Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
SI VUOLE FARE LUCE SUL CASO DI DUE CONTRATTI INTERINALI NELL’UFFICIO DI GABINETTO DELLA GIUNTA PD
Sul caso delle due assunzioni interinali nella amministrazione guidata dal governatore Debora Serracchiani,
ora si muove anche la Guardia di finanza.
Gli uomini delle Fiamme gialle, su delega della procura della Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia, la scorsa settimana hanno fatto visita agli uffici della Regione a Trieste per acquisire ulteriore documentazione e comprendere meglio come siano andate le cose.
Obiettivo degli investigatori è capire infatti se le assunzioni di Davide Bonetto e Massimo Ceccon siano state regolari.
I due, secondo l’opposizione in consiglio regionale, erano vicini politicamente, in un caso, alla stessa presidente della Regione, nell’altro membri di un partito che sostiene la maggioranza di centrosinistra e il loro arruolamento nell’amministrazione sarebbe stato poco chiaro.
Tra Davide Bonetto (vice-sindaco Pd di San Giorgio di Nogaro (Udine), 32 anni, geometra e in passato apprendista muratore), assunto nell’ufficio di gabinetto della giunta regionale a giugno 2014, e la vice-segretaria nazionale del Pd, oltre alla vicinanza politica ci sarebbe infatti anche un legame di amicizia, (come mostrato anche da alcune foto sul profilo Facebook del marito della presidente).
L’altro fascicolo dei magistrati contabili, che però non chiama in causa direttamente Serracchiani, riguarda l’assunzione (a tempo determinato come nel caso di Bonetto) di un consigliere comunale di Udine eletto tra le fila di Sel, partito che appoggia la maggioranza. Massimo Ceccon è stato assunto, sempre tramite un’agenzia di somministrazione lavoro, nella Direzione regionale infrastrutture nonostante abbia una laurea in Scienze alimentari (anche se in consiglio comunale si occupa anche di questioni urbanistiche).
A fare discutere era stato soprattutto il fatto che, mentre i due venivano assunti, molti precari della Regione Friuli Venezia Giulia da anni attendono stabilizzazione.
Negli ultimi mesi il procuratore della Corte dei conti regionale, Maurizio Zappatori dopo avere aperto i due fascicoli di indagine, aveva chiesto chiarimenti all’amministrazione regionale.
È probabile tuttavia che questi non siano stati sufficienti ai magistrati, che vorrebbero chiudere le indagini in fretta e capire se tutto è stato fatto secondo le norme.
Così ora è entrata in gioco la Guardia di finanza che si è presentata in Regione a Trieste per acquisire nuova documentazione e comprendere meglio quali sono le modalità di selezione degli assunti in Regione e come si sia agito nei casi di Ceccon e di Bonetto.
Il capo di gabinetto della giunta regionale guidata da Serracchiani, interpellato da ilfattoquotidiano.it, sulla assunzione di Davide Bonetto aveva spiegato che tutto era stato fatto secondo le regole: “Era l’unico ad avere esperienza politico amministrativa esercitata in ambito regionale e provinciale. Anche la modalità di assunzione interinale — aveva spiegato Agostino Maio — deriva dal fatto che l’Amministrazione regionale proprio a ridosso delle esigenze palesate dal Gabinetto aveva invitato tutti gli uffici e le direzioni a inoltrare apposite richieste garantendo nel giro di breve tempo la soddisfazione delle stesse. Tra l’altro mi preme sottolineare che, a differenza di quello che un po’ superficialmente ho sentito in alcuni casi affermare sulla questione, non c’è alcuna relazione tra le assunzioni di personale interinale (un ottantina circa in tutta l’amministrazione regionale) e la stabilizzazione dei precari”.
David Marceddu
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
IL GIOCHETTO COSTERA’ IN DIECI ANNI BEN 2,6 MILIARDI ALLO STATO E FAVORIRA’ 160.000 PERSONE
Avete presente la leggenda di Sissa Nassir, l’inventore degli scacchi che chiese allo Shah un chicco di grano nella prima casella, 2 nella seconda, 4 nella terza e via raddoppiando?
Una misteriosa manina ha ideato un giochino simile, facendo sparire alcune parole chiave per le pensioni più ricche.
Nel 2014 il giochino costerà 2 milioni di euro: nel 2024 addirittura 493. In un anno.
Per un totale nel decennio di 2 miliardi e 603 milioni di euro.
A godere di questo regalo, calcola l’Inps, saranno circa 160 mila persone. Quelle che, pur avendo raggiunto nel dicembre 2011 i quarant’anni di anzianità , hanno potuto scegliere di restare in servizio fino ai 70 o addirittura ai 75 anni. In gran parte docenti universitari, magistrati, alti burocrati dello Stato…
Il regalo agli «eletti» è frutto della cancellazione di quattro righe.
La legge 214 del 2011 voluta dal ministro Elsa Fornero, che si riprometteva di «togliere ai ricchi per dare ai poveri», diceva infatti all’articolo 24 che dal primo gennaio 2012 anche i nuovi contributi dei dipendenti che avevano costruito la loro pensione tutta col vecchio sistema retributivo, perchè avevano già più di 18 anni di anzianità al momento della riforma Dini del ’95, dovevano esser calcolati con il sistema contributivo.
