Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO CHE AVEVA CRITICATO LA DECISIONE DEL PREMIER DI ATTENDERE IL 20 FEBBRAIO PER I DECRETI FISCALI REPLICA: “SILVIO ERA D’ACCORDO”
“Renzi fannullone“, attacca Renato Brunetta rispolverando uno dei suoi vecchi cavalli di battaglia. 
“Non sono d’accordo, basta attacchi personali“, risponde Silvio Berlusconi.
Accade anche questo in tempi di patto del Nazareno: l’ex ministro della Funzione pubblica e irriducibile sostenitore del Cav si scaglia contro il presidente del Consiglio e il leader di Forza Italia interviene in sua difesa.
Pacta sunt servanda recita l’antico adagio latino, così si invertono i fattori, si superano gli steccati dettati dalle appartenenze politiche nel nome del bene supremo, ovvero la stabilità dell’accordo sul cammino delle riforme raggiunto il 18 gennaio 2014 tra il segretario del Partito Democratico e il leader di Forza Italia.
Che pur di rispettare l’accordo sceglie di sacrificare, anche soltanto sul piano della dialettica politica, uno dei suoi uomini più fedeli.
Cos’è accaduto?
“Leggo un’ultima agenzia con dichiarazioni dell’onorevole Brunetta che, a suo dire, io condividerei. E’ esattamente il contrario. Non sono d’accordo sui giudizi espressi da Brunetta e neppure sulla sua abitudine di attaccare personalmente gli avversari politici. Chiedo a Brunetta di cambiare atteggiamento”, si legge nella nota firmata da Berlusconi.
A scatenare le ire del leader di Forza Italia era stato il capogruppo alla Camera del suo stesso partito, reo di aver dato del “fannullone” al premier Matteo Renzi che ha deciso di “aspettare il 20 di febbraio per fare i decreti legge fiscali che tutti gli italiani aspettano, perchè stanno morendo di tasse”.
Il presidente dei deputati azzurri, intervistato dal Gr1 su Radio Rai, ha sottolineato poi che Renzi “blocca nel contempo il Parlamento per fare due riforme che io considero del tutto inutili, che comunque entreranno in vigore nel 2016 o nel 2018″.
E ha ricordato che il presidente del Consiglio “non è il padrone del Parlamento. Non lo è nemmeno della sua maggioranza, che ha molti problemi. Renzi faccia il leader, se ne è capace”.
Ma a scatenare l’ira dell’ex Cavaliere è stata la risposta alla domanda se Berlusconi, secondo Brunetta, fosse d’accordo con queste sue tesi.
“Assolutamente sì”, ha replicato lo sventurato. Evidentemente però la ricerca di un accordo sul prossimo inquilino del Quirinale suggerisce di evitare frizioni con il segretario del Pd.
E quegli “attacchi personali” che, pure, in passato Berlusconi non ha certo lesinato.
Di qui la decisione di bacchettare pubblicamente l’ex ministro.
“Per antica consuetudine tutte le mie analisi e le mie dichiarazioni sono sempre state concordate con il presidente Berlusconi, anche quando Berlusconi cambiava parere”.
Così Brunetta risponde alla nota del Cav che lo “riprendeva” e aggiunge di non aver fatto nessun attacco ma di aver risposto solo “a una battuta inconsistente di Renzi”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
LO STRAPPO DI COFFERATI E’ UNA MINA IN PIU’ PER RENZI IN VISTA DEL VOTO PER IL QUIRINALE
Tra tanti giovani colonnelli Pd insofferenti al renzismo, alla fine la zampata al premier-segretario l’ha tirata un vecchio leone come Sergio Cofferati che, dopo la parentesi da sindaco di Bologna, sembrava avviato verso una tranquilla pensione a Strasburgo.
E invece no, dalla periferia della Liguria (terra che nei palazzi romani conta da sempre pochino) l’ex leader Cgil ha scatenato una perturbazione che rischia di alluvionare questa vigilia di votazioni per il Quirinale.
Il Pd, a dire il vero, era già parecchio terremotato di suo, ma Renzi alla direzione di venerdì 16 gennaio ha usato l’arma del sorriso, del tono bonario, per cancellare le nuvole che già si profilavano all’orizzonte: le divisioni sulla legge elettorale e il caso Liguria, su cui il premier è stato tranchant: “Discussione chiusa”.
E invece la discussione era appena cominciata, perchè Cofferati già da venerdì sera, dopo il responso dei garanti che avevano annullato il voto in 13 seggi su 300, ha maturato lo strappo.
Giocando su due fondamentali della sinistra: la questione morale e l’antifascismo, e cioè la presenza ai seggi di “arnesi della destra ligure”, “fascisti mai pentiti”, che hanno sostenuto la vincitrice Raffaella Paita.
