fu scelto da Bersani. Lui in questi mesi si è affermato come uno degli interlocutori del segretario nella minoranza dem e dunque dovrebbe rimanere al suo posto (a meno che non gli venga offerto un posto non rifiutabile in segreteria).
Alla vicepresidenza, al posto della De Micheli, dovrebbe andare, come vice-capogruppo vicario, Matteo Richetti, renziano della prima ora, che già in questi mesi ha fatto un lavoro di raccordo tra i deputati.
Quel che è certo, è che “la rottamazione comincia ora”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
LO DICEVA NENNI NEL 1948: “PIAZZE PIENE, URNA VUOTE”
Piazze piene, urne vuote. L’aveva già detto sessant’anni fa il leader socialista Pietro Nenni, durante la campagna elettorale del Fronte popolare nell’aprile 1948.
Comunisti e socialisti erano convinti di vincere non soltanto perchè avevano un’arroganza senza limiti, ma poichè vedevano un mare di gente ai loro comizi.
Nenni era più schietto di Palmiro Togliatti e un giorno se ne uscì con quella profezia. Molto azzeccata dal momento che le sinistre persero il confronto con la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi.
Nel Movimento Cinquestelle nessuno ha avuto l’accortezza di rammentare il monito di Nenni al generalissimo Beppe Grillo. Lui si era convinto di vincere.
Sino all’ultimo lo ha garantito alle sue truppe e ai possibili elettori strillando: «Vinciamo, anzi stravinciamo, abbiamo già vinto!».
Non si rendeva conto di avere di fronte un’illusione ottica: una serie di piazze stracolme. Da comico patentato, avrebbe dovuto pensare che quelle migliaia di persone stavano lì per godersi un show senza pagare il biglietto. Non lo ha fatto. Si è costruito da solo il proprio disastro. E adesso vediamo il perchè.
Il primo motivo sta nel carattere di Grillo. Lui è uno spaccone, un ganassa direbbero in Lombardia. Mentre dalle mie parti, nel Basso Piemonte, userebbero per lui una espressione curiosa: è uno sgiafelaleon, il tipo che si crede capace di prendere a schiaffi anche i leoni.
In versione pagliaccesca, piuttosto che da carogna.
Il capo stellare si è sempre presentato così al proprio pubblico. Con l’aiuto gratuito dei media televisivi, sempre disposti a mandare in onda personaggi e spettacoli da catalogare sotto la rubrica «Strano, ma vero».
L’elenco delle prodezze di Grillo è impressionante. Si va dall’impresa fisico-sportiva di attraversare a nuoto lo Stretto di Messina per comiziare in Sicilia, sino a quelle politico-minacciose.
Tutte offerte, giorno dopo giorno, dal suo blog, testimonianza non contestabile del piacere di stupire e, insieme, di mettere paura.
Grillo non ha mai perso l’occasione per presentarsi come uno pronto a schiaffeggiare i leoni. Anche quando non li aveva di fronte.
Mi è rimasto impresso ciò che ha detto martedì 20 maggio, nell’entrare a Montecitorio per impartire ai suoi gli ultimi ordini prima del voto europeo.
Mentre attendeva l’ascensore, ha scorto due commessi e non ha resistito al gusto della battuta sadica: «Quando verremo qui, licenzieremo un po’di questi signori!».
Renato Brunetta ha commentato: «Ai commessi è andata bene, perchè Grillo non li ha invitati a fare un giro in auto sul suo Suv».
Il Grillo trionfante ci lascia in eredità un ritratto penoso di se stesso.
Costruito senza prudenza con una serie infinita di ganassate.
Dopo la vittoria, faremo i processi ai politici, agli imprenditori, ai giornalisti. Indagheremo a fondo sui loro patrimoni nascosti, sulle falsità , sulle infedeltà fiscali.
Il pugno duro non risparmierà nessuno, come dimostrano le espulsioni dei parlamentari stellati che rifiutano di obbedire ai miei comandi. Grillo era talmente sicuro del proprio potere assoluto da non temere di contraddirsi.
Dopo aver vietato per mesi a senatori e deputati di andare in tivù, all’improvviso gli ha imposto di presentarsi a tutti i talkshow.
Con il risultato di mostrare la fragilità di tanti dei suoi.
E Grillo non è stato il solo a montarsi la testa. Anche il suo socio Gianroberto Casaleggio ha pisciato fuori dal vaso, per usare un lessico da bar.
Aveva sempre taciuto, nella convinzione che il mistero lo rendesse più forte. Ma quattro giorni prima del voto europeo, ha regalato al «Fatto quotidiano» un’intervista sterminata, scritta da Marco Travaglio.
