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FRATELLI COLTELLI: IN LIGURIA IL PARTITO DELLA MELONI LITIGA PER UNA POLTRONA DA ASSESSORE

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

LOTTA INTESTINA TRA IL PARACADUTATO FIDANZA E IL SANREMESE BERRINO… TOTI COSTRETTO AD ATTENDERE LUNEDI A FORMARE LA GIUNTA IN ATTESA CHE FINISCANO LE LITI TRA I FRATELLI

Il settimo assessore della giunta regionale targata Toti si deciderà  nelle prossime ore: il ritardo è dovuto alle liti “fratricide” scoppiate all’interno del partito della Meloni cui Toti ha alla fine concesso un assessorato.
Ma è sul nome che il partito si è spaccato: da una parte il candidato Gianni Berrino di Sanremo, eletto nel listino e che ha già  detto che non si dimetterà  da consigliere (non si sa mai…). Dall’altra il paracadutato Carlo Fidanza di Milano, ex parlamentare europeo a cui la Meloni avrebbe promesso il posto.
A favore di Berrino gioca il fatto che sia almeno ligure e gode dell’appoggio dei giovani di Fdi in funzione anti-notabili.
A favore di Fidanza l’appoggio dell’indagato Matteo Rosso, eletto consigliere, e della vecchia guardia ex An, ex Pdl, ex tutto.
Toti si limita ad assistere (ma non aveva detto che gli assessori li avrebbe scelti lui in base alle proprie valutazioni?) in attesa che la rissa interna abbia fine.

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ANCHE L’UNIVERSITA’ DICHIARA GUERRA AL GOVERNO

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

DAI RETTORI AGLI STUDENTI E’ RIVOLTA CONTRO LA NORMA CHE VALUTA GLI ATENEI

Introdurre dalla finestra quel che non si vuol far passare dalla porta.
La riforma della pubblica amministrazione targata Marianna Madia, se verrà  confermata nella sua forma attuale, è destinata a smantellare di fatto il valore legale dei titoli di studio.
Quel meccanismo, cioè, che equipara tutte le lauree, a prescindere di dove vengano conseguite.
E ha mandato in subbuglio l’intera comunità  universitaria, dal presidente dei rettori alle organizzazioni degli studenti.
Ma andiamo con ordine.
Per fare un esempio a grandi linee, oggi un laureato per corrispondenza e un laureato ad Oxford, a parità  di fascia di voto, godono dello stesso punteggio nei concorsi pubblici.
Regole avversate da una larga fetta di professori, intellettuali e, a parole, dal mondo della politica, che da anni professano che chi si laurea in atenei competitivi e selettivi debba essere premiato rispetto chi esce da un diplomificio.
Senza che nel tempo cambiasse mai alcunchè.
È stato il deputato Marco Meloni ad escogitare una regoletta che evita di passare per le forche caudine dell’abolizione del valore legale e la costruzione di complicati sistemi di valutazione.
