Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
LE SPARATE DI RENZI E I FAVORI AI SOLITI NOTI
L’approvazione del jobs act, una delle riforme necessarie e urgenti di questo governo, era stata seguita da un’uscita del presidente del consiglio: “ora gli imprenditori non hanno alibi per assumere”
Si è visto poi come sono andati i fatti: si assume perchè ci sono gli sgravi.
Ora, per mantenere la promessa di abbassare le tasse alle imprese, si taglia sulla sanità pubblica: sono soldi per trasformare l’Italia, grazie a detassazioni incentivi, come la Slovenia. O l’Albania. Il paradiso per gli imprenditori.
La campagna contro i sindacati segue lo stesso percorso.
La rivoluzione copernicana in questo consiste: il taglio al servizio pubblico non riguarda solo la sanità , ma anche il settore dei trasporti.
Con la privatizzazione di Trenitalia, quali saranno i rami su cui il privato investirà ?
Quelli dei pendolari o quelli redditizi dell’AV?
L’obiettivo è rendere il paese attrattivo per gli investimenti.
Un giorno forse riusciremo a rendere più attrattivo il paese per gli italiani.
(da “unoenessuno.blogspot”)
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Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
GLI ITALIANI HANNO DIRITTO AD AVERE SERVIZI DECENTI ALL’ALTEZZA DELLE IMPOSTE CHE PAGANO?
Dopo il raccontino su un giorno di ordinario Frecciarossa, sono stato alluvionato dai messaggi di
amici e lettori impazienti di denunciare le proprie disavventure, simili o addirittura peggiori, sui leggendari “trasporti pubblici” in quest’estate italiana.
È come se fosse saltato il tappo di un’esasperazione troppo a lungo covata e repressa, che ha trovato finalmente uno sfogo pubblico dopo tanta rabbia silenziosa.
Chiunque abbia una storia simile da raccontare in treno, in autobus,sulla metro o in aereo, può inviarcela in poche righe a segreteria@ilfattoquotidiano.it  e la pubblicheremo, magari corredata da qualche foto scattata con l’iPhone ai mesti display delle stazioni e degli aeroporti che segnalano ritardi di 100, 200, 300 minuti, fino alle 20 ore di attesa del volo Firenze-Palermo che ieri spopolavano sul web.
Qui non si tratta di fare del qualunquismo a buon mercato intonando il solito“Piove, governo ladro”, ma di dare voce a una rivolta contro i disservizi pubblici che tutti, dai “responsabili” menefreghisti agli utenti rassegnati, considerano un accidente inevitabile, connaturato col Dna italiota.
Una rivolta che, in un Paese meno cinico e assuefatto del nostro, avrebbe già provocato uno sciopero di massa: se arrivo in stazione e il mio treno è in ritardo di un’ora, io salgo senza pagare e faccio verbalizzare il motivo della mia protesta; se il controllore mi applica — per cambiare il biglietto dalla seconda alla prima classe che sul sito web risultava esaurita e invece si scopre semivuota — la multa di 8 euro oltre al sovrapprezzo, io non pago e motivo il senso del mio gesto; se, per un errore materiale di data o di orario sul biglietto, il controllore anzichè correggere la svista mi infligge una multa di 50 euro e mi insulta pure, io non pago e metto tutto nero su bianco. Finchè, a comportarsi così, saranno pochi rompipalle isolati, non cambierà nulla. ùMa, se la rivolta sarà di massa, i vertici aziendali dovranno preoccuparsi e provvedere.
Si tratta di rimettere le cose nel giusto ordine: il cliente ha sempre ragione, a meno che non voglia fare il furbo rubando una corsa gratis (nel qual caso, nessuna pietà ); e il consumatore ha tutto il diritto di ricevere servizi decenti, all’altezza delle imposte che paga (se le paga: se invece evade, non dovrebbe poter entrare in un ospedale pubblico, accedere a un’autostrada, salire su un autobus o una metro, mandare i figli in una scuola statale, e così via).
