Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
PERDONO QUOTA PADOAN E MATTARELLA
Matteo Renzi sgranocchia una mandorla tostata. Una, due, mandorle, tre mandorle alla bouvette della Camera. Le considerano irresistibili.
Selva di cronisti. Il premier incrocia Alfonso Bonafede, grillino: “Ehi, biondino… Come è andata col Csm?”.
Il biondino si gira, assieme alla moretta Giulia Sarti: “Sul Quirinale — prosegue Renzi – se volete venire, venite. Ma dire che non volete metterci piede…”.
Tocca al biondino: “Noi proponiamo un metodo di trasparenza, voi potete proporci il nome. Se accetti il nostro metodo possiamo arrivare ad avere il Presidente della Repubblica già al primo voto”.
Il premier sorride attento a farsi ascoltare dai cronisti: “No, al primo voto non ce la facciamo”. Lo show prosegue in Transatlantico, con i giornalisti: “Siete un po’ paraguri”. Arriva pure Renato Brunetta, battute.
È comparso verso le sei Renzi, per una breve riunione alla sala del governo con Guerini, Speranza e Maria Elena Boschi.
Senza cravatta, qualche stretta di mano: “Pare un candidato in campagna elettorale permanente” sussurrano nel Palazzo.
La partita per il Presidente è uno spettacolo su come conduce il gioco.
Al Nazareno inteso come sede del Pd arrivano tutti domani, ma non è il giorno in cui si fanno nomi.
Si è capito che il “nome” uscirà sabato mattina: prendere o lasciare.
Con Berlusconi i contatti sono costanti, diretti e attraverso gli ambasciatori, ma pure il Cavaliere è preoccupato: “La mia richiesta — ha detto ai suoi — è un nome in modo da avere una notte per pensarci su”.
Per carità , non è che finora si sia parlato di massimi sistemi. Più di un nome è stato fatto tra palazzo Chigi e Arcore, ma non quello su cui puntare.
Perchè “Matteo” ha capito che l’altro non sa tenersi, come si dice a Roma, “un cecio in bocca”.
Meglio non correre rischi. E tenerlo appeso, magari parlando solo con Verdini.
“Ma quale è il nome vero di Matteo?”: l’interrogativo è un tormentone, pure tra quelli che contano.
Oggi il premier ha testato il gradimento ad Arcore di Padoan e, di nuovo, di Mattarella.
Ovviamente alla quarta votazione. I contatti ci sono stati. E la risposta dei Berlusconi è che va bene arrivare alla quarta votando scheda bianca (ancora una volta si conferma l’intesa nazarenica) ma Mattarella è indigeribile: “Quello — ha detto l’ex premier ai suoi – diventa il nuovo Scalfaro”.
E poi non piace neanche ad Alfano. Duro da digerire anche Padoan, perchè è un tecnico.
Anche se, raccontano in ambienti berlusconiani, i suoi rapporti con Gianni Letta sono diventati ottimi negli ultimi tempi.
I più smaliziati ci vedono un gioco delle parti, con Renzi che non vuole Mattarella, giurista pignolo, amico di D’Alema e fa porre il veto da Berlusconi.
E Renzi che sonda su Padoan, ma non è convinto fino in fondo.
Già , Renzi sonda, valuta, solletica le aspettative.
Fa i complimenti a Grasso per come sta lavorando, in modo che qualche presente ciarliero glielo riferisca: “Il suo è un nome che tengo in considerazione”.
Parla benissimo di Veltroni, tanto che i suoi assicurano: “Su Walter il problema è la minoranza del Pd, non Matteo”.
E così il gioco resta nelle mani del premier, fino al “prendere o lasciare” di sabato mattina.
Come in una partita di poker: oggi “parola” per stanare gli altri, sabato “piatto” e vedo.
Punto fisso del gioco, l’asse con Berlusconi. Andare alla quarta votazione questo significa: far capire alla minoranza che Renzi mette in conto una rottura a sinistra come sull’Italicum e considera irrinunciabile l’asse con Berlusconi.
Ricordate quando Bersani disse: perchè non partiamo dalla prima?
Lo spettacolo, come sul tavolo verde, è nel gioco, nella capacità del premier di alimentarlo.
I riflettori domani saranno sul Nazareno, dove arriverà Silvio Berlusconi e prima le delegazioni degli altri partiti, ma non è domani la giornata del “nome”.
È il giorno di un altro giro: “Non c’è che dire — dice un oppositore — è un fuoriclasse della comunicazione, prima la Merkel, poi il Nazareno, poi chissà . Peccato che non mette la testa su un dossier per più di mezz’ora”.
Epperò nel gioco di simulazione, dissimulazione, bluff c’è un nome che ad Arcore gira da un po’, da quando Renzi ha chiesto al Cavaliere, attraverso i suoi, di rifletterci. E chissà se è un caso ma, per non essere “bruciato” non è mai comparso nè su un giornale di famiglia nè in televisione.
Quello di Graziano Delrio, lo spot perfetto di Renzi: fedelissimo, 55 anni il prossimo 27 aprile, sarebbe il presidente della Repubblica più giovane della storia d’Italia nell’era del presidente del Consiglio più giovane della storia d’Italia: “Santità — disse Renzi a papa Francesco presentandolo — questo è il sottosegretario Delrio, lei è la moglie. Hanno 9 figli: hanno vinto il campionato e anche la Champion League?”. Perfetto, nella campagna elettorale di Renzi.
Perfetto alla quarta, o magari alla quinta votazione.