«In ogni caso per i soggetti di cui al presente comma», aggiungeva però il testo originario suggerito dall’Inps, «il complessivo importo della pensione alla liquidazione non può risultare comunque superiore a quello derivante dall’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima dell’entrata in vigore del presente comma».
Arabo, per chi non conosce il linguaggio burocratico.
Proviamo a tradurlo senza entrare nei tecnicismi: quelli che potevano andarsene con il vitalizio più alto (40 anni di contributi) ma restavano in servizio potevano sì incrementare ancora la futura pensione (più soldi guadagni più soldi versi di contributi quindi più alta è la rendita: ovvio) ma non sfondare l’unico argine che esisteva per le pensioni costruite col vecchio sistema: l’80 per cento dell’ultimo stipendio.
Poteva pure essere una pensione stratosferica, ma l’80 per cento della media delle ultime buste paga non poteva superarlo.
Quelle quattro righe della «clausola di salvaguardia» che doveva mantenere l’argine, però, sparirono.
E senza quell’argine, i fortunati di cui dicevamo possono ora aggiungere, restando in servizio con stipendi sempre più alti, di anno in anno, nuovi incrementi: più 2 per cento, più 2 per cento, più 2 per cento…
Al punto che qualcuno (facendo «marameo» alla maggioranza dei cittadini italiani chiamati in questi anni a enormi sacrifici) potrà andarsene fra qualche tempo in pensione col 110 o il 115% dell’ultimo stipendio.
Per tradurlo in cifre: il signor Tizio Caio che già potrebbe andare in pensione con 33.937 euro al mese potrà riceverne invece, grazie a questa «quota D», 36.318.
Chi le fece sparire, quelle righe, non si sa.
E certo non era facile accorgersi del taglio in un testo logorroico di quasi 18 mila parole più tabelle. Un testo cioè lungo quasi il doppio del «Manifesto del partito comunista» di Marx ed Engels, il doppio esatto della Carta Costituzionale, cinque volte di più del discorso di inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Per non dire del delirio burocratese. Con l’apparizione ad esempio dei commi 13-quinquies e 13-sexies e 13-septies e 13-octies e 13-novies e perfino 13-decies. Ciascuno dei quali impenetrabile per chiunque non sia vaccinato contro la burocratite acuta.
«Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare», diceva tre secoli fa l’abate Ludovico Muratori.
Parole d’oro: la rimozione di quelle poche righe che arginavano abnormi aumenti delle pensioni d’oro, come ha scoperto l’Inps, hanno prodotto l’effetto perverso che il misterioso autore del taglio doveva aver diabolicamente calcolato.
Secondo una tabella riservata fornita al governo dai vertici dell’Istituto di previdenza, infatti, tabella che pubblichiamo, 160 mila persone circa potranno godere sia dei vantaggi del vecchio sistema retributivo sia di quelli del «nuovo» sistema contributivo.
E tutto ciò, se non sarà immediatamente ripristinata quella clausola di salvaguardia, causerà un buco supplementare nelle pubbliche casse di 2 milioni quest’anno, 11 l’anno prossimo, 44 fra due anni, 93 fra quattro e così via. Fino a una voragine fra nove anni di 493 milioni di euro.
Per un totale complessivo, come dicevamo, di oltre due miliardi e mezzo da qui al 2024.
Per capirci: una somma dieci volte superiore ai soldi necessari a mettere in sicurezza una volta per tutte Genova dal rischio idrogeologico e dalle continue alluvioni.
Dello stupefacente meccanismo ideato da Sissa Nassir per farsi dare un’enormità dallo Shah di Persia sorrise anche Dante Alighieri che nella Divina Commedia, per spiegare quanto il numero degli angeli crescesse a dismisura, scrisse «L’incendio suo seguiva ogne scintilla / ed eran tante, che ‘l numero loro / più che ‘l doppiar de li scacchi s’immilla».
I cittadini italiani, però, tanta voglia di poetare oggi non hanno.
E forse sarebbe il caso che il governo prendesse subito sul serio l’allarme dell’Inps.
Andando a ripristinare quelle righette vergognosamente fatte sparire.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
MESSORI (FS): “LE STIME SONO STATE FATTE NEL 2012, POI IL MONDO E’ CAMBIATO. PUO’ SUPERARE I 7 MILIARDI”
Il Governo tira dritto sulla realizzazione della Tav Torino-Lione, ma non riesce a fugare i dubbi sui reali costi
dell’infrastruttura più contestata d’Italia.
Dubbi che alimenta anche il presidente di Ferrovie dello Stato Italiane, Marcello Messori, secondo cui il costo definitivo “non è ancora determinabile con precisione”.
A fronte di voci discordanti diffuse dalla stampa, per cui il conto potrebbe salire fino a 12 miliardi, Maurizio Lupi conferma in Parlamento che “tra le priorità infrastrutturali del Governo c’è la Torino-Lione e che i costi sono stati fissati”.
Nei giorni scorsi aveva indicato nuovamente in 2,9 miliardi il contributo italiano e ancora oggi ribadisce che “a febbraio-marzo su questi costi Francia e Italia chiederanno il co-finanziamento all’Europa”.
Lupi ha sottolineato che la Tav “è stata confermata la scorsa settimana dall’Europa con un comunicato come opera strategica, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa”.
In casa Fs, l’amministratore delegato Michele Elia prende atto che l’opera “deve essere realizzata” e fissa “la stima del costo complessivo al 2012 a 9,9 miliardi di euro, di cui noi siamo al 58% e la Francia al 42%, quindi il costo per l’Italia è di 5,67 miliardi”.
