Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
MINACCE E INSULTI AI GIORNALISTI, ASSALTO ALLA SEDE DELLA AUTHORITY, INTIMIDAZIONI AGLI AUTISTI DI UBER, BLOCCHI STRADALI: LA GIUSTIZIA SI AMMINISTRA NEI TRIBUNALI, NON IN PIAZZA
“Non puoi parlare con lui, ci sono i nostri portavoce”. 
Due parole, una spinta e il quaderno dove Thomas Ponte, giornalista di ‘Cronaca Qui’, viene sequestrato da un tassista.
Gli appunti del cronista passano di mano e arrivano al servizio d’ordine della manifestazione nazionale organizzata a Torino dai tassisti contro Uber.
Il quaderno viene restituito a Ponte, ma due tassisti gli intimano “andiamo a controllare cosa scrivi”.
Subito dopo il servizio d’ordine si avvicina al tassista colpevole di aver parlato con la stampa, senza l’autorizzazione dei portavoce: “Te ne devi andare”.
Appena le telecamere de ilfattoquotidiano.it hanno chiesto cosa fosse successo la scena si ripete.
Spintoni e intimidazioni “non fotografare nulla”.
E’ questo il clima che si respira da tempo alle manifestazioni dei taxisti in Italia: aggressioni a giornalisti, insulti e minacce ai collaboratori di Uber, oggi anche l’assalto alla sede dell’Authority a Torino.
La foto che pubblichiamo si addice più a dei black bloc che a dei taxisti, così come i blocchi stradali a Genova di pochi giorni fa.
Non entriamo nel merito della vicenda che li contrappone a Uber, in democrazia esistono i tribunali per stabilire chi ha ragione e chi ha torto.
Soprattutto in democrazia non si minaccia e non si dà della puttana a una ragazza di 31 anni che ha il solo torto di essere la titolare della Uber.
Non esistono zone franche o teppisti con l’immunità da taxi giallo che possono assaltare sedi istituzionali o minacciare la libertà di stampa.
Sarebbe ora che qualcuno, al Ministero degli Interni, ne prendesse nota.
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
EMARGINATI I “MEDIATORI” ROMANI E VERDINI
Nell’assenza c’è il dissenso. Perchè è vero che Renato Brunetta ha richiesto un incontro al Quirinale per una questione che riguarda la Camera.
Ma l’assenza al Colle di Paolo Romani, il capogruppo al Senato, è un segnale tutto politico. Non era mai successo che un capogruppo facesse “delegazione” da solo.
E non era mai successo che chi parla con un leone come Denis Verdini lo descriva come “depresso” in questi giorni.
È l’ora del disagio dei mediatori, anche di quelli che si sono fatti la guerra per mediare, come talvolta è successo tra Romani e Verdini.
Perchè la pancia di Berlusconi dice Brunetta. E dice Sallusti, che ha ricominciato a usare la penna come una clava.
E poi c’è Mediaset, che picchia duro non solo nei tg, ma anche nelle trasmissioni per famiglie. Ecco, il disagio diventa sinonimo di paura per l’escalation.
Perchè da Renzi, di fronte all’escalation berlusconiana, non arrivano segnali di pace, anzi.
Ad Arcore non è stato affatto letto come un segnale di apertura l’assenza, nel milleproroghe, dell’emendamento sulle frequenze perchè “il governo — spiegano gli alti in grado di Forza Italia — ha spinto fino alla fine”, ma non è stato ammesso perchè era “tecnicamente inammissibile”.
Ed è tale l’allerta che chi si occupa di affari dell’Impero sta già usando la lente per vedere se qualche “vendetta” sarà inserita nell’investiment compact, un altro provvedimento enorme dove potrebbe spuntare qualche norma sulle tv.
Ma l’escalation, al netto dei singoli segnali su questo e quel provvedimento, si chiama “Rai”.
Le prossime settimane saranno chiave perchè Renzi ha fatto sapere la questione del sistema radiotelevisivo non è un tema tecnico ma politico.
Che il premier sta gestendo personalmente, coordinando il lavoro di tecnici e politici.
È fine marzo la dead line per una grande riforma che, di fatto, rompa la grande pax televisiva degli ultimi decenni.