Funziona così. Se ti laurei con 110 e lode in un ateneo dove la percentuale di laureati con il tuo stesso voto è del 90%, il tuo punteggio sarà  estremamente inferiore del tuo collega che ha ottenuto il medesimo voto ma in un’università  più selettiva, dove solo l’1% dei tuoi colleghi ha raggiunto l’eccellenza.
Il voto di laurea, più in generale, sarà  parametrato alla media generale di facoltà  e ateneo di laurea, assunto come criterio indiretto di valutazione delle università .
L’intera comunità  accademica sta in queste ore levando gli scudi, parlando all’unisono di un tentativo di aggirare la legge.
“Non sono un giurista ma un ingegnere, però dico: se esiste il valore legale del titolo di studio la laurea deve pesare allo stesso modo. Oppure hanno pensato di intervenire abolendo il valore legale del titolo di studio?”, dice Stefano Paleari, rettore dell’Università  di Bergamo e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori intervistato dal Quotidiano nazionale.
Poi attacca frontalmente il governo: “Magari si è deciso di ripartire da zero su tutta la materia e io non ne sono stato informato”.
Mario Panizza, rettore di Roma Tre, ateneo tradizionalmente considerato non ostile a un certo riformismo di sinistra, ha un giudizio sprezzante: “Propongono la brutta copia del modello americano. In Italia professori percepiscono stipendi unificati e soprattutto sono selezionati attraverso valutazioni “garantite” a livello nazionale, proprio per assicurare a tutti gli studenti di avere docenti con competenze standardizzate da mediane prestabilite”.
Come a dire: prima lo stato garantisce standard uguali per tutti di professionalità  nell’insegnamento e nella ricerca e poi discrimina ritenendo i suoi stessi standard inadeguati?
Dall’Udu passando per Link e arrivando a Run, sono in rivolta anche tutte le principali organizzazioni degli studenti di sinistra.
Trovando l’appoggio della Cgil: “Il governo introduce divisioni e disparità  inaccettabili – ha tuonato Rossana Dettori, segretario generale della Funzione pubblica – Stilano classifiche senza alcuna logica, alla ricerca di un ‘merito’ che non sarà  altro che l’introduzione di una ennesima diseguaglianza”.
Nelle aule parlamentari il Movimento 5 stelle annuncia che la strada per l’approvazione sarà  impervia.
“Un nuovo colpo mortale che governo e Pd assestano al sistema pubblico d’istruzione – dicono i parlamentari M5s – spazzando via definitivamente i principi di uguaglianza e inclusione su cui questo si fonda. Se questo è l’antipasto della Buona università , c’è solo da preoccuparsi”.
Siamo solo all’inizio di una battaglia che si combatterà  senza esclusione di colpi.
E, qualora il valuta-atenei passasse alla Camera, al Senato ne vedremo delle belle.
“È una norma incostituzionale che va cancellata. Se non lo fanno a Montecitorio, lo faremo noi a Palazzo Madama”. Parola di Antonio Gentile.
Che fa parte di quella Ncd senza la quale nella Camera alta non c’è maggioranza.

