Novembre 22nd, 2014 Riccardo Fucile
AMMORBIDITI I REATI FISCALI, NONOSTANTE IL PARERE CONTRARIO DELLE FIAMME GIALLE
La Guardia di finanza è in totale disaccordo con il governo sulla depenalizzazione di una serie di reati
tributari, prevista dalle bozze del decreto sull’abuso del diritto, destinato ad arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri nelle prossime settimane.
A dimostrarlo è l’intervento del comandante generale delle Fiamme gialle Saverio Capolupo durante il seminario istituzionale sul contrasto all’evasione che si è tenuto in commissione Finanze alla Camera.
Capolupo si è concentrato sulle nuove misure in materia fiscale in dirittura di arrivo: dalla disciplina sul rientro dei capitali (la cosiddetta voluntary disclosure), arenata al Senato, ai decreti attuativi della delega fiscale, tra cui appunto quello sull’abuso del diritto.
Ma ha anche passato in rassegna le novità sull’adempimento volontario introdotte nella legge di Stabilità .
E ha esposto in maniera molto chiara la posizione del corpo che è in prima linea nel contrasto a evasione ed elusione: no alla depenalizzazione della dichiarazione infedele, no alla riduzione degli attuali “presidi sanzionatori” contro l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta.
No ad allargare le maglie, insomma.
L’esatto contrario di quanto stabilisce il testo del decreto, ora in fase di limatura, di cui nei giorni scorsi sono state rese note le bozze.
Bozze in base alle quali non solo diventano non punibili le false fatture fino a 1000 euro, ma viene quadruplicata, portandola da 50mila a 200mila euro, la soglia oltre la quale la dichiarazione infedele è penalmente rilevante.
Come dire che quello che ora è un reato punito con il carcere da 1 a 3 anni diventerà , sotto quel tetto, un semplice illecito amministrativo.
E la soglia potrebbe arrivare a 400mila euro per le aziende che aderiscono al programma di “adempimento collaborativo” dell’Agenzia delle Entrate, la cui direttrice Rossella Orlandi si è detta a favore dell’innalzamento.
In più si prevede che “ai fini dell’applicazione della disposizione non si tiene conto della non corretta classificazione o valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza e della non deducibilità di elementi passivi reali”.
Per la Gdf la legislazione penale ha permesso di ottenere importanti risultati in termini di contrasto ai reati tributar
Nel suo intervento, Capolupo ha spiegato che “l’esperienza operativa maturata dal Corpo nell’azione di contrasto alle frodi ha evidenziato la ricorrente possibilità di porre in essere rilevanti comportamenti evasivi” proprio utilizzando quei trucchetti. In particolare “deducendo dal reddito costi, spese e oneri che, sebbene effettivamente sostenuti, non sono inerenti all’attività di impresa o non sono deducibili ai sensi delle norme fiscali”.
Peraltro in un’audizione di pochi mesi prima lo stesso Capolupo aveva detto che “gli strumenti offerti dalla legislazione penale hanno consentito di pervenire a importanti risultati in termini di aggressione patrimoniale dei responsabili di reati tributari: nell’ultimo quinquennio la Guardia di finanza ha, in media, denunciato ogni anno circa 12mila soggetti”, e “oltre la metà delle denunce riguarda la realizzazione di condotte fraudolente connesse alla falsa rappresentazione della realtà gestionale attraverso utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o altri artifici”.
Ma la critica del numero uno delle Fiamme gialle non si limita ai decreti in preparazione.
Riguarda anche l’allargamento dell’adempimento volontario previsto dalla legge di Stabilità .
L’articolo 44 del ddl punta a incentivare la “collaborazione” tra contribuenti e fisco permettendo ai primi di avere accesso a tutte le informazioni sul loro reddito e le loro spese in possesso delle Entrate. Questo per stimolare chi sta nascondendo qualcosa a “ravvedersi” e sanare errori o omissioni.
Ma l’innovazione più rilevante è che la norma consente l’accesso a questa procedura anche a chi ha già ricevuto un avviso di accertamento.
Peccato che, per Capolupo, questo equivalga a “agevolare un comportamento attendista e poco collaborativo del contribuente che, una volta informato degli elementi a suo carico, potrebbe aspettare l’avvio di ispezioni e controlli, consapevole dell’opportunità di regolarizzare la propria posizione”.
La norma, dunque, potrebbe “vanificare almeno in parte l’attività ispettiva” e “introdurre profili di incertezza sulla stessa funzione del’attività di verifica”.