Due paginate pompose e incaute che si chiudevano con tre parole rischiose. Alla domanda se credesse davvero che i grillini sarebbero arrivati davanti al Partito democratico, Casaleggio ha risposto: «Ci credo veramente».
Travaglio gli ha ricordato che Grillo diceva spesso: «Se perdo le elezioni europee, mi ritiro». Replica del guru: «Non ci credo, non è il tipo. Lo dice ogni tanto, per stanchezza. Ma anche lui persegue l’obiettivo di portare i Cinque Stelle al governo. Poi magari si ritira un minuto dopo. Anche se lo fanno ministro».
Però Grillo seguita a ripetere la medesima solfa. E spesso la completa con una spiegazione che non deve sfuggirci: «Se perdo mi ritiro, perchè non sono adatto a questo paese!».
È un corollario interessante dal momento che apre uno spiraglio sulla vera ragione del disastro elettorale del suo partito.
Non essendo adatto all’Italia di oggi, Grillo ha commesso l’errore fatale per un leader politico: non ha saputo capire come sono fatti gli italiani del 2014.
Siamo da sempre un popolo di moderati che non amano le avventure. Lo prova il fatto che per quasi cinquant’anni abbiamo mandato al governo la Democrazia Cristiana.
Pure chi votava il Pci di Togliatti, di Longo e di Berlinguer sapeva di affidarsi a una parrocchia che aveva rinunciato alle velleità rivoluzionarie o estremiste. E garantiva una stabilità senza troppe scosse.
Oggi l’Italia è un paese spaventato dalla crisi economica globale. Teme di diventare sempre più povero. Se possiede dei risparmi in banca, ha paura di vederli falcidiati o addirittura sparire. Le tasse lo opprimono.
Per non parlare del resto: la burocrazia strapotente, la criminalità organizzata, l’immigrazione clandestina senza controllo. Anch’io faccio parte di questa Italia.
E come milioni di altri cittadini, non amo il caos, rifiuto i politici incapaci, pasticcioni, velleitari. Respingo chi promette miracoli che non è in grado di fare. Penso che al governo ci debba stare chi si adopera a farci uscire dal buio sempre in agguato.
Magari sbagliando qualche passaggio, però senza traumi eccessivi. In una parola, non avrei votato Grillo neppure con una rivoltella puntata alla nuca.
Ma oggi il Super comico stellare ha la metà dei voti conquistati dal Pd di Matteo Renzi.
E’ un parolaio dimezzato, un predicatore che si è messo il tappo in bocca da solo. Rimarrà sulla scena a romperci i corbelli, come temo, oppure ci offrirà la sorpresa di ritirarsi a vita privata nella villona ligure?
E’ troppo presto per azzardare un pronostico. Sarà più interessante vedere quale uso farà di questa vittoria il presidente del Consiglio.
L’unico augurio che mi sento di inviare a Renzi è di non montarsi la testa. Quello di domenica 25 maggio è un trionfo legato a tutte le promesse di riforma che ci sta offrendo.
Usi con giudizio la grande occasione che gli hanno offerto gli elettori, compresi i tanti che non possono certo dirsi tifosi del Partito democratico.
Infine dimostri di avere una sola certezza: la guerra alla crisi continua e la strada per arrivare alla vittoria sarà ancora lunga, lunga, lunga.
Giampaolo Pansa
(da “Libero”)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
E LA TV SERVE ….GLI ITALIANI NON VOGLIONO SENTIRE PARLARE DI RIVOLUZIONE
“Casa… Casaleggio, vieni qua. C’è un maalox anche per te”. 
Nel suo video-messaggio di ieri, Beppe Grillo ha usato una cifra stilistica di cui è ahilui assai parco: l’autoironia.
Ha ammesso la batosta, a suo modo un evento in Italia (giusto ieri uno come Gasparri aveva il coraggio di esultare: come se non bastasse già il coraggio di essere Gasparri). Ha giocato sull’hashtag renziano #vinciamopoi, chiudendo con uno sconsolato ma sorridente “vincono loro”.
È stato forse il suo messaggio più riuscito, solo che è arrivato a elezioni concluse. Già che c’era, oltre a incolpare i pensionati troppo moderati e citare If di Kipling e La canzone del maggio di De Andrè (ottimi gusti), Grillo poteva fare un po’ di autocritica.
Lui, come pure il M5s.
Il Movimento non esisterebbe senza Grillo e Casaleggio, e forse entrambi sono ancora fondamentali. Eppure gli errori sono stati tanti.
In primo luogo, una sopravvalutazione incredibile: l’Italia è forse il Paese occidentale meno incline al cambiamento radicale.
Ogni movimento anzitutto di protesta, o comunque di opinione, è sempre stato minoritario.
In Italia è normale che un neo-democristiano come Renzi sbanchi, mentre è oltremodo anomalo che una forza osteggiata da quasi tutti sia sopra il 20 per cento.
