Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
CAVO E GIAMPEDRONE DOVEVANO DIMETTERSI DA CONSIGLIERI E LASCIARE SPAZIO ALLA LAURO, ORA PARE CI RIPENSINO… E RIXI HA PAURA DI PRENDERSI LA DELEGA AI TRASPORTI: CON L’ARIA DI CONTESTAZIONE CHE TIRA FINISCE CHE GLI SCIUPANO LA MESSA IN PIEGA
Toti e il suo cerchio magico stanno spolverando le ultime poltrone da assegnare (fatta la Giunta regionale, restano quelle in similpelle per i peones, come le presidenze delle commissioni).
Toti aveva detto: “chi farà l’assessore dovrà dimettersi da consigliere regionale”, anche perchè la maggioranza regionale è di un solo consigliere e se un assessore è impegnato sul territorio si rischia di andare sotto.
Di quelli eletti hanno subito fatto orecchie da mercante i leghisti Viale e Rixi, il forzista Marco Scajola e il fratello d’Italia Berrino.
Restavano i fedelissimi di Toti, ovvero il vicino di casa Giampedrone e l’amica della moglie, Italia Cavo.
Pareva dovessero dimettersi per lasciare il posto a Lilli Lauro, altrimenti Biasotti si suicida, e regalarne uno alla Lega .
Ma ora pare ci abbiano ripensato e hanno rinviato tutto all’autunno.
Qual’è il problema? Se la giunta cade, non sei più assessore e non prendi neanche più gli 8.000-10.000 eurini dello stipendio da consigliere, se ti sei dimesso.
Quindi nessuno molla la potrona facilmente.
Poi c’è la fuga dai problemi: la patata bollente dei trasporti regionali con le aziende pubbliche in rosso e lavoratori incazzati.
Meglio non rischiare di rovinarsi la messa in piega in qualche tumulto, deve aver pensato Rixi che non gradisce la delega.
L’ideale sarebbe Berrino (Fdi) che notoriamente di capelli da sistemare non ne ha. Ma Berrino ricorda a Toti che il turismo era stato promesso a Fdi e vuole quello: visto la percentuale di vecchie glorie nel suo partito vorrà forse favorire il turismo della terza età ?
Oggi vedremo come andrà a finire.
Di certo pare che il cerchio tragico di Toti farà gruppo a parte rispetto a Forza Italia: caso singolare che il numero due di Forza Italia faccia un “gruppo Toti” a sè, con Cavo e Giampedrone.
I maligni dicono perchè così gestiscono i fondi del gruppo da soli, senza doverli dividere con quelli di Forza Italia.
Ma non erano quelli per la famiglia tradizionale unita?
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
DRAGHI NON AUMENTA LIQUIDITA’ ALLE BANCHE PER FARE PRESSIONI SUL NEGOZIATO…TSIPRAS INCASSA L’APPOGGIO DI QUASI TUTTI I PARTITI
Al termine dell’atteso Consiglio direttivo della Bce, arrivano due notizie: una buona e una cattiva,
per i greci.
Da un lato la Banca Centrale lascia invariato il tetto dell’Ela, i fondi di emergenza che tengono in vita gli istituti di credito greci a rischio collasso.
Ma, dall’altro, chiede maggiori garanzie per ottenere la liquidità .
Con questa correzione le banche greche dovranno aumentare i titoli portati a garanzia per avere lo stesso ammontare di prestiti.
Nel day after greco, la mossa dell’Eurotower chiude il cerchio delle reazioni alla vittoria del No nel referendum greco.
Tutti i protagonisti hanno messo sul tavolo le loro condizioni.
E tutti hanno lanciato segnali distensivi per dare una nuova spinta alle trattative, in vista dell’Eurogruppo di martedì.
Da Tsipras al Fondo Monetario Internazionale, da Hollande a Merkel fino a Mario Draghi, la volontà è quella di riaprire il tavolo e arrivare velocemente a un accordo.
La decisione della Bce di mantenere stabile la liquidità d’emergenza era nell’aria: un aumento sarebbe stato un aiuto evidente al governo di Alexis Tsipras, e di certo non sarebbe stato accolto con favore dai creditori internazionali.
Un taglio della liquidità avrebbe invece condannato definitivamente le banche greche all’insolvenza.
Una via di mezzo, quella presa dal consiglio della Bce, ma non senza un prezzo: l’aumento dell’haircut sul valore dei titoli greci portati in garanzia dei prestiti è un modo per fare pressione sulle parti per trovare un accordo al più presto.