I renziani ortodossi da giorni, dopo la sedute fiume alla Camera con risse notturne, invitano l’ex premier a tornare al tavolo.
Ed è un segnale colto a Mediaset, che la scorsa settimana ha venduto azioni per fare cassa.
Una sorta di messa in sicurezza gestita da Fedele Confalonieri, che il primo teorico di un rapporto non ostile col governo sia in chiave dismissione dell’Impero sia in chiave di accordi futuri di Mediaset con altri players.
Si capisce così perchè Romani, l’uomo chiave nel rapporto con l’azienda, non salga al Colle col vulcanico Brunetta.
E perchè le colombe non usino le parole d’ordine del capogruppo: “bullo” (a Renzi), “colpo di Stato” (le riforme), “colpo di Stato al quadrato” (riforme e legge elettorale).
E poco importa che al Quirinale Brunetta tutto abbia fatto fuorchè l’incendiario. Anzi ha usato l’appuntamento per “ricucire” lo strappo di Berlusconi verso Mattarella, assicurando che l’ex premier lo stima e che il voto di astensione non è un segnale ostile.
È l’intero impianto politico che rischia di alimentare l’escalation.
Berlusconi picchia coi media. Berlusconi prende contatti con la sinistra del Pd per tentare di far saltare il tavolo sulla legge elettorale.
E Renzi si appresta a mettere mano alle tv. E c’è una data che in parecchi, a partire da Gianni Letta, hanno cerchiato in rosso sul calendario.
Il 9 marzo, giorno in cui Berlusconi terminerà in servizi sociali e tornerà libero. È segnata in rosso non solo perchè in quel giorno va stappato il migliore champagne della cantina, ma perchè a quel giorno sono legate paure relative all’indole dell’uomo: “Berlusconi — racconta chi ci ha parlato — pensa di essere ancora come dieci anni fa ed è stato così compresso quest’anno che ha voglia di esplodere: vuole parlare, girare, attaccare. Su questa linea estremista rischia di farsi male”.
Perchè non è quello di dieci anni fa. Non è quello di dieci anni fa il Milan, di cui, al netto delle smentite sta valutando di vendere una quota.
Non è quella di dieci anni fa Mediaset che Confalonieri sta mettendo in sicurezza.
E a Milano i processi non sono finiti. C’è il Ruby ter, quello sulla corruzione dei testimoni.
Dalle indagini e dalle perquisizioni sembrerebbe che l’ex premier continui a pagare le olgettine. “Si fa male” ripetono le colombe.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA LA VILLETTA ABUSIVA DI CARDAMURO FU ABBATTUTA DOPO BLOCCHI STRADALI E SCONTRI CON LE FORZE DELL’ORDINE
Nel dicembre 2011 duemila persone scesero in piazza a Bacoli (Napoli) per protestare contro
l’arrivo delle ruspe che avrebbero dovuto abbattere due villette abusive: blocchi stradali, scontri con le forze dell’ordine, arresti.
La rivolta non sortì l’effetto sperato e pochi giorni dopo le case destinatarie dei provvedimenti di demolizione furono rase al suolo.
Finì giù anche l’abitazione di Raffaele Cardamuro, l’attivista appena nominato responsabile del “dipartimento emergenza abitativa del coordinamento provinciale napoletano di Forza Italia”.
Lo ha annunciato in una nota il coordinatore provinciale degli azzurri Antonio Pentangelo: “Con questa nomina rilanciamo in provincia di Napoli un tema particolarmente sentito e delicato potendo contare anche e soprattutto sull’esperienza maturata sul campo da Raffaele di cui è noto il forte impegno. Siamo certi che malgrado le difficoltà di contesto di una regione fortemente penalizzata sul fronte del condono edilizio, Raffaele saprà affrontare utilmente temi così pregnanti come quelli dell’emergenza casa, dell’abusivismo di necessità , e relative demolizioni, battaglie di sempre del nostro partito per il riconoscimento di uno dei diritti fondamentali del cittadino, il diritto alla casa”.
Nulla di nuovo sotto il sole.
La posizione di Forza Italia sul tema è nota.