Per quanto riguarda il finanziamento, è di 2,9 miliardi.
Tuttavia c’è un meccanismo di “variazione dei prezzi” che serve per “avere la copertura complessiva del costo a vita intera”.
È stato previsto, spiega Elia, un “sistema di revisione dei prezzi” sulla base delle regole francesi ed è stato fissato nel contratto di programma Rfi-Ministero un “indice di rivalutazione” del 3,5%, ma si tratta ancora di un esercizio “del tutto virtuale” e “di fantasia” perchè il tasso di rivalutazione reale dovrà essere poi definito entro febbraio.
Per Elia, comunque, l’ipotesi del 3,5% “è alta, ma resta un warning su un tema che va affrontato” cioè che i criteri dei costi dell’opera sono diversi tra Italia e Francia.
Nello scenario più avverso il valore complessivo dell’opera arriva a 13 miliardi n cui la parte dell’Italia salirebbe da 5,676 a 7,789.
Elia ha anche spiegato però “che questo tasso con la deflazione potrebbe anche essere negativo”.
Di fatto la stima dei costi è riferita al 2012.
E oggi quanto costa la Tav? Non è in grado di decifrare l’enigma neanche Marcello Messori, presidente di Fs da pochi mesi.
“Il costo definitivo dell’opera non è ancora determinabile con precisione perchè ci sono fattori rinvenienti che lo rendono incerto” ha spiegato Messori, intervenendo in Commissione Lavori Pubblici del Senato.
C’è ” incertezza anche dal lato dei ricavi futuri di questa opera” perchè c’è un’analisi di costi/benefici ante crisi, ma “dopo è cambiato il mondo. Il 2015 non è assimilabile al mondo del 2007-2008”. Dunque c’è una “estrema incertezza dal lato dei costi e dei ricavi”.
Nello stesso tempo, Messori ha voluto sottolineare “altrettanto onestamente”, che sull’altro piatto della bilancia bisogna vedere “l’opera nella sua prospettiva europea”.
Nel corso dell’audizione in commissione trasporti Elia è stato protagonista di un dibattito vivace con il senatore Pd Stefano Esposito (da sempre in prima linea per la costruzione della linea alta velocità ) il quale quale giorno fa alzato la voce, chiedendo chiarezza sui costi dell’opera: “A precisa domanda – spiega il senatore dem all’Huffpost – mi è stato risposto che i costi non varieranno. Nonostante si siano presentati con dei dati differenti – aggiunge – mi fido di ciò che mi è stato detto. È tutto agli atti”.
Il senatore dunque per ora non presenterà alcuna mozione parlamentare per bloccare l’opera.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO IL FLOP PER I RITARDI, GLI UNICI ARTICOLI INDULGENTI SONO QUELLI DEL GIORNALE DEL COSTRUTTORE COINVOLTO NEI LAVORI
Nel gergo dei giornali il “buco” è una notizia bella grossa che i concorrenti hanno in pagina e di cui in redazione nessuno si è accorto.
Capita, purtroppo, è uno degli incerti del mestiere e non fa mai piacere.
Da ultimo è capitato al Messaggero, giornalone romano sempre bene informato sui fatti della capitale.
Al Messaggero non si sono accorti che la tanto sospirata inaugurazione della linea metropolitana C da Pantano a Centocelle all’alba di domenica 9 novembre è stata una specie di festa al cardiopalma con brivido incorporato perchè il primo treno, quello con a bordo le autorità cittadine e i capoccioni responsabili dell’opera, non è manco riuscito ad arrivare al capolinea, ma si è mestamente adagiato sui binari quattro fermate prima del dovuto.
Mentre tecnici e responsabili dell’inaugurazione rischiavano l’infarto, il convoglio è rimasto in panne per ben undici minuti.
E considerando che si tratta di un treno “driveless”, senza guidatore a bordo, quella sosta imprevista è apparsa il prodromo di una colossale figuraccia, l’ennesima maledizione della Metro C, un’opera sfigata, nata male e cresciuta peggio.
Tutti si sono ovviamente accorti del guasto che era una bella notizia dal punto di vista giornalistico, anche se poi l’inconveniente è stato superato.
E infatti ne hanno parlato tutti, dai giornali alle televisioni alle agenzie di stampa ai siti web. Con accenti diversi, naturalmente, con più o meno enfasi, con toni più o meno preoccupati, più o meno sorpresi.
L’unico giornale che non ha visto nè sentito è stato proprio il quotidiano principe della cronaca romana, Il Messaggero, che ha presentato l’inaugurazione della metro C come una radiosa festa senza nubi, tutta sorrisi e selfie.
E il buco è apparso così vistoso che si fa fatica a capire che cosa sia successo in redazione.
A meno che non si voglia pensar male.
Perchè Il Messaggero è il giornale di Francesco Gaetano Caltagirone, uomo d’affari potente e ricchissimo che non è solo un editore, ma anche un costruttore, un immobiliarista, un finanziere.
E pure il socio più influente del Consorzio metro C, il raggruppamento di imprese a cui il comune di Roma il 13 aprile 2006 affidò il compito di costruire la nuova metropolitana romana.
