Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
TOLTO LO SPAZIO PER IL MEGAPALCO E GLI STAND DELLA CIOCCOLATA NON PIU’ DI 25.000 PRESENZE… ORA SALVINI INAUGURI LA FELPA CON LA SCRITTA “CACCIABALLE”
Ad ogni manifestazione, organizzatori e Questure danno cifre molto diverse sul numero dei partecipanti. Ma un mezzo rapido di calcolo esiste
Da domenica sera, benvenuti al gran ballo delle cifre di affluenza alla manifestazione organizzata dal Centrodestra, con i Salvini Men a proporre una cifra che, come da tradizione e per qualsiasi manifestazione pubblica, si scostano di molto da quelle della Questura.
Siamo in Italia, il gusto dell’approssimazione ci piace e quindi c’è chi preferisce non fare affidamento, pro domo sua, a dei semplici e affidabili metodi di calcolo delle affluenze in un luogo ben misurato, come è Piazza Maggiore.
In un metro quadro ci stanno fisicamente quattro persone, abbastanza strette, facciamo pure la media di cinque acciughe, in quello spazio.
Allora, immaginando una piazza gremita e nella quale non ci si può praticamente muovere, tipo Piazza del Campo a Siena durante il Palio, conoscendo le dimensioni dello spazio, non è difficile calcolare il numero dei presenti.
Un paio di esempi famosi e preliminari: Piazza San Pietro compresi i marciapiedi di via della Consolazione: 224.000 persone. Piazza Duomo a Milano: 70.000 persone.
La superficie complessiva di Piazza Maggiore è di circa 6.900 metri quadri, che significano una capienza massima di 34.000 acciughe.
Chiedo scusa: manifestanti per politica.
Che considera diverse opinioni, certo.
Ma poi c’è la matematica, che non è un’opinione.
Ovviamente dai 6.900 metri quadri vanno detratti quelli occupati dal megapalco e dal cordone di sicurezza e quelli chiusi dai gazebo degli stand della cioccolata.
Il che porta a una cifra intorno a 25.000 persone.
Franco Montorro
(da “Bologna In”)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
E’ DURATA 25 ORE L’OCCUPAZIONE DELL’ANTICAMERA DEL DIRETTORE GENERALE DA PARTE DI TOMMASO GRASSI (FED. SINISTRA) CHE DA TEMPO CHIEDE DI ACCEDERE AI DOCUMENTI DELLE SPESE DI RENZI
E’ durata venticinque ore l’«occupazione» dell’anticamera del direttore generale di Palazzo
Vecchio da parte di Tommaso Grassi che, assieme agli altri colleghi del gruppo Federazione della sinistra, chiede da giorni di poter accedere ai documenti delle spese di rappresentanza dell’ex sindaco Matteo Renzi.
Dopo aver dormito, da solo, nell’anticamera con il sacco a pelo, domenica intorno alle 12 (hanno affermato lo stesso Grassi insieme ai consiglieri Giacomo Trombi e Donella Verdi) tutte le stanze intorno all’anticamera sono state chiuse, bagno compreso.
Ed è stato impedito, scrive Trombi, anche di portare a Grassi acqua e cibo: anche a Trombi è stato inibito l’accesso alle sale.
«Dopo una notte passata su una panca di legno – scrive Trombi su Facebook – gli hanno chiuso il bagno e ci hanno impedito anche solo di portargli da bere o da mangiare: Tommaso Grassi è infine uscito da Palazzo Vecchio dopo quasi 24 ore, abbandonando l’occupazione. Ma uscire per bere e fare pipì non è una sconfitta disonorevole per noi. Semmai è una vittoria disonorevole per Nardella, che non ha avuto nemmeno il coraggio di farsi vedere o di mandare un suo emissario politico, preferendo usare le istituzioni piuttosto che la politica per lottare e difendersi».
L’amministrazione comunale, per voce dell’assessore Federico Gianassi, ha spiegato che i documenti chiesti da Grassi non possono essere consegnati perchè oggetto di una indagine della Corte dei Conti: «La documentazione è a disposizione della magistratura, mentre per il consigliere richiedente ad oggi è a disposizione ciò che viene pubblicato, documenti nei quali peraltro sono già evidenziate tutte le spese riportate con l’indicazione dell’oggetto della spesa, dell’occasione in cui la spesa è stata sostenuta e dell’importo della spesa stessa» ha detto Gianassi, rivendicando gli attestati ufficiali sulla trasparenza ottenuti da Palazzo Vecchio.
