QUIRINALE, CALMA APPARENTE NEL PD, MA LA MINORANZA VA PER CONTO PROPRIO
CIVATI PROPONE AL PD DI VOTARE PRODI, MA BERSANI FRENA
“Stare dentro il gioco del Quirinale”. “Evitare di finire in un angolo”. “Condizionare la scelta di Renzi”.
In estrema sintesi: limitare i danni.
Sono ore complicate per la minoranza Pd. Le parole al miele di Renzi in mattinata alla doppia riunione con deputati e senatori non lasciano troppo spazio al contrattacco. Tocca aspettare, prendere tempo.
E tentare di arrivare alla fine di questa partita con due obiettivi centrati: un nuovo Capo dello Stato “potabile”, avendo evitato che un eventuale replay del 2013 possa ritorcersi contro la Ditta ex Ds.
Con l’accusa inaccettabile per chi viene dalla loro cultura politica: quella di aver giocato allo sfascio. Un’accusa che Bersani e i suoi non potrebbero mai accettare. Proprio lui, quel Bersani che nel 2011 trangugiò il commissariamento di Monti, accettando di non andare a delle elezioni che avrebbe certamente vinto.
Dunque si aspetta la mossa di Renzi. Quel nome di secco che il premier dovrà fare tra giovedì e sabato, ma molto probabilmente a ridosso della quarta votazione, la prima col quorum abbassato a 505.
Per Bersani le ferite del 2013 non sono rimarginate. E infatti, con un amico, la sua opinione la dice per intero: “Non possiamo passare da un Capo dello Stato che sceglie i premier a un premier che sceglie il Capo dello Stato”.
È questa la linea Maginot di Pier Luigi.
Condizionare il premier, ottenere un presidente che “unisca in primo luogo il Pd e che sia autonomo dal governo”.
La parola d’ordine che Bersani lancia nei numerosi conciliaboli con i parlamentari a lui più vicini è “non possiamo essere noi a dividere il Pd, dobbiamo cercare un’intesa”.
Un refrain a cui in queste ultime ore si è unito anche il ribelle Stefano Fassina, che pochi giorni fa aveva definito Renzi “il capo dei 101”. “Lo vedete che a giorni alterni anche Fassina la dice giusta…”, sorride l’ex leader Pd entrando in ascensore alla Camera e bastonando bonariamente il suo pupillo.
Il quale, a domanda sul repentino cambio di atteggiamento, risponde: “Da Renzi è arrivato un impegno a cercare una soluzione unitaria sul Quirinale, non ci si può sottrarre”.
Per ora, in attesa di vedere come vanno le consultazioni al Nazareno previste per martedì, la minoranza sembra attestarsi sulla linea del segretario.
E dunque votare scheda bianca alle prime tre votazioni. Tra i bersaniani sembra perdere quota l’idea di votare Prodi insieme a Sel, ai civatiani e a pezzi del M5s.
Davide Zoggia il canale coi grillini l’ha lasciato aperto, e ancor più di lui Civati e il capogruppo di Sel Arturo Scotto.
Ma tra i bersaniani è una partita che non scalda i cuori, un amaro replay che porta brutti ricordi. Dunque si tratta con Renzi. In pubblico e in privato.
Durante le riunioni col premier, i parlamentari della minoranza hanno chiesto a più voci per il Quirinale “un politico del Pd” (Cesare Damiano).
E ancora, parola di Fassina, “un garante del’autonomia del Parlamento”. “
Uno capace di dire anche dei no al governo”, sintetizza Andrea Giorgis, costituzionalista e tra i più attivi della minoranza sul dossier delle riforme costituzionali.
“In questi mesi”, spiega ad Huffpost, “abbiamo cercato di correggere le riforme trovando dei contrappesi ai nuovi poteri del premier, e infatti abbiamo alzato a tre quinti il quorum per eleggere il Capo dello Stato”.
“In un sistema ipermaggioritario come quello che deriva dall’Italicum, al Colle serve un garante, un punto di equilibrio del sistema”, chiude Giorgis. “Anche in questa tornata noi voteremo una figura del genere”.
A microfoni spenti, nella minoranza vengono bocciati nomi tecnici come quelli del ministro Padoan o del governatore Visco.
E anche di ministri politici in carica come Gentiloni o Delrio.
Le maggiori simpatie vanno verso figure come Giuliano Amato o Sergio Mattarella, “certamente autonomi”.
Mentre tra gli ex Ds Veltroni viene considerato assai più potabile di Fassino. Mentre Anna Finocchiaro resta sullo sfondo, “difficile votarle contro”, dice un deputato, anche se si sussurra che gli amici di D’Alema non le abbiamo perdonato la collaborazione con Renzi e Boschi sulle riforme.
Sul fronte prodiano sembra ormai solo Pippo Civati. Ma se la quarta votazione dovesse fallire, tutti i giochi si riaprirebbero.
Per quanto riguarda le prime tre, dunque giovedì e venerdì, tra i bersaniani c’è anche chi insiste per “fare qualcosa”, “mandare un segnale a Renzi”, votando dunque un candidato di bandiera.
Bersani, interpellato direttamente, non conferma e allarga le mani: “Su questo non vi dico niente”.
Negli stessi minuti Renzi è in Transatlantico, circondato dai cronisti.
Vi incontrerete? “Vi assicuro che io non so niente, nessuno mi ha cercato”, dice Bersani.
I suoi assicurano che prima di sabato l’incontro ci sarà .
Prima però bisogna far passare il voto finale del Senato sull’Italicum, previsto per martedì pomeriggio.
Il pallottoliere prevede che saranno 25 i senatori della minoranza a non partecipare al voto finale sulla legge elettorale tanto cara al premier.
Numeri che rendono determinante Forza Italia.
“Dopo il voto sul Colle, il governo deve sottoporsi a una verifica in Parlamento perchè sull’Italicum c’è una nuova maggioranza”, avverte Zoggia all’assemblea dei deputati, il più duro dei bersaniani.
“Ma non c’è nessuna nuova maggioranza”, si affanna a ripetere Luigi Zanda.
Sarà un altro passaggio stretto, e forse gravido di conseguenze. Civati insiste su Prodi e ha mandato una lettera ufficiale alla segreteria Pd per proporlo al Colle.
Anche Sel è della partita. I ribelli aspettano i Cinque stelle.
Martedì mattina il direttorio a 5 incontrerà a Milano Grillo e Casaleggio. Prodi è un nome che tenta pezzi della truppa grillina, ci sarebbero altri 10 dissidenti tra Camera e Senato pronti a uscire a ad unirsi ai 25 già espulsi o fuoriusciti.
“Noi intendiamo scrivere Prodi dalla prima votazione”, insiste il capogruppo di Sel Scotto. I bersaniani, però, almeno per ora, si chiamano fuori dal patto “anti-Nazareno”.
(da “Huffingtonpost”)
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