Caltagirone possiede con la Vianini il 34,5 per cento della società , la stessa quota del gruppo Astaldi, mentre gli altri soci sono comprimari: Ansaldo 14 per cento, Cooperative 17 (Cmb 10 più Ccc 7).
Ma mentre negli ultimi tempi Astaldi sembra sempre più prudente, considerato il bailamme che accompagna l’opera, Caltagirone ha moltiplicato i suoi sforzi con il presidente del consorzio, l’ingegner Franco Cristini.
Insomma, la metro C è sempre più Caltagirone dipendente.
Visto da questa angolazione e volendo malignare, il buco del Messaggero non sarebbe un buco vero, ma un autobuco, un autogol, il deliberato occultamento di una notizia che al padrone non piace.
Tutti si augurano, ovviamente, che l’improvvido guasto dell’inaugurazione resti un episodio circoscritto ed isolato. Anche se i guai strutturali della metro C sembrano tutt’altro che superati.
Proprio nel giorno del viaggio inaugurale, infatti, sono spuntati nuovi inconvenienti, di cui finora nessuno si era accorto.
Un assessore comunale, Luca Pancalli, che da paraplegico ha un’attenzione speciale per le esigenze dei portatori di handicap, ha fatto notare che “il dislivello tra i treni e la banchina crea problemi per i disabili”.
Che non sembra un problemino, per la verità . E poi ci sono i mille giganteschi difetti elencati negli ultimi mesi dal Fatto Quotidiano.
Prima di tutto i costi, cresciuti del 75 per cento, da 1,9 miliardi di euro a 3,3 da Pantano a piazza Venezia.
Daniele Martini
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
MA IN REALTA’ L’ACCORDO C’E’ GIA’… E FITTO DIVENTA DI FATTO IL NUMERO DUE DI FORZA ITALIA
La grande ammuina va in scena quando Silvio Berlusconi prende la parola di fronte al parlamentino del suo
partito.
Chiamato a prendere decisioni irrevocabili sul “patto” con Renzi, che mezzo partito considera la dolce morte che il Cavaliere offre al premier per stare nel gioco che conta: il Great game del Quirinale.
Per convincere i suoi, Berlusconi “paga”. Per arrivare al tavolo con un partito unito, il prezzo del Nazareno è il controllo del partito e un’opposizione più dura al governo sull’economia.
Accoglie cioè la ragioni del ribelle Raffele Fitto.
È con lui la trattativa interna condotta sin da quando l’ex governatore pugliese si siede a tavola a palazzo Grazioli, con i commensali che contano, ovvero Denis Verdini, Gianni Letta e Niccolò Ghedini.
In quella sede si realizza la svolta. Per non avere una fronda interna che ormai supera i 35 parlamentari — più di un terzo di Forza Italia — Berlusconi assicura a Fitto la sterzata di opposizione sull’economia, che sarà messa nero su bianco nel documento approvato qualche ora dopo dall’ufficio di presidenza.
La prova che stavolta si fa sul serio è l’ex premier fa suoi tutti gli emendamenti alla legge di stabilità presentati da Fitto e da Daniele Capezzone, le cui competenze sui dossier economici tra l’altro sono sempre state apprezzate a palazzo Grazioli.
Ma la “svolta” vera è sulla “gestione” del partito.
Ai suoi l’ex premier parla di “rifondazione di Forza Italia con Raffaele Fitto”.
Parole che suonano come un riconoscimento al “ribelle” che, nella stessa sala, fu bollato la volta scorsa come “un vecchio democristiano” e un “parroco di Lecce”.
È attorno a una sorta di “co-gestione” del partito che a pranzo è stato siglato il patto. Nel senso che l’ex premier si è impegnato non solo a coinvolgere Fitto nella scelta dei coordinatori regionali del Sud e nell’organizzazione dei congressi, ma soprattutto si è impegnato a farlo sedere al tavolo delle liste.
È questo il punto cruciale, la rassicurazione più importante proprio nel momento in cui l’accordo sulla nuova legge elettorale prevede i capilista bloccati, ovvero nominati come nel Porcellum.
Fitto, parola di Berlusconi, parteciperà alla spartizione dei nominati azzurri.
Questo è il prezzo dell’unità , per evitare che il Nazareno trovi in Parlamento il Vietnam tra le truppe azzurre.
Proprio la parola “unità “, viene enfatizzata nella dichiarazione di fine giornata, e prima che il premier inizi la registrazione di Porta a Porta:
“Non posso che esprimere – dice Berlusconi – grande soddisfazione per la rinnovata unità del partito. Ringrazio tutti i componenti per il loro voto all’unanimita’ con il quale mi hanno dato anche pieno mandato a trattare con il presidente Renzi sulle riforme”.
Una trattativa (con Renzi) su cui va in scena l’ammuina perfetta.
Col Cavaliere che, nel corso del suo intervento, alza un po’ l’asticella, ma stando attento a non rompere: “Si al confronto — dice – no ai diktat”. Alla fine viene approvato un documento molto blando, che dà a Berlusconi ampi margini di manovra nel faccia a faccia Renzi che fonti azzurre confermano per domani. Margini per forzare, ma anche per accettare una resa totale. Questo il passaggio cruciale del documento consegnato dal Parlamentino di Forza Italia a Berlusconi per “trattare” con Renzi:
“Confermiamo la nostra volontà di collaborare alla scrittura della legge elettorale e delle riforme istituzionali, ma ovviamente senza subire diktat o imposizioni di alcun tipo. Le nostre posizioni a favore di un chiaro bipolarismo sottolinea sono note, così come sono note le nostre proposte su ognuno dei punti tuttora aperti. Se alcune modifiche prospettate nelle ultime ore dalla maggioranza dovessero effettivamente concretizzarsi si porrebbe a rischio la semplificazione del sistema politico e la effettiva governabilità del paese, modificando unilateralmente lo spirito e l`essenza degli accordi intercorsi.”
