Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
“IL RAGAZZO NON FA PRIGIONIERI, NON È COME D’ALEMA CHE ABBAIAVA SOLO. SE FORZA ITALIA NON SI RIMETTE IN RIGA BERLUSCONI È FINITO”…. PRONTO UN GRUPPO STAMPELLA PRO-GOVERNO
In momenti come questi, il silenzio vuol dire tante cose. Vendetta. Attesa. Godimento. Doppio gioco.
Denis Verdini è un po’ la sintesi di tutto questo. La rottura provvisoria del patto del Nazareno ha fatto accomodare lo sherpa renzusconiano su una sponda del fiume, aspettando il passaggio di vari cadaveri.
“Io adesso non mi muovo, mi godo la scena. Silvio non ha capito che questo qui non fa prigionieri, Matteo lo ammazza, non scherza, mica è D’Alema che abbaiava solamente. E siamo solo all’inizio”.
La Ricattopoli del Nazareno mette a nudo crudelmente il conflitto d’interessi di Berlusconi.
Il canone delle frequenze tv, il ritorno del falso in bilancio, il rebus angoscioso della Salvasilvio nella delega fiscale, finanche la riforma che bloccherebbe la prescrizione per il processo Lavitola a Napoli sulla compravendita dei senatori (il termine in commissione alla Camera è il 12 febbraio).
Il premier gioca durissimo e il fidato Verdini, fidato più per “Matteo” che per “Silvio”, si è preso “una pausa di riflessione”.
Godendosi lo spettacolo di queste ore.
“Silvio preferisce l’Albero delle zoccole? Faccia pure. Tanto fra una settimana sarà costretto a implorarmi in ginocchio per farmi tornare a trattare”.
L’ultimatum. Poi guerra all’”albero delle zoccole”
L’Albero delle zoccole è una vecchia parodia a luci rosse del film di Ermanno Olmi.
Tra gli amici di Verdini, e non solo, l’Albero delle zoccole è l’ultimo insultante sinonimo del cerchio magico che tiene prigioniero l’ex Cavaliere.
In primis: la fidanzata Francesca Pascale e la badante Mariarosaria Rossi, colei che vorrebbe cacciare il “duo tragico” formato da Verdini e Gianni Letta.
Ancora lo sfogo di “Denis” raccolto dai suoi fedelissimi: “Io aspetto una settimana, a patto però che quelle non mi attacchino più. Altrimenti non so come va a finire”. Verdini sarà pure in silenzio ma non è immobile. Dietro almeno quindici, se non venti, dei nuovi Scilipoti renziani al Senato c’è la sua manona: azzurri, alfaniani di Ncd, finti autonomisti del gruppo di Gal.
Incontri, telefonate, abboccamenti. Un’agenda piena, non vuota.
Lo sherpa toscano del Nazareno si è fatto addirittura prezioso per Silvio che ha sbattuto i piedi sul tavolo dopo lo choc per l’elezione di Mattarella al Quirinale.
Sì, è vero, l’altro giorno lui e Confalonieri si sono sentiti, ma poi Verdini ha rifiutato un invito a pranzo a Palazzo Grazioli.
Il cerchio magico cerca la rivincita
La lotta per il potere dentro e fuori Forza Italia non ha nulla di politico. E la visione verdiniana delle cose è molto semplice: per lui “Matteo” è molto più di un amico e perdere il carro del nuovo pigliatutto di Palazzo sarebbe letale.
Al contrario, l’accordo tradito sul Colle per Giuliano Amato, tradito da Renzi ovviamente, è stato una rivincita per il cerchio magico: la Rossi, la Pascale, Toti, Dudù, Romani, la Gelmini.
La guerra nucleare nel magico mondo berlusconiano ha poi una protagonista rimasta sinora nell’ombra. È la vera donna influente che sussurra all’orecchio di Berlusconi: la primogenita Marina.