“A Napoli le primarie sono state annullate per problemi in 3 seggi, da noi erano 13, senza contare quelli su cui indaga la procura. Io ho segnalato questi problemi ai vertici nazionali del Pd”, ha spiegato Cofferati in conferenza stampa a Genova, “ma nessuno ha detto niente”. Anzi, “Renzi si è affrettato a proclamare subito la vittoria di Paita”.
In Liguria il centrosinistra vive ore di tensione durissima.
L’auspicio di Renzi di avere un Pd unito nel sostegno a Paita non si realizzerà .
I civatiani, guidati dal deputato Luca Pastorino, sono tentati dal costruire una lista di sinistra con Sel, sponsorizzata dallo stesso Cofferati (e magari con un nome forte della società civile come candidato a governatore).
Gli altri pezzi della sinistra Pd, a partire dal segretario regionale Giovanni Lunardon, non hanno intenzione di strappare, ma è chiaro che il clima dentro il Pd è più che compromesso.
Ma il punto vero sono i riflessi nazionali del caso Cofferati.
Non tanto per i numeri, perchè nessun parlamentare sembra pronto a seguirlo nell’immediato, neppure Civati, che pure veniva dato da tempo come il primo big in uscita dal partito.
Per capire l’impatto della vicenda genovese, basta scorrere le dichiarazioni del pomeriggio. Due partiti in uno.
I renziani fanno muro contro Cofferati, con Ernesto Carbone che gli twitta il brano dei Rokes “Bisogna saper perdere”, il senatore Andrea Marcucci che lo accusa di volersi portare via il pallone e la deputata Alessia Morani che gli intima di dimettersi anche da eurodeputato. “Sei stato eletto con i voti del Pd”.
Lorenzo Guerini, al solito, è il più morbido e parla di una “scelta che mi addolora, che rispetto ma ritengo inspiegabile”.
L’altra vice, Debora Serracchiani, ricorda invece al Cinese che “è grazie ai voti Pd che ora siede all’Europarlamento”, concetto su cui torna anche l’europarlamentare Simona Bonafè, che evoca le dimissioni del Cinese dal seggio europeo.
Le reazioni delle minoranze Pd sono di segno completamente diverso.
Tutti, da Civati a Cuperlo a Fassina puntano il dito contro il nuovo Pd che, dice il bersaniano Davide Zoggia, “non è più capace di essere una comunità ”.
Pippo Civati parla di “metamorfosi quasi completa del Pd, dentro la destra e fuori la sinistra. C’è una sofferenza molto forte in un’area vasta del partito, ma Renzi dice che non c’è nessun problema. Buon per lui”.
Civati si dice sicuro che la sua area in Liguria “non sosterrà Raffaella Paita”, ma sulle sue mosse future resta cauto.
Stefano Fassina parla di un “malessere profondo in larga parte del nostro popolo per un Pd che non rappresenta più gli interessi che dovrebbe rappresentare”.
“In Liguria non è solo questione di brogli, ma di un patto con la destra fatto fuori da ogni decisione presa dagli organismi del partito”.
Per Fassina dunque l’addio al Pd “non è un capriccio dello sconfitto Cofferati, ma la reazione a un cambio di linea politica assecondato dai vertici nazionali. Dopo la delega lavoro e un decreto fiscale che premia i grandi evasori, è la conferma di un spostamento del Pd dal suo mondo di riferimento”.
Non è dunque ”un caso locale”, ma lo stesso fenomeno che “già ci ha fatto perdere 700mila voti in Emilia Romagna. Renzi ha sbagliato a liquidare questo problema in direzione, spero che ora parli con Cofferati”.
Gianni Cuperlo parla di una “ferita” e di una “mutazione di identità del Pd”.
“È sbagliato e offensivo liquidare la decisione di Sergio come una reazione stizzita all’esito delle primarie in Liguria. E farebbero bene i vertici del mio partito a tacitare reazioni improntate a questo tenore”.
Sul tavolo anche il tema di come affrontare le prossime primarie. “Noi abbiamo sempre detto che bisognava fare un albo degli elettori”, dice Zoggia.
“È inammissibile che si teorizzi che gli elettori di destra devono scegliere i nostri candidati, le primarie vanno normate per salvaguardarle, non cancellate con un tratto di penna come qualcuno sta pensando di fare in Campania”.
Lo scontro nel Pd dunque si è riacceso. E ora, alla vigilia del voto greco atteso per il 25 gennaio, sembra prendere corpo un fronte Tsipras italiano che vede insieme Sel e pezzi del Pd.