Ovviamente con Berlusconi. Il quale, scommettono i suoi, potrebbe dire di sì pure a uno come Delrio, superando — se si sente garantito — il fatto che è nel governo. Anzi, potrebbe essere meglio di un tecnico.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
GRILLO CERCA DI INSINUARSI NELLE DIVISIONI DEL PD, MA PERDE ALTRI PARLAMENTARI
“Cara/Caro parlamentare del Partito Democratico, le chiediamo, dopo averlo chiesto al presidente del
suo partito, di esprimere le sue preferenze per i candidati alla presidenza della Repubblica. I nomi proposti dai parlamentari del Pd saranno votati dagli iscritti al M5S on line nei prossimi giorni”.
La mail, inviata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio utilizzando l’indirizzo parlamentari@beppegrillo.it, piomba nelle caselle degli onorevoli Democratici alle 16.50.
In calce, il link al blog che ne certifica l’autenticità . Una mossa in qualche modo anticipata dall’ex comico sul palco della Notte dell’onestà , quando ha chiesto al Pd, e non più a Renzi come da hashtag di un paio di giorni prima, di offrire una rosa di nomi per il Quirinale.
Il Movimento 5 stelle non può arrivare alle prime tre votazioni e infilare nell’urna una scheda bianca.
“Ma ti pare? Certificheremmo il fatto che partecipiamo anche noi a questa guerra fra bande”.
C’è un problema di opportunità . Che comprende le modalità tecniche del voto, ma anche il fatto che in qualche modo la rete venga consultata.
Scartate, almeno per il momento, le primarie aperte stile 2013, per timore di un “effetto Magalli” che potrebbe trasformarle in barzelletta.
Ma poi c’è anche una questione politica.
La spiega un membro del Direttorio: “C’è un fronte anti-Nazareno nel Pd? Se sì ci faccia dei nomi, altrimenti dimostrano di essere ancora una volta un partito unico con Berlusconi. Noi le proposte le chiediamo al Pd, non a Renzi. Poi consulteremo la rete”.
Sono ore convulse tra i 5 stelle, perchè lo stesso Direttorio, che pure ha mantenuto in queste ore un filo costante con Genova e Milano e che stamattina si era riunito per fare il punto, non conosceva il dettaglio e la tempistica della missiva dei due leader. Una lettera che ha spazzato via dal tavolo le notizie che si erano rincorse per tutta la giornata, prima di un’assemblea congiunta di deputati e senatori, poi di una riunione del Direttorio e dei capigruppo con Grillo e Casaleggio.
Quest’ultima rimane un’ipotesi in ballo, ma è probabile che alla fine il confronto sarà solamente telefonico.
Alla fine, mercoledì e giovedì, gli attivisti verranno coinvolti in una votazione.
Ed è qui che la strategia 5 stelle, che pure evolve, si mescola e si modifica ogni ora che passa, prova a infilare una staffa nelle crepe dell’alleanza del Nazareno.
“Segui il ragionamento – spiega un parlamentare ortodosso – Supponendo che difficilmente arriverà una risposta univoca dalla minoranza, qual è l’unico nome possibile per sparigliare il patto Renzi-Berlusconi? Quello di Romano Prodi”. E in effetti quello del professore è l’unico nome finora avanzato pubblicamente da un Dem, nella fattispecie Pippo Civati.
Con i voti dei 5 stelle, sommati a quelli del Pd, Prodi avrebbe i numeri per passare dal quarto scrutinio in poi.
Giustificare il rifiuto di un’offerta del genere sarebbe quantomeno complicato per il premier.
“L’idea è quella”, conferma secco uno dei pontieri della minoranza Dem.
Il rovescio della medaglia è che la decisione unilaterale di non procedere a Quirinarie aperte e non condividere la strategia ha accelerato la scissione.
Un gruppetto di parlamentari dissidenti guidati da Walter Rizzetto domani alle 10.00 ufficializzerà l’addio al gruppo.
Nove deputati e due senatori, secondo il pallottoliere degli ultimi minuti.
Perchè nella serata si sta tenendo una riunione convulsa, nella quale ripensamenti e aggiunte dell’ultimo istante sono all’ordine del giorno.
Nel pomeriggio in Transatlantico sono girati con insistenza i nomi di Prodani, Turco, Barbanti, Molinari, Segoni, Baldassarre, Bechis, Rostellato e Molinari.
Qualcuno domani sarà seduto dietro il banco della sala stampa della Camera, qualcun altro darà forfait.
Ma la mossa è stata studiata nel dettaglio. Almeno a partire da dicembre, quando Rizzetto, insieme a due colleghi, ha chiesto lumi sui passi da fare per iscriversi al gruppo Misto.
La pattuglia dei fuoriusciti raggiungerà Tommaso Currò e Massimo Artini proprio tra i non iscritti.
L’ambizione è quella di non replicare il flop del Senato, e di riuscire in tempi brevi a formare un gruppo a Montecitorio.
Intanto c’è da giocare la partita del Quirinale. Nella quale Renzi potrà contare su una tanto numerosa quanto composita pattuglia di grillini che al momento del voto saranno “usciti dal blog”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
CIVATI PROPONE AL PD DI VOTARE PRODI, MA BERSANI FRENA
“Stare dentro il gioco del Quirinale”. “Evitare di finire in un angolo”. “Condizionare la scelta di Renzi”.
In estrema sintesi: limitare i danni.
Sono ore complicate per la minoranza Pd. Le parole al miele di Renzi in mattinata alla doppia riunione con deputati e senatori non lasciano troppo spazio al contrattacco. Tocca aspettare, prendere tempo.