Significa che Berlusconi è pronto a dire di sì al premio di lista — anzi lo ha già detto attraverso gli ambasciatori – ma vuole un segnale che venga alzata la soglia del 3 per cento per i piccoli.
È il copione concordato da Verdini e palazzo Chigi in questi giorni.
Perchè l’ex premier ha bisogno di stare nella trattativa del Nazareno senza dare l’impressione di subire i diktat e incassando qualcosa.
Sul 4 per cento l’accordo è nei fatti: proprio mentre Renzi ha scritto 3 nel documento di maggioranza sapeva che l’avrebbe alzare al 4 per chiudere con Berlusconi.
Così come sapeva che avrebbe dovuto aumentare il numero dei collegi per aumentare, in tal modo, il numero dei nominati.
L’ammuina prevede che si andrà avanti così, intrecciando legge elettorale e trattativa sul Quirinale, cambiando un po’ lo spartito rispetto agli ultimi mesi.
Meno complicità — o “innamoramento” per parafrasare D’Alema — e confronto su ogni questione.
A partire, ovviamente, dal Quirinale.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
APPARENTE UNITA’ RITROVATA, MANDATO A BERLUSCONI PER TRATTARE CON RENZI
“Ci attendiamo che le modifiche” fatte ieri alla riforma della legge elettorale “siano ritirate, non essendo state concordate”.
Parola di Paolo Romani, che al termine dell’Ufficio di presidenza di Forza Italia ha sottolineato come il partito azzurro “resta in campo per le riforme”, ma dice no ai “diktat“.
Un tentativo, quello dei berlusconiani, di ricompattare Forza Italia dopo che ieri il premier Matteo Renzi ha incontrato i partiti della maggioranza di governo per riscrivere l’Italicum.
Un meeting a cui non è stato invitato Berlusconi, che insieme Renzi aveva controfirmato la bozza di riforma della legge elettorale.
Rispetto al governo e ai temi politici ed economici, “è emersa una posizione unitaria del partito” ha commentato l’europarlamentare Raffaele Fitto al termine del faccia a faccia a Palazzo Grazioli.
Sulla stessa linea il Tweet di Mariastella Gelmini: “Ufficio di presidenza positivo, costruttivo all’insegna dell’unità . Piena fiducia al presidente Berlusconi su Nazareno e non solo”, ha scritto sui social il vice capogruppo vicario Fi alla Camera.
Una unità di intenti, quindi, che supera la posizione odierna di Renato Brunetta, che accusando il premier di “scelta unilaterale” aveva pronosticato la morte del Patto del Nazareno.
Brunetta, del resto, non è stato l’unico a pensarla così all’interno di Fi: “L’accordo siglato ieri sconfessa i patti e fa compiere un passo indietro al Paese — ha detto Stefania Prestigiacomo – La soglia di accesso al 3% continuerà a bloccare l’Italia sulla via delle riforme” consentendo a “minuscoli partiti di esercitare ricatti e quel potere di veto che ha condizionato negativamente il cammino di ammodernamento del Paese”.
Il testo, votato all’unanimità dall’Ufficio di presidenza di Forza Italia, ha accolto quindi le proposte dell’area guidata da Raffaele Fitto, a partire da una esplicita citazione degli emendamenti di Fi alla legge di stabilità .
Questa, riferiscono fonti interne al partito, sarà il punto di ripartenza dell’azione politico-parlamentare dei berlusconiani.
A ribadire la posizione è proprio l’ex ministro nonchè ex governatore pugliese: “Quello che è emerso dal comitato di presidenza di Forza Italia è il modo unitario della posizione del partito — ha detto Fitto — che ribadisce di essere all’opposizione per quanto riguarda i provvedimenti economici e la schiena dritta su riforme e legge elettorale”.
Nel documento, inoltre, è stato certificato il mandato a Berlusconi di portare avanti il confronto con il premier Matteo Renzi sulla legge elettorale.
Previsto infatti per domani un faccia a faccia tra Berlusconi e il presidente del Consiglio sulle modifiche da apportare all’Italicum durante il passaggio al Senato.
Ma Paolo Romani, capogruppo azzurro al Senato, ha tagliato corto quando gli hanno chiesto del possibile, nuovo incontro tra il leader e il presidente del Consiglio.
“Non lo so, non è in agenda“, ha detto Romani. Sembra infatti che neppure il Cavaliere abbia fatto alcuna menzione di un eventuale incontro con il leader del Pd. Ma c’è anche chi non esclude, magari dopo una trattativa notturna, cheil colloquio tra i due leader si faccia lo stesso.