(da “Huffingtonpost“)

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“IL TERRORISMO NON VINCERA'”: RITORNO IN TUNISIA TRA RABBIA E ORGOGLIO

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

IN VIAGGIO SULLA “CARTHAGE” DA GENOVA AL NORD AFRICA CON I MIGRANTI TUNISINI IN VIAGGIO VERSO CASA PER LE VACANZE

L’Islam dal volto umano è quello di Fethi Mestaoui, un po’ pallido dopo quarant’anni vissuti sotto il cielo grigio di Bruxelles.
La moglie Faouzia porta il velo «perchè è tradizione», l’adolescente Fatwa «perchè mi fa più carina», la piccola Farah è ancora lontana dalle suggestioni della fede e della moda.
Si va a Djerba per il mare e per il sole: «L’Europa esiste davvero, se fai il tassista tra i palazzi della Ue».
La partenza
Primo week end di luglio, i migranti che ce l’hanno fatta affollano i ponti del Carthage, ventidue ore da Genova a Tunisi per andare in vacanza come gli occidentali.
Il commissario di bordo Megri Moudhar ricorda i tempi dell’Habib, la nave stipata all’andata e deserta al ritorno: «C’erano pure i clandestini. E qualcuno rischiava la vita coi barconi per raggiungere la Sicilia, e poi si fermava a fare il pescatore a Mazara del Vallo»
Oggi Ali Mosdami si permette le ferie e la cabina, anche se da Nizza dove lavora come conducente di bus ha preferito imbarcarsi a Genova anzichè a Marsiglia: «Con quattro figli, la traversata ci costa 1750 euro dall’Italia e 2200 dalla Francia».
Ali ha casa a Sousse, «sulla spiaggia dell’attentato: e quando ci penso mi assale la rabbia, perchè un vero musulmano non deve mai fare del male al prossimo. Non ci arrenderemo al terrorismo».
In viaggio l’Islam dal volto umano può interrompere il Ramadan, il Corano lo consente: «Poi recuperi i giorni di digiuno». Makki Hammouda, camionista, una fede parallela nel Borussia Dortmund: «Io non recupero, Allah capirà ». Ali Dulhoumi, giovane badante che ha perso il posto a Rimini e torna a Kasserine, confine con l’Algeria infestata dai terroristi: «Fuori dal Ramadan bevo pure qualche bicchiere con gli amici. I fanatici non li sopporto. Mi aiutassero a trovare un trattore, piuttosto, che in Tunisia torno a coltivare la terra».
Ali indossa la jellaba, «l’ho comprata assieme a un tappetino per pregare», lo srotola quando il Carthage dal fumaiolo bianco e rosso attraversa il canale di Sicilia: «Lo faccio per i miei fratelli africani». Indica il mare che è una tavola blu increspata dal vento di levante, all’orizzonte si staglia un peschereccio, più vicino saltano i delfini. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
I regali per i parenti
Risa, grida, richiami di mamme, nidiate di bimbi che si tuffano in piscina. Al bar hanno imparato a fare il caffè espresso, dopo tanti anni di attracchi nei porti italiani, e la cucina araba sa essere deliziosa.
Può dunque esserci un altro immaginario per i migranti in mare. Sorridente. Spensierato. Ricorda il medico di bordo, la dottoressa Siouar Triki che abbina con raffinata eleganza il velo e l’uniforme candida, come «la salute del corpo comincia sempre con la serenità  dell’anima».
In garage, sui tetti delle auto vacanziere, oscillano al ritmo delle onde frigoriferi e lavastoviglie, mobili e biciclette, pentole e suppellettili da portare ai parenti: «La qualità  europea è migliore». In cabina romanzi e giornali occidentali, musica e accenti anche italiani.
Nora Yacoubi, per esempio. Ha 19 anni, è bellissima, sta per ultimare il liceo turistico e parla con la cadenza di Iva Zanicchi. Vive a Crema con la sorellina Mouda, primo anno allo scientifico, mamma Fatma e papà  Nouredine, lei casalinga e lui muratore, tifoso milanista, appassionato di spaghetti e di cous cous: «Ma un agnello profumato come il nostro in Italia non lo avete».
La nostalgia
L’orgoglio tunisino monta col mare che gira a scirocco. Rabbia e tristezza per quello che è successo al museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse, preoccupazione per l’Europa che non ha pietà  neppure per i suoi figli greci, ma qui si torna al paese con la consapevolezza dei vincitori.
L’avesse saputo, Rahdja Mathlouthi, non avrebbe pianto tutte le lacrime che aveva quando lasciò Lamarsa per andare a Nizza.
Non ha imparato una parola di francese, in settant’anni di permanenza, e ora che ha superato gli ottanta delega ai rapporti sociali la figlia Fatma: «Mai ambientata, la mamma. Io così e così. Ora resta mio marito, commerciante, ma un giorno anche lui tornerà  per sempre».
Lamarsa è piacevole, assicura Fatma, non fosse che «si può comprare un kalashnikov con meno di cento euro e questo non è bene.
La gente dice che le armi servono per difendersi ma io non ci credo, c’è già  la polizia, ci sono i soldati: che bisogno c’è»?
Sui moli della Goulette il Carthage sbarca speranza e ingenuità : «Noi torniamo per vivere felici».

Paolo Crecchi
(da “il Secolo XIX”)

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L’ECONOMISTA ZINGALES: “ATENE QUASI FORZATA AD USCIRE DALL’EURO PER CREARE UN PRECEDENTE”

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

“GLI ISTITUTI GRECI HANNO PASSATO UN TEST DI SOLVIBILITA’ CONDOTTO DALLA UE. PERCHE’ ALLORA LA BCE NON FORNISCE LORO LIQUIDITA’? PERCHE’ FRANCOFORTE TIENE LA GRECIA APPESA A UN FILO?