Tanto sui creditori, ben consapevoli che queste condizioni non possono tenere a lungo in vita gli istituti di credito greci.
Ma soprattutto sul governo di Atene, che non è ancora in condizione di riaprire le banche (chiuse almeno fino a mercoledì) e di eliminare il controllo sui capitali.
Non solo Francoforte.
Il primo “gesto di buona volontà ” lo ha fatto il governo di Alexis Tsipras di buon mattino, quando ancora non era stata smaltita l’euforia per la vittoria dell’OXI: le dimissioni di Yanis Varoufakis da ministro delle Finanze.
Atene ha lanciato un messaggio chiaro al Brussells Group, facendo fare un passo indietro al ministro “perditempo e dilettante” (così era stato definito Varoufakis all’Eurogruppo di Riga dai suoi colleghi).
La volontà di trovare un accordo, e di trovarlo rapidamente, è dimostrato secondo Atene dall’avvicendamento al ministero delle Finanze, ora guidato da Euclid Tsakalotos a cui lo stesso Tsipras aveva affidato i negoziati dopo che l’Eurogruppo ‘sfiduciò’ il ministro in T-shirt.
Atene sembra quindi intenzionata a portare al vertice di domani una proposta che si rifà all’ultima (tentata) mediazione, prima che il tavolo delle trattative saltasse con l’indizione del referendum.
Tsipras può contare anche sull’appoggio dei leader dei partiti greci (a eccezione del Partito comunista e di Alba Dorata) che hanno ufficialmente dato mandato al premier di riaprire i negoziati con Bruxelles per giungere a un’intesa definitiva.
Nel mandato c’è però anche un riferimento alla “ristrutturazione” del debito, quella ristrutturazione della quale a Berlino non vogliono sentir parlare.
Merkel e Hollande aspettano: al termine del loro incontro, con una dichiarazione congiunta, hanno passato la palla a Tsipras: “Ora tocca a lui fare proposte serie e concrete”.
E, in risposta al passo in avanti fatto con il “sacrificio” di Varoufakis, hanno lanciato messaggi di distensione: “C’è urgenza”, le proposte di Tsipras devono arrivare “entro questa settimana”, ha detto Merkel.
“Rispettiamo l’esito del referendum greco ma dobbiamo tenere conto anche di ciò che pensano gli altri 18 Paesi dell’Eurogruppo. Anche questa è democrazia. La porta per Atene resta aperta”.
Mano tesa anche da Washington.
II direttore del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde ha fatto sapere di essere pronta a intervenire, se la situazione dovesse peggiorare: “Il Fmi sta monitorando la situazione da vicino ed è pronto ad aiutare la Grecia se Atene lo chiederà “.
Ma l’aiuto sarebbe “tecnico”, non economico, chiarisce Lagarde: “L’FMI non può sborsare liquidità in aiuto fino a quando la Grecia resta in arretrato sui pagamenti” al fondo stesso.
Il 30 giugno scorso Atene è diventata la prima nazione avanzata a non onorare i propri impegni verso l’istituzione non avendo rimborsato quota 1,5 miliardi di euro dovuti entro quella data.
(da “Huffingonpost”)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX VICESINDACO DI SEDRIANO DENUNCIA: “IL SEN. GARAVAGLIA VOLEVA CHE IL COMUNE NON AGISSE CONTRO LA SOCIETA’ DELL’ALTA VELOCITA’ IN CAMBIO DI 500.000 EURO”… LA MOGLIE DELL’EX SENATORE ERA NEL CDA DI UNA AZIENDA INTERESSATA AI LAVORI
“Ereditammo una cava abusiva, dalla quale erano stati scavati 320 mila metri cubi di ghiaia utilizzati nel cantiere Tav, senza che il Comune ricevesse in cambio nè soldi, circa 400mila euro, nè compensazioni ambientali. Si fece avanti l’assessore regionale Massimo Garavaglia, che era senatore della Lega Nord, per chiederci di non procedere contro il consorzio Cav.To.Mi. (la società che ha costruito una tratta lungo l’asse Milano-Torino del treno super veloce, ndr) e di rinunciare alla procedura sanzionatoria da 3 milioni di euro. In cambio Garavaglia si sarebbe attivato per farci avere 500mila euro con la ‘legge mancia’”.
A parlare è Adelio Pivetta, ex vicesindaco di Sedriano, primo comune lombardo sciolto per mafia nell’ottobre 2013.
