QUIRINALE, MISSIONE AMATO IL PREMIER TENTA IL COLPACCIO
IL NOME 24 ORE PRIMA DELLA SEDUTA COMUNE: “NIENTE VETI TRA DI NOI”, MA NON CI CREDE NESSUNO
Il gran giorno, maledetto calendario, cade di nuovo di mercoledì. Come quella sera di due anni fa, quando al teatro Capranica, a due passi da Montecitorio, andò in scena la seduta di analisi collettiva del Partito democratico: la struggente decisione del segretario Pier Luigi Bersani di sostenere la candidatura al Colle di Franco Marini, cui seguirono il tradimento, i 101 di Prodi e la corsa tra le braccia protettrici di Giorgio Napolitano.
Ma stavolta, mercoledì 28 gennaio, giurano che sarà tutta un’altra storia. Non solo perchè il Capranica nel frattempo ha chiuso e i 500 grandi elettori del Pd saranno costretti a riunirsi in un altro posto, forse in una sala convegni di via Margutta, forse anche più lontano, al centro congressi di via dei Frentani.
Sarà un’altra storia perchè Matteo Renzi vuole tentare il colpaccio.
In una delle più complicate elezioni del presidente della Repubblica, lo solletica la missione impossibile: eleggere il nuovo capo dello Stato alla prima votazione.
E intestarsi così la clamorosa vittoria contro i gufi che stanno dentro e fuori casa sua. Davanti ha una dozzina di giorni: la direzione del partito, da ieri, è convocata in modo permanente, pronta a riunirsi per allargare la discussione dei gruppi di Camera e Senato.
Lì, nelle riunioni a Montecitorio e Palazzo Madama, Renzi ha chiesto di essere considerato “ospite” fisso.
Sarà lui poi, accompagnato da una delegazione composta da Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani (vicesegretari Pd), Luigi Zanda, Roberto Speranza (capigruppo) e Matteo Orfini (presidente del partito) a guidare il “giro di consultazione con gli altri partiti”. Poi, quel mercoledì di vigilia del voto, arriverà il nome.
Uno, dice Renzi. E Francesco Boccia, ala critica del partito, fa già sapere che “non vorrei mai essere in lui”.
Il premier, forse, la fa un po’ troppo facile. Ai gruppi di opposizione che gli hanno chiesto di sospendere il percorso delle riforme in Parlamento, ieri ha dato dei “fannulloni”.
E ai compagni di partito più riottosi ha già fatto sapere che “nessuno ha il diritto di mettere veti, nemmeno tra di noi”.
“Non prendiamoci in giro — insiste ancora Boccia appena uscito dalla direzione — Il partito è diviso, è inutile che ce la raccontiamo. Serve una rosa di nomi, non è un prendere o lasciare. Se mi propone un maggiordomo, uno che prende ordini ma non li dà , io non lo voto”.
Era stato lo stesso Boccia, parlando con i colleghi di partito, a tracciare l’identikit del prossimo inquilino del Quirinale:“Deve essere uno che se chiama la Casa Bianca, Berlino o Francoforte non ha bisogno di presentarsi”.
Altissimo profilo, dunque. Lo stesso delineato da Renzi. Scartati gli ex segretari di partito, perdendo quota le riserve della Repubblica, i nomi che restano in pista — ormai è opinione comune — “sono due o tre”.
Il solito Romano Prodi, che proprio ieri è tornato a dire “non voglio più essere in mezzo a tensioni”. Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia che, a differenza di Mario Draghi, non si è chiamato fuori. E poi lui, il nome che ronza nella testa della premier come il più plausibile per il colpaccio dell’elezione al primo giro: Giuliano Amato.
Non è in cima alle preferenze degli italiani: nelle Quirinarie del Fatto, per dire, non compare nemmeno, ma è il più basso anche nel “borsino” de lastampa.it  , è a fondo classifica sul corriere.it  , addirittura ultimo dei 20 messi ai voti dalla trasmissione di Rai-Tre Agorà .
Eppure è l’uomo che Giorgio Napolitano più gradirebbe come suo successore. E quello che piace anche a Silvio Berlusconi.
Ma, dicevamo, forse Renzi la fa troppo facile. È vero che è lo stesso Gianni Cuperlo a certificare che il metodo messo a punto per il Colle è “meno rischioso” di quello che all’epoca costò caro a Bersani: la delegazione dei 6, rispetto al pieno mandato che allora il segretario tenne per sè, blinda di più il nome che uscirà dalle consultazioni. Ma mentre Renzi, illustrato il cronoprogramma quirinalizio cinguettava su Twitter con J-Ax, dalla pancia del Pd salivano già preoccupazioni acide.
Le esprime bene Nico Stumpo, sanguigna voce della minoranza: “Se le cose vanno come ha detto, ok, ci siamo. Ma il nome lo dobbiamo decidere noi, insieme. Non vorrei che invece lo decidesse con qualcun altro. E che poi venga lì, spari il candidato e ci metta con le spalle al muro: o lo votate o siete dei sabotatori”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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