La differenza tra gli attestati (che riguardano il rispetto della legge) e la richiesta di Grassi è che il consigliere di Fds-Sel vorrebbe che fossero resi noti non solo i dati generici ma anche con chi e per quale attività precisa sono stati spesi quest fondi, pubblicando gli scontrini «come ha fatto il sindaco di Roma Ignazio Marino».
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
SALVINI ORA NON VUOLE PIU’ USCIRE DALL’EURO, LE PRIMARIE NON SONO PIU’ NECESSARIE E LA LEGGE ELETTORALE NON HA RILEVANZA… NON SONO D’ACCORDO SU NULLA, SALVO CHE ACCHIAPPARE LE POLTRONE
A Bologna va in scena il film Tutti tranne Renzi, per parafrasare Giuliano Ferrara che, ai tempi del berlusconismo imperante, coniò il TTB (tutti tranne Berlusconi) a proposito delle coalizioni rissose della sinistra accomunate solo dell’essere “contro” più che dalla proposta alternativa. Salvini sa che da solo difficilmente supera il 14 per cento e difficilmente vince nelle città e allora in nome dell’unità sopporta e cuce, anche contraddicendosi. Ma non ha uno straccio di programma
Eccolo Salvini, che urlava “mai più con Silvio” e ora ci si fa le foto assieme.
Voleva le primarie. Ora dice, ospite di In Mezz’Ora dopo il comizio: “Se si fanno è meglio, ma se devo sacrificare le primarie le sacrifico volentieri, penso che non morirà nessuno”. Chissenefrega, insomma.
E chissenefrega pure della legge elettorale e delle riforme istituzionali: “La legge elettorale — dice Salvini – se la scelga Renzi come vuole, basta che non faccia una legge elettorale in cui ti devi chiamare Matteo Renzi per fare il presidente del consiglio, perchè dovrei cambiare cognome. Per il resto si tenga la legge elettorale che vuole, sono convinto che le nostre idee saranno maggioranza in Italia”.
È quasi l’opposto di quel che Berlusconi aveva detto poco prima dallo stesso palco: “Dovremo cambiare questa legge elettorale e queste riforme che mettono in mano il paese nelle mani di un duce. Questo signore che fa il presidente del Consiglio non eletto dal popolo vuole instaurare un vero e proprio regime”.
La coalizione TTR che nasce a Bologna ha un popolo a trazione leghista certo meno moderato del vecchio centrodestra, ma è senza bussola.
A partire dal rapporto con l’Europa.
Fino a qualche tempo fa Salvini parlava di euro come “moneta criminale” e il suo responsabile economico Claudio Borghi intervistato stamattina diceva che sarebbe opportuno uscire.
Oggi Salvini cambia idea: “Io l’Europa la voglio cambiare, non voglio uscire. Non voglio più il latte che si fa con le polveri, le torte a cioccolato senza cioccolato, a causa di regole assurde che ci ha imposto l’Europa”.
Paradossalmente sull’Europa Berlusconi è più duro: “Il programma è meno tasse, meno Stato, meno Europa”. Insomma, il programma non c’è.
Gli unici punti definiti sono quando Berlusconi propone che porterà al primo cdm del futuro governo l’abolizione dell’Imu, perchè evidentemente non si è accorto che Renzi lo ha già fatto qualche cdm fa.
Su Grillo la coalizione TTR dà il suo meglio.
Sentite Berlusconi: “Sarebbe una tragedia consegnare l’Italia a un signore come Grillo i cui discorsi sono simili in molti passaggi a quelli che teneva Hitler, non dobbiamo consegnare l’Italia a questa banda di balordi”.
Poco dopo, nel corso dell’intervista In Mezz’ora, Salvini sostiene: “I progetti della Lega sono aperti anche al Movimento 5 Stelle. Voglio capire se vogliono davvero governare per cambiare il paese. O se vogliono dire soltanto no”. Dunque, non sono nazisti.