Lo dichiara in tribunale di Milano, dove è in corso il processo sui rapporti fra la ‘ndrangheta e la politica lombarda, che vede coinvolto l’ex assessore regionale del Pdl Domenico Zambetti (accusato di voto di scambio mafioso) e l’ex sindaco di Sedriano Alfredo Celeste (Forza Italia, imputato per corruzione).
L’attuale assessore regionale vicinissimo al presidente Roberto Maroni conferma in parte la circostanza risalente al 2009.
Chiamato mercoledì 1 luglio a deporre dai legali della difesa e incalzato dal Pm antimafia, Giuseppe D’Amico, Garavaglia dichiara: “E’ vero, partecipai a un incontro a Sedriano e sconsigliai di intentare una causa contro il Tav, queste cose non portano da nessuna parte”.
Perchè un senatore della repubblica chiede a un amministratore locale del suo partito di desistere dall’ottenere giustizia rispetto al torto subito da Tav?
“Vincere la causa sarebbe stato impensabile. Consigliai di trovare un accordo”.
Però sulla promessa di far piovere su Sedriano 500mila euro Garavaglia, all’epoca vicepresidente della commissione Bilancio del Senato e responsabile economico della Lega, nega: “Non ne ho mai parlato”.
Ma l’avvocato dell’ex sindaco di Sedriano, Giorgio Bonamassa, legge gli eventi in altro modo: per lui Garavaglia fu grande sponsor della Tav fin dagli anni ’90, quando era sindaco di Marcallo con Casone (1999-2009), uno dei comuni interessati al passaggio del treno super veloce.
Nel corso dell’interrogatorio spuntano due società a maggioranza pubblica: Scr e E2Sco, nei cui Cda compare Renzo Pravettoni, patron di Ecoter, un colosso nel mondo delle escavazioni, ma compare anche Marina Roma, moglie di Garavaglia.
Le società lavorano molto negli anni del Tav.
In entrambe è il comune di Marcallo a fare la parte del leone, possedendo il 25 per cento delle azioni.
Quando il Tav viene inaugurato, il conto da pagare è di 2,7 miliardi di euro.
Secondo Garavaglia il treno super veloce porta progresso e lavoro. Già .
Però lascia anche in eredità sette cave abusive (sequestrate dalla Procura di Milano nel 2008) tra Cornaredo, Arluno, Ossona, Boffalora, Magenta, Sedriano e Marcallo: siti utilizzati per l’Alta Velocità e poi riempiti con rifiuti pericolosi come cemento, amianto e plastica.
Risultato: 84mila metri cubi di scorie di edilizia inquinante da mercurio, piombo e benzopirene finiscono sotto terra.
Una notte, a Sedriano, i cittadini chiamano i vigili: “Da un campo stanno uscendo fumi colorati”. Gli agenti non ci credono. Si recano sul posto. Ed è tutto vero.
Dietro il business della cave abusive e dei rifiuti tossici c’è la ‘ndrangheta, come emerge da diverse inchieste.
Ersilio Mattioni
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
NELLE TRATTATIVE TRA TSIPRAS E L’ASSE FRANCO-TEDESCO L’ITALIA TRATTATA COME UN MAGGIORDOMO
È solo al termine del lungo incontro col ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan che Matteo Renzi
rompe il silenzio, diventato quasi assordante, per mettere nero su bianco le sue parole sulla Grecia: “Ci sono due cantieri — scrive su facebook – da affrontare rapidamente nelle capitali europee e a Bruxelles. Il primo riguarda la Grecia, un paese che è in una condizione economica e sociale molto difficile. Il secondo, ancora più affascinante e complesso, ma non più rinviabile, è il cantiere dell’Europa”.
E in vista dell’Eurogruppo di martedì aggiunge: “Ricostruire un’Europa diversa non sarà facile, dopo ciò che è avvenuto negli ultimi anni. Ma questo è il momento giusto per provare a farlo, tutti insieme. L’Italia farà la sua parte. Se restiamo fermi, prigionieri di regolamenti e burocrazie, l’Europa è finita”.
Parole che suonano, dopo lo tsunami greco, come un modo per ammantare l’attesa di un sapore di strategia politica.
Perchè è chiaro che il boccino dell’iniziativa non è a palazzo Chigi, ma è tornato lungo l’asse franco tedesco.
Che, in fondo, il nostro premier, raccontano quelli in contatto con lui, soffre. Nell’inner circle tendono a minimizzare l’assenza di Matteo Renzi dal vertice bilaterale franco-tedesco: “Non è un’esclusione, i contatti sono costanti”.