Non a caso Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla Camera, saluta lo strappo di Cofferati: “È un fatto politico enorme, perchè richiama i fondamentali della sinistra: antifascismo e questione morale. Ora la campana suona per tutti”.
Per tutti si intendono in primo luogo Fassina e Civati, che faranno parte della delegazione italiana che andrà ad Atene da Tsipras e saranno ospiti il 23 gennaio a Milano di Human Factor, la convention programmatica di Sel.
La settimana prossima è atteso un nuovo round in Senato sulla legge elettorale.
Dopo che Renzi in direzione venerdì ha lodato il nuovo Italicum ed escluso ulteriori modifiche, i ribelli Pd comunicano che loro non hanno intenzione di fare retromarcia. “Quella dei capilista bloccati» nell’Italicum “è una questione dirimente per la democrazia”, spiega il bersaniano Miguel Gotor.
Per questa ragione “noi 30 senatori Pd firmatari degli emendamenti per ridurre la quota di nominati, non arretriamo di un millimetro e voteremo le nostre proposte di modifica”.
Cofferati, dal canto suo, per il momento si prepara a dar vita ad una associazione, e a sostenere l’ipotesi di una lista civica per le regionali in Liguria.
“Io resto qui per cambiare, non me ne vado, non lascerò solo i cittadini che mi hanno votato”, ha assicurato il Cinese. “Non fondo un partito e non entro in un altro partito”. Ancora non è deciso se sarà lui il candidato del fronte gauchista.
Ma lo sguardo dell’ex leader Cgil va ben oltre la Liguria. Si spinge verso l’ipotesi di costruire qualcosa a sinistra del Pd. “Un’altra storia si può e si deve scrivere”.
Per Renzi, sulla strada del Colle, è una mina in più. Anche se su nomi di alto profilo come Mattarella e Amato (e certamente anche Prodi), i bersaniani sono pronti a dare una mano al leader.
“Dipende da Renzi, noi vogliamo una personalità autonoma che non sia figlia del patto del Nazareno”, spiega un bersaniano doc. “Se Matteo punta su un nome del genere non saremo certamente noi a fare i monelli…”.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
LO ZOCCOLO DURO DELLA RENZIANA PAITA
Nonno Cofferati lascia indispettito il Pd accorgendosi, dopo appena sei anni, che il sistema di
potere di Claudio Burlando – che ha fatto vincere alle primarie Raffaella Paita – non è esattamente la cena di natale dei sostenitori Emergency.
Meglio tardi che mai, ciao Sergio curati la spalla e goditi la pensione.
Intanto il PdLella benedetto da Matteo Renzi, procede dritto verso la vittoria.
E si fa chiaro anche quale sia il materiale umano che concorre a formare lo zoccolo duro di Lella Paita.
Del suo portavoce Simone Regazzoni ex socialista, filosofo che presenta i suoi libri a Casa Pound (niente di male se fai l’intellettuale, ma ci sta che qualcuno possa stupirsi se fai il portavoce di un candidato del Pd) e vorrebbe negare, come i cowboy Usa, i diritti del codice ai terroristi ( e perchè no la castrazione di piazza dei pedofili?) potete leggere Qui.
Ma oltre ai Franco Orsi, Eugenio Minasso, Alessio Saso, insomma agli ex berlusconiani/scajoliani che hanno sostenuto la Paita, va annotato anche un reduce degli anni teardiani, quel Mauro Testa, ex sindaco socialista di Albenga, arrestato nel 1983 per lo scandalo Teardo dal quale ne uscì con assoluzioni per i reati più gravi e con una prescrizione per uno minore.
Niente di imperdonabile. E’ giusto che chiunque, anche un terrorista (Regazzoni permettendo), possa rifarsi una vita, figuriamoci il Testa.
Magari, però, sarebbe opportuno che non partecipasse più attivamente alla vita pubblica.
Invece Testa fu dirigente dell’Arte qualche anno fa, ed è passato alla storia per aver creato una società mista con l’imprenditore Nucera, oggi latitante a Dubai.
Con Nucera volevano abbattere il vecchio ospedale di Albenga e innalzarvi al suo posto due grattacieli.
Insomma, un curriculum non esattamente prestigioso, ma Testa ha fatto campagna pro Paita e infatti compare nelle foto delle cene (ne hanno parlato solo i siti della Casa della Legalità e Ninin) della vittoria accanto a Franco Vazio, deputato Pd e avvocato nonchè storico amico e difensore di Marco Melgrati ex sindaco di Alassio e consigliere regionale Forza Italia.
E domani, cosa ci riserverà il PdLella?