Si avvicinano le elezioni in Campania e bisogna blandire il popolo degli abusivisti “di necessità ” (ma non solo), terrorizzato dalle 67.000 sentenze di demolizione (dato del 2013) e dalle altre 200.000 circa in arrivo.
Ricordiamo le parole di Mara Carfagna a Sant’Antonio Abate (Napoli) poco prima delle regionali del 2010: “Non siamo così folli da pensare di avere il minimo interesse ad abbattere anche soltanto un balcone di questi edifici. Quindi lasciateci lavorare, abbiate fiducia in noi, l’unica speranza è quella di arrivare al governo regionale e poi il governo regionale si assumerà la responsabilità di non demolire un pilastro soltanto di questi edifici”.
Cinque anni di governo della Campania hanno prodotto solo una farraginosa delibera di riapertura dei termini del condono edilizio ’85 e ’94.
E’ rimasto inapplicabile il condono Berlusconi del 2003, bloccato da una legge regionale di Antonio Bassolino che di fatto lo ha reso impossibile in Campania.
Il parlamentare azzurro Carlo Sarro ha provato in tutti i modi a forzare il blocco: sedici tentativi nella legislatura 2008-2013, tra disegni di legge ed emendamenti infilati qua e là : “Chiediamo solo l’applicazione di un diritto ingiustamente negato in Campania, per salvare gli abusi di necessità ”.
Ma non c’è stato niente da fare.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
MA RENZI NON APPOGGIO’ LA RICHIESTA PER IL SOLITO TIMORE CHE POTESSE FARGLI OMBRA
Il governo italiano vorrebbe spendere il nome di Romano Prodi per la crisi della Libia. Prodi, esperto di questioni internazionali specialmente legate al continente africano, potrebbe affiancare il mediatore in carica delle Nazioni Unite, Bernardino Lèon.
Scrive il Corriere della Sera:
L’insoddisfazione italiana per l’operato del diplomatico spagnolo è apparsa più che evidente nelle dichiarazioni del premier Matteo Renzi, il quale ha definito “insufficiente” l’azione dell’Onu e chiesto esplicitamente alsegretario generale Ban-Ki-Moon di “raddoppiare gli sforzi” per costringere le due principali fazioni libiche, quella più laica di Tobruk e quella islamica di Tripoli, a forgiare un embrione di intesa politica.
Prodi risulta il nome migliore anche perchè “la scorsa estate furono proprio le fazioni libiche a indicarlo come mediatore gradito e ascoltato”.
La scelta del Palazzo di Vetro cadde invece su Lèon, probabilmente (ma non solo) anche a causa del mancato appoggio del governo Renzu alla candidatura dell’ex premier, che non ha mai nascosto la sua delusione.
Ma dopo mesi di gelo, tra i due ora è tornato il sereno.
E Renzi sembra essere persuaso che proprio Prodi possa essere il game-changer della vicenda libica.
Il Sole24 ore ricorda che nel 2011, “due mesi prima della caduta di Gheddafi”, l’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, in una missiva confindenziale al segretario generale delle Nazioni Unite invitò l’Onu “a fare dei passi urgenti per facilitare il passaggio della Libia e la fine della guerra civile, per salvare la Libia dalle violenze”.
Nella lettera, Mbeki suggerisce a Ban Ki-Moon di nominare Prodi mediatore internazionale sotto la bandiera dell’Onu.
Il professore, scrive il successore di Mandela senza troppi giri di parole, è la persona giusta “perchè conosce i principali attori coinvolti nella crisi di Tripoli e Bengasi. Perchè conosce i leader delle principali tribù, che hanno fiducia in lui. Perchè conosce da vicino la situazione libica, di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente dell’Unione europea”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
LE TRUPPE DI MISURATA SI RIPRENDONO LA CITTA’ A DIMOSTRAZIONE CHE IN ITALIA SI STA ENFATIZZANDO LA VICENDA PER FINI POLITICI
Hanno ripreso il controllo di Sirte, sottraendo la città a un Califfato che in Libia si muove da est a
ovest.