Di conseguenza, “tenuto conto delle risorse disponibili dell’amministrazione finanziaria, l’istituto potrebbe paradossalmente determinare un incentivo all’evasione”. E questo è il modo in cui l’esecutivo conta di aumentare la percentuale di somme recuperate dal mare magnum dei 90 miliardi di tasse evase ogni anno in Italia.
“Allargare l’adempimento volontario a chi è già oggetto di accertamento potrebbe incentivare l’evasione”
Infine, concludendo il suo intervento, Capolupo ha ricordato qual è lo stato di attuazione dei nuovi provvedimenti varati per rafforzare l’azione della Gdf.
In particolare, un articolo della manovra “Salva Italia” del governo Monti (dicembre 2011) prevedeva che tutte le richieste di informazioni o documentazione a banche e intermediari finanziari da parte delle Fiamme gialle fossero spedite per via telematica. Sono passati tre anni e il risultato è che “il sistema non è ancora operativo, in quanto, ad oggi,non è ancora stato emanato il decreto attuativo“.
Vale a dire che oggi la Finanza non ha la possibilità di consultare l’archivio dei rapporti finanziari per le richieste nell’ambito di “indagini di polizia giudiziaria, antiriciclaggio e antiterrorismo, nonchè nel corso dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione antimafia“.
di C. Brusini e M. Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano“)|
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Novembre 22nd, 2014 Riccardo Fucile
LA DIVISIONE SU QUALE SIA IL COMPITO ETICO DELLO STATO…E’ BASTATO CHE LANDINI EVOCASSE IL NOME “ONESTA” E NEL PD E’ SCATTATA LA PARANOIA
È bastato nominare la parola onestà . Maurizio Landini l’ha evocata, se ne è anche subito scusato, ma delle scuse poteva anche fare a meno, per quel che son servite: l’aver richiamato l’ idea, il solo concetto, ha squarciato, terremotato, alluvionato la politica italiana con effetti mai raggiunti in un dibattito pubblico in cui lo scambio verbale a sinistra non è mai stato esattamente un dialogo fra educande.
Miserabile, sfigato, opportunista, vecchio, bollito, rimbambito, rottamato, gufo, rosicone, bugiardo, neoliberista, amico dei padroni, venduto: tutte queste parole insieme non sono però riuscite a combinare l’effetto che da solo ha avuto il termine onestà .
Non è per nulla sorprendente questo impatto. Era lì lì, il tema. Ha viaggiato sotto la pelle di tante scelte fatte in questi mesi dal nuovo Pd.
È stato nascosto dai tanti lustrini del rinnovamento. Ha perso quota in visibilità rispetto alle giustissime scelte della rottamazione della vecchia classe dirigente.
Ma è stato sempre lì, appunto. Ha costituito il retropensiero sulla valutazione di opportunità o meno del Patto del Nazareno, e della svolta politica che accompagna la trasformazione del Pd a Partito della Nazione.
Fino a che qualcuno, e non a caso è stato Landini che non ha nè buone maniere politiche nè un buon spinner alle sue spalle, si è fatto scappare la frizione ed ha pronunciato la parola: onestà .
Ben venga un chiarimento in merito. La sinistra italiana è stata per decenni, da Berlinguer in poi, identificata con la sua identità morale.
Negli anni la questione morale posta dalla sinistra ha preso tante descrizioni. È stata lo strumento di battaglia negli anni di Tangentopoli.
È stata l’arma identitaria dell’opposizione a Berlusconi. È stata la pietra fondante del “partito dei giudici”.
Ma è stata anche strumento di autodisciplina e autodannazione – ogni leader politico assurto alla guida del Pd è stato sottoposto alla verifica della questione morale, e pochi l’hanno superata – ognuno di loro dannato per una ragione o l’altra.
Negli anni intorno alla interpretazione del concetto di onestà la sinistr
a tutta, non solo il Pd, ha vinto e ha perso, si è esaltata o ha fatto di se stessa un falò. Questo processo (a volte in senso letterale) è stato il punto su cui si sono concentrate le forze di attacco della destra, dei liberali, dei moderati – che di volta in volta hanno accusato la sinistra di giacobinismo, di tentazioni autoritarie.
E in questo dopo Landini è interessante infatti leggere il risorgere immediato di tutte queste indignazioni , riassunte nella frase ” il ritorno del partito degli onesti”!
Insomma, prendere o lasciare, amarla o meno, la questione morale, e di come questa si traduce in politica, è stata il pivot ideologico della identità di quello che oggi si chiama il Pd.
Eppure in tutto il veloce processo di rinnovamento non è stata mai affrontata in maniera diretta. Ha sempre ribollito sul fondo però.
In tutte le principali scelte politiche renziane questa identità è stata evocata e risolta in maniera diversa da quello che avrebbe fatto lo stesso partito solo pochi mesi prima.