Marco Preve
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
A CERTOSA E NEL SAVONESE LA PRESENZA AL VOTO DI TRUPPE CAMMELLATE SU CUI INDAGANO DUE PROCURE E LA DDIA
Vediamo di fare un po’ di chiarezza sul caos primarie liguri, proprio mentre due Procure stanno indagando. E non si tratta di investigatori qualunque, ma di quelli che si occupano di mafia, perchè sulle primarie Pd si allunga anche l’ombra della criminalità organizzata.
Facciamo parlare i fatti.
Il caso emblematico è il voto nella provincia di Savona, rivelatasi determinante per il successo della Paita: un sondaggio attendibile di appena un mese fa dava nel savonese Cofferati al 62% e la Paita al 34%.
Alle primarie improvvisamente la Paita prende invece 7583 voti e Cofferati appena 3519, ribaltando ogni previsione.
Cosa è successo negli ultimi 30 giorni?
La Procura sta studiando quanto acquisito ad Albenga e Pietra Ligure, dove Paita ha sgominato Cofferati sfiorando il 90%.
Due comuni dove il rapporto tra politica, affari e figure al centro di inchieste è noto.
“Ad Albenga abbiamo fotografie di incontri tra esponenti del centrosinistra e soggetti condannati per reati gravissimi”, punta il dito Christian Abbondanza della Casa della Legalità .
Ricordiamo che Paita e il marito — il presidente del Porto di Genova, Luigi Merlo — sono già stati in passato al centro di polemiche sui loro rapporti con personaggi al centro di inchieste.
Paita nelle settimane precedenti alle primarie ha ricevuto l’appoggio di quell’Alessio Saso, oggi Ncd, così definito dagli stessi vertici Pd: “Oltre a essere un ex esponente di An, Saso è indagato per voto di scambio nell’inchiesta Maglio 3 sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel Ponente.
Un altro ex An anche lui sponsor della Paita è Eugenio Minasso, anche lui Ncd, in passato fotografato mentre festeggia l’elezione in Regione con famiglie calabresi al centro di inchieste.
Non solo.
Due anni fa la stampa riportò le intercettazioni di colloqui avvenuti tra Luigi Merlo (il marito della candidata Pd) e un imprenditore calabrese che in Liguria ha il monopolio degli appalti pubblici in materia di scavi e movimenti terra.
Parliamo di quel Gino Mamone che nelle intercettazioni dice: “Noi ci siamo con quei settemila voti, non uno, noi tutti i calabresi, qua a Genova ce li gestiamo noi”.
Un avvenimento singolare accade alle primarie anche nel quartiere di Certosa a Genova.
Riportiamo la dichiarazione di Walter Rapetti, il presidente di seggio: “Ho visto arrivare una quarantina di persone in gruppo. Erano tutti siciliani, tra i 50 e 70 anni. Sembravano spaesati, non sapevano nemmeno cosa fossero le primarie. Mi hanno chiesto ‘è qui che si paga?’. La scena era surreale”.
E’ evidente che il voto è stato inquinato persino con extracomunitari che avrebbero ricevuto un compenso in denaro (confermato da testimoni).
E non c’entra nulla che la Paita sia in testa per 3.500 voti, i voti inquinati potrebbero essere migliaia.
Ma stranamente Renzi tace e incorona ugualmente la Paita: lui, il probo rottamatore, non ha nulla da eccepire su questo scandalo, forse perchè sa fin troppo sulla sua protetta Paita.
Mentre la ministra Pinotti regge lo strascico alla futura governatrice e con la Seracchiani che straparla: “Cofferati non sa perdere”.
Forse l’ex sindacalista non ama semplicemente perdere a causa dei voti della ‘ndrangheta…
Ma per Renzi queste sono quisquilie.
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
“RENZI HA PROCLAMATO PAITA CANDIDATA SENZA NEANCHE ASPETTARE LE RISULTANZE DELLA COMMISSIONE”
“Di fronte a fatti di questo genere io non posso più restare. Ho trovato inaccettabile il silenzio del
mio partito, lo considero una vergogna”.
Parole di fuoco quelle di Sergio Cofferati, che nel corso di una conferenza stampa a Genova ha annunciato la sua uscita dal Partito democratico dopo quanto avvenuto nelle primarie liguri vinte dall’ex assessore regionale Raffaella Paita.
All’indomani del voto, l’ex sindaco di Bologna aveva denunciato gravi irregolarità , circostanza peraltro confermata dal collegio dei garanti del Pd, che aveva annullato i voti in 13 seggi.
Una vicenda che ha destato non solo grande clamore, ma anche l’attenzione di due procure e della Direzione distrettuale antimafia, che vuole vederci chiaro su quanto accaduto ai seggi domenica scorsa.