Oggi invece nel Paese di Sottosopra — come lo chiamava Giorgio Bocca- noi cittadini siamo considerati (e finiamo per considerarci noi stessi) sudditi a cui infliggere qualunque angheria e sopruso, da una classe dirigente che non dirige un bel nulla, se non i propri lauti stipendi.
E pretende che paghiamo cari e salati i nostri errori, anche se in buona fede, mentre chi dovrebbe dare il buon esempio sbaglia continuamente e dolosamente, e non ne paga mai lo scotto.
Ricordate la campagna forsennata dei politici e della stampa al seguito contro le toghe, al grido di “Chi sbaglia paga”? Ha prodotto un aborto di responsabilità civile dei magistrati che li ha messi tutti sotto scacco, con la minaccia di azioni civili per danni per le indagini e i processi che fanno.
E il governo continua a sfornare decreti per riaprire stabilimenti inquinanti e stragisti che i giudici chiudono per tutelare la salute e la vita a operai e residenti.
E la stampa confindustriale (praticamente tutta) attacca ogni giorno quei giudici, minacciati di cause miliardarie per danni che non basterebbero mille vite per ripagare. La domanda è: e i politici quando pagano?
A quando una bella legge sulla responsabilità civile di ministri e legislatori che metta sul loro conto i danni incalcolabili dei loro abusi, ruberie, inefficienze, sprechi e leggi sballate?
La Corte di Strasburgo ha appena condannato l’Italia (cioè lo Stato, cioè noi) a pagare i danni alle vittime delle sevizi e alla scuola Diaz durante il G8 di Genova e a due omosessuali perchè i nostri politici inetti — unici in Europa — sono riusciti a non introdurre il delitto di tortura e a non riconoscere i diritti delle coppie gay, così come non fanno nulla sul diritto d’asilo, lo ius soli, l’omofobia e l’Imu agli istituti religiosi con scopo di lucro.
Chi paga? I politici?
A quando una bella legge sulla responsabilità civile di ministri e legislatori che metta sul loro conto i danni incalcolabili dei loro abusi, ruberie, inefficienze, sprechi e leggi sballate?
Ora vogliono vietarci di registrare i nostri colloqui con terzi per paura che ci vada di mezzo qualche signorino della Casta con la mazzetta in bocca o il mafioso in casa. Altra legge incostituzionale e contraria alla giurisprudenza di Strasburgo, che verrà presto rasa al suolo.
Chi pagherà ? I politici? No, sempre noi. Contenti noi…
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
SONDAGGIO PIEPOLI-LA STAMPA: IL PREMIER SCIVOLA AL 35% MA RIMANE IL PIU’ GRADITO, LANDINI SECONDO AL 26%
La fiducia degli italiani nella ripresa economica cresce, più che in altri Paesi europei. Quella in Matteo Renzi, invece, arretra.
Tanto da far scendere il segretario Pd al quinto posto nel confronto con gli altri leader Ue.
Il premier è tornato al 35%, ai livelli delle Politiche 2013, quando era «solo» il sindaco di Firenze e il principale antagonista interno al Pd.
Con lui sta un italiano su tre.
È lontano il 58% rilevato all’epoca del suo insediamento al governo, lontanissimo il 67% registrato subito dopo le Europee 2014.
Governare ha un prezzo in termini di popolarità . Da quel boom elettorale è un calo costante e il premier è sceso alle spalle di Tsipras (61%), Merkel (56%), Cameron (46%) e Rajoy (36%).
Dietro di lui, tra i principali leader, solo Franà§ois Hollande (22%).
In realtà , secondo lo studio «Lo stato dell’opinione pubblica» realizzato dall’Istituto Piepoli per «La Stampa», i dati rilevati settimanalmente evidenziano una piccola inversione di tendenza.
È stata registrata subito dopo la promessa del taglio delle tasse sulla prima casa (nella rilevazione del 13 luglio aveva toccato il 33%).
Solo un annuncio, per ora, ma l’effetto sull’opinione pubblica c’è stato.
Il sorpasso di Landini 
Nonostante il calo, Renzi resta comunque il leader politico più apprezzato in Italia. Meglio di lui soltanto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: la fiducia nel Capo dello Stato è al 61% (in occasione del suo insediamento era molto più alta, al 75%).