E tentare di arrivare alla fine di questa partita con due obiettivi centrati: un nuovo Capo dello Stato “potabile”, avendo evitato che un eventuale replay del 2013 possa ritorcersi contro la Ditta ex Ds.
Con l’accusa inaccettabile per chi viene dalla loro cultura politica: quella di aver giocato allo sfascio. Un’accusa che Bersani e i suoi non potrebbero mai accettare. Proprio lui, quel Bersani che nel 2011 trangugiò il commissariamento di Monti, accettando di non andare a delle elezioni che avrebbe certamente vinto.
Dunque si aspetta la mossa di Renzi. Quel nome di secco che il premier dovrà fare tra giovedì e sabato, ma molto probabilmente a ridosso della quarta votazione, la prima col quorum abbassato a 505.
Per Bersani le ferite del 2013 non sono rimarginate. E infatti, con un amico, la sua opinione la dice per intero: “Non possiamo passare da un Capo dello Stato che sceglie i premier a un premier che sceglie il Capo dello Stato”.
È questa la linea Maginot di Pier Luigi.
Condizionare il premier, ottenere un presidente che “unisca in primo luogo il Pd e che sia autonomo dal governo”.
La parola d’ordine che Bersani lancia nei numerosi conciliaboli con i parlamentari a lui più vicini è “non possiamo essere noi a dividere il Pd, dobbiamo cercare un’intesa”.
Un refrain a cui in queste ultime ore si è unito anche il ribelle Stefano Fassina, che pochi giorni fa aveva definito Renzi “il capo dei 101”. “Lo vedete che a giorni alterni anche Fassina la dice giusta…”, sorride l’ex leader Pd entrando in ascensore alla Camera e bastonando bonariamente il suo pupillo.
Il quale, a domanda sul repentino cambio di atteggiamento, risponde: “Da Renzi è arrivato un impegno a cercare una soluzione unitaria sul Quirinale, non ci si può sottrarre”.
Per ora, in attesa di vedere come vanno le consultazioni al Nazareno previste per martedì, la minoranza sembra attestarsi sulla linea del segretario.
E dunque votare scheda bianca alle prime tre votazioni. Tra i bersaniani sembra perdere quota l’idea di votare Prodi insieme a Sel, ai civatiani e a pezzi del M5s.
Davide Zoggia il canale coi grillini l’ha lasciato aperto, e ancor più di lui Civati e il capogruppo di Sel Arturo Scotto.
Ma tra i bersaniani è una partita che non scalda i cuori, un amaro replay che porta brutti ricordi. Dunque si tratta con Renzi. In pubblico e in privato.
Durante le riunioni col premier, i parlamentari della minoranza hanno chiesto a più voci per il Quirinale “un politico del Pd” (Cesare Damiano).
E ancora, parola di Fassina, “un garante del’autonomia del Parlamento”. “
Uno capace di dire anche dei no al governo”, sintetizza Andrea Giorgis, costituzionalista e tra i più attivi della minoranza sul dossier delle riforme costituzionali.
“In questi mesi”, spiega ad Huffpost, “abbiamo cercato di correggere le riforme trovando dei contrappesi ai nuovi poteri del premier, e infatti abbiamo alzato a tre quinti il quorum per eleggere il Capo dello Stato”.
“In un sistema ipermaggioritario come quello che deriva dall’Italicum, al Colle serve un garante, un punto di equilibrio del sistema”, chiude Giorgis. “Anche in questa tornata noi voteremo una figura del genere”.
A microfoni spenti, nella minoranza vengono bocciati nomi tecnici come quelli del ministro Padoan o del governatore Visco.
E anche di ministri politici in carica come Gentiloni o Delrio.
Le maggiori simpatie vanno verso figure come Giuliano Amato o Sergio Mattarella, “certamente autonomi”.
Mentre tra gli ex Ds Veltroni viene considerato assai più potabile di Fassino. Mentre Anna Finocchiaro resta sullo sfondo, “difficile votarle contro”, dice un deputato, anche se si sussurra che gli amici di D’Alema non le abbiamo perdonato la collaborazione con Renzi e Boschi sulle riforme.
Sul fronte prodiano sembra ormai solo Pippo Civati. Ma se la quarta votazione dovesse fallire, tutti i giochi si riaprirebbero.
Per quanto riguarda le prime tre, dunque giovedì e venerdì, tra i bersaniani c’è anche chi insiste per “fare qualcosa”, “mandare un segnale a Renzi”, votando dunque un candidato di bandiera.
Bersani, interpellato direttamente, non conferma e allarga le mani: “Su questo non vi dico niente”.
Negli stessi minuti Renzi è in Transatlantico, circondato dai cronisti.
Vi incontrerete? “Vi assicuro che io non so niente, nessuno mi ha cercato”, dice Bersani.
I suoi assicurano che prima di sabato l’incontro ci sarà .
Prima però bisogna far passare il voto finale del Senato sull’Italicum, previsto per martedì pomeriggio.
Il pallottoliere prevede che saranno 25 i senatori della minoranza a non partecipare al voto finale sulla legge elettorale tanto cara al premier.
Numeri che rendono determinante Forza Italia.
“Dopo il voto sul Colle, il governo deve sottoporsi a una verifica in Parlamento perchè sull’Italicum c’è una nuova maggioranza”, avverte Zoggia all’assemblea dei deputati, il più duro dei bersaniani.
“Ma non c’è nessuna nuova maggioranza”, si affanna a ripetere Luigi Zanda.