I fumogeni sputano fumo verde. E la piazza è avvolta da una nuvola di nebbia . Fitta.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
APPENA 30.000 PRESENTI, META’ CAMMELLATI DA 280 PULMANN… SALVINI PARLA DI PANE E SALAME TRA LA MASCOTTE GIORGIA E IL VECCHIO ZIO SILVIO TRATTATO COME RIMBAMBITO
Doveva finire alle 14, a causa di Valentino Rossi, e alle 14 è finita., in tutti i sensi.
Tutto come previsto, a Bologna in piazza Maggiore, alla manifestazione del centro-destra (o della Lega con la partecipazione del sedicente centro-destra, a seconda delle interpretazioni).
Alla fine è un flop di presenze, qualche dirigente leghista stasera sarà cazziato: invece che i 100.000, a stare larghi saranno stati 30.000 i leghisti presenti, truppe cammellate da altre regioni con 280 pulmann esatti (fate voi i conti).
Garantito con riprese basse il colpo d’occhio a uso televisivo e un ringraziamento speciale agli stand di Cioccoshow, la fiera del cioccolato, che occupavano metà piazza.
Politicamente, l’aspetto rilevante è il passaggio di consegne fra Berlusconi e Salvini. Silvio ha parlato prima di Matteo, e va bene.
Ma ha pure parlato troppo, è stato contestato da quegli “screanzati” padagni che erano in prima fila («Basta!», «Vai a casa!», «Mat-teo! Mat-teo!») ed è anche stato sfortunato perchè durante il suo discorso è scoppiato un tafferuglio in piazza fra leghisti e qualche autonomo che era riuscito ad attraversare gli sbarramenti, e la gente si è distratta.
Nonostante il look giovanilista, un total black con camicia nera senza cravatta sotto un Caraceni scuro, Silvio sembrava il vecchio zio un po’ prolisso che racconta sempre le stesse storie (in effetti: i giudici politicizzati, i brogli elettorali della sinistra) e subisce le intemperanze dei più giovani.
Rilevante il discorso dello statista Salvini che ha strillato «Viva pane e salame!» contro quei cattivoni di Bruxelles «che vogliono farci mangiare gli insetti».
Poi la solita sequela di insulti («cretino che non sei altro» all’ex alleato Alfano) e slogan, con un finale dove incespica pure su una citazione di Salvemini e fa un guazzabuglio tra federalismo e meridionalismo.
La mascotte Meloni (“una di noi”) fa finta di essere Marine Le Pen di dieci anni fa e si guadagna la colazione pagata.
Tra colore, folklore e canti, il centrodestra riparte da qui, ma più che una destra “alla Le Pen” il flop certifica che siamo di fronte a una “destra che fa pen”.
Facile la chiosa velenosa di Alfano: “Salvini è un quaquaraquà incolto e ignorante cui nessun paese al mondo affiderebbe neanche la delega alle zanzare”.
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
DA 15 ANNI E’ LA PRIMA VOLTA CHE IL GRADIMENTO VERSO UN GOVERNO RISALE DOPO UN CALO
Il gradimento per l’operato del premier e dei ministri fa segnare una ripresa dopo il calo registrato tra l’inizio dell’anno e il mese di luglio.
È una ripresa che va di pari passo con la crescita del consenso per il governo che abbiamo registrato da settembre in poi e segna un punto di differenza rispetto agli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni i quali, dopo il calo progressivo di consenso tipico della fine della «luna di miele», non sono stati capaci di recuperare la fiducia dei cittadini.
Matteo Renzi guida la graduatoria con il 38% di giudizi positivi (+ 6% rispetto a luglio) e un indice di gradimento, calcolato escludendo coloro che non lo conoscono o non esprimono un giudizio, pari a 40 (+ 7 rispetto a luglio).
A seguire il ministro dell’Economia Padoan, gradito dal 31% dei cittadini, Maria Elena Boschi (27%), Dario Franceschini (25%), Paolo Gentiloni (23%), Graziano Delrio (22%) e Beatrice Lorenzin (21%). Gli altri ministri ottengono giudizi positivi inferiori al 20%.
Come il presidente del Consiglio, tutti i ministri (sono stati selezionati i più conosciuti), fanno segnare una crescita rispetto al dato di luglio.