Mentre il caos esploso nel Paese del nord Africa agita le diplomazie internazionali, le brigate di Misurata (che sostengono il governo ‘parallelo’ di Tripoli) hanno liberato la città in cui nacque Gheddafi togliendola ai jihadisti dell’Is: in poche ore di combattimenti.
Il battaglione 166 dell’esercito proveniente dal centro che si affaccia sul Mediterraneo e che si trova proprio a metà strada fra Sirte e Tripoli è riuscito ad avanzare nel pomeriggio e a circondare completamente l’abitato.
Dopo essere entrati in molti quartieri, gli uomini di Misurata hanno ripreso le postazioni (le radio, l’ufficio postale, gli ospedali) che erano state occupate dai combattenti dello Stato islamico.
Il timore, tuttavia, è che ci possano essere ancora svariati kamikaze rintanati e pronti ad agire all’interno dei palazzi.
Intanto, l’ira egiziana esplosa dopo la decapitazione dei 21 cristiano-copti da parte dell’Is (fra i boia forse anche una donna) ha spinto il governo del Cairo a lanciare una consistente offensiva aerea contro le postazioni del califfato in Libia, offensiva che procede anche in queste ore ed è destinata a continuare dopo la notizia, diffuda dal Lybia Herald, del rapimento di altri 35 egiziani (in prevalenza contadini) prelevati in diverse aree dalla Libia dai miliziani dell’Is o da gruppi legati allo Stato islamico.
E si fa sempre più strada l’ipotesi di un intervento nel Paese nordafricano sotto l’egida dell’Onu.
Mentre in Italia qualcuno ha interesse per fini politici a drammatizzare il problema e a far balenare un’invasione di 200.000 profughi, sarebbe bene rivelare che le forze dell’Isis in Libia sono minime
Secondo la Rivista Italiana Difesa ad oggi i combattenti dell’Is sono fra i 2000 e 3000.
Non solo: si tratta in gran parte di miliziani jihadisti che hanno cambiato bandiera e che appartenevano per esempio ad Ansar Al Sharia e che poi hanno scelto di passare con il “Califfo”.
L’unico grosso contingente rientrato dalla Siria sarebbe il “Battaglione Bitar”, un gruppo di 500 miliziani schierati in precedenza a Mosul e Deir Ezzor.
Adesso sono a Derna, la loro capitale.
Sarebbe sufficiente attaccare Derna a renderli inoffensivi.
Il vero problema è mettere intorno a un tavolo i due governi libici che si sono autoproclamati tali e le 140 tribù in cui è diviso il Paese.
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
CONCESSI CREDITI CON DISINVOLTURA E FALSA RAPPRESENTAZIONE DELLA SITUAZIONE ECONOMICA DEL GRUPPO
Nuovo scandalo in arrivo per le banche popolari.
Questa volta nella roccaforte del credito cooperativo, il nord est, dove martedì la Guardia di Finanza ha perquisito la sede legale e amministrativa di Veneto Banca, oltre alle case di alcuni dirigenti e di 16 azionisti dell’istituto di Montebelluna.
Contestualmente al blitz delle Fiamme Gialle, è emerso che l’ex presidente dell’istituto, Trinca e l’ex amministratore delegato, tuttora direttore generale della banca, Vincenzo Consoli, sono indagati dalla Procura di Roma per ostacolo all’attività dell’autorità di vigilanza.
Le indagini, come del resto buona parte di quelle in corso su altre banche popolari, dall’Etruria dei Boschi al gruppo lombardo Ubi di Giovanni Bazoli e soci, sono partite in seguito agli esiti di un’ispezione della Banca d’Italia datata in questo caso 2013.
Che, alla luce degli ulteriori accertamenti della polizia giudiziaria, hanno individuato condotte potenzialmente rilevanti sotto il profilo penale, soprattutto in relazione a una falsa rappresentazione della situazione economico patrimoniale del gruppo.
Tre, in particolare, i filoni nel mirino degli inquirenti: la concessione di finanziamenti ad azionisti della stessa banca; l’erogazione del credito in maniera “diffusamente disinvolta”, senza le prescritte garanzie o la valutazione dei rischi, che ha generato perdite per oltre 192 milioni, maggiori rispetto a quelle contabilizzate dalla banca stessa e, infine, la fissazione del prezzo delle azioni dell’istituto sovrastimando i parametri economico-reddituali e patrimoniali della stessa banca.