Sarà un altro passaggio stretto, e forse gravido di conseguenze. Civati insiste su Prodi e ha mandato una lettera ufficiale alla segreteria Pd per proporlo al Colle.
Anche Sel è della partita. I ribelli aspettano i Cinque stelle.
Martedì mattina il direttorio a 5 incontrerà a Milano Grillo e Casaleggio. Prodi è un nome che tenta pezzi della truppa grillina, ci sarebbero altri 10 dissidenti tra Camera e Senato pronti a uscire a ad unirsi ai 25 già espulsi o fuoriusciti.
“Noi intendiamo scrivere Prodi dalla prima votazione”, insiste il capogruppo di Sel Scotto. I bersaniani, però, almeno per ora, si chiamano fuori dal patto “anti-Nazareno”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
“IL DIBATTITO ITALIANO E’ RIDICOLO, CON RENZI ALEXIS HA IN COMUNE SOLO L’ETA'”
“È tutto nuovo, è un nuovo capitolo della politica europea, non lo si può rinchiudere nei canoni
tradizionali”.
Non importa quante possibilità abbia Alexis Tsipras di sovvertire l’ordine continentale. Non importa nemmeno che si allei con una destra con tendenze xenofobe.
“Non è realpolitik”, perchè si sta parlando di “uno sconvolgimento degli schemi originari”, davanti ai quali questo tipo di obiezioni non tiene. Così come non tengono i paragoni con lo scenario italiano, con i Vendola e con i Renzi che tirano per la giacchetta il recente vincitore delle elezioni in Grecia: “Non vedo proprio come abbiano ragion d’essere, in cosa risieda il parallelo. Una questione generazionale? La prestanza fisica? Stiamo parlando di due cose radicalmente diverse”.
Fausto Bertinotti vede in Tsipras quella sinistra 2.0 che invano per decenni i movimenti di tutt’Europa, Italia compresa, hanno provato a costruire con esiti tutt’altro che trionfali.
Entriamo nel cuore del problema. Il primo atto del vincitore è stato quello di allearsi con il leader di un partito che molti osservatori descrivono come reazionario e xenofobo.
La fermo subito. Siamo davanti a un caso rispetto al quale le letture tradizionali devono essere dismesse. Quello che è accaduto ieri rappresenta un nuovo capitolo della politica europea, e i canoni tradizionali non servono ad altro che a portare fuori strada. Syriza è una vicenda del tutto inedita per la sinistra.
Perchè nuova?
Perchè i nuovi partiti di sinistra sono sempre nati su canoni conservativi. È sempre funzionato che una costola di un partito già esistente rompesse per difendere diritti acquisiti, per tutelare l’esistente. Anche la storia di Rifondazione comunista è stata questa, così come un po’ tutta la storia del Movimento Operaio. Syriza, come anche Podemos, sono frutto di una nuova stagione, sono movimenti nuovi e non costole, perchè là dove sono nati le sinistre storiche sono morte.
Le dimensioni del Pasok sono effettivamente ridottissime. Ma insisto: pur con tutti gli elementi di novità da lei evidenziati, Syriza si è comunque alleata con una destra che c’entra poco con la sua sia pur brevissima storia politica.
Sì, ma senza quel punto di partenza non se ne può discutere. Vede, è la prima volta che il populismo ha avuto uno sbocco a sinistra. Finora si è incanalato o in movimenti di destra, si veda Marine Le Pen, o in soggetti difficilmente inquadrabili, come quello di Beppe Grillo. Ma Tsipras è riuscito a incanalare a sinistra lo scontro sociale prevalente in questi anni, quello tra l’alto e il basso della collettività . Esclusi Nd e Pasok, forze tradizionalmente di governo, tutti gli altri competitor hanno battuto su questo tasto. Oggi Syriza, tra questi, è in posizione dominante, e sulla base di quello stabilisce le alleanze. Io mi fido di Tsipras, alla luce di quel che ha fatto finora, bisogna aspettare. E dargli credito.
Diciamo allora che è una strizzata d’occhio alla realpolitik, il tentativo di creare una coalizione che condivida alcuni punti fermi contro l’austerity europea.
Ma no, non c’entra la realpolitik. È una prosecuzione dello sconvolgimento degli schemi originari. Non si ragiona su un modello di vicinanze politiche. Sparigliano per rinnovare tutti i giochi, è tutto tranne che una dinamica inquadrabile nell’ordine conosciuto. Per la prima volta i greci non hanno votato per un governo, ma per un certo tipo di politiche. Si sceglie la politica, e la politica sceglie le alleanze. È la mossa del cavallo.
In Italia tutti tirano per la giacca Tsipras, dal Pd a Vendola, passando per Salvini. Ma cosa insegna il caso greco alla sinistra italiana?
Insegna solo a chi vuole imparare. Detto questo il dibattito italiano è ridicolo. Quel che si può dire è che Syriza ha dimostrato che se si vuol ricostruire la sinistra bisogna ricominciare daccapo. Serve una messa a disposizione di chi ci ha provato, che sia disposto a sacrificare tutto quel che è stato fatto in favore di un nuovo paradigma. La cosa straordinaria di Syriza è il suo essere insieme nuovo e antico. Si pensi a quanto ci sia nel suo programma di mutualismo di stampo ottocentesco. Lo stato sociale autogestito, la tutela delle famiglie, la preoccupazione per gli indigenti: tutti temi simili a quelli delle società di mutuo soccorso di fine ‘800. Contemporaneamente c’è il massimo dell’innovazione politica, comunicazionale, relazionale. Il tutto tenendo ferma la scelta di inquadrare il rapporto alto-basso come il rapporto cruciale nelle proprie scelte
I paragoni con Renzi si sprecano.