Luigi Zingales, economista presso la Chicago Booth School of Business. L’Ue ha fatto tutto quanto era in suo potere per salvare la Grecia?
“No, nel gestire la crisi si è anche tenuto conto del precedente che si andava creando”.
Un monito per gli altri Paesi che si trovano in una situazione di rischio. Un monito anche per l’Italia, quindi.
“La preoccupazione per l’Italia non riguarda l’arco temporale di un anno. I problemi nasceranno dopo, quando finirà  il Quantitative Easing (piano di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce con l’obiettivo di far ripartire la crescita dell’Eurozona, ndr), i tassi cominceranno a salire e la situazione si farà  più difficile“.
Perchè invece di puntare a riavere indietro una parte dei prestiti ma a riaverla con certezza, i creditori continuano a chiedere indietro tutta la somma, sapendo che non riusciranno mai a ottenerla?
“L’errore fondamentale è stato commesso nel 2010, quando si fece finta che la Grecia fosse solvente, in grado di ripagare tutto il debito, quando era già  chiaro che non era così”.
Tsipras ha deciso di interpellare il popolo greco: decisione giusta o populismo?
“Il referendum è sostanzialmente sbagliato, sembra la scelta più democratica che si possa fare, ma non è così. Indire una consultazione di questo genere, interpellare il popolo durante una fase così delicata del negoziato, su una proposta che non è neanche più sul tavolo è velleitario. Per di più Tsipras sembra non aver capito che non sarebbe riuscito a fare il referendum con le banche aperte, per la corsa agli sportelli. Per il governo greco potrebbe rivelarsi un gigantesco autogol“.
Juncker, presidente della Commissione Ue, è intervenuto in tv per dire ai greci di votare sì al referendum. Dov’è finita la sovranità  nazionale?
“Non è la cosa peggiore che abbia fatto Juncker. Negli Stati Uniti, se c’è un referendum a livello locale, il presidente può prendere posizione. Quello che trovo più pericoloso è che la Banca Centrale Europea controlli la sopravvivenza delle banche, forzando la mano in una direzione o nell’altra al governo. Questo fatto è molto più lesivo della sovranità  popolare del fatto che Juncker dica la propria opinione. Tra l’altro, ogni volta che il presidente della Commissione parla fa campagna per il no”.
Draghi però in questo momento sta tenendo in vita il sistema.
“Lo sta tenendo in vita, ma non lo sta tenendo aperto e funzionante. Le principali banche greche hanno passato un test di solvibilità  condotto dall’Ue, quindi ora la Bce dovrebbe essere il garante della loro solvibilità . Se Francoforte si è presa un impegno, ha fatto un’analisi e ha detto che le banche sono solventi, ora dovrebbe in tutti i modi aiutarle a sopravvivere, altrimenti che unità  europea è? Di che unità  monetaria parliamo? Se la sopravvivenza delle banche è decisa dalla Bce non è più solo un’unione monetaria, ma una egemonia della Bce”.
Egemonia?
“Quella di dare liquidità  alle banche è una decisione che prende qualsiasi banca centrale nel momento in cui stabilisce che le banche sono solventi ma illiquide. Questo perchè la funzione principale di una banca centrale è quella di essere disponibile a fare prestiti in situazioni di tensioni di mercato alle banche che sono solventi. Ora, nel caso della Grecia, abbiamo la certificazione fornita dalla stessa Bce qualche mese fa, che le sue banche sono solventi. Perchè allora la Bce non fornisce loro liquidità  illimitata? Perchè la ELA (fornitura di liquidità  di emergenza, ndr) è stata centellinata di giorno in giorno e poi bloccata (il 1° luglio La Bce ha fissato a 89 miliardi il livello massimo stabilito per l’erogazione di Ela alle banche greche, ndr)? In sostanza, la Bce tiene la Grecia appesa a un filo“.
Un precedente che sia anche un memento mori per tutti gli altri.
“Se crediamo veramente che questa unità  monetaria sia irreversibile e che, come ha promesso, Draghi farà  “whatever it takes” per tenerla in piedi (“Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”, affermava il 26 luglio 2012 il governatore della Bce, promettendo cioè che avrebbe “fatto di tutto per salvare l’euro”, ndr), concludiamo che si può fare di più per la Grecia”.
Come diceva lei, nel 2012 e nel 2014 Mario Draghi ha affermato che l’euro è “irrevocabile” e “irreversibile”: Ribaltando il concetto, vuol dire che se la Grecia esce, l’euro diventa reversibile e crolla l’intero impianto.
“Sono abituato a pensare che di irreversibile esista solo la morte. Certo è che nel momento in cui un Paese viene sostanzialmente escluso dall’unione monetaria, tutto diventa possibile. La Grecia non vuole uscire dall’euro, si trova in una situazione diversa da quella del Regno Unito: Londra non è nell’euro, ma ipotizza la possibilità  di uscire dall’Unione Europea. Atene, invece, non vuole uscire dall’euro eppure viene praticamente messa nelle condizioni di farlo, viene quasi forzata a farlo”.
Tutto ciò come potrà  influire sull’Italia? Una volta stabilito che dall’euro si può uscire, i paesi fortemente indebitati possono essere oggetto di attacchi speculativi. Il pericolo per l’Italia è reale?
“Il pericolo è reale, ma non immediato. Quello che oggi ci protegge dagli attacchi speculativi è il Quantitative Easing in corso. Per cui chiunque provi a fare un attacco speculativo si troverebbe contro la Bce dall’altra parte che compra titoli di Stato, calmierando il mercato. C’è però un costo nel lungo periodo, perchè il QE non sarà  infinito e alla prossima crisi, che potrà  arrivare tra una anno o tra dieci, cui troveremmo con lo stesso problema”.
Come finirà ?
“Non finirà . Qualunque soluzione verrà  presa, sarà  temporanea. La crisi greca sarà  con noi ancora a lungo”.