Per il premier Matteo Renzi, tuttavia, la vicenda era già chiusa: per lui e per il partito Raffaella Paita rimaneva e rimane la candidata del centrosinistra alle prossime elezioni regionali in Liguria.
Un aspetto che non è andato giù all’ex sindacalista: “Ieri, durante la direzione del Pd, il premier ha immediatamente proclamato Raffaella Paita candidata. Non ha avuto neanche il garbo di aspettare la conclusione dei lavori della commissione” ha attaccato.
Da qui la presa di posizione dell’ex segretario della Cgil. Che ha bocciato il Pd (“In una situazione di questo genere, dove nel mio partito un grande tema etico non viene affrontato, in un partito che non dice nulla, in questa situazione io non posso più restare” ha detto), non il metodo per scegliere il candidato governatore.
Le primarie sono “uno strumento che ha delle pecche e che è da rivedere alla radice — ha detto Cofferati — ma continuo a pensare che debbano essere conservate. Bisognerà però cambiare in profondità le modalità con cui vengono attuate”.
L’ex primo cittadino bolognese, tuttavia, ha anche precisato alcuni aspetti e smentito le indiscrezioni circolate nelle ultime ore, come ad esempio quella che lo vorrebbe fondatore di un nuovo soggetto politico.
“Esco dal Pd e non lo faccio per fondare un altro partito” ha detto Cofferati ai giornalisti, non risparmiando parole di fuoco anche nei confronti degli avversari degli altri schieramenti.
“La sostanza della mia contrarietà è l’inquinamento delle primarie attraverso il voto sollecitato e ottenuto dal centrodestra” ha specificato l’esponente politico, specificando che “il centrodestra si è mobilitato per votare alle primarie del centrosinistra. E’ un problema politico e morale. Le primarie, così, praticamente non ci sono più”.
Da sottolineare, poi, il parallelismo con quanto accadde a Napoli nel 2011, “dove le primarie sono state invalidate per problemi in 3 seggi. E c’è un comportamento diverso in Liguria dove sono state annullate in 13 seggi”.
“Non capisco che cosa sia successo — ha continuato Cofferati — Resta la partecipazione anomala di povere persone straniere guidate in gruppo e istruite su come votare. Viene anche indicato l’uso di denaro per stimolarne il voto. Ma la sostanza politica è l’inquinamento attraverso il voto sollecitato e ottenuto del centrodestra”.
Cofferati, poi, ha fatto i nomi di Saso, Minasso e Orsi, esponenti di partiti che nulla hanno a che vedere con lo schieramento di centrosinistra.
Eppure sono andati alle urne. L’obiettivo? Governare con il Pd.
L’ex segretario Cgil lo ha spiegato senza mezzi termini: “Un ministro come Pinotti ha teorizzato l’opportunità di fare nascere qui un governo con il centrodestra, secondo lo schema nazionale. E non è stata mai smentita da nessuno — ha attaccato — Che un fascista mai pentito venga a votare alle primarie del mio partito senza che nessuno obietti nulla credo sia inaccettabile”.
“Quando le carte della commissione di garanzia del Pd saranno pronte, sarà mia cura portarle alla procura della Repubblica. Se nel mancato rispetto delle regole emergeranno anche elementi che configurano un reato non lo deve dire la commissione ma lo deve dire la magistratura”, ha concluso l’europarlamentare.
La dura presa di posizione dell’ex sindacalista ovviamente non ha mancato di suscitare reazioni, favorevoli e contrarie. Tra i primi ad intervenire è Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel: “Sosterremmo convintamente Cofferati, ma non intendiamo tirarlo per la giacchetta. Certo se lui vorrà , saremmo entusiasti di portare avanti la sua candidatura“.
Durissima la posizione di Pippo Civati: “Il Pd imbarca con orgoglio la destra (ligure e non solo) e perde molti elettori, tra i quali Sergio Cofferati. Diciamo che si tratta di un voto di scambio, come tanti in questi giorni: dentro la destra, fuori la sinistra”.
“Sono cambiati i nasi, diciamo, rispetto alle primarie napoletane di qualche anno fa” ha scritto il deputato democratico sul suo blog.
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO L’INCHIESTA CHE LO VEDE INDAGATO PER BANCAROTTA, AVVIATE NUOVE INDAGINI SUL MUTUO INSOLUTO PAGATO DALLO STATO
Dal papà all’amico.
La vicenda del mutuo insoluto della società Chil Post di Tiziano Renzi, rimborsato dallo Stato attraverso presunti illeciti compiuti dal padre del premier, ora coinvolge direttamente la banca che ha ricevuto il versamento.