Sarebbe lei, infatti, la mandante delle uscite della Rossi contro le colombe nazarene. Ancora una volta lo scontro investe la “roba” di famiglia più che la sostanza politica. Quando dieci giorni fa, l’ex Cavaliere riunì il suo gabinetto di guerra per decidere la linea su Mattarella fu proprio a Marina a dirgli di non porgere l’altra guancia: “Papà decidi tu, per me non ci sono problemi. Mattarella non può danneggiarci, se vuoi rompere fallo, io sarò con te in ogni caso”.
Prima della rottura le azioni vendute da Fedele
La posizione della primogenita, più volte invocata per la successione dinastica dell’anomalo centrodestra italico, è in aperto contrasto con il fronte nazareno del berlusconismo, composto da Gianni Letta, Fedele Confalonieri ed Ennio Doris di Mediolanum, oltre a Verdini naturalmente.
Doris, per esempio, ieri ha rilasciato un’intervista per ribadire che “il patto tra Silvio e il premier è una cosa buona per il Paese”. Un lapsus, certamente.
Doris avrebbe voluto dire “una cosa buona per Mediaset e Mediolanum”. Basta seguire il filo curioso di una notiziola pubblicata ieri dal Corsera nella pagina dei mercati finanziari.
Venerdì 30 gennaio, alla vigilia dell’elezione di Mattarella dopo lo strappo renziano, Confalonieri ha approfittato della fase buona di Mediaset in Borsa (più di 4 euro ad azione) e ha incassato 313.413 euro per 77mila azioni.
Un affarone, nel giorno in cui si intonava il provvisorio De Profundis per il Nazareno. Curioso, appunto.
Week end ad Arcore tra politica e affari
Da Verdini all’Albero delle zoccole, per finire a Marina e Confalonieri. Il punto di arrivo coincide con quello di partenza: cosa farà Berlusconi nei prossimi giorni, a partire dalle riforme costituzionali alla Camera, martedì ?
Le colombe volano bassissime. Berlusconi sembra arroccato su un inedito antirenzismo.
Motivazione: “Non mi fido più, Renzi è autoritario e pericoloso”. Intorno a lui tutti stanno a guardare e ad aspettare.
Ad Arcore sarà un fine-settimana di riflessione ma gli affari e la tutela del conflitto d’interessi non hanno i tempi della politica.
I soldi corrono molto più velocemente.
Il soldato Denis tornerà in servizio permanente?
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
“SCELTA CIVICA” DEVE CONTINUARE, ANDARSENE 48 ORE PRIMA DEL CONGRESSO E’ DI CATTIVO GUSTO”
«Trovo tutto questo, come dire?, di cattivo gusto»
Onorevole Alberto Bombassei, titolare della Brembo (sistemi frenanti), vicepresidente di Confindustria, dirigente di Scelta civica, il partito di Mario Monti: ce l’ha con gli otto colleghi che hanno scelto il Pd?
«Per me, una sorpresa totale. Con tutto il rispetto e l’amicizia, fare questa scelta quarantotto ore prima del congresso di Scelta civica! Ci sono rimasto male. Ma non sono gli unici fuori luogo».
Anche Matteo Renzi?
«Noi abbiamo appoggiato il suo governo in modo trasparente e lui l’altra sera in tv ha detto: “Non so se Scelta civica esiste ancora…”. Renzi ha un atteggiamento guascone, sprezzante nei confronti delle rappresentanze politiche minori. Delega ogni riforma a una “maggioranza bullesca”»
Perchè gli otto suoi colleghi hanno guardato verso il Partito democratico?
«Molti di loro sono politici di professione, spero non siano condizionati da uno spirito conservatore, anche della loro posizione. Li stimo e mi rifiuto di pensare che ci sia opportunismo».
All’interno del grande Pd conteranno più di adesso?
«Più ci si diluisce e meno si conta: è una legge della fisica».