Tutte operazioni che, secondo gli inquirenti, hanno contribuito a diffondere tra i risparmiatori l’immagine di un gruppo bancario più solido di quanto non fosse in realtà . Da qui l’indagine per ostacolo alla vigilanza, visto che l’ipotesi che i bilanci siano stati falsificati, se provata, renderebbe inattendibili tutte comunicazioni dell’istituto alle Authority.
Specialmente quelle relative alla richiesta di via libera ad operazioni straordinarie come acquisizioni, ma anche ricapitalizzazioni e altre operazioni del genere che hanno costellato l’ultimo quinquennio la storia dell’istituto che ha conosciuto un’espansione pari solo a quella della Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani dei tempi d’oro.
Il patrimonio di vigilanza, si legge nel decreto di perquisizione è stato “rettificato da due miliardi e 12 milioni di euro a un miliardo e 662 milioni di euro, con uno spread negativo di 345 milioni di euro”.
Il rapporto ispettivo è finito alla procura di Treviso ed il relativo fascicolo è stato trasmesso a Roma per competenza in quanto il presunto reato di ostacolo alla vigilanza si è radicato nella capitale, dove ha sede la Banca d’Italia.
Ora gli inquirenti vogliono fare luce anche sui rapporti tra l’istituto di credito ed i destinatari di finanziamenti concessi in assenza delle garanzie previste.
Veneto Banca è una popolare non quotata, ma con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante e, quindi, rientra tra le banche che dovranno adeguarsi al decreto governativo che dispone la trasformazione delle dieci più grandi in società per azioni.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
LE PRINCIPALI DOMANDE SULLA CRISI LIBICA
All’intervento della Nato e alla caduta di Gheddafi nel 2011, non è seguita un’operazione che
disarmasse le milizie.
Ora la Libia è al collasso e si è aperto lo spazio per i jihadisti.
Una missione internazionale è ancora possibile: ma solo se le fazioni raggiungeranno un accordo
LO STATO ISLAMICO È ENTRATO IN LIBIA PERCHà‰ NEL PAESE SI COMBATTE UNA GUERRA CIVILE PER IL CONTROLLO DEL PETROLIO. PERCHà‰ LA CRISI È PRECIPITATA? E CHE PUà’ FARE L’ONU?
Il Consiglio di sicurezza dovrebbe riunirsi mercoledì, su richiesta francese. La crisi in Libia si è aggravata con l’orrendo assassinio di 21 cristiani egiziani compiuta dall’Is. Il che conferma che i miliziani del “Califfo” si stanno installando a 300 chilometri dall’Italia.
Mercoledì il Consiglio potrebbe iniziare a prendere in considerazione la creazione di una forza di stabilizzazione, ma per ora probabilmente darà mano libera all’Egitto per i suoi attacchi aerei.
E’ ANCORA POSSIBILE UN «INTERVENTO MILITARE» A TUTTO CAMPO IN LIBIA?
Realisticamente no, senza nessun dubbio. Un intervento militare a tutto campo per imporre la pace oggi in Libia sarebbe un rischio insostenibile per le democrazie occidentali, anche a fronte dei pericoli che il paese ci pone.
Un’azione possibile con finalità di peace-keeping o anche di peace-enforcing (mantenere la pace oppure imporre la pace) doveva essere annunciata nel 2011 alla fine dell’operazione Nato.
Oggi è impossibile per questi motivi: le milizie, e non solo i gruppi terroristici, non accetterebbero di sottomettersi a una forza militare, anche targata Onu.
Ci sarebbero atti di ritorsione contro i militari stranieri, che costringerebbero in pochi mesi i governi intervenuti a ritirare le loro truppe (è avvenuto in un contesto molto meno pericoloso in Somalia).
DAVVERO GLI ESERCITI EUROPEI NON POTREBBERO IMPORRE LA PACE?
Come è accaduto anche agli Usa in Afghanistan (nonostante i pur gravi danni collaterali provocati ai civili), una forza Onu sarebbe costretta a fare un uso limitato e non indiscriminato della forza.