Marco Pasciuti
(da “il Fatto Quotidiano“)

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OGNI ITALIANO “ESPOSTO” PER 600 EURO

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

MA CON LA GREXIT NE PERDEREBBE MILLE

In qualsiasi modo vada a finire, la Grecia ci costerà  cara.
Questo ci dice lo studio del Fondo monetario internazionale sulla sostenibilità  del debito greco, uscito ieri.
Schematizzando, lo Stato italiano ha già  prestato allo Stato ellenico 36 miliardi di euro, 600 euro a testa per ciascuno di noi, da restituire in tempi piuttosto lunghi.
Secondo il Fmi è probabile che non rientrino tutti.
Nell’ipotesi che le cose si mettano con la vittoria del «sì» nel referendum di domenica prossima, e nuovo accordo con l’Europa sulla base dei sacrifici previsti dal negoziato ora interrotto — la Grecia avrà  ugualmente bisogno di aiuti aggiuntivi per andare avanti.
Se si fosse più generosi diverrebbe inevitabile condonare in parte il debito esistente. Ovvero, nei termini del calcolo «pro capite» per gli italiani, in aggiunta ai 600 euro bisognerebbe prestarne almeno altri 100 (in rapida salita dopo gli ultimi eventi) e mettere in conto che una parte non ritorni mai.
In caso di uscita della Grecia dall’euro, invece, non solo i 600 euro li perderemmo tutti ma si aggiungerebbero altri danni difficili da calcolare, per un totale di forse 1000.
Alla solidarietà  gli altri europei sono dunque costretti; ma anche per loro, come per i greci, ci sono limiti di tolleranza.
Tra le righe, lo studio Fmi fa capire che i calcoli alla base dei precedenti programmi di aiuto alla Grecia si fondavano su numeri stiracchiati a più non posso, robusti aumenti di produttività , scomparsa del lavoro nero, bassa disoccupazione, alto tasso di crescita.
Da qui a tutto il 2018 il Fmi ritiene necessario prestare alla Grecia altri 52 miliardi di euro, dei quali «almeno 36» dovrebbero essere a carico degli altri Stati europei.
Purtroppo i suoi i calcoli, chiusi il 26 giugno, non sono aggiornati ai danni provocati dalle scelte del governo Tsipras negli ultimi giorni, banche chiuse, pagamenti paralizzati, prenotazioni disdette dai turisti.
Una stima sommaria può far salire la cifra a 70 miliardi; alla ripresa del negoziato gli obiettivi di bilancio per il 2015 dovrebbero essere modificati.
Basterebbe questo a trasformare in necessità  un intervento sul debito già  esistente.
Per alleviare il peso del debito l’opzione minima che il Fondo suggerisce sarebbe di rinviare ancora, a venti anni, l’inizio dei rimborsi. In questa forma, più accettabile agli elettori dei Paesi nordici, l’ammontare nominale dei soldi prestati non sarebbe ridotto.
Un intervento più incisivo sarebbe invece di condonare il 30% dei debiti.
Il documento arrivato da Washington consiglia anche agli europei di considerare con più realismo che cosa la Grecia può fare e non può fare.
Certo, un Paese indebitato può ricavare gran vantaggio da vendite di beni pubblici a investitori esteri.
Ma in concreto «l’esperienza mostra una radicata resistenza verso le privatizzazioni» da parte di tutti i partiti, non solo di Sà½riza che governa adesso.
Le privatizzazioni secondo il Fmi restano un obiettivo valido, per migliorare l’efficienza dell’economia, ma senza pensare di far cassa abbondante.
Nel caso dei terreni e degli immobili «esistono difficoltà  risapute, come mancanza di dati catastali, diritti di proprietà  contestati, difficoltà  a ottenere i necessari permessi dagli enti pubblici».
Insomma la Grecia è uno Stato che funziona talmente poco che ci vorrà  molto tempo per riformarlo.
Ad Atene, l’uscita proprio ieri del documento è parsa ad alcuni un favore al partito del «no» che appunto ritiene il debito insostenibile.
Ma letta da un altro punto di vista, l’analisi Fmi suggerisce che una Grecia senza riforme (le riforme che Sà½riza non vuole), stanti le attuali tendenze della popolazione e della produttività , possa non ritornare alla crescita mai, ristagnare per sempre.