Poi viene Salvini, sempre stabile al 25% (il suo partito invece è al 16%), solo di un punto sopra Beppe Grillo.
Attenzione, però: pur non essendo un politico, Maurizio Landini li supera entrambi (26%). Mentre Berlusconi ormai ha il consenso solo del 13% degli italiani.
Nelle intenzioni di voto il Pd si conferma primo partito al 33,5%, praticamente solo un punto e mezzo sotto il premier.
Un anno fa il divario era di circa 20 punti, segno che l’effetto-Renzi sul partito si sta azzerando.
Restando alle intenzioni di voto, l’intero centrosinistra non supera il 38%: con l’Italicum, anche in caso di un listone unico, non scatterebbe il premio di maggioranza.
Servirebbe il ballottaggio: col centrodestra se si presentasse unito (la somma dei partiti è al 33,5%), con il M5S (24,5%) se Salvini, Berlusconi & C. andassero separati.
La top ten dei ministri
I primi dieci ministri più amati superano tutti Matteo Renzi: sul podio Pier Carlo Padoan (53%), Graziano Delrio (52%), Dario Franceschini e Maurizio Martina (entrambi al 50%). Solo sesto posto per Maria Elena Boschi (43%), a pari merito con Orlando e Pinotti. Nella top ten non c’è traccia di Alfano.
La paura di viaggiare
Lo studio mette a confronto anche un altro indicatore, Esi, che misura il «sentiment» economico, vale a dire il clima di fiducia nei confronti degli indicatori economici. Dall’inverno 2014 a oggi, l’Italia è il Paese in cui l’indice è aumentato di più (+7,6%), portandosi a un livello superiore alla media Ue.
Discorso opposto se si parla dei timori legati alla situazione internazionale. Il 32% degli italiani ha paura di andare all’estero (un anno fa era il 17%) e il 31% teme i viaggi in aereo (+4% in un anno).
Marco Bresolin
(da “La Stampa“)
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Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
“INGENEROSO” LO SFOGO DEL FONDATORE DEL PARTITO
Come nella famosa battuta scritta da Truffaut in «Effetto notte», per Emma Bonino sembra valere la regola che parlar male di chi ha occupato tanta parte della tua vita è come parlar male di se stessi.
«Non dico niente. Non aggiungerò una parola. E sarà pure un brutto spettacolo, come dite voi. Ma fa male lo stesso. Non sono di legno».
Rabbia, dolore, e la comunicazione si chiude.
La rottura, furiosamente cercata da Pannella, è scoppiata nel rilancio dei media.
Marco è ingeneroso, il senso di quella risposta irata, a caldo domenica sera sulle quote versate mensilmente a un partito cui peraltro la leader storica, magari risparmiandosi le riunioni, dà grande visibilità .
Il silenzio
Già lunedì, Bonino rifiuta di spiccicar parola con Radio Radicale. Comprensibile il dolore, e poi forse – chissà – come si fa a rispondere a uno che protesta di non riuscire a farsi ricevere da Mattarella «mentre lei se vuole ci riesce in 5 minuti», quando proprio lui al Colle c’è già andato due volte?
A uno che dice di aver fatto il tuo nome a Napolitano per la designazione a ministro degli Esteri quando invece quel 27 aprile del 2013 Napolitano chiuso allo Studio alla Vetrata col premier in pectore Enrico Letta ha aspettato 40 minuti il tuo sì perchè prima Pannella voleva rifletterci bene?
Chi scrive se lo ricorda bene perchè raccolse, il giorno dopo, lo stupore estenuato del Colle: nessuno s’era mai immaginato la necessità di un “via libera” di Pannella… Comunque, invece, «Pannella espelle Bonino dai radicali», hanno titolato semplificando i siti web di tutt’Italia.
Ma è dal lontano 1967, grazie allo statuto vergato da Sergio Stanzani Ghedini che dal Partito Radicale non può esser espulso, radiato o anche solo punito proprio nessuno. Sarebbe, ovviamente, un controsenso con la natura stessa dei radicali.