Per capirci: per imporre la pace i militari Onu non potrebbero neppure lontanamente fare un uso del potere aereo come quello esercitato dagli israeliani l’estate scorsa a Gaza per proteggersi dai missili di Hamas.
L’Onu a cosa si appellerebbe per bombardare massicciamente Derna?
MA ALLORA UNA FORMA DI INTERVENTO MILITARE È DA ESCLUDERE?
Paradossalmente non è da escludere, ma va ben calibrato. Va limitata e asservita a un progetto politico.
Contro l’Is e il terrorismo sicuramente sarebbero necessari attacchi aerei autorizzati dall’Onu in maniera esplicita (e non autogestita come fa oggi l’Egitto) per colpire i santuari terroristi.
Ma l’uso del potere aereo e di piccoli contingenti di addestratori o anche di forze speciali dovrebbe essere collegato a un processo di unificazione delle fazioni libiche meno intransigenti.
QUALE POTREBBE ESSERE UN POSSIBILE PIANO POLITICO?
Bisognerebbe cercare di creare le condizioni perchè le milizie trovino un accordo per l’autogoverno delle parti principali del paese. la Libia limiterà il terrorismo se si auto-governerà da sola.
Bernardino Leon, inviato Onu, senza poter minacciare uso della forza militare, aveva iniziato individuare fra i soggetti da mobilitare le comunità locali, le tribù e i consigli comunali di Libia.
Un obiettivo insperato sarebbe di iniziare a consolidare un autogoverno di tribù/gruppi locali che saranno anche collegati alle mafie del posto, ma che scelgano di coordinarsi fra di loro per amministrare le comunità .
Un analista dice «per decine di anni il potere centrale italiano ha accettato che il Sud Italia venisse governato col contributo di mafia e camorra: una governance simile per la Libia sarebbe un risultato insperato».
TRA GLI IMMIGRATI POSSONO ESSERCI MILIZIANI INFILTRATI DELL’IS?
Nonostante quel che si creda, è molto improbabile. I fenomeni sono paralleli, possono incrociarsi, ma sono diversi.
Affrontare un’odissea nel Mediterraneo imbarcandosi su un barcone di migranti viene considerato poco probabile da Mattia Toaldo, analista che a Londra lavora per l’European Council on Foreign Relations: «In tanti anni c’è stato un solo caso di jihadista arrestato tra i migranti arrivati via mare. Attraversare il Mediterraneo su certe imbarcazioni è molto pericoloso come dimostrano i continui disastri. È vero invece che le organizzazioni jihadiste possono trarre profitti dal traffico di esseri umani».
I FLUSSI MIGRATORI POSSONO CRESCERE ANCORA IN UNA LIBIA SENZA CONTROLLO?
Assolutamente sì. Il vero problema dell’immigrazione clandestina che attraversa la Libia è che i migranti vengono gestiti dalle potenti mafie di trafficanti libici che li prendono in consegna nel sud del paese, in Fezzan e li trasferiscono sulle coste.
Poi li imbarcano anche con la forza. Sono bande potenti, spesso collegate a milizie che hanno una presunta agenda politica.
Finchè l’Italia e l’Europa non avranno di fronte un governo libico o governi locali libici con cui trattare, i trafficanti avranno la meglio.
LA PRESENZA IS IN LIBIA: CHI SONO, QUANTI SONO?
Non ci sono ancora migliaia di miliziani dell’Is trasferiti in Libia dal teatro siro/iracheno.
Secondo la Rivista Italiana Difesa ad oggi i combattenti dell’Is sono fra i 2000 e 3000, un contingente comunque assai pericoloso.
La verità è che si tratta in gran parte di miliziani jihadisti che hanno cambiato bandiera: appartenevano per esempio ad Ansar Al Sharia, ora hanno scelto di passare con il “Califfo”.
L’unico grosso contingente rientrato dalla Siria sarebbe il “Battaglione Bitar”, un gruppo di 500 miliziani schierati in precedenza a Mosul e Deir Ezzor. Adesso sono a Derna, la loro capitale.