In tal senso, da sottolineare le parole del ministro Maria Elena Boschi, che al Tg3 non ha confermato la data dell’incontro, ma ha fatto intendere che un faccia a faccia ci sarà e anche a stretto giro di posta: “Alla luce delle dichiarazioni del presidente Berlusconi sulla volontà di trovare un accordo sulla legge elettorale immagino che possa esserci un nuovo confronto con Forza Italia in tempi rapidi” ha detto la titolare delle Riforme. Tradotto: Berlusconi e Renzi si vedranno presto e proveranno a superare l’impasse. Lo strappo, insomma, sembra essersi ricomposto prima ancora di produrre conseguenze negative per la tenuta del Nazareno.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
“BASTA IMPOSIZIONI DA PALAZZO CHIGI”… BIANCONI: “RINUNCI AI CONGRESSI FARSA E RIAPRA IL RAPPORTO CON LA BASE”
“Ma è possibile che fanno lo streaming su tutto, ma invece non sappiamo che cavolo si dicono nel Patto del
Nazareno?”.
La domanda forte e provocatoria non è scandita da un parlamentare del M5s. Ma ad usare questi toni è la pasionaria di Forza Italia, Alessandra Mussolini che, ospite a Coffee Break, spera che “finisca al più presto il patto del Nazareno perchè noi abbiamo una posizione incomprensibile per i cittadini. Basta, basta: o si sta all’opposizione, o si sta al governo”.
Parole che di certo innalzano il livello di scontro poco prima dell’ufficio di presidenza di Forza Italia, che si preannuncia infuocato perchè, raccontano in Transatlantico, “su 130-140 parlamentari ormai Berlusconi ne controlla solo 20-25”.
L’ex Cavaliere è combattuto, non sa più quale strada intraprendere. “Non voglio passare per perdente, ma non posso dire di no”, avrebbe confidato ieri a Fedele Confalonieri e ai figli durante il pranzo a Villa San Martino.
La strategia preparata da Berlusconi insieme a Gianni Letta e Denis Verdini (il “regista” dell’accordo con Renzi) prevede che l’ex premier provi a tenere tutto insieme.
Almeno a parole, secondo le indiscrezioni più accreditate, Berlusconi dirà che “noi siamo per rispettare il patto del Nazareno, ma senza subire imposizioni da Palazzo Chigi”.
Funzionerà ? Difficile saperlo e, soprattutto, difficile sbilanciarsi sull’esito dell’incontro-scontro.
Di certo il pranzo con il “ribelle” Raffaele Fitto ha la funzione di ammorbidire il livello dello scontro all’interno di piazza San Lorenzo in Lucina, e di andare incontro alle richieste dell’enfant prodige pugliese che continua a prendere quota all’interno del partito.
“Fitto oggi gli chiederà la testa di alcuni coordinatori regionali del sud, come ad esempio quella del coordinatore siciliano, Vincenzo Giibino, o di quello calabrese Jole Santelli”, mormorano dall’inner circle dell’europarlamentare.
Ma, secondo la versione di Maurizio Bianconi che chiacchiera con ilfattoquotidiano.it in Transatlantico, il punto di mediazione potrebbe essere il seguente: “La soluzione auspicabile è che Berlusconi capisca che non può più fare la spalla di Renzi. E che contemporaneamente rinunci a congressi farsa e riapra al rapporto con il territorio. Su questo possiamo starci. Noi diciamo una cosa elementare: un partito di centrodestra quando governa il centrosinistra deve fare per prima cosa opposizione, o-p-p-o-s-i-z-i-o-n-e”.
In questo contesto il cerchio magico appare sempre più isolato, e anche chi, come Maria Stella Gelmini e Paolo Romani, si definisce “più berlusconiano di Berlusconi” avrebbe storto il naso all’ultimatum del premier sulla legge elettorale avvertendo il Cavaliere di “stare attento, altrimenti ti ritroveresti in minoranza nei gruppi parlamentari del tuo stesso partito”.
Insomma, al netto dei pasdaran, come Denis Verdini, Maria Rosaria Rossi e Daniela Santanchè, si annoverano tre diverse sfumature di antirenzismo all’interno di Forza Italia.
La più chiara e nitida, come dicevamo sopra, è quella di Fitto, che chiede di essere alternativi alla sinistra auspicando che la leadirship sia contendibile e garanzie sulla democrazia interna al partito.
Un’altra area, seppur superberlusconiana, costituita da Gelmini-Brunetta-Toti, convinta che si può essere “opposizione responsabile” ma senza legare le sorti del partito a quelle del Pd e di Renzi.
E, infine, un girone di battitori liberi, di personalità che risiedono fra Camera e Senato, che incalzano i vertici perchè “la gente non è affatto contenta di far parte di un partito che si chiama non più Forza Italia ma Forza Renzi”.
Malumori che se oggi fossero rintuzzati da “una recita del Presidente” tornerebbero in campo “al momento dell’elezione del capo dello Stato, così come è già successo per Catricalà e Caramazza“.
“Il voto segreto” è l’arma del ribellismo forzista.
Giuseppe Alberto Falci
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
BRUNETTA: “RENZO HA CAMBIATO TUTTO”… LOTTI: “ALLORA E’ INUTILE VEDERSI”… ESULTANO I PICCOLI PARTITI, MA SOTTO SOTTO SI TRATTA
Ci sono le preferenze, ma anche il premio alla lista vincitrice e una soglia di sbarramento al 3 per cento che accontenta i piccoli partiti.
Basta una notte a Matteo Renzi per riscrivere l’Italicum nel vertice di maggioranza e mandare segnali all’alleato per le riforme Silvio Berlusconi.