Lo strappo
Ma a Emma quella patente Pannella l’aveva già tolta il 24 aprile: Bonino andò a trovarlo in ospedale, ricoverato in fin di vita s’era rimesso e nel giro di 24 ore aveva indetto un nuovo sciopero della fame, con telecamere convocate in rianimazione.
Lei si imbufalì, cercò di contrastarlo, non ci riuscì e se ne andò sbattendo la porta. «Emma non ha la visione radicale», commentò lui col piglio di chi cerca come Molière la morte in scena.
Lei lo venne a sapere, da allora – pur continuando a ripetere in pubblico «come dice sempre Pannella…» – ha evitato confronti diretti (eccezione, raccontano al partito, quando Pannella fece pressione per avere un contatto diretto con la Santa Sede).
Poi, forse, c’è anche un sottaciutissimo scontro politico: Pannella avrebbe voluto avventurarsi in una lista radicale alle scorse europee, da organizzare al volo e senza un quattrino per la campagna elettorale… Però, dice Emma agli amici, «questo è stato un fulmine a ciel sereno».
Per quanto proprio sereno l’orizzonte non fosse, inutile accumular nubi.
Meglio tacere. Anche se, è il timore diffuso tra i radicali che han pure fatto apposita riunione, non passerà come un temporale estivo.
Son due vite che da tempo han preso strade diverse e non comunicano più.
Antonella Rampino
(da “La Stampa”)
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Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
MERCATO IN CRISI ED ESPORTAZIONI FERME: COSI’ IL SETTORE AGRICOLO AFFONDA
Da una parte il luglio record, con gli italiani che consumano il 30 per cento di frutta in più rispetto al
2014.
Dall’altra la crisi del settore e dei frutteti, dove una pianta su tre è andata perduta negli ultimi quindici anni.
E poi i costi della filiera, con i prezzi che si alzano del 500 per cento dal campo alla tavola.
Ha tanti volti la storia recente della frutta italiana, così com’è stata raccontata — ieri a Milano, tra i padiglioni di Expo 2015 — da Coldiretti.
Ma il dato è prima di tutto economico: senza export l’Italia che coltiva non sopravvive. Non bastano la ricchezza e la varietà offerte dalle nostre terre.
Con il mercato interno che si è ristretto per la crisi, le vendite verso l’estero diventano fondamentali. Specie per la frutta, che in Italia cresce tanto e bene ma altrove (leggi: in Nord Europa) molto meno.
Rischio speculazione
Dal 2000 a oggi a scomparire sono stati una pianta di limoni su due, quattro peri e peschi su dieci, tre aranci su dieci, oltre un melo su quattro.
Si è passati da 426 mila a 286 mila ettari coltivati a frutta, proprio mentre le importazioni dall’Italia crescevano del 37 per cento.
«Un trend drammatico — dice il presidente Roberto Moncalvo — che ha effetti pesanti sul piano economico e occupazionale per le imprese agricole. Occorre intervenire per promuovere i consumi interni e sostenere le esportazioni, che sono rimaste pressochè le stesse di quindici anni fa. E va frenata la speculazione: sul campo la frutta viene sottopagata, sotto i costi di produzione, e poi venduta anche a cinque o sei volte tanto».
Il nodo russo
Costerà pure troppo, ma tra i banchi del mercato la frutta sembra più popolare che mai, almeno per questo secolo.
In un luglio record, complice il caldo, la spesa per frutta e verdura ha superato per la prima volta quella per la carne: 99,5 euro per famiglia al mese, contro 97 euro per filetti e braciole.
«Nel settore ci sono dei punti di forza clamorosi, ed Expo è l’occasione anche per mostrarli ai 140 Paesi presenti», dice il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina.
Che ammette tutti i guai legati al blocco delle importazioni verso la Russia, imposto da Putin il 7 agosto 2014.