La riforma della Giustizia è stata preceduta dallo smantellamento della superiorità morale della categoria, attaccando I giudici per l’eccesso di ferie.
Sul Patto del Nazareno c’è poco da aggiungere – per quanto spiegabile in termini di tattica politica, l’alleanza è una totale delegittimazione di quel Pd che per venti anni ha combattuto Berlusconi come evasore fiscale e personificazione del conflitto di interessi fra politica e denaro.
Ma è sul piano economico che, sorprendentemente, la questione etica in epoca renziana viene svoltata in maniera radicalmente diversa dal passato.
La modernità del mercato cui guarda il premier premia una riforma che renda più flessibile e meno pagato il lavoro, e agisca sul miglioramento delle condizioni operative delle aziende.
Nulla di colpevole in questa impostazione – è una ricetta (chiamatela come volete, neoliberista o meno) che da decenni viene applicata alle economie occidentali.
Con una eccezione: che il capitalismo italiano, a differenza di quello delle altre nazioni europee, difetta di aspirazioni sociali (dov’è il modello participativo?) ma anche di impegno pubblico: che dire dell’enorme evasione delle tasse, del ripetuto spremere i fondi pubblici a fini privati, della scarsa voglia di investire, per non parlare dei 67 miliardi fuggiti all’estero nel solo 2013, l’equivalente di ben due finanziarie?
Come si chiama tutto ciò se non questione morale nella comunità economica?
E si può non capire la esasperazione dei sindacati a fronte di questo sbilanciamento di interventi?
Qui non si tratta dunque di definire chi sia onesto e chi sia disonesto. Non ci sono dubbi sul fatto che la moralità delle persone è un patrimonio inalienabile della sfera privata.
Ma la applicazione pubblica del concetto di onestà è una sfera per eccellenza dello Stato. E, come abbiamo visto, permea direttamente ed indirettamente ogni sua scelta politica.
Quello che è successo fra Landini e Renzi è dunque il disvelamento della vera spaccatura che corre a sinistra.
E non ha a che fare con la disonestà personale di nessuno. È una divisione profonda su quale sia il compito etico di un partito di sinistra, e di uno stato guidato da tale partito.
Lucia Annunziata
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 22nd, 2014 Riccardo Fucile
“NEL NOSTRO QUARTIERE LUCCIOLE, INSICUREZZA E DEGRADO”
Attimi di tensione al corteo partito dal Colosseo Quadrato all’Eur e organizzato dal comitato di quartiere
“Ripartiamo dall’Eur” e dall’associazione commercianti della zona.
La manifestazione è stata indetta per chiedere un intervento dalle istituzioni sulla prostituzione e il degrado.
I partecipanti e uno degli organizzatori hanno duramente contestato l’eurodeputato della Lega Nord, Mario Borghezio, sceso in strada per partecipare al corteo.
“Non è una manifestazione politica vada dietro” hanno urlato gli organizzatori.
Borghezio aveva tentato di porsi alla testa del corteo, ma è stato ricacciato in fondo allo stesso tra urla e contestazioni.
Il corteo, a cui hanno partecipato circa 200 persone, ha attraversato le vie più centrali del quadrante E42 intonando l’inno nazionale. “Vogliamo un intervento concreto soprattutto sulla prostituzione” ha spiegato Paolo Lampariello, presidente del comitato di quartiere:” Siamo ostaggi del degrado e della prostituzione”.
Tra le iniziative a cui lavorano i leader del Coordinamento di Ribellione, c’è “un’occupazione pacifica della stazione Termini – ha detto Franco Pirina del Coordinamento azioni operative Ponte di Nona (Caop) – A breve vogliamo occupare in contemporanea sette-otto stazioni della metropolitana. Stiamo trattando con le forze dell’ordine e con le Ferrovie dello Stato per svolgere tutto nella legalità “.
Flaminia Savelli
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Novembre 22nd, 2014 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN CALABRIA PER CHIUDERE LA CAMPAGNA ELETTORALE DI OLIVERIO… CON IL FAVORITO ALLE REGIONALI TANTE FACCE NON PROPRIO NUOVE
Matteo Renzi arriva in Calabria e sono botte.
I suoi supporter calabresi volevano un comizio come quelli di una volta, da fare in piazza, bandiere al vento e slogan per la lunga marcia alla conquista della Regione.
La vittoria è scontata, i sondaggi danno Mario Oliverio, il candidato governatore del Pd non renziano, stravincente. Ma lui no, il premier alla piazza, ha preferito l’auditorium del liceo cittadino.
Ottocento persone sedute ad aspettarlo, fuori un inutile maxischermo, nelle vie poco distanti, duecento persone.