QUALE TIPO DI INTERVENTO MILITARE SAREBBE EFFICACE CONTRO L’IS?
Dice ancora Toaldo, dell’Ecfr: «Un certo grado di forza militare è imprescindibile. L’elemento fondamentale, che finora è mancato in Siria e in Iraq, è l’accordo politico nella popolazione locale che permetta di isolare gli estremisti e far ripartire un minimo di macchina statale: alcuni posti di confine, la polizia, i servizi di base.
Una delle fonti di consenso dell’Is è proprio la sua capacità di «farsi Stato»».
E per questo torniamo alla «casella uno»: si potrà combattere l’Is se si ricostruirà uno Stato libico, o anche solo un accordo politico fra tribù, milizie e fazioni libiche.
Vincenzo Nigro
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
“LO SBLOCCA-ITALIA CAPOVOLGE I VALORI, LE CONQUISTE AMBIENTALI STRAVOLTE”…”NO AL SENATO DI NOMINATI DA INTRALLAZZATORI”… “UN MODELLO LIBERISMO ANNI ’30 SUPERATO DA ROOSEVELT”
Quando sente parlare delle riforme di Matteo Renzi a stento trattiene l’indignazione anche se sui fatti avvenuti in Parlamento non vuole esprimere giudizi: “Secondo me le cose devono andare secondo le regole. Non mi occupo di quanto avvenuto”.
Ma sul contenuto delle riforme del governo ha un’idea precisa?
Certo, a condizione che le guardiamo nel loro insieme, comprese quelle economiche. Io, ad esempio, sono rimasto sconcertato dallo “sblocca Italia”.
Perchè?
Perchè capovolge i valori. La Costituzione pone in primo piano la persona umana. Ma nell’articolo 1 di questa “riforma” si dice che nel caso in cui i rappresentanti degli interessi ambientali, artistici o storici o dell’incolumità pubblica non convengono sulla costruzione dell’opera decide il commissario entro dieci giorni. Perseguire l’opera diventa più importante dell’incolumità pubblica. Uno scadimento totale della nostra capacità di autogoverno, visto che governano i cittadini e questi hanno un dovere di resistenza.
Che tipo di resistenza?
Sul piano amministrativo, secondo l’articolo 118 della Costituzione, svolgono attività di interesse generale. E i portatori di interessi diffusi, della salute, dell’incolumità pubblica, del paesaggio, sono legittimati a prendere parte dei procedimenti amministrativi e l’amministrazione ha l’obbligo di tenerne conto.
Il suo giudizio su atti significativi del governo è piuttosto netto.
Su questi punti ho un vero groppo alla gola, perchè vedere le conquiste ambientali stravolte e calpestate mi sembra molto grave. Così come sull’economia. Il governo e la Bce finanziano imprese e banche. All’orizzonte si profila un accordo internazionale, il Ttip, che sottrae gli operatori economici e commerciali alle giurisdizioni internazionali. In ossequio al liberismo degli anni 30 rifiutato da Roosevelt che, giustamente, seguì i consigli di Keynes.
C’è un filo che lega tutto questo alle riforme costituzionali?
Sì, c’è un’idea di neoliberismo da applicare in relazione alla globalizzazione internazionale. E che si traduce anche nelle restrizioni democratiche.
Considera un errore l’abolizione del Senato?
Siamo d’accordo che il bicameralismo perfetto fosse eccessivo ma bastava ridurre il numero dei senatori e il numero delle materie da sottoporre al Senato. Invece, si realizza una struttura composta da nominati. Ma nominati da chi? I nominati, in realtà , sono nominati da “intrallazzi” con accordi trasversali che incrementano il malcostume. Meglio, allora, lo Statuto albertino che poneva la nomina in capo al Re. C’era addirittura un rappresentante dei diritti. La riforma, a mio avviso, è sballata.
Cosa pensa della legge elettorale?
Anche in questo caso non si capisce cosa sia: è quella di Berlusconi, è il Porcellum o altro? A questo punto sarebbe meglio il Mattarellum. Ha una logica e assicura l’alternanza. Altra cosa grave è l’innalzamento del numero delle firme in materia di referendum e di legge di iniziativa popolare.
