LE BALLE SULLA GRECIA CHE “NON VUOLE FARE LE RIFORME” SMENTITE DALLA BANCA BERENBERG: “E’ IL PAESE CHE HA VARATO IL NUMERO PIU’ ALTO DI RIFORME DURANTE LA CRISI”
IL PROBLEMA NON SONO LE PENSIONI GRECHE: IN MEDIA SONO SOTTO I 700 EURO E IL 48% DELLE FAMIGLIE SOPRAVVIVE GRAZIE A QUELLE… DA QUANDO E’ SOTTO IL CONTROLLO UE LA DISOCCUPAZIONE E’ AUMENTATA DEL 160%, IL 40% DEI GRECI VIVE NELLA MISERIA E 800.000 PERSONE NON HANNO PIU’ ACCESSO ALL’ASSISTENZA SANITARIA
Per capire in quale contesto è maturato l’esito del referendum greco, è sufficiente affidarsi ai numeri di un Paese che di europeo, forse, oggi ha solo la moneta.
Da quando la Grecia è entrata nel vortice della crisi finanziaria, finendo sotto la vigilanza della Trojka, la disoccupazione è aumentata del 160%: oggi tre milioni e mezzo di greci lavorano (anche) per sostenere i 4 milioni e settecentomila connazionali inattivi.
La scarsa disponibilità di denaro è tale che ogni mese il servizio pubblico è costretto a tagliare l’approvvigionamento elettrico a trentamila tra famiglie e imprese.
Per il 48,6% delle famiglie la pensione è l’unica fonte di reddito. E la pensione media, in Grecia, è inferiore ai 700 euro.
La crisi non ha risparmiato neppure quelli che il ricco Nord Europa considera — giustamente – servizi essenziali: 800.000 persone non hanno accesso alla sanità , quasi il 40% della popolazione vive, di fatto, nella miseria, i casi di depressione clinica sono quintuplicati in sei anni.
Questo è il Paese che ieri è andato alle urne.
Votando nè contro l’Europa, nè a favore di Tsipras. Ma, molto più banalmente, a favore della propria sopravvivenza.
Sbaglierebbe oggi l’Europa se seguisse la linea dell’oltranzismo, miope e incosciente, indicata dalla Germania.
E la stessa cancelliera Merkel dovrebbe interrogarsi di fronte alle perplessità che iniziano a diffondersi anche all’interno dei confini tedeschi: «La Grecia è il Paese che ha varato il numero più alto di riforme durante la crisi», ha sentenziato pochi giorni fa la banca Berenberg a proposito del diktat dei creditori di Atene, mentre il direttore del think tank Diw si è spinto ad affermare che «il debito greco è insostenibile, l’Europa deve riconoscerlo e accettarne la ristrutturazione».
Il tempo per reimpostare una trattativa che salvaguardi tutti (la Grecia, la moneta unica, la tenuta dell’Unione europea) c’è.
Restituire lo schiaffo al popolo greco non servirebbe a nulla.
A Bruxelles lo sanno, ma lo sanno soprattutto a Francoforte: ed è proprio dalla Bce che, c’è da scommetterci, arriverà la spinta a evitare la catastrofe.
Difficilmente, infatti, Draghi abbandonerà le banche greche al loro destino, spianando la strada a scenari inediti e dal potenziale distruttivo.
L’auspicio è che l’Europa lo segua sulla strada della ragionevolezza. Ha ancora senso chiedere più austerità a un Paese stremato dalla recessione? Questa dovrebbe essere la prima domanda del prossimo summit europeo.
Tutte le altre riflessioni sulla Grecia che deve dare prova di credibilità , cancellare l’onta di un passato fatto di bilanci falsificati, assistenzialismo ed evasione fiscale e rimettersi in gioco in modo trasparente, restano naturalmente valide.
Questa sarà la vera sfida di Tsipras.
Ha vinto la battaglia del referendum, è vero, ma ora li aspetta un’altra e ben più importante: salvare la Grecia ripartendo dal dialogo.
Francesco Ferrari
(da “il Secolo XIX”)
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