Ma la sensazione è che il risultato del referendum greco abbia fatto piombare l’impianto strategico del governo italiano in acque incognite.
Perchè, nella partita di poker greca, il premier aveva puntato tutto sulla vittoria del sì, sia pur con prudenza nelle uscite pubbliche.
E ancora domenica, a risultato caldo, a stento aveva trattenuto il suo disappunto sul governo greco, colpevole di aver scherzato col fuoco: “Alexis — questo il senso del suo ragionamento consegnato ai fedelissimi — dice che ha vinto ma non sa a cosa va incontro con questa sua linea”.
Decisivi, nella correzione di linea da “falco” a “mediatore”, sono stati i contatti col Colle.
Renzi e Mattarella si sono sentiti più volte nella giornata di domenica, perchè il capo dello Stato è preoccupato davvero.
E non è un caso che, proprio domenica sera Mattarella sia uscito con un comunicato mentre Renzi e tutto lo stato maggiore del governo ha preferito tacere: “La Grecia — ha detto il capo dello Stato — fa parte dell’Europa e nei confronti del suo popolo non deve mai venir meno la solidarietà degli altri popoli dell’Unione”.
Tradotto: occorre mediare, mediare e ancora mediare per evitare lo scenario più devastante: la Grexit. È da questo insieme di fattori — l’isolamento rispetto all’asse franco-tedesco, le preoccupazioni di Mattarella — che il premier fa di necessità virtù. Matteo Renzi è, innanzitutto, un situazionista, capace di passare in pochi mesi da nemico del rigore – quando invocava lo sforamento del tre per cento — a principale alleato della Merkel nei confronti di Tsipras, al punto da ricordare a qualcuno l’atteggiamento di Berlusconi con Bush.
Ora si posiziona per una nuova sterzata tattica.
Negli ultimi giorni, racconta chi gli sta attorno, ha avuto contatti con Tsipras che gli avrebbe garantito che “farà di tutto per rimanere nell’euro”.
E le dimissioni Varoufakis suonano come una conferma in tal senso. Adesso se si apre un varco grazie a Hollande, il premier è pronto a infilarcisi proponendosi come mediatore.
E indossando i panni del socialista mediterraneo. Se invece prevarrà la linea dei falchi della Bce, il premier italiano si è tenuto i margini di manovra per nascondere dietro a Tsipras le difficoltà dell’Italia.
E invocare, pure lui, la fine dell’Europa del rigore.
Perchè è vero che, nel corso dell’incontro di due ore a palazzo Chigi, ancora una volta Padoan ha rassicurato sul fatto che il rischio contagio non riguarda l’Italia, e non solo per merito dell’ombrello di Draghi ma perchè i fondamentali sono a posto e soprattutto tutte le riforme più volte sollecitate dall’Europa sono state fatte o si stanno facendo, dal lavoro alla pubblica amministrazione.
Ed è anche vero che, al momento, il rischio Grexit non è ancora diventato l’urgenza, ma appare — al massimo — uno scenario di medio periodo.
Tutto vero però già si intravedono i segni di un ottobre difficile: “Per la prossima legge di stabilità — dicono fonti vicine al dossier — si parte da -20 miliardi, nel senso che vanno trovati soldi per alcuni buchi, per le clausole di salvaguardia e per coprire gli effetti delle sentenze della consulta su pensioni e pubblico impiego. Non sarà drammatico, ma se si balla a livello europeo è difficile immaginare una finanziaria espansiva”.
Ecco, anche per questo il premier si tiene margini di manovra, consapevole che il destino al momento non pare nelle mani del governo italiano.
Dice il viceministro Enrico Morando: “La gestione tecnica della vicenda è problematica perchè non si conoscono intenzioni del governo greco, e comunque nella gestione tecnica è decisivo il ruolo di Draghi. Politicamente o c’è un salto di qualità sul versante del rilancio dell’unità politica e fiscale dell’Europa, altrimenti il rischio è che le porte che si spalancano sono molto rischiose”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
NELLA SPESA SULL’ISTRUZIONE, PEGGIO DI NOI SOLO LA GRECIA
È impietoso il rapporto Ocse, che boccia l’Italia su vari fronti, tra cui la scuola, l’età media dei dipendenti pubblici, la spesa per il welfare e la sicurezza sociale, l’utilizzo di internet per il dialogo tra cittadini e pubblica amministrazione.