Francamente non capisco in cosa risieda il parallelo. Una questione generazionale? La prestanza fisica? Stiamo parlando di due cose radicalmente diverse. È vero però che dal risultato greco molti governi europei sperano di ottenere rendite di posizione.
Si spieghi.
Se Syriza riesce a rinegoziare il debito in patria apre la strada alla realizzazione del proprio programma, e in Europa la spiana a coloro che si sono mossi nel cercare di temperare le politiche di austerity, magari, da ultimo, sostenendo il tentativo di Mario Draghi. Insomma, i partiti socialisti in Europa potrebbero approfittarne.
Per ora sembra che la grancassa la suonino i populisti di destra, come la Le Pen e Salvini.
Come i socialisti sperano di acquistare margini nei confronti delle politiche della Germania, i populisti hanno in comune con Syriza questa centralità dello scontro sociale tra alto e basso. Certo, a dividerli ci sono i temi dell’immigrazione, più in generale della discriminazione sociale. Ma Syriza non si farà cooptare.
Lei si aspetta un tangibile cambiamento degli equilibri continentali? O è solo una suggestione mediatica?
Questa è un’Europa oligarchica, una costruzione antidemocratica che costruisce un modello economico e sociale funzionale al capitalismo finanziario. Gli unici spunti di politiche redistributive che si sono visti negli ultimi anni arrivano dal di là dell’oceano, da Obama. Per questo la partita è molto dura. Non basta quel che riuscirà a fare Syriza in Grecia, ma si dovrà vedere quello che faranno i movimenti di tutta l’Europa, se riusciranno a riaprire il conflitto sociale nel continente.
E in Italia?
In Italia le controriforme che stanno andando avanti chiudono il cerchio su un modello che spinge verso la governabilità . In Grecia ripartono dalla partecipazione. Ecco la differenza.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
MOSSA PRAGMATICA DEL PREMIER, MA SUL SOCIALE SYRIZA E ANEK SONO DIVISI SU TUTTO
PERCHà‰ TSIPRAS SI ALLEA CON LA DESTRA?
Con ogni probabilità perchè è l’unico modo per poter mantenere, se troverà i soldi, la sua promessa elettorale di varare subito un piano umanitario che ripristini alcuni diritti cancellati dalla Troika: tredicesima per i pensionati più poveri, stipendio minimo aumentato e aiuti per elettricità e abitazione oltre ai buoni pasto e al ripristino dell’assistenza sanitaria obbligatori per tutti (ora si perde dopo un anno di disoccupazione).
Gli indipendenti greci di Anel e Panos Kamennos – fieramente contro il memorandum e l’austerity – sono l’unico partner che gli consente di vararlo senza opposizione.
PERCHà‰ TSIPRAS NON SI ALLEA CON I COMUNISTI DEL KKE O IL POTAMI?
La storia della sinistra greca è segnata da decine di scissioni.
Syriza nasce da una costola del Kke. Ma proprio per questo le relazioni sono avvelenate da antichi rancori.
Non è escluso però che dopo i primi passi con Anel, Tsipras – cui tutti riconoscono grande cinismo e pragmatismo politico – possa cercare intese con loro.
Un’intesa con To Potami, che ha toni molto più morbidi sul memorandum e la Troika, avrebbe costretto Tsipras a un lungo negoziato con il partner di governo prima ancora che con i creditori.
E chi ha votato Syriza si aspetta subito provvedimenti che cambino la sua vita. Altrimenti il consenso, come è arrivato, se ne può andare.
COS’HANNO IN COMUNE ANEL E SYRIZA E COSA LI DIVIDE?
In comune hanno la posizione sulla Troika e qualche iniziativa sociale sul territorio, oltre all’asse che ha fatto saltare la nomina del presidente Stavros Dimas portando il paese alle elezioni.
Contro tutto il resto: su immigrazione, diritti civili, matrimoni omosessuali e rapporto Stato-Chiesa, solo per dare un’idea dei temi più caldi, siamo su pianeti opposti.
Anel del resto nasce da una scissione – verso destra – di Nea Demokratia.
Kamennos (che sogna da sempre di diventare ministro della difesa) garantisce però una copertura a Syriza con esercito e polizia.
Tema delicato in Grecia visto che la giunta dei Colonnelli è storia di solo quarant’anni fa.
COSA PENSA LA TROIKA DI QUEST’ASSE?
Probabilmente tutto il male possibile.
Ue, Bce e Fmi speravano in un governo di coalizione che annacquasse le richieste di Syriza.
Con Anel è successo l’esatto opposto.
Ettore Livini-
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
SONO SISTEMATICAMENTE IGNORATE DA CAMERA E SENATO…DAL 1979 AD OGGI SOLTANTO 3 DELLE 260 PRESENTATE SONO DIVENTATE LEGGE
Venerdì 28 novembre 2014 il parlamento di Helsinki ha approvato, con 105 voti favorevoli e 92
contrari, la legge su matrimoni e adozioni gay che entrerà in vigore da marzo 2017.
Una proposta di iniziativa popolare nata in rete che ha permesso alla Finlandia di diventare il dodicesimo paese in Europa e il ventesimo nel mondo dove le coppie dello stesso sesso possono sposarsi.
Nel nostro Paese, invece, le leggi di iniziativa popolare vengono perennemente ignorate dal Parlamento malgrado siano previste dall’articolo 71 della Costituzione.
