RENZI IN EUROPA GIOCA LA CARTA LETTA AL POSTO DI BARROSO
FORTE DELL’AFFERMAZIONE IN ITALIA, IL PREMIER CERCA DI PIAZZARE IL SUO “NEMICO” A BRUXELLES
Renzi tenterà con Letta quel che D’Alema realizzò con Prodi? Anche perchè il presidente del Consiglio italiano ha le carte vincenti in mano, con quel 40,8 per cento di consensi che lo ha reso non solo azionista di maggioranza del Pse ma anche primo partito europeista in Europa, dopo il disfacimento di Hollande e Cameron sotto i colpi dei populisti, degli eurofobici, dei nazionalisti.
Ed ha notoriamente ambizioni adeguate ai propri successi.
Naturalmente, i maligni ricordano che D’Alema trovò in Bruxelles un esilio adeguato per Prodi, che aveva lanciato come premier e capo dell’Ulivo per vincere le elezioni senza doverci mettere un volto di Botteghe Oscure (si rischiava di perdere le elezioni), e infatti Prodi nel ’96 aveva battuto Berlusconi, trasformandosi così in un competitor e per giunta vincente.
Una vulgata -cioè una ipersemplificazione, e che come tale contiene solo un granello di verità – che mal si presta all’oggi.
Renzi di certo, coi risultati che ha ottenuto, non teme competizioni interne.
Semmai, ha il problema di presentare in Europa nomi forti e credibili.
Avrebbe, narrano le fonti, il problema di un sì di Enrico Letta: l’ultimo e unico incontro tra i due il 15 aprile scorso pare non sia stato men che burrascoso. Ma nessuno può dir di no a presiedere la Commissione.
Quando D’Alema mandò Prodi in Europa, dopo il crollo della precedente Commissione tanto rovinoso da far nascere la battuta “avec Santer l’Europe s’enterre”, non bastò certo un primo giro di telefonate.
Quello bastò solo per il via libera, Prodi divenne nel giro di un mese -prima di insediarsi nel maggio del ’99 con ben 392 sì del Parlamento- il presidente in pectore. Fu Schoroeder stesso, dopo la designazione del governo italiano, a compiere un road show tra Bruxelles, Londra e Roma.
Altri tempi, in un’altra Europa, anche popolata da leader di ben diversa statura, e legati da ben più salde solidarietà e consuetudini alla tessitura politica.
Di certo, la sfida del premier italiano che prima delle elezioni si sarebbe accontentato di un «portafoglio» in Commissione ben più modesto (ma fino a un certo punto: l’Agricoltura i francesi non l’avrebbero comunque lasciata facilmente) ha ampliato di molto la propria ambizione.
Considerando che l’Italia già esprime un ruolo-chiave con Mario Draghi presidente della Bce, l’Eurogruppo è fuori portata.
Mentre invece, avendo un nome di salda credibilità come quello di Letta che frequenta l’Europa sin da quando Andreatta lo mandava come ambasciatore da Kohl , la sfida per il presidente della Commissione è possibile.
Sempre che Matteo riesca a convincere i 28, e sempre che Enrico dica sì, naturalmente.
Antonella Rampino
(da “La Stampa”)
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