Stefano Lepri
(da “La Stampa”)

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LE OLGETTINE: “CI SERVONO SOLDI” E SILVIO: “MA VI HO PAGATO I MOBILI DI CASA”

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

BARBARA GUERRA E ALESSANDRA SORCINELLI: “SIAMO IN MEZZO A UNA STRADA”… LUI SI GIUSTIFICA: “HO FATTO IERI UN ASSEGNO DI 160.000 EURO, VA BEH COSA DEVO FARE?”

Chiedono soldi per viaggi, per l’hotel, per vivere.
Lui prova a replicare ma alla fine deve capitolare.
È un Silvio Berlusconi intimidito e accondiscente quello che la mattina delle 20 giugno 2013   risponde al telefono.
Dall’altra parte ci sono Alessandra Sorcinelli e Barbara Guerra, due delle Olgettine: secondo la procura di Milano che ha chiuso l’inchiesta battezzata Ruby ter, le due ragazze avrebbero ricevuto dall’ex cavaliere rispettivamente 237 mila euro e 235 mila euro. Denaro che il leader di Forza Italia avrebbe elargito tra l’ottobre 2011 e il marzo del 2015.
Ed è proprio per chiedere soldi che Guerra e Sorcinelli chiamano l’ex premier alle ore 10 e 06 del 20 giugno 2013: la telefonata viene intercettata dalla polizia giudiziaria su delega dei magistrati milanesi, e adesso è stata depositata agli atti dell’inchiesta Ruby ter, che vede indagate 34 persone, compreso lo stesso Berlusconi, individuato come il “corruttore” delle ragazze, pagate per negare l’esistenza di festini a luci rosse nelle serate di Arcore.
Ad esordire, come riportato da Repubblica e Corriere della Sera, è la Sorcinelli. “Perchè Radaelli (Ivo, proprietario della villa da 800 mila euro dove le due ragazze vivono ndr) mi ha detto che non lo devo chiamare, anche alla Barbara”.
Berlusconi prova a mettere le mani avanti: “Dunque sta a sentire: intanto ho firmato per Radelli un visto da 160 mila euro per gli arredi della casa di Barbara”. “No, ma cosa stai dicendo”.   “Non è casa mia quella”, dice la Guerra.
L’ex premier replica: “Io adesso gli ho dato il benestare per darvi i soldi per andare in America“, dice riferendosi a Giuseppe Spinelli, il ragioniere che staccava gli assegni alle ragazze.   “E invece — replica Sorcinelli — Spinelli dice di no”. “Ma come no?”.
A questo punto interviene Barbara Guerra:”Silvio io sono stanca di essere presa per il culo! Sono Barbara, scusami il termine! Adesso sono veramente stanca”.
Berlusconi prova a spiegare di avere già  aperto il portafogli: “Ho fatto un assegno ieri di 160 mila euro per pagare i mobili della casa”.
Guerra però sostiene di non avere visto un euro: “Ascolta non è casa mia quella, Silvio, sono in mezzo ad una strada ancora, dopo quattro anni di merda“.
A quel punto l’ex cavaliere accetta di vederle: “Ci vediamo sabato ad Arcore, magari anche di mattina se preferite”.
“Ancora per raccontarci barzellette?”, risponde Guerra, mentre Sorcinelli fa notare che “il sabato però Spinelli non c’è, quindi siamo punto e a capo, guarda che noi veramente siamo…scusaci il termine, ma siamo nella merda questa volta, non possiamo neanche prelevare dai nostri conti”.
A quel punto Berlusconi si arrende e chiede istruzioni: “Va bene allora cosa faccio?”. “Se puoi — risponde Sorcinelli — chiama subito Spinelli, noi torniamo o stasera o domani da lui. Così già  possiamo andare in agenzia, già  possiamo prendere i voli, l’hotel, tutte le cose, e avere e avere i soldi anche per vivere”.
“Va bene- acconsente Berlusconi — allora chiamo oggi pomeriggio Spinelli“. “E gli dici del bonifico? Cinquanta e cinquanta?”. “Va bene, va bene”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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STUPRI: MENO DEL 10% AD OPERA DI STRANIERI, MA A QUALCUNO CONVIENE FAR CREDERE IL CONTRARIO