Gli accertamenti degli inquirenti della Procura di Genova, che hanno indagato il padre del premier per bancarotta fraudolenta per il fallimento della Chil Post, e quelli dei dirigenti della finanziaria della Regione Toscana si concentrano sul credito cooperativo di Pontassieve.
I primi stanno valutando il possibile reato di truffa ai danni dello Stato, i secondi per approfondire eventuali omissioni e individuare quindi dei possibili responsabili da cui farsi eventualmente rimborsare il danno per i 263 mila euro elargiti da Fidi Toscana, la controllata dalla Regione.
Dopo l’intervento di due giorni fa del governatore Enrico Rossi, che ha annunciato al Fatto la volontà di approfondire se ci sono state delle responsabilità da parte dei familiari del premier annunciando le necessarie denuncie agli organi competenti, Fidi Toscana ieri ha avanzato richiesta formale alla banca di Pontassieve a fornire l’intera documentazione relativa al mutuo concesso alla Chil Post.
La finanziaria controllata per il 49% dalla Regione, infatti, potrebbe rivalersi sull’istituto di credito: secondo il regolamento sottoscritto al momento della richiesta di garanzia avanzata dalla madre del premier, Laura Bovoli, e dalle sorelle Benedetta e Matilde, la banca era obbligata a comunicare ogni variazione societaria, così come le titolari.
Ma a Fidi Toscana, confermano al Fatto i vertici, il credito di Pontassieve ha comunicato solamente il cambio di nome di società da Chil a Chil Post.
Non una riga sulla cessione di beni e servizi per due milioni di euro, quella che i pm di Genova ritengono la parte sana della società , nè del cambio di sede e di proprietà . Informazioni fondamentali che, stando a quanto ammette Fidi Toscana, sono state trasmesse solo dopo la dichiarazione di fallimento nel 2011.
A guidare la banca oggi è Matteo Spanò, un fedelissimo del Presidente del Consiglio dai tempi della Provincia di Firenze.
Cresciuti insieme negli scout, fin dai lupetti, Spanò guida anche il Museo dei Ragazzi controllato da Palazzo Vecchio, nominato per espresso desiderio di Renzi.
Che lo aveva già insediato a capo della Florence Multimedia, società creata ad hoc nel 2004 dal non ancora rottamatore ma giovane presidente della Provincia e poi finita all’attenzione della Corte dei Conti per 9,2 milioni di euro spesi tra il 2006 e il 2009.
Tra cui ci sono fatture pagate alla Dotmedia, impresa privata di Spanò.
Alla Dotmedia, società che fino al 2012 è stata tra i fornitori del Comune di Firenze, sono finite anche alcune commesse dirette affidate dal Museo dei Ragazzi.
Presieduto, come detto, sempre da Spanò.
Un dato: Dotmedia è passata da 9 mila euro di fatturazione del 2008 ai 401 mila del 2011. Socio di Spanò era Andrea Conticini allo stesso tempo socio della Eventi 6, la società della famiglia Renzi: amministrata dalle sorelle Matilde e Benedetta, che ne detengono il 36 per cento ciascuna, insieme alla madre, Laura Bovoli, che ha l’8 per cento. Il restante 20 per cento era in mano a Conticini, marito di Matilde. Spanò dunque, è per Renzi un uomo di fiducia e di famiglia.
La Eventi 6 però è anche la società a cui la Chil Post cede la parte sana prima di fallire. E su questa si è concentrata l’inchiesta degli inquirenti liguri.
Magistrati che, a quanto si apprende, nei mesi scorsi erano già arrivati a individuare il giro di fondi ricevuti da Fidi Toscana e hanno già acquisito la documentazione necessaria attraverso gli uomini della Guardia di Finanza che sequestrarono il materiale presso gli uffici dell’istituto di credito lo scorso settembre.
L’ipotesi investigativa a carico di Tiziano Renzi è quella della truffa ai danni dello Stato.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
IL NOME 24 ORE PRIMA DELLA SEDUTA COMUNE: “NIENTE VETI TRA DI NOI”, MA NON CI CREDE NESSUNO
Il gran giorno, maledetto calendario, cade di nuovo di mercoledì. Come quella sera di due anni fa,
quando al teatro Capranica, a due passi da Montecitorio, andò in scena la seduta di analisi collettiva del Partito democratico: la struggente decisione del segretario Pier Luigi Bersani di sostenere la candidatura al Colle di Franco Marini, cui seguirono il tradimento, i 101 di Prodi e la corsa tra le braccia protettrici di Giorgio Napolitano.
Ma stavolta, mercoledì 28 gennaio, giurano che sarà tutta un’altra storia. Non solo perchè il Capranica nel frattempo ha chiuso e i 500 grandi elettori del Pd saranno costretti a riunirsi in un altro posto, forse in una sala convegni di via Margutta, forse anche più lontano, al centro congressi di via dei Frentani.