Il Movimento ha perso quasi tre milioni di voti in 15 mesi, ma nessuno parlerebbe di asfaltata se Grillo non avesse cocciutamente alimentato il mito irraggiungibile del sorpasso su Renzi: “vinciamo noi” de che?
Forse Grillo e i parlamentari hanno confuso le piazze piene con il consenso elettorale: le adunate oceaniche dimostrano che gli attivisti 5 Stelle sono più partecipi di quelli piddini, ma non è una novità .
Anche Luttazzi aveva i teatri sempre pieni, anche Santoro ha sempre sbancato l’auditel: poi però le elezioni le vinceva Berlusconi.
Grillo e i suoi hanno convinto i già convinti, senza però conquistare gli indecisi. Grillo si è speso con entusiasmo innegabile, ma continua a inciampare nella sua comunicazione satura di iperboli e provocazioni: andava bene all’inizio, ora no.
Se Renzi ha stravinto, è anche per la paura reale di milioni di italiani, convinti che con Grillo al governo sarebbe davvero arrivato un nuovo Pol Pot.
I titoli sul “Grillo fascista” e “M5S nazista” sono figli di una disonestà intellettuale giornalistica quasi senza eguali, ma un po’ te le cerchi se regali assist agli avversari.
Il post su Auschwitz, “Cosa faresti alla Boldrini?”, “Sono oltre Hitler”, i “processi ai giornalisti”. Tutte esagerazioni semantiche, tutti cortocircuiti linguistici che vogliono fungere da catarsi (la violenza verbale per disinnescare l’eventuale violenza reale): vaglielo a spiegare, però, alla casalinga di Voghera.
Grillo se la prende con gli “italiani che galleggiano” e non vogliono cambiare, ma è anche colpa sua se tra gli over 60 il suo movimento non raggiunge il 10%.
Non lo capiscono, ne hanno paura. E andare una volta da Bruno Vespa non basta a conquistare i moderati, ancor più se ci si mostra spumeggianti come artisti ma poco convincenti come forza di governo.
Se quello spazio lo avesse usato Luigi Di Maio, avrebbe avuto meno share ma raccolto più voti.
A differenza delle politiche 2013, molti stavolta hanno votato non “per Grillo” ma “nonostante Grillo”, magari conquistati da Alessandro Di Battista a Bersaglio mobile o più ancora dalla efficacia del M5s come forza di opposizione autentica.
Andare troppo tardi in tivù è stato un altro errore: forse all’inizio non erano pronti, ma il piccolo schermo non è certo morto.
Renzi ha giocato sulla speranza contro la paura: una narrazione da asilo nido, ma Grillo gli ha permesso di farlo.
Come gli ha permesso di insistere sulle semplificazioni dei “grillini che sanno solo dire di no” e che “hanno messo in frigorifero 9 milioni di voti”.
Gli scazzi in streaming con Renzi e il non voler vedere le carte del segretario Pd sono decisioni scellerate, che poi si pagano.
Come si pagano gli attacchi sgangherati contro “l’uomo Napolitano” di Fabrizio Moro a Piazza San Giovanni.
E la figura di Casaleggio continua ad essere percepita come respingente.
Grillo e il Movimento hanno perso perchè si sono sopravvalutati; perchè non hanno ancora imparato che essere coerenti non significa essere talebani; perchè oltre il 20-25% non possono andare; e perchè hanno dimenticato che la maggioranza degli italiani, non appena sente parlare di “rivoluzione”, mette la mano alla fondina.
E cerca subito una nuova balena bianca a cui consegnarsi placidamente.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 27th, 2014 Riccardo Fucile
HA PRIVILEGIATO I TEMI SOCIALI ED ECONOMICI RISPETTO A QUELLI TRADIZIONALI DELL’IMMIGRAZIONE E DELLA SICUREZZA, CACCIANDO GLI ESTREMISTI… HA VOTATO FN IL 43% DEGLI OPERAI, IL 37% DEI DISOCCUPATI E IL 30% DEI GIOVANI
Dopo settimane di sondaggi che assegnavano una vittoria al Front National – o quantomeno un testa a testa con l’Ump, il partito conservatore – nessuno si è stupito che il movimento nazional-populista sia diventato il primo partito francese.
Ha stupito invece, e scioccato, la dimensione di un successo dovuto in parte all’eccellente lavoro fatto in questi anni da Marine Le Pen e in parte a fattori esterni, a partire dall’inconsistenza dei suoi avversari.
L’impatto della crisi economica
La Francia è arrivata quasi disarmata alla crisi del 2008. Basti ricordare che all’inizio degli anni duemila, mentre la Germania avviava delle difficili riforme strutturali, Parigi riduceva l’orario di lavoro settimanale a 35 ore (a parità di retribuzione).