La spesa per sicurezza sociale costituisce in media il 32,4% della spesa totale dei governi dei paesi Ocse ed e’ “particolarmente elevata nei paesi nordici e in Lussemburgo, Francia, Germania, Giappone, Austria e Italia. Dove rappresenta oltre il 40% della spesa totale del governo”.
Lo scrive l’Ocse nel rapporto ‘Government at a glance’.
L’Italia, sottolinea ancora l’Ocse, e’ inoltre uno di quei Paesi dove la quota totale della spesa per il welfare e’ aumentata dall’inizio della crisi (toccando il 41,3% nel 2013) a causa del forte aumento della disoccupazione
Italia maglia nera per la spesa per l’istruzione, peggio solo Grecia
L’Italia, emerge dal rapporto, e’ il penultimo Paese dell’Ocse per spesa per l’istruzione come quota della spesa pubblica totale: appena l’8% a fronte di una media Ocse del 12,5%.
Fa peggio solo la Grecia, con il 7,6%.
I paesi che investono di piu’ nell’istruzione sono invece Islanda (16,9%), Israele (16,3%), Lettonia (15,7%) ed Estonia (15,4%).
Non solo, dalle statistiche dell’Ocse risulta anche che l’istruzione e’ la voce della spesa pubblica che ha subito la maggiore riduzione percentuale (-1,6%) negli anni dal 2007 al 2013, quelli della crisi.
Nello stesso periodo, a fronte di un aumento della spesa per il welfare del 3,9%, la spesa militare risulta scesa di appena lo 0,1%.
Gli italiani poveri rischiano di restare senza cure mediche
L’Italia e’, insieme a Grecia e Ungheria, il Paese dell’area Ocse dove i cittadini piu’ poveri incontrano le maggiori difficolta’ nel permettersi le spese mediche.
“In tutti i paesi europei le persone con bassi redditi nel 2013 hanno avuto una probabilita’ maggiore di riportare necessita’ mediche non curate rispetto alle persone con alto reddito e questo gap e’ particolarmente elevato in Ungheria, Italia e Grecia”, si legge nel rapporto, “il motivo piu’ comune citato e’ rappresentato dai costi”.
I dipendenti pubblici piu’ vecchi? Sono in Italia
L’Italia e’, insieme a Belgio e Spagna, il Paese dell’area Ocse con l’eta media piu’ elevata tra i dipendenti dell’amministrazione statale centrale.
E’ quanto scrive l’Ocse nel rapporto ‘Government at a Glance’.
Nel 2009 in Italia la percentuale di dipendenti dello Stato centrale con un’eta’ inferiore ai trent’anni si e’ aggirata tra l’1% e il 2%, la piu’ bassa di tutta l’area. Dall’altra parte della classifica il Cile, dove i dipendenti del governo under 30 sono addirittura il 28%, al di sopra della media nazionale.
Italia penultima per uso web in interazioni con P.A.
L’Italia resta in fondo alla classifica Ocse per utilizzo di Internet da parte dei cittadini per interagire con la Pubblica amministrazione.
Secondo i dati dell’organizzazione parigina, nel 2014 il 20% degli italiani hanno usato il web per chiedere informazioni o formulari, e l’11% per inviare formulari compilati. Un dato che colloca il nostro Paese al penultimo posto nell’area Ocse, davanti al solo Cile (7,3% e 8,9% rispettivamente). In testa alla graduatoria si collocano i Paesi scandinavi, in cui l’uso di Internet per ottenere informazioni è superiore al 75%, con un picco dell’81% in Norvegia.
Nettamente più diffuso, invece, l’uso del web per interagire con la pubblica amministrazione da parte delle imprese: nel 2014, sempre secondo i dati Ocse, il 77,7% delle aziende italiane hanno richiesto informazioni o moduli via Internet, e il 58% hanno inviato moduli compilati online.
Autorita’ vigilanza reti in Italia tra le piu’ robuste del mondo
(da “il Secolo XIX“)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
DAL 51% DEL 2006 AL 48% DEL 2010 SINO AL 28% ODIERNO
La scelta del Governo Tsipras di affidare ai cittadini greci, con il referendum di domenica 5 luglio,
la decisione sulle misure decise dall’UE è stata considerata giusta dal 56% degli italiani.
Di parere diverso è il 25% degli intervistati, mentre quasi un quinto non esprime un’opinione in merito. È uno dei dati che emerge dal Barometro Politico dell’Istituto Demopolis sul rapporto tra l’opinione pubblica e l’Europa.
Cresce in Italia la disaffezione verso le istituzioni comunitarie.