Lei, invece, andrà domani al congresso di Scelta civica (ciò che ne resta)?
«Andrò al congresso. Non salto da un posto all’altro per mantenere la poltrona. E spero che domenica si decida di andare avanti con il progetto di Mario Monti : una casa comune per liberali, riformisti, cattolici e laici»
Nonostante i sondaggi che vi danno intorno all’1 per cento?
«Penso che dobbiamo rinegoziare la nostra presenza nella maggioranza di governo: nessuna obbedienza cieca a chi dice di schiacciare il bottone rosso o quello verde. Se questo non è possibile, ripensiamo pure tutto, a 74 anni non ho velleità di fare carriera politica»
Quali contenuti dovreste portare al governo?
«Il problema è la disoccupazione. Renzi ha fatto molto per il lavoro, ma se si vuole mantenere l’Italia un Paese industriale si deve ridurre il costo del lavoro e quello dell’energia, vanno defiscalizzate le nuove attività industriali»
Lei è anche favorevole al recupero della «concertazione» con Confindustria e sindacati?
«Renzi è il primo presidente del Consiglio deciso a sostenere cambiamenti senza il condizionamento nè di Confindustria nè del sindacato. Ma non riconoscere a questi organismi il ruolo di rappresentanza è un eccesso di opportunismo politico: genera risentimenti e rischia di lasciare macerie».
Lei restò molto colpito dal messaggio di Renzi a Letta: «Enrico stai sereno», poco prima di prenderne il posto a Palazzo Chigi.
«I vertici di Scelta civica avevano da poco rinnovato la fiducia a Enrico Letta… Nel nostro mondo, non politico, questo comportamento non è ben considerato. Scrissi a Letta una lettera di scuse».
Ci sono errori che lei può imputare a Monti?
«Ha scelto l’impopolarità nel nome del bene del Paese. Monti non aveva il fisico, lo stomaco per digerire critiche ingiuste che nell’altro mondo, quello dell’economia e dell’impresa, non sono così comuni».
L’alleanza con Luca Cordero di Montezemolo è presto finita.
«Montezemolo rappresentava un pezzo di Paese importante, era appena stato un buon presidente di Confindustria. Certo, al momento di candidarsi, fece un passo indietro…».
La storia di Scelta civica è il fallimento dell’impegno della società civile in politica?
«In qualche modo io mi sento respinto dal mondo politico. Non ci si improvvisa politici, ma i politici non possono improvvisarsi finanzieri o economisti: si poteva e si doveva fare squadra in modo equilibrato».
Lei è stato uno dei finanziatori di Scelta civica. Che cifra ha investito? È pentito?
«Non ho impegnato cifre trascendentali, sono restato al livello di altri imprenditori. No, non sono pentito, credevo nel progetto».
Non è stato molto presente in Parlamento, intorno al 30 per cento delle sedute.
«Cerco di esserci quando mi sembra utile. E quando ci sono sto attento, mentre la maggioranza dei deputati fa i fatti suoi al computer. Potrebbe essere più efficiente il lavoro là dentro, grandi sono le perdite di tempo».
Andrea Garibaldi
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
NON PRODUSSE MAI QUELL’EQUITA’ E CRESCITA CHE AVEVA PROMESSO, MA CON LUI L’ITALIA RITROVO’ UN POSTO NEL MONDO E CI LIBERO’ DELLA NARRAZIONE MORALE DEL BUNGA BUNGA
Entra nel Pantheon italiano dei magnifici fallimenti o, se preferite, degli sconfitti vincenti il senatore a vita Mario Monti.
Abbandonato da tutti i parlamentari di Scelta Civica torna nel suo ruolo naturale di cavaliere solitario.
E scatena i soliti bulletti, non solo del twitter, che si sentono spiritosi chiamando “Sciolta civica” il suo dissolto partito.
Si accaniscono sul vinto e irridono quel suo famoso loden – lo stile della dignità – al quale invece l’Italia smemorata deve molto.