Sarà un’altra storia perchè Matteo Renzi vuole tentare il colpaccio.
In una delle più complicate elezioni del presidente della Repubblica, lo solletica la missione impossibile: eleggere il nuovo capo dello Stato alla prima votazione.
E intestarsi così la clamorosa vittoria contro i gufi che stanno dentro e fuori casa sua. Davanti ha una dozzina di giorni: la direzione del partito, da ieri, è convocata in modo permanente, pronta a riunirsi per allargare la discussione dei gruppi di Camera e Senato.
Lì, nelle riunioni a Montecitorio e Palazzo Madama, Renzi ha chiesto di essere considerato “ospite” fisso.
Sarà lui poi, accompagnato da una delegazione composta da Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani (vicesegretari Pd), Luigi Zanda, Roberto Speranza (capigruppo) e Matteo Orfini (presidente del partito) a guidare il “giro di consultazione con gli altri partiti”. Poi, quel mercoledì di vigilia del voto, arriverà il nome.
Uno, dice Renzi. E Francesco Boccia, ala critica del partito, fa già sapere che “non vorrei mai essere in lui”.
Il premier, forse, la fa un po’ troppo facile. Ai gruppi di opposizione che gli hanno chiesto di sospendere il percorso delle riforme in Parlamento, ieri ha dato dei “fannulloni”.
E ai compagni di partito più riottosi ha già fatto sapere che “nessuno ha il diritto di mettere veti, nemmeno tra di noi”.
“Non prendiamoci in giro — insiste ancora Boccia appena uscito dalla direzione — Il partito è diviso, è inutile che ce la raccontiamo. Serve una rosa di nomi, non è un prendere o lasciare. Se mi propone un maggiordomo, uno che prende ordini ma non li dà , io non lo voto”.
Era stato lo stesso Boccia, parlando con i colleghi di partito, a tracciare l’identikit del prossimo inquilino del Quirinale:“Deve essere uno che se chiama la Casa Bianca, Berlino o Francoforte non ha bisogno di presentarsi”.
Altissimo profilo, dunque. Lo stesso delineato da Renzi. Scartati gli ex segretari di partito, perdendo quota le riserve della Repubblica, i nomi che restano in pista — ormai è opinione comune — “sono due o tre”.
Il solito Romano Prodi, che proprio ieri è tornato a dire “non voglio più essere in mezzo a tensioni”. Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia che, a differenza di Mario Draghi, non si è chiamato fuori. E poi lui, il nome che ronza nella testa della premier come il più plausibile per il colpaccio dell’elezione al primo giro: Giuliano Amato.
Non è in cima alle preferenze degli italiani: nelle Quirinarie del Fatto, per dire, non compare nemmeno, ma è il più basso anche nel “borsino” de lastampa.it  , è a fondo classifica sul corriere.it  , addirittura ultimo dei 20 messi ai voti dalla trasmissione di Rai-Tre Agorà .
Eppure è l’uomo che Giorgio Napolitano più gradirebbe come suo successore. E quello che piace anche a Silvio Berlusconi.
Ma, dicevamo, forse Renzi la fa troppo facile. È vero che è lo stesso Gianni Cuperlo a certificare che il metodo messo a punto per il Colle è “meno rischioso” di quello che all’epoca costò caro a Bersani: la delegazione dei 6, rispetto al pieno mandato che allora il segretario tenne per sè, blinda di più il nome che uscirà dalle consultazioni. Ma mentre Renzi, illustrato il cronoprogramma quirinalizio cinguettava su Twitter con J-Ax, dalla pancia del Pd salivano già preoccupazioni acide.
Le esprime bene Nico Stumpo, sanguigna voce della minoranza: “Se le cose vanno come ha detto, ok, ci siamo. Ma il nome lo dobbiamo decidere noi, insieme. Non vorrei che invece lo decidesse con qualcun altro. E che poi venga lì, spari il candidato e ci metta con le spalle al muro: o lo votate o siete dei sabotatori”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA PRESENTA IL PRESIDENTE DEI COSTRUTTORI, LA LEGA IL BOLSO RIXI CHE DA VENT’ANNI VIVE DI POLITICA TRA RONDE E INCARICHI DI PORTABORSE IN REGIONE LOMBARDIA
Sono tre i candidati alla presidenza della Regione.
Per ora, una, per il centrosinistra, Raffaella Paita. E due, per il centrodestra.
Ieri c’è stata l’investitura, da parte dello stesso Silvio Berlusconi, di Federico Garaventa che correrà per Forza Italia.