Giovani, immigrati, precari di tutte le specie, vengono fronteggiati dalla polizia. “Sblocca Renzi, casa, reddito, istruzione”, c’è scritto su uno striscione. Slogan, urla, spintoni, fino a quando il corteo di “rosiconi” (così il premier ama definire chi protesta) non tenta di portarsi nella piazza a ridosso dell’auditorium dove Matteo parlerà tra poco.
Volano manganellate, parte una carica della polizia in assetto antisommossa. La placida Cosenza viene scossa come negli anni d’oro della contestazione, quando qui teneva banco con le sue analisi sul Sud e il modello di sviluppo, il professor Franco Piperno.
Bilancio conclusivo: un ragazzo ferito tra i manifestanti e tre poliziotti costretti a farsi medicare. Anche nel teatro dove si aspetta Renzi, il nervosismo è alle stelle.
La gente è lì seduta dalle sei della sera, il premier arriva che l’orologio segna le venti. In prima fila c’è tutto il Pd, i suoi notabili, i grandi elettori che hanno sconfitto Gianluca Callipo, la giovane promessa renziana, alle primarie.
In Calabria la rottamazione può attendere. Parla il vincitore prossimo venturo, l’uomo destinato a stravincere sulle macerie lasciate dal centrodestra di Peppe Scopelliti. Mario Oliverio, alternando un caro Matteo di qua e uno di là , chiarisce subito come stanno le cose, ricordano al premier-rottamatore che “130mila calabresi alle primarie hanno deciso con il loro voto il candidato di centrosinistra”.
Dal palco lo spettacolo che si para davanti agli occhi di Renzi è desolante.
Una lunga schiera di notabili, gente eterna come Nicola Adamo, uomini passati con celerità dal centrodestra al centrosinistra, mogli e sorelle d’arte, come Tania, sorella di Nico Stumpo, deputato e uomo delle tessere del Pd ai tempi di Bersani, candidata alla Regione. Altro che rinnovamento.
E allora tocca fare buon viso a pessimo gioco. E dire, ripetere quasi ossessivamente che il governo c’è ed al fianco della Calabria. Applausi.
“Noi non siamo alla ricerca della goleada — dice il premier riferendosi alla vittoria sicura di domenica sera — siamo qui per la Calabria, perchè qui si gioca il futuro del Paese”.
E poi giù con il lungo elenco delle riforme, annunciate e non ancora realizzate. Renzi non attacca il sindacato, nè nomina mai l’uomo nero Maurizio Landini, ma lancia un messaggio. “Come si fa a non capire che col 43% di disoccupazione giovanile e un sistema che fa scappare le aziende, che non serve fare proteste e lanciare fumogeni”. Gli ottocento applaudono.
E Renzi insiste: “Il lavoro non lo crea chi usa le parole, ma chi apre le imprese. Le fabbriche non vanno occupate, ma aperte”.
Ancora mani che si spellano nella regione che ha il triste primato di essere in fondo a tutte le classifiche, da quelle stilate dallo Svimez, alle ultime di Bankitalia.
Il premier avverte il pericolo della crescita dell’altro Matteo, il Salvini lepenista che punta sui dolori di pancia del Paese. Non lo nomina mai, si limita a chiamarlo “aspirante statista in camicia verde”.
Non sa che “il Sud Italia ha subito il processo di unificazione nazionale”.
Saranno stati i richiami a Giustino Fortunato fatti da Oliverio, vecchia scuola Pci, ma Matteo Renzi si scopre meridionalista. Con leggere venature neo-borboniche. quando ricorda che qui nel vecchio Regno di Napoli c’era la “migliore industria”, che questa è terra di Magna Grecia.
È imbattibile Renzi a sollecitare l’applauso. Parla di riforma della Giustizia e lo fa partendo dallo scandalo della sentenza Eternit. “Come si fa a parlare di giustizia quando il dolore di una intera comunità viene prescritto. Il dolore non si prescrive”. La folla applaude.
Mario e Matteo sono fianco a fianco sul palco. Il vecchio che vince e il nuovo che non c’è. Tanto vale adeguarsi.
Siamo a Cosenza, una bella città pulita, ordinata, con gli autobus che passano in orario. Questa era la terra di Giacomo Mancini, un uomo che capì, più e prima di tutti, che la Calabria aveva bisogno del governo e dei suoi stanziamenti.
“Questa porta, la porta di Palazzo Chigi, per voi sarà sempre aperta”. Gente in piedi, notabili che si fregano le mani.
I soldi saranno pure pochi, ma arriveranno alla Calabria. Intanto i “rosiconi” in piazza tornano a casa.
Malmessi e delusi. Il new deal renziano non li riguarda.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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