Dal 1979 ad oggi, ha calcolato l’associazione Openpolis, soltanto 3 delle 260 presentate alle Camere sono diventate legge.
Appena l’1,15%. E tutte accorpate in testi unici con proposte di iniziativa parlamentare o governativa.
«È una cosa gravissima», afferma la giurista e costituzionalista Lorenza Carlassare. «Il popolo è sovrano e il fatto che le iniziative legislative non vengano prese in considerazione è inaccettabile».
IN NOME DELLA LEGGE
In generale, 137 dei 260 disegni di legge (il 53%) sono rimasti chiusi nei cassetti delle Camere.
Situazione frutto di una dinamica parlamentare lentamente scivolata verso un presidenzialismo di fatto: basti pensare che nella legislatura in corso solo lo 0,36% delle oltre 4 mila proposte presentate da deputati e senatori sono diventate legge.
Al resto ha pensato il governo a colpi di fiducia.
E’ il famoso “votificio” di cui si per ultimo si è lamentato l’altro giorno Nichi Vendola, leader di Sinistra ecologia libertà (Sel), un sistema distorto e nel quale le poche leggi che passano sono quelle dell’esecutivo.
In un contesto simile le leggi di iniziativa popolare non fanno eccezione: da marzo 2013 ad oggi, infatti, sono state depositate 32 proposte ma nessuna è arrivata al traguardo.
Gli unici due ddl che stanno procedendo nell’iter lo devono al loro accorpamento con proposte di altra natura.
Per questo il Movimento 5 stelle (M5s), con una lettera inviata il 20 novembre 2014 dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio alla presidente Laura Boldrini (vedere l’immagine in basso), ha chiesto una maggiore attenzione per le leggi di iniziativa popolare.
«Dall’inizio della legislatura, in qualità di componente della conferenza dei capigruppo, sto provando a chiedere alla Boldrini e ai gruppi parlamentari di mettere in discussione uno di questi ddl ogni tre mesi. Finora, nonostante le lettere ufficiali, non ho ricevuto risposta», spiega il vicepresidente Di Maio. «Prossimamente, comunque, il Movimento comincerà a calendarizzare le proposte di legge dei cittadini in modo che vengano finalmente prese in considerazione», conclude Di Maio. Ma di quali argomenti trattano le leggi messe a punto dai cittadini?
GIOCHI D’AZZARDO
Fra le proposte inviate al Parlamento ci sono quella di estendere, senza limiti di età , il diritto all’incremento delle pensioni degli invalidi civili e di tutelare i lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
Ma anche di abolire i giochi d’azzardo con fine di lucro.
Un’altra proposta riguarda i limiti massimi degli emolumenti dovuti ai top manager di società di capitali a titolo di retribuzione e di bonus e intende cancellare «i bonus all’uscita e tutte le altre forme di indennità comunque denominate, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni o per vendite, nonchè i contratti di consulenza da parte di società appartenenti allo stesso gruppo per il quale si esercita la funzione».
In un unico articolo, invece, la proposta di legge di iniziativa popolare presentata il 29 marzo 2012 prevede che «i parlamentari eletti al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, i consiglieri e gli assessori regionali, provinciali e comunali, i governatori delle regioni, i presidenti delle province, i sindaci, i funzionari nominati nelle aziende a partecipazione pubblica e soggetti equiparati non possono percepire, a titolo di stipendi, emolumenti, indennità , tenuto conto del costo della vita e del potere reale di acquisto nell’Unione europea, somme superiori alla media europea degli stipendi, emolumenti e indennità percepiti negli altri Paesi membri dell’Unione per incarichi equivalenti».
CI METTO UNA FIRMA
Un’altra proposta chiusa a chiave nei cassetti di Montecitorio e Palazzo Madama è quella dell’Associazione Luca Coscioni sulla liceità dell’eutanasia.
Presentata il 13 settembre 2013, non è mai stata nemmeno calendarizzata nelle commissioni competenti malgrado i richiami dell’ormai ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Ecco perchè, di recente, l’associazione ha pubblicato un video-appello nel quale 70 volti noti della cultura, del giornalismo e dello spettacolo, ma anche malati, medici e infermieri chiedono a deputati e senatori di iniziare a discuterne.
Stando a quanto rilevato da Eurispes nel “Rapporto Italia 2014” gli italiani favorevoli alla ‘dolce morte’ sono il 58,9%, più 8,8% rispetto al 2012.
Ma in Parlamento, forse, la notizia non è ancora arrivata.
Come se non bastasse, a rendere ancora più ripido il cammino delle leggi di iniziativa popolare ci si è messa la riforma costituzionale proposta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi, che ha portato il numero delle firme necessarie per la loro presentazione dalle attuali 50 mila a 150 mila.
In origine un emendamento firmato dai relatori Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega Nord) prevedeva l’innalzamento a 250 mila firme, poi, dopo le proteste di Fratelli d’Italia e M5s è stato fatto un parziale dietrofront.
UFFA, IL POPOLO
Quello di aumentare il numero di firme per la presentazione di leggi di iniziativa popolare d’altra parte non è esclusiva dell’ex sindaco di Firenze e del ministro per le Riforme.
Già all’inizio degli anni ’80, infatti, la commissione guidata dal liberale Aldo Bozzi propose di elevarne il numero portandole a 100 mila.
Non se ne fece nulla.
Anche nella relazione finale dei “saggi” nominati dall’ex capo dello Stato a marzo 2013 si sottolineava la necessità di aumentare il numero di sottoscrizioni richieste per la presentazione dei ddl di iniziativa popolare tenendo conto dell’aumento della popolazione rispetto al 1948.
