ANCHE L’UNIVERSITA’ DICHIARA GUERRA AL GOVERNO
DAI RETTORI AGLI STUDENTI E’ RIVOLTA CONTRO LA NORMA CHE VALUTA GLI ATENEI
Introdurre dalla finestra quel che non si vuol far passare dalla porta.
La riforma della pubblica amministrazione targata Marianna Madia, se verrà confermata nella sua forma attuale, è destinata a smantellare di fatto il valore legale dei titoli di studio.
Quel meccanismo, cioè, che equipara tutte le lauree, a prescindere di dove vengano conseguite.
E ha mandato in subbuglio l’intera comunità universitaria, dal presidente dei rettori alle organizzazioni degli studenti.
Ma andiamo con ordine.
Per fare un esempio a grandi linee, oggi un laureato per corrispondenza e un laureato ad Oxford, a parità di fascia di voto, godono dello stesso punteggio nei concorsi pubblici.
Regole avversate da una larga fetta di professori, intellettuali e, a parole, dal mondo della politica, che da anni professano che chi si laurea in atenei competitivi e selettivi debba essere premiato rispetto chi esce da un diplomificio.
Senza che nel tempo cambiasse mai alcunchè.
È stato il deputato Marco Meloni ad escogitare una regoletta che evita di passare per le forche caudine dell’abolizione del valore legale e la costruzione di complicati sistemi di valutazione.
Funziona così. Se ti laurei con 110 e lode in un ateneo dove la percentuale di laureati con il tuo stesso voto è del 90%, il tuo punteggio sarà estremamente inferiore del tuo collega che ha ottenuto il medesimo voto ma in un’università più selettiva, dove solo l’1% dei tuoi colleghi ha raggiunto l’eccellenza.
Il voto di laurea, più in generale, sarà parametrato alla media generale di facoltà e ateneo di laurea, assunto come criterio indiretto di valutazione delle università .
L’intera comunità accademica sta in queste ore levando gli scudi, parlando all’unisono di un tentativo di aggirare la legge.
“Non sono un giurista ma un ingegnere, però dico: se esiste il valore legale del titolo di studio la laurea deve pesare allo stesso modo. Oppure hanno pensato di intervenire abolendo il valore legale del titolo di studio?”, dice Stefano Paleari, rettore dell’Università di Bergamo e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori intervistato dal Quotidiano nazionale.
Poi attacca frontalmente il governo: “Magari si è deciso di ripartire da zero su tutta la materia e io non ne sono stato informato”.
Mario Panizza, rettore di Roma Tre, ateneo tradizionalmente considerato non ostile a un certo riformismo di sinistra, ha un giudizio sprezzante: “Propongono la brutta copia del modello americano. In Italia professori percepiscono stipendi unificati e soprattutto sono selezionati attraverso valutazioni “garantite” a livello nazionale, proprio per assicurare a tutti gli studenti di avere docenti con competenze standardizzate da mediane prestabilite”.
Come a dire: prima lo stato garantisce standard uguali per tutti di professionalità nell’insegnamento e nella ricerca e poi discrimina ritenendo i suoi stessi standard inadeguati?
Dall’Udu passando per Link e arrivando a Run, sono in rivolta anche tutte le principali organizzazioni degli studenti di sinistra.
Trovando l’appoggio della Cgil: “Il governo introduce divisioni e disparità inaccettabili – ha tuonato Rossana Dettori, segretario generale della Funzione pubblica – Stilano classifiche senza alcuna logica, alla ricerca di un ‘merito’ che non sarà altro che l’introduzione di una ennesima diseguaglianza”.
Nelle aule parlamentari il Movimento 5 stelle annuncia che la strada per l’approvazione sarà impervia.
“Un nuovo colpo mortale che governo e Pd assestano al sistema pubblico d’istruzione – dicono i parlamentari M5s – spazzando via definitivamente i principi di uguaglianza e inclusione su cui questo si fonda. Se questo è l’antipasto della Buona università , c’è solo da preoccuparsi”.
Siamo solo all’inizio di una battaglia che si combatterà senza esclusione di colpi.
E, qualora il valuta-atenei passasse alla Camera, al Senato ne vedremo delle belle.
“È una norma incostituzionale che va cancellata. Se non lo fanno a Montecitorio, lo faremo noi a Palazzo Madama”. Parola di Antonio Gentile.
Che fa parte di quella Ncd senza la quale nella Camera alta non c’è maggioranza.
(da “Huffingtonpost“)
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