E oggi sarà invece il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, a incoronare Edoardo Rixi, peraltro da poco nominato suo vice (degno contraltare)
Sembra dunque tramontata qualsiasi ipotesi di unità nel centrodestra, difficile, ma che avrebbe potuto rappresentare un motivo di preoccupazione per la candidata Paita.
“Ok a Garaventa”, ha deciso, ieri, Silvio Berlusconi.
L’imprenditore Federico Garaventa, 48 anni, laureato in Economia e Commercio, infatti, ha incontrato il cavaliere, che lo formalmente designato proprio alfiere nella corsa alle elezioni regionali di maggio.
“Nei prossimi giorni Berlusconi incontrerà gli alleati, cercando di far confluire la più ampia convergenza su questo progetto politico”, spiega Sandro Biasotti, coordinatore regionale di Forza Italia, pure presente all’incontro.
“Garaventa ha offerto il proprio contributo di persona indipendente – indica Biasotti – e che può coagulare il più ampio consenso possibile, indispensabile per imprimere il necessario cambio di passo alla regione”
Presidente ligure di Ance, l’associazione nazionale che riunisce i costruttori edili, Garaventa lavora nell’impresa di famiglia che opera nel settore delle promozioni immobiliari e dell’edilizia privata.
Al di là di ogni valutazione personale, fa specie che, in una Regione massacrata dalle alluvioni e dalla cementificazione selvaggia, si operi una scelta che identifica il centrodestra con la lobby del cemento, autolesionismo puro.
Non solo: Forza Italia e Lega insieme arrivano a malapena al 20% e riescono pure a dividersi. Il Carroccio presenta, tanto per cambiare, il bolso tuttologo Rixi che è sia consigliere regionale (redivivo da circa tre mesi dopo un lungo silenzio) che consigliere comunale.
Lo accomuna a Salvini l’età e il fatto di vivere di politica da vent’anni (con una esperienza da portaborse in Regione Lombardia grazie a Rosy Mauro).
Le voci maligne che il centrodestra in Liguria punti sempre a perdere presentando candidature deboli per poi passare all’incasso da Burlando prima e da Paita in futuro, sembrano quindi trovare conferma.
Probabile, dopo l’addio di Cofferati, che anche la sinistra si divida su due candidature.
Quinto candidato sarà un grillino che parte da un 20-25%: anche in questo caso, temendo di vincere, Grillo presenterà il solito candidato anonimo. Il capogruppo in Comune dei Cinquestelle aveva proposto di cercare una candidatura esterna forte e conosciuta per giocarsela alla pari: ovviamente è stato già minacciato di espulsione.
La farsa ligure segna un altro appuntamento nel segno della continuità dei poteri forti locali.
Da ricordare che, in base alla legge elettorale, il candidato governatore che si piazzerà terzo non verrà eletto in consiglio regionale.
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Gennaio 17th, 2015 Riccardo Fucile
I 7I EX LAVORATORI “CACCIATI”: “DAL BILANCIO 2012 A QUELLO 2013 BEN 17 MILIONI IN MENO SUI DEPOSITI BANCARI: CHE FINE HANNO FATTO?”
La trattativa tra i 71 dipendenti della Lega Nord e i vertici del partito (che puntano alla
cassaintegrazione a zero ore per i lavoratori) si chiuderà mercoledì al ministero del Lavoro.
Il segretario del Carroccio, Matteo Salvini, ha ricevuto una delegazione dei dipendenti di via Bellerio che spiegano: “Ci ha ribadito che non ci sono soldi, ma noi speriamo che il partito ripensi ai suoi investimenti e ci tuteli”.
I lavoratori intanto ‘studiano’ i documenti relativi al rendiconto 2012 e 2013.
“Se si guardano i depositi bancari — dicono – si è passati dai 22 milioni di euro del 2012 ai 4,9 milioni di euro del 2013, cioè 17 milioni di euro in meno. Come sono stati spesi questi soldi?”
Perchè il problema non deriva solo dal taglio del finanziamento pubblico ma da una situazione pregressa che è andata peggiorando.
Quello che si dice nei corridoi è che, dopo lo scandalo Bossi-Belsito, Maroni non abbia badato a spese per farsi eleggere governatore della Lombardia, investendo in propaganda valanghe di quattrini.
Atrettanto avrebbe fatto poi Salvini, una volta eletto segretario, alle ultime elezioni europee.
Neanche troppo larvatamente l’accusa è quella di aver pensato solo alla loro affermazione personale senza programmare un piano finanziario che potesse tutelare i dipendenti del Carroccio.
E ricordano che per la propria moglie Salvini ha usato un criterio diverso, piazzandola in Regione Lombardia per chiamata diretta.
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