«Siamo in un passaggio delicato, con tanti prodotti da gestire a fronte della situazione. Nell’ultimo Consiglio agricolo europeo l’Italia ha ottenuto un risultato importante: sarà la Ue a ritirare 50 mila tonnellate di prodotti italiani — per la prima volta anche frutta fresca di stagione — e aiutare così le aziende in difficoltà ».
La qualità non basta
Eppure problemi e ostacoli non vengono solo da lontano.
Molti dipendono anche da limiti tutti nostri.
«Dobbiamo essere umili: la qualità non basta. I prodotti bisogna saperli vendere, e c’è chi lo fa meglio di noi».
È la provocazione di Sergio Fessia, commerciante piemontese che seleziona frutta e verdura per i negozi Eataly del nord Italia.
«I contadini non sono sciocchi: piantano quando possono guadagnare. E negli ultimi anni ci sono stati casi di peschi tagliati, in Emilia e Piemonte, con i frutti attaccati al ramo. Non conveniva nemmeno raccoglierli. Se non esporta, l’agricoltura chiude. E oggi il Nord Europa compra frutta in quantità , ma spesso da Paesi che sanno vendere meglio — Spagna in primis e poi Francia — e anche quando offrono qualità inferiore e prezzi più alti. A volte le nostre aziende sono troppo piccole per evadere ordini che arrivano anche a duemila quintali: ecco perchè serve l’umiltà e la capacità di unirsi e fare consorzi più forti».
Stefano Rizzato
(da “La Stampa“)
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Luglio 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL SENATORE NCD COINVOLTO NEL CRAC DI UNA CASA DI CURA… INIZIALMENTE IL PD SI ERA SCHIERATO PER L’ARRESTO
Oggi l’Aula del Senato dovrà fare i conti con il caso di Antonio Azzollini, il senatore di Ncd nei cui confronti la Procura di Trani ha chiesto gli arresti domiciliari per la vicenda del crac della casa di cura Divina Provvidenza.
La Giunta per le Immunità di Palazzo Madama propone di dire sì alla richiesta dei magistrati pugliesi, ma è quasi certo che i senatori nel segreto dell’urna lo «salveranno».
Anche perchè a diversi gruppi, a cominciare da quello del Pd, è stata lasciata libertà di coscienza, come si legge nell’email inviata ai senatori Dem dal capogruppo Luigi Zanda che invita i suoi «votare secondo il proprio convincimento».
«Tira una strana aria», si commenta nell’opposizione, perchè quasi tutti i parlamentari di quasi tutte le forze politiche interrogati sul punto confessano di non voler votare contro l’ex presidente della commissione Bilancio del Senato, non solo per «simpatia» nei confronti dell’uomo politico, ma anche perchè sta diventando palpabile una certa «insofferenza» verso una magistratura «che si sta mostrando sempre più invadente». «Leggendo con attenzione le carte – spiegano esponenti del Pd – ci si rende conto che contro di lui non hanno quasi nulla. Se non altro nulla che possa motivarne l’arresto». Quindi, è il giudizio «trasversale» che si ascolta interpellando diversi senatori, «è molto probabile che ce la farà a salvarsi…». §
La seduta si aprirà alle 9.30 e il presidente della Giunta per le Immunità che è stato anche relatore del caso, Dario Stefano (Sel), illustrerà la sua proposta approvata in Giunta lo scorso 8 luglio.
Poi, se almeno 20 senatori lo chiederanno, ci sarà il voto segreto. E nell’anonimato dell’urna potrebbe succedere di tutto. Azzollini, già coinvolto nell’inchiesta sulla maxi-truffa per il porto di Molfetta, è accusato, tra l’altro, di bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, induzione indebita.
Nel Pd non si nasconde la preoccupazione per le dimensioni che potrebbe assumere il «salvataggio».
Se buona parte del gruppo Dem voterà contro la proposta della Giunta, infatti, potrebbe aprirsi un problema d’immagine per il segretario Renzi.
Anche perchè a breve, forse già oggi, la Giunta dovrà pronunciarsi su un altro senatore di Ncd Giovanni Bilardi, coinvolto nelle spese pazze della regione Calabria. E il copione potrebbe ripetersi.
(da “La Repubblica”)
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