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

DATI UFFICIALI ISTAT: IL 69% DELLE VIOLENZE SESSUALI SONO OPERA DI PARTNER, SOLO IL 6% DOVUTI AD ESTRANEI

Non più del 10% degli stupri commessi in Italia sono attribuibili a stranieri. Lo stima l’Istat.
Secondo l’istituto di statistica, il 69% degli stupri sono opera di partner, mariti o fidanzati; solo il 6% sono opera di estranei.
Se anche considerasse che di questi autori estranei il 50% sono immigrati, si arriverebbe al 3% degli stupri, ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat.
VIOLENZE IN CASA
Se si aggiungesse il 50% di conoscenti, al massimo si arriverebbe al 10% del totale degli stupri a opera di stranieri.
Ma è chiaramente una valutazione in eccesso.
«Invece l’ immagine è di stupri per le strade a opera di immigrati», ha aggiunto Sabbadini. «Non fare i conti con le statistiche esistenti in Italia può portare a orientare in modo errato le priorità  e il tipo di politiche».
Inoltre, la maggioranza delle violenze più gravi subite dalle donne avviene in casa, «eppure l’immagine che esce dagli organi d’informazione è molto diversa».
Il presidente dell’istituto, Luigi Biggeri, ha ricordato che l’Istat ha avviato, e intende continuare, il processo di riforma delle statistiche ufficiali che tiene conto dei temi che riguardano il genere.
«Ma il nostro lavoro non si ferma qui: dovremo porre l’attenzione anche su altre tematiche come la discriminazione, terreno difficilissimo ma che ormai necessita di essere misurato in tutte le sue manifestazioni».
GOVERNO
Lo scorso 23 novembre, il governo ha deciso l’avvio dell’Osservatorio permanente pubblico per un piano d’azione contro la violenza sulle donne.
«Davanti a un dramma culturale e sociale come le violenze sulle donne non basta una singola legge, ma occorre una strategia complessiva», aveva detto il ministro per le Pari opportunità , Barbara Pollastrini.
DATI
In Italia 6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni hanno subito violenze, di cui un milione e 150 mila nel 2006: 1.400.000 ragazze ha subito violenza sessuale prima dei 16 anni.
In Europa il 12-15% delle donne subisce quotidianamente violenze domestiche che rappresentano la prima causa di morte tra i 16 e i 44 anni, ancora prima di cancro, guerre e incidenti.