Cosa bisognerebbe fare?
Mettere le cose a posto. Innanzitutto, eliminare Berlusconi dalla vita politica italiana. Non perdonerò mai a Renzi di essersi messo d’accordo con colui che ha portato l’Italia alla rovina. Non dimentichiamoci che è lui ad aver firmato il Fiscal compact.
E anche in questo caso lei invoca il diritto di resistenza?
Certamente. Bisognerebbe, infatti, distinguere tra il “potere di revisione” della Costituzione e il “potere costituente”. Oggi non siamo in presenza di una semplice revisione, ma vengono intaccati i principi costituzionali con un potere costituente che in realtà non si ha. Ci sarebbe quindi tutta la possibilità di impugnare e prendere posizione contro una riforma tutta sbagliata. La Corte costituzionale ha i poteri di abrogare leggi costituzionali se queste sono andate oltre il potere di revisione e hanno invaso il potere costituente. Così come ha anche la possibilità di annullare provvedimenti conseguenti alle decisioni della Troika se questi violano i diritti fondamentali del popolo italiano: la vita, la salute, il lavoro.
Secondo lei, il presidente della Repubblica può e deve fare qualcosa?
Il presidente Mattarella è stata la scelta migliore che si potesse fare. Un uomo straordinario, dalle doti eccezionali. Lui sa sicuramente cosa fare.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 17th, 2015 Riccardo Fucile
A CAUSA DEL DEBITO PUBBLICO “L’ITALIA E’ IL VERO PROBLEMA DEL CONTINENTE”
“L’Italia è la bomba ad orologeria d’Europa”. 
Lo scrive il Washington Post in un articolo, nel quale si sottolinea che da quando è stato creato l’euro, 16 anni fa, l’Italia “è cresciuta solo del 4%”, facendo “peggio della Grecia”.
“Cosa è andato storto? – si chiede il giornale americano – Praticamente tutto. Hanno problemi di offerta e di domanda, la prima parte significa che è troppo difficile avviare un’impresa, troppo difficile ampliarla e troppo difficile licenziare le persone. E questo rende le economie sclerotiche anche in tempi buoni, spacciate in tempi difficili”.
Quindi, insiste il Washington Post, nell’eurozona “il vero problema è l’Italia. Grecia e Portogallo hanno entrambi molti debiti ed entrambi sono stati salvati, ma almeno hanno cominciato a riprendersi e sono piccoli abbastanza da consentire all’Europa di rimandare quello che devono a un domani da definire”.
“Ma l’Italia – chiosa il giornale – non si sta riprendendo affatto ed il suo debito è troppo grande per essere ignorato. Per cui, deve iniziare a crescere più dello 0,25% all’anno. La domanda è se gli italiani lasceranno che questo avvenga all’interno dell’euro. Chi potrebbe dargli torto se lo facessero?”.
Ad allarmare anche un report di Hsbc, che studia i dati della Commissione europea. Secondo i calcoli di Hsbc, il debito pubblico italiano nonostante il calo dei rendimenti non sta diventando in alcun modo più sostenibile, anzi.
A causa della caduta della crescita del Pil nominale a valori tuttora prossimi a zero, il differenziale con i tassi d’interesse effettivi medi si è ampliato dalla sostanziale parità che si era raggiunta a cavallo tra il 2006 e il 2007, prima della crisi finanziaria mondiale.
Se all’epoca entrambi i tassi oscillavano attorno al 4% annuo, attualmente il tasso d’interesse effettivo medio è di poco inferiore a tale soglia, mentre la crescita del Pil nominale si è arrestata, dopo il crollo segnato nel 2009 e il rimbalzo registrato tra il 2010 e il 2011.
Questo significa, secondo gli esperti di Hsbc, che il surplus primario di cui l’Italia ha bisogno per stabilizzare il rapporto debito/Pil sta salendo e visto che il debito è già ora pari ad oltre il 130% del Pil, con un gap del 4% come attualmente sarà necessario un surplus primario superiore al 5% del Pil solo per non far peggiorare il rapporto a fine anno.
Col rischio di un avvitamento sempre più pericoloso verso il basso.
(da “Huffingtonpost”)
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