Nella stessa sede, il gruppo di lavoro suggerì di fissare l’esame effettivo in aula entro tre mesi dal deposito della proposta. «L’iniziativa legislativa popolare realizza ed esprime la volontà dei cittadini di intervenire direttamente per l’esercizio di una funzione di governo», spiega Neliana Rodean, assegnista di ricerca in diritto costituzionale all’Università di Verona e autrice del libro “Iniziativa (legislativa) popolare”, ma «nell’assetto costituzionale italiano i parlamentari non hanno l’obbligo di ascoltare la voce del popolo».
Ecco perchè, aggiunge la Rodean, «questo strumento si esaurisce nella mera proposta di un progetto redatto in articoli senza tecniche decisionali finalizzate a riservare al popolo l’ultima parola».
Con buona pace della nostra Costituzione.
Giorgio Velardi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
PICCOLA RIPRESA DOPO IL SISMA MA 2014 DISATROSO
Il caseificio Albalat sta vivendo anni bui. Nel 2012 il suo magazzino fu distrutto dal terremoto. L’azienda modenese provò a rialzarsi, ma una notte di novembre del 2013 dovette fare i conti con un furto di 380 forme di Parmigiano reggiano.
Poi arrivò l’alluvione che portò nuovi guai. «Tutte le vie d’accesso erano bloccate. I camion non potevano partire. L’acqua era ovunque» ricorda Fabrizio Bigliardi, responsabile dell’area casearia di Albalat.
Viaggio nelle case del Parmigiano
Il 2014 doveva essere per tutti i produttori del Parmigiano reggiano l’anno della rinascita. È stato invece quello della più pesante crisi del settore.
Il simbolo della Food Valley emiliana non ha mai sofferto così tanto. Ha resistito al sisma del 2012, ma questa volta fatica a risalire la china.
Le immagini delle forme scaraventate per terra dalle scosse fecero il giro del mondo. La solidarietà via web alleviò il dramma dei produttori, che si misero subito al lavoro per tornare alla normalità .
Oggi, visitando i caseifici più colpiti, il colpo d’occhio è notevole: tutto è stato ricostruito a prova di terremoto.
Eppure da queste parti da molto tempo non si sorride più.
«Il Parmigiano reggiano oggi è venduto a poco più di 7 euro al chilo invece che a 9 euro – calcola Bigliardi -. Così è impossibile coprire i costi di produzione. C’è chi è attrezzato e tiene botta. I più piccoli soffrono»
L’azienda di Oriano Caretti di San Giovanni in Persiceto è una di queste.
Produce 15 mila forme all’anno contro le 34 mila di Albalat. Più di altre si ritrova esposta a una crisi originata da un calo di consumi tutto italiano.
Anche il prezzo del latte è sceso vertiginosamente. E poi, come se non bastasse, incide e parecchio l’embargo dell’Unione Europea nei confronti della Russia, paese che si è rivelato un ghiotto amante del più prestigioso formaggio made in Italy.
«È come tornare indietro di 20 anni», scuote la testa Bigliardi. Le aziende che fanno capo al consorzio del Parmigiano non sanno più che pesci pigliare.
L’idea di diminuire la produzione del 5% è sfumata. Tanti hanno detto di no pur di tenersi le mani libere. Albalat, ad esempio, ha scelto di aumentarla, la produzione.
L’obiettivo è rubare quote di mercato ai concorrenti. «Questa è una selezione naturale», ammette Bigliardi. I più piccoli, per sopravvivere, possono solo associarsi con i più grandi. Chi non ci sta, rischia di scomparire.
«Se continua così, però, non si salva nessuno. Di crisi cicliche il nostro settore ne ha viste tante, ma questa è devastante», prevede Caretti.
La sua è stata una delle aziende simbolo, una delle più martoriate dal terremoto del 20 e 29 maggio 2012.
«Abbiamo perso 5 milioni di euro. Aspettiamo i contributi dallo Stato che non abbiamo ancora visto ». Dopo un anno dal sisma, però, gli affari sono ricominciati a girare. «Vendevamo a 9, anche 11 euro al chilo, non come adesso. Dopo la tempesta, il sole era tornato a splendere».
Un solo anno di luce, in realtà , perchè nel 2014 i produttori sono entrati dentro a un nuovo tunnel.
«Con questa crisi economica alcune classi sociali hanno rinunciato a prodotti di pregio come il nostro. In questo modo non c’è spazio per nessuno – alza le mani Caretti –. Le grandi aziende proveranno a produrre di più e accaparrarsi quote di mercato, ma questo è cannibalismo».
L’unica soluzione, nell’attesa che in Italia i consumi riprendano a girare, è aumentare l’export. «Oggi su tre forme, una viene venduta all’estero. Non basta, dobbiamo fare di più, bisogna mirare a nuovi mercati prima che lì arrivino altri».
La Cappelletta è un’altra cooperativa che non ha avuto il tempo di asciugarsi le lacrime dal sisma.
«Ieri il nostro parmigiano era buono, ma il terremoto ce l’ha distrutto.
Anche oggi è buono, ma la gente non ha soldi da spendere» si dispera il responsabile Luciano Dotti.
Pure la sua azienda sta soffrendo molto questa fase. Eppure non gli passa dalla testa di produrre un formaggio più economico: «Perchè noi siamo quelli del parmigiano e continueremo a fare il parmigiano».
Fatto con latte buono e tanto orgoglio.