La fiducia dei cittadini nell’Unione Europea — secondo i dati dell’Istituto Demopolis — passa dal 51% del 2006 al 48% del 2010, sino al 28% odierno.
“L’incerta gestione della crisi economica ed occupazionale, il recente atteggiamento di molti Paesi verso l’immigrazione, ma anche la crisi greca di questi ultimi giorni — afferma il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento — stanno incidendo sempre più sullo storico sentimento europeista degli italiani: si rileva un calo di fiducia di 20 punti in cinque anni. Un dato, per l’Italia, simile a quello rilevato oggi nel Regno Unito”.
Il bilancio di 13 anni di moneta unica non è ritenuto positivo, soprattutto per il modo in cui è stato gestito.
L’Euro non piace, ma soltanto il 31% degli italiani sarebbe comunque favorevole ad un ritorno alla lira.
Secondo il sondaggio condotto da Demopolis, uscire dall’Euro appare rischioso: si teme che uscirne sarebbe peggio.
Quasi i 2/3 degli italiani appaiono convinti che il nostro Paese, fuori dalla moneta unica, sarebbe troppo debole per competere da solo sui mercati mondiali, correndo il rischio di una forte instabilità economica.
“Sono sostanzialmente tre — spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento — i profili dell’opinione pubblica nel rapporto con l’Europa: appena 1 intervistato su 10 appare convinto della necessità delle attuali politiche economiche dell’UE; il 31% si dichiara propenso all’uscita dall’Euro. Il 59%, la maggioranza assoluta degli italiani, manifesta un profilo europeo, ma piuttosto critico: crede nell’Europa unita, ma — conclude Pietro Vento — vorrebbe un cambio di rotta nelle rigide politiche di austerity imposte dall’Unione negli ultimi anni”.
(da “L’Espresso“)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA NON SONO LE PENSIONI GRECHE: IN MEDIA SONO SOTTO I 700 EURO E IL 48% DELLE FAMIGLIE SOPRAVVIVE GRAZIE A QUELLE… DA QUANDO E’ SOTTO IL CONTROLLO UE LA DISOCCUPAZIONE E’ AUMENTATA DEL 160%, IL 40% DEI GRECI VIVE NELLA MISERIA E 800.000 PERSONE NON HANNO PIU’ ACCESSO ALL’ASSISTENZA SANITARIA
Per capire in quale contesto è maturato l’esito del referendum greco, è sufficiente affidarsi ai numeri di un Paese che di europeo, forse, oggi ha solo la moneta.
Da quando la Grecia è entrata nel vortice della crisi finanziaria, finendo sotto la vigilanza della Trojka, la disoccupazione è aumentata del 160%: oggi tre milioni e mezzo di greci lavorano (anche) per sostenere i 4 milioni e settecentomila connazionali inattivi.
La scarsa disponibilità di denaro è tale che ogni mese il servizio pubblico è costretto a tagliare l’approvvigionamento elettrico a trentamila tra famiglie e imprese.
Per il 48,6% delle famiglie la pensione è l’unica fonte di reddito. E la pensione media, in Grecia, è inferiore ai 700 euro.
La crisi non ha risparmiato neppure quelli che il ricco Nord Europa considera — giustamente – servizi essenziali: 800.000 persone non hanno accesso alla sanità , quasi il 40% della popolazione vive, di fatto, nella miseria, i casi di depressione clinica sono quintuplicati in sei anni.
Questo è il Paese che ieri è andato alle urne.
Votando nè contro l’Europa, nè a favore di Tsipras. Ma, molto più banalmente, a favore della propria sopravvivenza.
Sbaglierebbe oggi l’Europa se seguisse la linea dell’oltranzismo, miope e incosciente, indicata dalla Germania.
E la stessa cancelliera Merkel dovrebbe interrogarsi di fronte alle perplessità che iniziano a diffondersi anche all’interno dei confini tedeschi: «La Grecia è il Paese che ha varato il numero più alto di riforme durante la crisi», ha sentenziato pochi giorni fa la banca Berenberg a proposito del diktat dei creditori di Atene, mentre il direttore del think tank Diw si è spinto ad affermare che «il debito greco è insostenibile, l’Europa deve riconoscerlo e accettarne la ristrutturazione».
Il tempo per reimpostare una trattativa che salvaguardi tutti (la Grecia, la moneta unica, la tenuta dell’Unione europea) c’è.
Restituire lo schiaffo al popolo greco non servirebbe a nulla.