Monti le ha infatti impedito di cadere più in basso della Grecia, che non aveva la dannazione morale del bunga bunga. E il paese si innamorò del suo loden, non per servilismo, ma perchè non ne poteva più del doppiopetto di Caraceni sopra il girocollo nero.
E accettò anche il rigore commosso ma super accademico della ministra Fornero per disgusto del folclore e della tavernetta che mettevano in scena Tremonti, Sacconi e Brunetta dandosi a vicenda del cretino.
Abituati a tutte le rovine, non ci scandalizziamo certo del piccolo Olimpo di deità minori, da Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua Buitoni a Pietro Ichino, da Andrea Romano a Irene Tinagli, da Gianluca Susta a Linda Lanzillotta a Stefania Giannini che, cambiando cavallo, danno un tocco in più di malinconica grandezza al tramonto di un leader che cade senza far rumore.
Entra nell’aristocrazia dei perdenti un altro di quelli che «non ha portato all’incasso il biglietto vincente della lotteria», e vuol dire che ha rifiutato la fortuna, non ci ha saputo fare con il potere, al punto da farsi imprigionare – ricordate? – da Pieferdinando Casini che lo trattava come già aveva trattato il suo maestro Forlani. Casini vestì di doroteismo la famosa sobrietà di Monti, ne fece un “Forlani international” con le competenze di economia che nella vecchia Dc erano limitate al parastato.
Lo convinse infine che un suo partito avrebbe conquistato la maggioranza assoluta. Ingenuità ? Vanità ? Ambizione?
Si sa che il potere sornione modella i caratteri. Caricato di crisma e carisma anche dal Vaticano di allora, dai soliti sognatori di una destra liberale e dai vedovi della Democrazia cristiana, pensò davvero di riparare i torti che la Politica aveva subito e restituirle l’onore, cacciare la casta dal tempio, erigere fortezze alla virtù.
Povero Monti, la “volpe e il lione” hanno imbrogliato e divorato pure lui.
Adesso che è finita, neppure un tremolio di Borsa ha salutato la sua ritrovata solitudine, ed è vero che è ormai abbastanza forte la solidarietà dell’economia e dei partner internazionali ma è anche vero che persino i mercati sanno che Monti ha stropicciato da sè il suo bel loden.
Nè lo spread ha vibrato per il disastro della sua personale ingegneria partitica. E forse tutto cominciò quando anche lui si consegnò ai ruffianesimi che Bruno Vespa riserva a tutti i potenti.
Prima volava solo da Lilli Gruber, che è il massimo dello chic e della sobrietà , soprattutto in collegamento da qualche posto misterioso ma autorevole.
Poi si dissipò nel frequentare tutti gli studi televisivi, perdendovi ogni volta un po’ di stile. E in campagna elettorale si mise addirittura a inseguire Berlusconi: da Vespa promise di abbassare le tasse, dalla Bignardi prese in braccio un cagnolino che chiamò Empy …
Così il loden risultò sempre più goffo e nessuno credette più al suo «obbedisco per spirito di servizio». Come gli altri tecnici, saggi, professori ed esperti italiani anche lui si era fatto contagiare dalla televisione come da un’infezione:
Monti non era come l’Italia aveva immaginato Monti.
E tuttavia rimane vero che quando volava in alto l’Italia attaccò a quelle ali le sue ultime speranze, le sue residue ambizioni, la voglia di ripartire verso nuovi approdi. Monti arrivò al capezzale dell’Italia con lo spread che, avendo superato quota 500, era un termometro impazzito e ogni giorno qualche agenzia di rating ci declassava e i commentatori internazionali temevano il contagio ma ridevano del nostro collasso: non ci concedevano neppure la pietà .