Beppe Persichella
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
LE FORZE ANTI-ISIS HANNO CONQUISTATO IL 90% DELLA CITTA’
Da questa mattina la bandiera dei curdi sventola sulla collina che domina Kobane, la città curdo-siriana
a ridosso della frontiera turca liberata dopo quattro mesi d’assedio da parte delle milizie jihadiste dello Stato islamico.
La notizia della liberazione di Kobane è stata data dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra.
L’Ong segnala sporadici combattimenti in due sobborghi, dove c’è una residua presenza dei jihadisti.
Gli attivisti hanno pubblicano su Twitter alcune foto della bandiera curda sulla collina di Kobane. In una di queste immagini, pubblicata da Askanew, si vede un combattente curdo issare la bandiera gialla con una stella rossa delle unità a difesa del popolo curdo (Ypg) che prende il posto di quella nera del califfato islamico, simbolo di mesi di assedio da parte degli islamisti.
La notizia della liberazione di Kobane sta rimbalzando su tutti i siti in lingua araba e curda.
I combattenti curdi, guidati da Mahmoud Barkhadan, sono avanzati sin nei sobborghi di Kani Erban e Maqtalah.
Le forze anti-Isis hanno conquistato il “90%” di Kobane, precisa l’Osservatorio, mentre i miliziani residui dell’Isis – tra i quali ci sarebbero molti minorenni – si sono asserragliati in due aree nella periferia orientale.
Da metà settembre a oggi, si stima vi siano stati oltre 1.600 morti nei combattimenti.
Circa l’80% dei raid della Coalizione si sono concentrati proprio sull’area di Kobane.
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Gennaio 26th, 2015 Riccardo Fucile
PANOS KAMMENOS GUIDA LA FORMAZIONE DEI “GRECI INDIPENDENTI” CONTRO L’ASTERITY
Dalle larghe intese con la troika a quelle con gli anti euro dell’Anel.
La Grecia volta pagina, e lo fa con un’alleanza a sorpresa.
A destra. Alexis Tsipras, leader di Syriza e vincitore delle elezioni elleniche, non ha deciso di includere nella coalizione di governo un partito di sinistra.
Al contrario il 41enne ingegnere che non giurerà più sulla Bibbia — prerogativa assoluta nella Grecia legata ancora a doppia mandata alla chiesa ortodossa — ha scelto “il Farage dell’Acropoli”, ovvero la formazione anti euro di Panos Kammenos.
Si chiamano Greci Indipendenti (Anel è acronimo di Anexarti Ellines) e sono una costola dei conservatori di Nea Dimokratia.
Popolari, religiosi e a forte vocazione sociale, gli Indipendenti sono stati in questi anni fieri avversari del memorandum della troika.
Si definiscono una “valvola di sicurezza” per la Grecia anche se i critici puntano il dito contro Kammenos per le sue frequenti accuse al neoliberismo, responsabile a suo giudizio di avere distrutto il Paese.
La rivoluzione di Tsipras passa quindi da una strategia diversa e spiazzante, rispetto a quanto pronosticato da media e politici fino alle elezioni. Ma che, in ogni caso, unisce in una coalizione di governo due forze fortemente contrarie all’austerity.
Formatosi a Lione e in Svizzera dove ha svolto gli studi universitari, Kammenos è deputato dal 1993 eletto sotto Nea Dimokratia.
Ha ricevuto la Medaglia d’Onore dal Patriarcato di Gerusalemme e la decorazione di Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito da parte del Presidente della Francia, Nicolas Sarkozy.
Nel 2007 anche un’esperienza di governo come vice ministro della marina mercantile nell’esecutivo conservatore di Kostas Karamanlis.
La rottura con il partito dell’ormai ex premier Samaras si deve al voto per il premier tecnico Lukas Papademos, “il Monti greco” sgradito a Kammenos e Tsipras.
E nel febbraio 2012 viene sospeso dal partito insieme ad altri 20 deputati, a causa del suo no al memorandum.
Di qui la scelta di fondare un nuovo movimento, conservatore e non socialista. E’finito nell’occhio del ciclone anche per il suo pamphlet “Il terrorismo, teoria e pratica“, in cui teorizzava la partecipazione di esponenti politici del Pasok all’organizzazione terroristica “17 novembre”.
Nel giugno del 2010 si era duramente scontrato con l’ex deputato Theodore Tsoukatou accusato di coinvolgimento nello scandalo Siemens, altra pietra dello scandalo della vecchia nomenklatura che Tsipras vuole combattere.
Kammenos aveva parlato apertamente di tangenti versate a più riprese ai socialisti del Pasok, ma sei mesi dopo fu lui ad essere coinvolto in un’indagine finanziaria finita in un nulla di fatto.
Ma Kammenos, che più volte ha definito “cavia” il suo Paese, si è speso anche in occasione dello scandalo sulla Lista Lagarde, l’elenco di illustri evasori ellenici recapitato dall’allora ministro dell’economia del governo Sarkozy ad Atene ma che i due ministri delle finanze greci, Papacostantinou e Venizelos, pensarono bene di non protocollare.
Nel gennaio 2013, in occasione di un animato dibattito parlamentare sulla lista, contenente duemila nomi di cittadini, imprenditori e politici che hanno portato in Svizzera circa 25 miliardi di euro, Kammenos fece mettere agli atti della speciale commissione di inchiesta un reportage del ilfattoquotidiano.it mentre altri suoi colleghi parlamentari nelle stesse ore minacciavano querele.
Francesco De Palo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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