COSENZA, BOTTE E BLINDATI: RENZI PARLA AI NOTABILI
IL PREMIER IN CALABRIA PER CHIUDERE LA CAMPAGNA ELETTORALE DI OLIVERIO… CON IL FAVORITO ALLE REGIONALI TANTE FACCE NON PROPRIO NUOVE
Matteo Renzi arriva in Calabria e sono botte.
I suoi supporter calabresi volevano un comizio come quelli di una volta, da fare in piazza, bandiere al vento e slogan per la lunga marcia alla conquista della Regione.
La vittoria è scontata, i sondaggi danno Mario Oliverio, il candidato governatore del Pd non renziano, stravincente. Ma lui no, il premier alla piazza, ha preferito l’auditorium del liceo cittadino.
Ottocento persone sedute ad aspettarlo, fuori un inutile maxischermo, nelle vie poco distanti, duecento persone.
Giovani, immigrati, precari di tutte le specie, vengono fronteggiati dalla polizia. “Sblocca Renzi, casa, reddito, istruzione”, c’è scritto su uno striscione. Slogan, urla, spintoni, fino a quando il corteo di “rosiconi” (così il premier ama definire chi protesta) non tenta di portarsi nella piazza a ridosso dell’auditorium dove Matteo parlerà tra poco.
Volano manganellate, parte una carica della polizia in assetto antisommossa. La placida Cosenza viene scossa come negli anni d’oro della contestazione, quando qui teneva banco con le sue analisi sul Sud e il modello di sviluppo, il professor Franco Piperno.
Bilancio conclusivo: un ragazzo ferito tra i manifestanti e tre poliziotti costretti a farsi medicare. Anche nel teatro dove si aspetta Renzi, il nervosismo è alle stelle.
La gente è lì seduta dalle sei della sera, il premier arriva che l’orologio segna le venti. In prima fila c’è tutto il Pd, i suoi notabili, i grandi elettori che hanno sconfitto Gianluca Callipo, la giovane promessa renziana, alle primarie.
In Calabria la rottamazione può attendere. Parla il vincitore prossimo venturo, l’uomo destinato a stravincere sulle macerie lasciate dal centrodestra di Peppe Scopelliti. Mario Oliverio, alternando un caro Matteo di qua e uno di là , chiarisce subito come stanno le cose, ricordano al premier-rottamatore che “130mila calabresi alle primarie hanno deciso con il loro voto il candidato di centrosinistra”.
Dal palco lo spettacolo che si para davanti agli occhi di Renzi è desolante.
Una lunga schiera di notabili, gente eterna come Nicola Adamo, uomini passati con celerità dal centrodestra al centrosinistra, mogli e sorelle d’arte, come Tania, sorella di Nico Stumpo, deputato e uomo delle tessere del Pd ai tempi di Bersani, candidata alla Regione. Altro che rinnovamento.
E allora tocca fare buon viso a pessimo gioco. E dire, ripetere quasi ossessivamente che il governo c’è ed al fianco della Calabria. Applausi.
“Noi non siamo alla ricerca della goleada — dice il premier riferendosi alla vittoria sicura di domenica sera — siamo qui per la Calabria, perchè qui si gioca il futuro del Paese”.
E poi giù con il lungo elenco delle riforme, annunciate e non ancora realizzate. Renzi non attacca il sindacato, nè nomina mai l’uomo nero Maurizio Landini, ma lancia un messaggio. “Come si fa a non capire che col 43% di disoccupazione giovanile e un sistema che fa scappare le aziende, che non serve fare proteste e lanciare fumogeni”. Gli ottocento applaudono.
E Renzi insiste: “Il lavoro non lo crea chi usa le parole, ma chi apre le imprese. Le fabbriche non vanno occupate, ma aperte”.
Ancora mani che si spellano nella regione che ha il triste primato di essere in fondo a tutte le classifiche, da quelle stilate dallo Svimez, alle ultime di Bankitalia.
Il premier avverte il pericolo della crescita dell’altro Matteo, il Salvini lepenista che punta sui dolori di pancia del Paese. Non lo nomina mai, si limita a chiamarlo “aspirante statista in camicia verde”.
Non sa che “il Sud Italia ha subito il processo di unificazione nazionale”.
Saranno stati i richiami a Giustino Fortunato fatti da Oliverio, vecchia scuola Pci, ma Matteo Renzi si scopre meridionalista. Con leggere venature neo-borboniche. quando ricorda che qui nel vecchio Regno di Napoli c’era la “migliore industria”, che questa è terra di Magna Grecia.
È imbattibile Renzi a sollecitare l’applauso. Parla di riforma della Giustizia e lo fa partendo dallo scandalo della sentenza Eternit. “Come si fa a parlare di giustizia quando il dolore di una intera comunità viene prescritto. Il dolore non si prescrive”. La folla applaude.
Mario e Matteo sono fianco a fianco sul palco. Il vecchio che vince e il nuovo che non c’è. Tanto vale adeguarsi.
Siamo a Cosenza, una bella città pulita, ordinata, con gli autobus che passano in orario. Questa era la terra di Giacomo Mancini, un uomo che capì, più e prima di tutti, che la Calabria aveva bisogno del governo e dei suoi stanziamenti.
“Questa porta, la porta di Palazzo Chigi, per voi sarà sempre aperta”. Gente in piedi, notabili che si fregano le mani.
I soldi saranno pure pochi, ma arriveranno alla Calabria. Intanto i “rosiconi” in piazza tornano a casa.
Malmessi e delusi. Il new deal renziano non li riguarda.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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