Ebbene, Monti fu individuato proprio perchè, come diceva Guido Carli «i mercati hanno una veduta di breve periodo e sono sensibili all’autorevolezza personale di alcune figure» e «per un governo la fiducia è tutto».
E infatti l’Italia con lui ritrovò un posto nel mondo, si liberò di quella nuvola di sudicio che non rimandava più al valore latino della seduzione ma al disvalore dell’impotenza depravata.
Fu questo la famosa sobrietà di Monti: la rivincita della grammatica, della buona educazione, del gusto misurato, della competenza, delle lingue straniere parlate con proprietà , e soprattutto del rigore.
Ma non produsse mai quell’equità e quella crescita che pure il rettore della Bocconi aveva promesso.
Non so se ora che ha consumato tutto, tranne lo scranno solitario da senatore a vita, Monti si senta liberato innanzitutto da se stesso o se invece pensi ancora di essere stato derubato della sua vittoria.
«Non è vero che mi hanno lasciato, io ero uscito già prima di loro» ha detto ieri sera negando l’evidenza dell’abbandono e recitando una solitudine scelta e non subita. Sicuramente mentre si autoesilia «in quel popoloso deserto che chiamano Senato» non merita la derisione ma l’onore delle armi e forse la più bella aria d’addio per un perdente, quella di Mozart: «Soave sia il vento» che se lo porta via.
Francesco Merlo
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
HA DISDETTO IL PATTO DEL NAZARENO E ORA PUO’ COSTARE A SILVIO PIU’ DI VERONICA LARIO
In attesa di cambiare verso all’Italia (e anche all’Europa, figuriamoci), Matteo Renzi sta cambiando verso
al principio di non contraddizione.
“Visto che nel Patto del Nazareno c’erano solo la riforma elettorale e costituzionale?”, cinguetta da qualche giorno dopo aver fatto eleggere dall’apposito Parlamento un “presidente condiviso” fra sè e sè.
E sguinzaglia i renzini ma soprattutto le renzine in tutti i talk show a ripetere il mantra: visto che il Patto del Nazareno come l’han raccontato i gufi non esisteva? Seguendo la logica aristotelica, è un po’ come se il maresciallo Badoglio, quando il 13 ottobre 1943 dichiarò guerra alla Germania, nostra alleata fino a un minuto prima, avesse aggiunto con aria di sfida: “Visto che il Patto Roma-Berlino-Tokyo era un’invenzione dei crucchi e dei musi gialli?”.
O come se Buffon, quando ha ufficializzato il legame con la D’Amico, avesse dichiarato: “Visto che le mie nozze con Alena Seredova erano solo un gossip dei giornali antijuventini?”.
Siccome carta canta, il Fatto aveva pubblicato un’inchiesta a puntate di Fabrizio d’Esposito su quel misterioso incunabolo chiamato Patto del Nazareno, che sia Renzi sia il portavoce forzista Toti assicuravano esistere in forma scritta e sottoscritta dai due contraenti, R&B.
Ascoltando varie fonti, mai smentite, ne aveva ricostruito non il testo (più segreto del papello di Riina), ma il contenuto.
In sintesi, oltre all’Italicum e al Senato dei nominati: protezione degli interessi Mediaset, riforme condivise della giustizia e al Quirinale tutti tranne Prodi (TTP). Un Patto non fra il Pd e FI, che anzi servono come portatori d’acqua e donatori di sangue.
Ma fra Renzi e B., unici contraenti e beneficiari.
Finora è stato scrupolosamente rispettato: Mediaset non ha avuto nulla da temere, anzi molto da guadagnare; le riforme della giustizia, più che condivise (taglio delle ferie ai giudici), erano addirittura copiate da quelle di B.(falso in bilancio) quando non peggiorate (condono fiscale sotto il 3% dell’imponibile e altre soglie di impunità ); Prodi, per il Colle, non è stato neppure considerato (a parte Civati e, sia pure al secondo posto dopo Imposimato, gli iscritti 5Stelle).