In parte questo dipende dal loro operato: il ministro Padoan che ha tenuto in ordine i conti e soprattutto sembra ottenere aperture da Bruxelles, Boschi che ha incassato il via libera alla riforma del Senato, Franceschini con la nomina dei nuovi direttori dei musei che ha avuto un’ampia eco mediatica, Gentiloni che ha evidenziato capacità di presenza nel difficile scenario mediterraneo, Lorenzin per la campagna contro gli sprechi nella sanità e quella antifumo.
All’ultimo posto il ministro Alfano che, per il suo passato politico da un lato e per le preoccupazioni sull’immigrazione dall’altro, vede oscurato il buon risultato ottenuto sulla sicurezza con Expo.
Anche perchè la sicurezza viene in qualche modo data per scontata: se c’è non porta consenso, se manca causa impopolarità .
La graduatoria di gradimento, però, non dipende solo dall’operato dei ministri, dall’importanza data dai cittadini a quanto hanno realizzato e dal rilievo mediatico ottenuto, ma è fortemente influenzata dal diverso livello di notorietà .
A questo proposito non stupisce affatto che tutti i membri dell’esecutivo, nessuno escluso, ottengano più giudizi negativi che positivi: ciò dipende dallo scenario politico quadripolare nel quale i sostenitori del M5S, quelli dei partiti di destra e di centrodestra e il «partito del non voto» si mostrano assai poco benevoli.
Non a caso, in questo scenario, l’unica figura che fa registrare più consenso che dissenso è il presidente della Repubblica Mattarella per il ruolo super partes.
Il premier e tutti i ministri testati, come di consueto, ottengono un gradimento più elevato tra gli elettori dei partiti che sostengono il governo sia pure con qualche differenza tra gli elettori del Pd e quelli delle liste di centro: tra questi ultimi Poletti, Lorenzin e Alfano sono nettamente più apprezzati rispetto a quanto non avvenga tra gli elettori del Pd.
Ed è interessante sottolineare i dati «dissonanti»: l’operato di Renzi, ad esempio, risulta gradito al 30% degli elettori di Forza Italia e poco gradito al 20% di quelli del Pd.
Il premier da tempo ha fatto breccia tra gli elettori berlusconiani proponendo misure molto in sintonia con le loro aspettative (basti pensare all’abolizione della tassa sulla prima casa o all’innalzamento a 3.000 euro del limite di utilizzo del contante), scontentando nel contempo una parte degli elettori del suo partito.
E tra gli elettori di FI 5 ministri su 10 ottengono l’apprezzamento di una percentuale compresa tra 22% (Franceschini) e 27% (Padoan e Poletti).
Al contrario, decisamente più critici si mostrano gli elettori del M5S e della Lega, nonchè gli astensionisti, delusi dalla politica e poco inclini ad esprimere giudizi positivi.
In conclusione, il momento attuale è caratterizzato da un netto miglioramento del clima sociale testimoniato dai dati Istat di fiducia dei consumatori che si attestano sui livelli più elevati dal 2002 ed è alimentato dai positivi dati dell’economia (nei giorni scorsi l’Istat e la commissione Ue hanno riveduto al rialzo le stime del Pil italiano, portandole a + 0,9% contro il + 0,7% previsto), dalla ripresa dei consumi e dalla lieve riduzione del tasso di disoccupazione.
Tutto ciò si riverbera sulla fiducia nel governo.
È difficile immaginare un ritorno ai valori di apprezzamento che avevano caratterizzato il 2014, ma si tratta di un’inversione di tendenza non scontata, che al momento sembra premiare la politica del «passo dopo passo», lo slogan che accompagna l’azione del governo.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
L’AGONIA DEL SIMBOLO DELL’EMILIA OPERAIA: 800 MILIONI DI DEBITI
È stata per lungo tempo la coop rossa per eccellenza. 
Coopsette era fatta di manager che di mattina dirigevano cantieri e di sera erano nelle sezioni del Pci a fare politica.
Anzi di più: di sezioni comuniste ce n’erano perfino dentro i suoi stabilimenti. Coopsette era simbolo e vanto di una Emilia che sapeva rimboccarsi le maniche e che, se il lavoro non c’era, sapeva crearselo.
Una potenza nazionale nel settore dell’edilizia.