A Bruxelles lo sanno, ma lo sanno soprattutto a Francoforte: ed è proprio dalla Bce che, c’è da scommetterci, arriverà la spinta a evitare la catastrofe.
Difficilmente, infatti, Draghi abbandonerà le banche greche al loro destino, spianando la strada a scenari inediti e dal potenziale distruttivo.
L’auspicio è che l’Europa lo segua sulla strada della ragionevolezza. Ha ancora senso chiedere più austerità a un Paese stremato dalla recessione? Questa dovrebbe essere la prima domanda del prossimo summit europeo.
Tutte le altre riflessioni sulla Grecia che deve dare prova di credibilità , cancellare l’onta di un passato fatto di bilanci falsificati, assistenzialismo ed evasione fiscale e rimettersi in gioco in modo trasparente, restano naturalmente valide.
Questa sarà la vera sfida di Tsipras.
Ha vinto la battaglia del referendum, è vero, ma ora li aspetta un’altra e ben più importante: salvare la Grecia ripartendo dal dialogo.
Francesco Ferrari
(da “il Secolo XIX”)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
PRONTI PER L’AIUTINO A RENZI, MAI I NUMERI SONO ALEATORI
«Non so perchè vi ostiniate a chiamarlo “verdiniano”, visto che non è che siamo tutti fedelissimi di
Denis. Ma questo gruppo pronto a votare le riforme del governo Renzi al Senato, nei prossimi giorni, nascerà . Sia chiaro che rimaniamo all’opposizione, eh? Ma sarà un’opposizione, come dire, responsabile…».
All’ombroso riparo dai trenta e passa gradi di Santa Maria a Vico, provincia di Caserta, il senatore Vincenzo D’Anna ammette che per l’annuncio del pacchetto di mischia che dall’opposizione metterà al sicuro la madre di tutte riforme renziane è ormai questione di poco.
I numeri? «Undici, forse dodici di noi», risponde l’ex custode dell’ortodossia di Nicola Cosentino, da poco uscito da Forza Italia.
Sulle motivazioni, invece, D’Anna si dimostra più preciso: «Berlusconi è al crepuscolo, Salvini si papperà tutto. Quanti forzisti hanno voglia di farsi comandare da gente improbabile tipo Maria Rosaria Rossi?».
Da Arcore, dove Berlusconi guarda con grande distacco ai movimenti del ramo del Parlamento da cui è stato estromesso dopo la condanna, si ostenta una calma quasi olimpica.
Che oscilla tra una tendenza negazionista («Verdini non ha i numeri») e l’inguaribile ottimismo della casa («Soltanto uno, nel caso, lo seguirà »).
Quell’uno, di cui tutti fanno il nome, è Riccardo Mazzoni. Che assieme ad altri due «Riccardi» (Villari e Conti) compone il terzetto dei forzisti su cui si addensano i sospetti dei più.
«Ora non saprei che dirle», dice Mazzoni, verdiniano da sempre. Poi però dice più di una cosa: «Risentiamoci dopo martedì. Quando avremo ascoltato il discorso di Anna Finocchiaro in commissione Affari costituzionali, ci saranno degli elementi di più»
La prima commissione del Senato, infatti, è lo specchio vivente di tutte le difficoltà del governo. Il pallottoliere recita 14 a 14.
Mazzoni è decisivo. «Sia chiaro, come ha fatto il Pd con Tocci, potrebbero anche sostituirmi in commissione. Di certo, il momento della verità sulle riforme», e anche sulla legislatura, «è previsto col voto dell’Aula».
L’ora della transumanza, insomma, potrebbe scattare a breve.
Accompagnata da una serie di punti interrogativi che adesso tengono i senatori col fiato sospeso.
È sicuro che Berlusconi ostacolerà l’uscita di alcuni dei suoi? E se sfruttasse la transumanza in altro modo, magari tentando la disperata difesa del «così fan tutti» proprio mentre è sotto processo per compravendita di senatori?
La partita si gioca nella parte centrale dell’emiciclo. Dove siede la coppia composta da Manuela Repetti e Sandro Bondi, dove si sono sistemati i fuoriusciti del M5S, dove hanno preso casa gli ex leghisti.
Il senatore centrista Paolo Naccarato, che di questo limbo del Senato è da sempre un ottimo Virgilio, allarga le braccia: «Io sono il capo degli stabilizzatori, e questo lavoro lo faccio gratis. Se Renzi e la Boschi continuano a dialogare e accettano modifiche alla riforma, allora il premier entrerà nella storia come l’uomo che ha abolito il bicameralismo perfetto.