Mattarella non era nella black list di B., che anzi a fine 2014 aveva fatto sapere di essere disposto a votarlo se solo Renzi gliel’avesse chiesto.
Invece, per ricompattare il Pd, l’ha fatto annunciare dal vice Guerini (“si parte con Mattarella e si arriva con Mattarella”) alle 22 del 28 gennaio, alla vigilia del primo scrutinio e dell’incontro decisivo col Caimano.
Una tagliata di faccia che B. avrebbe pure potuto incassare in cambio di ben altri incassi. Ma il suo partito già in ebollizione no.
Sulle prime B. ha fatto la faccia feroce, minacciando di non concedere nemmeno un voto dei suoi a Mattarella: “Usciremo tutti dall’aula al quarto scrutinio”.
Poi ha ripiegato sulla via mediana della scheda bianca. Così erano tutti contenti: quelli che nel segreto dell’urna volevano votare Mattarella (un centinaio fra alfanidi, fittiani, verdiniani, poltronisti e collaborazionisti vari) e quelli che non volevano votarlo. Tutto è finito a tarallucci e vino con la telefonata del Caimano al neopresidente che l’ha invitato al suo insediamento al Quirinale.
Ora FI è in pezzi e B. non sa che pesci pigliare.
E Renzi in poche ore gli fa il quadro completo di quel che potrebbe capitargli in caso di separazione: 50 milioni in più da pagare sulle frequenze, falso in bilancio con soglie basse e procedibilità d’ufficio, niente frode nel condono e nuova maggioranza con un’imbarcata di scilipoti sfusi che lo trasformerebbe in un pelo superfluo della politica.
Una causa di divorzio da far impallidire quella con Veronica (semprechè Renzi non dica che le nozze fra Silvio e Veronica erano un’invenzione dei gufi e dei rosiconi).
Ps. Mercoledì paventavo i primi segni di rincoglionimento da direzione. Il primo è già arrivato: non ho ringraziato uno dei direttori più preziosi della mia carriera, Paolo Flores d’Arcais. Però me ne sono accorto da solo, quindi per chiamare l’ambulanza aspettate un altro po’.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
LA FIEREZZA DI UN POPOLO E LA MOLLEZZA DELL’EUROPA
Sono rimasto colpito dalla fierezza con cui il popolo giordano ha reagito all’esecuzione del pilota arso vivo dai boia del Califfato.
Le immagini delle manifestazioni di piazza catturano gesti composti e sguardi asciutti, rivolti verso un punto lontano.
Nel comportamento dei familiari, dei soldati e dei civili non si respira isteria, ma una rabbia fredda che si appoggia a una terribile volontà .
Talvolta il desiderio di vendetta sa sprigionare una forza ammaliante.
Persino il piccolo re, finora conosciuto soprattutto per essere il marito della regina, appare trasfigurato e pronto alla pugna come un antico cavaliere.
Guardando quei volti e quegli occhi ci si accorge di quanto l’Europa sia ormai lontana dal frequentare certe pulsioni.
Settant’anni di pace ininterrotta l’hanno trasformata, per fortuna e per sempre, in qualcosa di diverso. Di più molle, forse, ma di più evoluto.
Non è disposta a morire e a dare la morte, nemmeno per opporsi a una banda di fanatici che intende sterminarla.
La ragione viene in soccorso, rammentando quanti vasi di Pandora gli americani hanno scoperchiato negli ultimi anni in Medio Oriente con la loro smania di menare le mani.
Alla furia giordana gli europei sentono di potere offrire un supporto morale, logistico e (con moderazione) economico.
Qualche aereo, ma neanche un uomo.
Assistono alla guerra dichiarata dall’Isis al resto del mondo come gli spettatori di un film.
Consapevoli — è successo a Parigi giusto un mese fa — che in ogni momento il cattivo può uscire dallo schermo e puntare l’arma contro la platea.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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