(da “il Corriere della Sera“)

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“HA TRADITO I NOSTRI VALORI E INFANGATO LA DIVISA, DEVE PAGARE”: PARLANO I COLLEGHI DEL MILITARE ACCUSATO DELLO STUPRO DELLA QUINDICENNE A ROMA

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

“NOI SIAMO QUELLI CHE SALVANO LA GENTE IN MARE, LA GIUSTIZIA DEVE FARE IL SUO CORSO”

La cattura di Giuseppe Franco, il sottufficiale della Marina accusato dello stupro della quindicenne di Prati è arrivata come una doccia fredda per i vertici della Difesa che hanno espresso il loro “no comment” sulla vicenda.
«Ci sono delle indagini in corso e non entriamo nel merito», ribadiscono le autorità  militari che dopo averlo sospeso dal servizio, adesso stanno passando al setaccio tutto il curriculum professionale del 31enne.
Sottocapo di seconda classe, il pari di un sergente, appartenente al gruppo navale di La Spezia e pronto ad essere spedito in missione antipirateria a largo del Corno d’Africa e nelle acque antistanti la Somalia.
Il giorno dopo la cattura è il momento dei commenti e dei rumors di chi Giuseppe Franco lo ha conosciuto e chi no.
Lungotevere delle Navi a due passi da piazzale Flaminio, è il quartier generale dei marinai.
Al di fuori di Palazzo Marina è un andirivieni di divise bianche e blu e qualcuno si lascia andare.
L’INDAGINE
«Per la Marina – ha spiegato un primo maresciallo – è una cosa tremenda che getta un’ombra nella forza armata ai danni di quanti lavorano bene ogni giorno».
«Ha tradito i nostri valori – ha fatto sapere un altro marinaio – e ha macchiato la divisa».
«Chi ha sbagliato deve pagare – ha aggiunto un altro collega – la giustizia deve fare il suo corso sia sul fronte ordinario che su quello militare».
«Non vorremmo un altro Parolisi – ha tuonato un sottotenente – dove il singolo infanga la divisa portata con dignità  da molti altri».
Giuseppe Franco, fermato dalla squadra mobile, resta indagato per violenza sessuale e sostituzione di persona. Nessuno dei suoi colleghi lo difende per il momento.
«Le mele marce sono ovunque e in qualsiasi settore — ha ammesso un sergente- basta non confondere e fare di tutta un’erba un fascio. Se qualcuno ha sbagliato pagherà , per fortuna ci sono tante brave persone che sono arruolate. Noi siamo quelli che salviamo la gente in mare».
Ogni singolo rapporto sulla carriera di Franco adesso è sotto la lente di ingrandimento per capire se c’erano segnali che potevano far presagire disturbi o far intendere che qualcosa non andava nel comportamento del giovane sergente.
Le indagini si concentrano su cosa possa essere scattato nella sua mente e se avesse già  in passato mostrato qualche turba.   ministeri e nei palazzi della Capitale.

(da “il Messaggero”)

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SILVIO IN MARCIA CON LE TOD’S: “DIEGO DELLA VALLE E’ UN OTTIMO IMPRENDITORE ED E’ NUOVO COME POLITICO”

Luglio 3rd, 2015 Riccardo Fucile

IMPROVVISA APERTURA DI BERLUSCONI VERSO IL PROGETTO DI DELLA VALLE, UN TEMPO SUO NEMICO

“Evviva, c’è bisogno di gente nuova, Della Valle è un ottimo imprenditore ed è nuovo come politico”: Silvio Berlusconi plaude al progetto ‘Noi italiani’ di Diego Della Valle sottolineando che “anche Renzi è un professionista della politica”.
Renzi, prosegue Berlusconi, “ha iniziato prima di me e non vede la capacità  di mettere in conto dei provvedimenti in grado di risolvere i problemi della gente e avviare il Paese verso uno sviluppo”.
“C’è il 50% di persone che non va più a votare, sono delusi, sfiduciati e rassegnati. Vedono che tutti questi in politica hanno un qualcosa che non corrisponde alle esigenze di una conduzione diversa del Paese”.
“Credo che il futuro non possa che essere portato avanti con successo da gente che viene dalla vita vera e non da chi fa la politica di mestiere e che pensa al proprio personale interesse a dispetto di quello di tutti – ha concluso Berlusconi – Io credo ci sia bisogno di avere più persone come Della Valle che decidano di dedicarsi al bene del proprio Paese portando in questa nuova attività  tutta la loro capacità  ed esperienza. Della Valle è senz’altro il numero uno”.

(da “Huffingtonpost“)

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