I due hanno in programma un incontro (mercoledì 12 novembre) per trovare una soluzione agli “scricchiolii” del patto del Nazareno.
Ma il messaggio che il presidente del Consiglio vuole a tutti costi mandare all’ex Cavaliere è di chi “può fare da solo”.
Che l’intenzione sia vera oppure no, è scontro aperto con Forza Italia: “Se il premier”, ha commentato al GR1 il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta, “con la sua maggioranza, ha deciso di cambiare tutto e di buttare quel testo e di scriverne un altro non c’è più il patto del Nazareno“.
E i democratici, invece di correre ai ripari, attaccano di nuovo: “Se questa è la posizione di Forza Italia”, ha detto il sottosegretario alla presidenza Luca Lotti, “allora è inutile l’incontro con Berlusconi”.
A non piacere ai berlusconiani sono le modifiche alla legge elettorale proposte nella notte dalla maggioranza: “Il testo uscito da palazzo Chigi”, ha concluso Brunetta, “è tutta un’altra cosa rispetto a quello che abbiamo approvato a marzo di quest’anno. Se Renzi unilateralmente ha deciso di buttarlo, per scriverne un altro legittimo , ma diverso, allora vada avanti con la sua maggioranza”.
Proteste a cui risponde anche la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani: “Sulla riforma elettorale il vero problema è che Berlusconi non tiene più i suoi dentro Forza Italia. Brunetta gli scappa da tutte le parti. Non si è rotto il patto del Nazareno, si è rotta Forza Italia“.
Brunetta controreplica sottolineando il nervosismo di quelli che chiama “colonnelli” che segnala il fatto che Renzi “non è sereno”.
Probabilmente l’accordo non “scricchiola” davvero, come ha detto Renzi, ma è una questione di giochi di forza e strategie che il premier vuole giocare da protagonista. Tanto che Renzi alla sua maggioranza ha ribadito: “Il voto prima del 2018 sarebbe un errore e una sconfitta inaccettabile per tutti”.
E ha ottenuto l’appoggio su alcuni dei temi fondamentali del governo: dal disegno di legge delega sul lavoro fino alla delega fiscale.
“Le nuove regole del mercato del lavoro“, ha detto Renzi, “dovranno entrare in vigore il primo gennaio assieme agli effetti della legge di stabilità . La maggioranza si sente impegnata perchè il progetto dei mille giorni sia realizzato con determinazione e convinzione da tutti i partiti che sostengono l’esecutivo”.
E naturalmente le scadenze per la legge elettorale: il leader Pd vorrebbe incardinarla al Senato entro dicembre e poi alla Camera nel febbraio 2015.
Le novità più grandi sono però quelle sulla legge elettorale.
Perchè nel documento condiviso la scorsa notte con la maggioranza, Renzi ha introdotto elementi che faranno molto discutere da Silvio Berlusconi al Movimento 5 stelle.
Si parla infatti di preferenze con capilista bloccati per 75 circoscrizioni (e non più 100): “I capilista”, si legge nel documento, “non saranno candidabili in più di dieci circoscrizioni. Almeno il 40% di questi sarà rappresentativo di genere, come pure di genere sarà la seconda eventuale preferenza”.
Un punto molto discusso proprio al tavolo con i grillini sono le preferenze.
Non le vuole l’ex Cavaliere, i 5 stelle le ponevano come condizione per discutere.
Il Nuovo centrodestra le rivendica come una vittoria personale: “E’ il segno che la maggioranza tiene”, ha commentato Nunzia De Girolamo.
Poi c’è il ballottaggio al di sotto del 40 per cento e il premio di 340 deputati alla lista vincitrice.
Proprio il premio di lista era stato avanzato ai tavoli dell’estate scorsa dall’M5s, mentre il premier rivendicava la bontà del ballottaggio che “è andato bene anche ai 5 stelle a Parma e Livorno”.
Fu proprio Renzi a dire, era il 17 luglio: “Il doppio turno con premio di lista che proponete è interessante. Ora valutiamo se c’è l’accordo anche delle altre parti”.
Tra i cambiamenti significativi anche la soglia 3 per cento, una vittoria per i piccoli partiti. E soprattutto soglia al 3 per cento, con un apertura ai piccoli partiti ben lontana dall’8 per cento richiesto dall’ex Cavaliere, ma anche dal 5 per cento che il leader Pd inizialmente aveva chiesto come mediazione.
Tra i primi commenti c’è stato anche quello del vicesegretario del Partito democratico Lorenzo Guerini: “La maggioranza ha i numeri per fare la riforma della legge elettorale da sola? Si, ma abbiamo l’ambizione di farle insieme agli altri”.