“In caso contrario», aggiunge, «non voglio neanche pensare a quello che accadrà in Senato. Ce l’avete presente la maionese impazzita? Ecco, una maionese impazzita».
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 6th, 2015 Riccardo Fucile
LA DEFEZIONE DI 15 IRRIDUCIBILI E’ DATA PER SCONTATA, GOVERNO IN AFFANNO
I suoi “no” Matteo Renzi li ha già fatti recapitare ai venticinque dissidenti della sinistra dem.
Di allargare le competenze del nuovo Senato, ad esempio, non se ne parla. E di rallentare il percorso del ddl Boschi neanche.
Sul bicameralismo, sostiene, indietro non si torna.
Siccome però la battaglia si annuncia campale, il premier continua a ripetere di essere pronto a discutere. Se alla fine si dovrà andare alla conta, che almeno non sia lui a fornire l’impressione di voler rompere.
L’obiettivo, piuttosto, è concedere qualcosa alle “colombe” della sinistra dem. Per spaccare la falange dei venticinque oltranzisti.
Il nodo, e sarà così per settimane, resta quello del Senato elettivo.
Il massimo che Palazzo Chigi può accettare è racchiuso nel pacchetto Boschi-Quagliariello: un listino di senatori scelti tra i candidati per i consigli regionali.
Una novità da inserire nelle norme transitorie, da definire poi con legge ordinaria.
Sul punto Renzi continua a ripetere di volersi «confrontare senza pregiudizi ». Troppo poco, almeno per una quindicina di irriducibili dem.
Un gruppo nel “gruppo dei 25”, con il coltello tra i denti.
La partita a scacchi è appena cominciata. E l’opposizione interna è disposta a giocare il tutto per tutto.
Ieri, per dire, i firmatari del documento hanno concordato una strategia di marketing politico da mettere in pratica nelle prossime ore. Vogliono diffondere sui social network un “Bignami” delle modifiche al ddl Boschi.
Con una premessa che serve a proteggersi dalle accuse del renzismo più ortodosso: «Frenatori? Avanti con le riforme».
L’opuscolo raccoglie le istanze della minoranza e rilancia, naturalmente, il Senato eletto dai cittadini. Eletto direttamente, si sgolano. «Senza pasticci».
L’ala più moderata – capitanata da Maurizio Migliavacca – è la meno ostile a un accordo.
Il progetto è scambiare il via libera a un’intesa con un patto di legislatura che tenga il Pd al riparo da nuovi strappi.
E gli ambasciatori renziani lavorano ai fianchi proprio i più “ragionevoli”.
«Piena disponibilità al confronto – ripete il vicesegretario Lorenzo Guerini -. Ma non si riparte da capo». Non basterà all’ala dura.
È quella dei quattordici che si autosospesero nel 2014, in occasione della sostituzione in commissione di Chiti e Mineo. Oltre ai due “epurati”, l’elenco comprende Chiti e Corsini, Gatti e Micheloni, Tocci e Casson.
Anche tra i renziani, a dire il vero, c’è chi spinge verso il muro contro muro.
Il ministro delle riforme ha in mano un elenco. Prevede che alla fine il pallottoliere sorriderà a Palazzo Chigi. Con la defezione di una quindicina di senatori, è il calcolo, alla maggioranza basterebbero cinque o sei parlamentari dell’opposizione per ottenere il via libera al provvedimento.
E i verdiniani, si sa, già si sbracciano per attirare l’attenzione del premier. Che intanto polemizza pure con Diego Della Valle: «Ci sono alcuni storici imprenditori che hanno un po’ di mal di pancia. Tutto utile, il loro mal di pancia non mi fa venire il mal di testa». A Renzi, in serata, arriva una frecciata da Matteo Orfini sul caso-Roma: «Sbagliò a criticare Marino. Il premier deve aiutare la capitale nel suo sforzo di rilancio».
C’è un’ultima incognita, capace di cambiare il corso degli eventi: Piero Grasso.
È possibile che il presidente del Senato geli le speranze della minoranza, dichiarando blindato l’articolo due del ddl. Quello sull’eleggibilità , per intenderci.
Ma la domanda più delicata è un’altra: permetterà al governo di ritoccare l’eleggibilità emendando altri articoli del provvedimento?
«Lo spero, ma non è detto. E a quel punto – ammette con un briciolo di preoccupazione Quagliariello – la situazione potrebbe complicarsi…».
Tommaso Ciriaco
(da “la Repubblica”)
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