La sua industria si è quindi trovata a sopportare un costo del lavoro molto alto, a fronte di una produzione di qualità media e medio-bassa.
Con grandi rigidità sul mercato del lavoro dovute a uno strapotere sindacale. La conseguenza è una disoccupazione record, con il 25% dei giovani senza lavoro, nonostante le decine di migliaia di posti assistiti.
A questo si è aggiunto l’inasprimento fiscale degli ultimi quattro anni. Impoverimento della classe media e precarietà lavorativa hanno alimentato il voto di protesta. Come peraltro dicono chiaramente i dati sui flussi elettorali: hanno votato per il Fn il 30% dei giovani, il 43% degli operai e il 37% dei disoccupati.
La debolezza del presidente
Franà§ois Hollande si è palesemente dimostrato non all’altezza del ruolo, che in Francia assomiglia molto a quello di un monarca assoluto. Dopo aver promesso la bocciatura del patto di stabilità , lo ha di fatto accettato.
Ha sottovalutato l’entità della crisi e deciso nuove tasse per circa 30 miliardi. Salvo poi rendersi conto che il Paese non era in grado di sopportarle e annunciare riduzioni fiscali pressochè equivalenti.
L’opinione pubblica non ha capito nulla e si è convinta, non a torto, che manchi una strategia chiara.
La guida del Governo è stata affidata a un premier grigio, Jean-Marc Ayrault, e di scarsa presa sull’opinione pubblica. Solo dopo il disastro delle comunali, due mesi fa, Hollande si è deciso a cambiarlo.
Lo stesso vale per il partito socialista. A questi problemi di fondo si è aggiunto lo scandalo dell’ex ministro del Bilancio Cahuzac, che aveva un conto in Svizzera ed è stato a lungo difeso. Il risultato è che Hollande è il presidente più impopolare di sempre e i socialisti non sono mai scesi così in basso.
Le divisioni nel centro-destra
Dalla sconfitta alle presidenziali (e la parziale uscita di scena di Nicolas Sarkozy), il partito fa più notizia per le guerre intestine che per le sue iniziative politiche.
Grazie alla crisi dei socialisti e al cosiddetto “fronte repubblicano” anti-Fn, ha vinto le elezioni municipali, dove prevalgono considerazioni locali. Ma alle europee ha pagato l’assenza di una leadership forte e chiara. Anche in questo caso aggravata dal profumo di scandalo che coinvolge il segretario Copè in una squallida vicenda di fatture false e utilizzo illegale dei fondi del partito.
L’euroscetticismo dei francesi
I francesi sono tradizionalmente eurocritici, per non dire euroscettici. Come dimostra la vittoria del “no” alla costituzione europea nel referendum del 2005. O il recente sondaggio di Le Monde dal quale risulta che la grande maggioranza della popolazione si sente «solo francese» o comunque «più francese che europea».
La Le Pen ha quindi avuto gioco facile nello sparare a zero su Bruxelles. Tanto più che da anni quasi tutti i politici francesi – di destra e di sinistra – hanno trasmesso l’idea che quando una cosa funziona è merito loro e quando non funziona è colpa dell’Europa.
E le vere e proprie campagne contro l’euro forte, contro i divieti agli aiuti di Stato, contro l’apertura dei mercati (cui viene imputato l’andamento in profondo rosso della bilancia commerciale) hanno contribuito a stendere un vero tappeto rosso alla signora del Front National.
La metamorfosi del Fronte nazionale
Arrivata poco più di tre anni fa alla guida del partito fondato da suo padre nel 1972, ne ha completamente cambiato l’immagine. E in parte la sostanza.
Ha cacciato, o marginalizzato, estremisti e nostalgici. Ha dato spazio a una nuova generazione di quadri, moderni e convincenti.
Ha fatto in modo che il partito si radicasse sul territorio, dando grande attenzione ai temi locali (basti citare la difesa del commercio al dettaglio contro la grande distribuzione).
Ma soprattutto ha privilegiato i temi sociali ed economici rispetto a quelli tradizionali dell’immigrazione e della sicurezza (pur senza accantonarli).
Una strategia vincente, visto che i consensi al Fn salgono in parallelo con le percentuali di disoccupazione.
In questa campagna elettorale ha giocato abilmente le carte della sovranità , della difesa degli interessi nazionali, del patriottismo economico e della protezione in tutte le sue declinazioni: delle impreese, dei consumatori, dell’agricoltura, delle frontiere, dell’identità , dei servizi pubblici.
Un messaggio spesso demagogico e poco credibile, ma è quello che la gente voleva sentirsi dire.
Marco Moussanet
(da “il Sole24ore“)
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