E poi su Twitter: “Sulla legge elettorale c’è intesa per un iter veloce e una buona legge che assicuri la governabilità . Il premio alla lista è importante risultato per il Pd”. Soddisfatto il Nuovo centrodestra, alleato di governo che teme di essere isolato dal patto tra Renzi e Berlusconi: “Nessuna ha espresso contrarietà ”, ha detto il coordinatore Ncd Gaetano Quagliariello, “a che quanto è stato deciso possa essere raccordato con il Patto del Nazareno. Con questa proposta viene garantita la governabilità . E’ evidente che il restante 45% è riservato alla rappresentanza a prescindere dal Patto del Nazareno”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: governo | Commenta »
Novembre 11th, 2014 Riccardo Fucile
LA FAMIGLIA CATAMBRONE HA CREATO LA PRIMA MISSIONE PRIVATA DI SOCCORSO NEL CANALE DI SICILIA: “QUEGLI SGUARDI IMPAURITI DEI BIMBI NEI BARCONI TI CAMBIANO PER SEMPRE”
“Un’esperienza drammatica, ma bellissima. Perchè aver salvato in questi mesi tante vite umane ci riempie di
gioia. Quanti? Oltre tremila tra donne, uomini e bambini: recuperati da gommoni e barconi stracarichi, alla deriva in mezzo al mare. I loro volti, le loro storie hanno ripagato i nostri sforzi, anche economici. Insieme al piccolo ma agguerrito equipaggio che fino a pochi giorni fa ha setacciato il Mediterraneo, ovunque ci segnalassero imbarcazioni che stavano per affondare. E quando ti trovi davanti a donne e bambini, anche neonati, affamati e assetati, senza salvagente non puoi non intervenire, non puoi non aiutarli…».
L’emozione attraversa le parole di Regina Catrambrone, italiana di origini calabresi che, insieme al marito Christopher, americano di New Orleans, e alla figlia Maria Luisa, è protagonista di questa incredibile storia.
La famiglia Catrambrone risiede da dieci anni a Malta, dove gestisce un’azienda, Tangiers group ( agenzia che offre assicurazioni e intelligence nelle zone più pericolose del mondo).
L’idea di mobilitarsi privatamente per aiutare i migranti in difficoltà nel Canale di Sicilia venne nell’estate del 2013, quando a bordo del loro yacht individuarono il cadavere di un uomo in acqua.
«Capimmo che era uno dei tanti migranti che provano ad attraversare quel tratto di mare», ricorda oggi Regina. «Io e mio marito ci guardammo e decidemmo che non potevamo rimanere indifferenti. Così è nata l’idea del Moas».
Ovvero Migrant Offshore Aid Station , operazione privata di salvataggio nel Mediterraneo.
Subito dopo la tragedia di Lampedusa, dove il 3 ottobre 2013, centinaia di uomini e donne morirono affogati davanti alla spiaggia dell’Isola dei Conigli, i Catrambrone decisero di mobilitarsi, procedendo all’acquisto e all’allestimento della Phoenix, nave di 40 metri super- accessoriata (droni compresi) per l’assistenza in alto mare.
«A smuoverci fu l’appello di Papa Francesco: non potevamo rimanere inermi davanti a tali tragedie ».
Operativo dall’estate scorsa, il Moas.
In poco più di due mesi (da fine agosto a ora), oltre tremila salvataggi e un fiume di denaro – quasi tre milioni di euro – investiti per aiutare i migranti in difficoltà a sopravvivere, consegnandoli alle autorità o ai mezzi navali di Mare Nostrum. «Abbiamo deciso di usare tutti nostri risparmi per contribuire a salvare vite umane – sottolinea Regina Catambrone, ieri a Roma per partecipare a una conferenza internazionale di Ong – Certo, siamo ricchi e avevamo dei risparmi importanti ma potevamo investire in un altro business e invece abbiamo scelto di creare Moas. E siamo felici di aver fatto questa scelta: salvare anche una sola vita umana è una cosa grandissima cosa ».
Ora però i fondi di questa famiglia di “samaritani del mare”, sono finiti e così l’intera operazione è stata momentaneamente sospesa.
Dal 31 ottobre la Phoenix è ormeggiata nel porto maltese della Valletta. «Ma siamo certi che riprenderà presto il mare», spiega Regina.
«Abbiamo lanciato un appello affinchè altre persone e associazioni possano aiutarci ».
L’ultimo intervento della Phoenix risale al 27 ottobre: in mare aperto, tra Lampedusa e Malta, dove sono stati soccorsi in 331 tra cui decine di donne e bambini.
«Pioveva e faceva freddo – racconta Martin Xuereb ex capo delle forze armate maltesi ora comandante dei 16 marinai della Phoenix – e avevamo ricevuto una segnalazione dal centro operativo della Marina Militare italiana di una imbarcazione in difficoltà . In poche ore l’abbiamo raggiunta e portato in salvo 200 persone. Poi, mentre ci dirigevamo verso Porto Empedocle, abbiamo incrociato un altro barcone e alla fine a bordo erano in 331. Situazione non facile da gestire perchè tra salvataggio e trasferimento sulla terraferma, sono trascorse 36 ore».
Regina e Cristopher domani rientreranno a Malta con la speranza che il loro appello per sostenere Moas venga raccolto da altri.
«Perchè davanti a un dramma di dimensioni apocalittiche bisogna reagire», dice Regina.
«Noi abbiamo fatto e vorremmo continuare a fare la nostra piccola parte ma è necessario che i governi europei partecipino alle missioni». Ovvero? «L’operazione Mare Nostrum non può finire così: quanti bambini, donne, uomini finiranno in quel cimitero del mare se non c’è qualcuno che li soccorre?».
La conclusione dei Catrambrone, “samaritani” del mare, è politica: «Ci vorrebbero corridoi umanitari per consentire ai migranti di arrivare in Europa in maniera sicura, ma serve l’intervento da parte di tutti gli Stati europei».
Francesco Viviano
(da “La Repubblica”)
argomento: radici e valori | Commenta »