E’ nata nel 1977 dalla fusione di diverse cooperative del Reggiano, che da fine Ottocento avevano fatto la fortuna di terre una volta povere. Tangentopoli, nella quale fu coinvolta, non l’aveva spezzata, ma 20 anni dopo, tra inchieste giudiziarie e crisi dell’edilizia, la coop di Castelnovo Sotto, in provincia di Reggio Emilia, è precipitata in una crisi nera da cui non è chiaro come usciranno i suoi 1300 creditori, un migliaio dei quali anche soci.
Gente che con l’idea di cooperazione ci è cresciuta. Il 30 ottobre il ministero dello Sviluppo economico, verificata la condizione di insolvenza, ha disposto con decreto la liquidazione coatta amministrativa e ha nominato Giorgio Pellacini commissario liquidatore. Non è un fallimento, ma poco ci è mancato.
A chiedere che Coopsette, schiacciata da debiti per 800 milioni di euro, venisse messa in liquidazione coatta era stata soprattutto la Legacoop, associazione di cui fa parte Coopsette, e che ha indicato al ministero una terna di nomi per la carica di commissario.
Un modo, la nomina del commissario, per cercare di salvare l’occupazione (anche con l’utilizzo degli ammortizzatori sociali), salvaguardare parte del prestito sociale (in molti casi i risparmi dei soci) e garantire la continuità produttiva, visto che l’azienda è presente ancora in molti grandi appalti.
Fallito il progetto di risanamento, naufragato il piano concordatario per l’accordo con i creditori, Coopsette ha infatti evitato grazie alla liquidazione coatta un’udienza per fallimento portata avanti da un creditore e che si sarebbe dovuta tenere il 3 novembre. E un fallimento vero e proprio avrebbe lasciato i lavoratori e i creditori senza alcuna speranza.
Ora l’azienda potrebbe essere smembrata, alcuni suoi rami d’azienda potrebbero finire in mano ad altre proprietà , con dentro tutte le conoscenze di lavoratori che hanno operato nella costruzione di grandi infrastrutture in tutta Italia: la Tav, la torre di Fuksas della Regione Piemonte e la metropolitana a Torino, la nuova stazione Tiburtina a Roma solo per citare alcuni casi. Per il resto non è chiaro ancora che cosa succederà .
E’ stata una lunga agonia.
Già nel 2013, anno in cui la coop aveva un portafoglio lavori da 1,2 miliardi di euro, Coopsette aveva concordato con i suoi creditori un piano di ristrutturazione del debito: ma dopo due anni gli obiettivi non erano stati raggiunti e la coop di Castelnovo Sotto aveva chiesto ai propri creditori un’altra possibilità con un nuovo piano. Ma non è bastato.
Troppo dura la crisi del mattone in questi anni. Così come troppo forti erano stati i contraccolpi di alcune inchieste giudiziarie che avevano coinvolto la cooperativa.
Tra tutte, quella dell’inchiesta sul nodo Tav di Firenze dove è stato chiesto il rinvio a giudizio per alcune persone che fanno capo alla coop.
All’ultima assemblea i soci piangevano. Nella zona del Reggiano l’impresa era un’istituzione e una fonte di ricchezza.
Tanto importante che a luglio il ritardo nei pagamento dell’Imu da parte di Coopsette a favore del Comune di Campegine, aveva messo in crisi l’amministrazione: un buco di 180mila euro su un bilancio di 290mila euro con il sindaco che si era detto costretto a aumentare l’Irpef ai cittadini per salvare le casse.
Un aneddoto questo per far capire quanto potrebbe essere duro il colpo per l’economia emiliana.
David Marceddu
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
UNA STORIA INCREDIBILE CON VERSIONI CONTRADDITTORIE
Attorno alla ristrutturazione dell’attico (296 metri quadrati) del cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato pensionato nell’agosto 2013 da Papa Francesco, sono accadute nell’ordine queste cose.
Realizzata nell’autunno 2013, la ristrutturazione è costata 310 mila euro: il cardinale sostiene di averli versati di tasca sua.
«Ho girato al Governatorato la somma dal mio conto», ha recentemente detto al Corriere della Sera, «ho pagato per un appartamento non mio che resterà alla Santa Sede».
La ditta che ha eseguito i lavori – la romana Castelli Re costruzioni dell’imprenditore cremonese Gianantonio Bandera, 61 anni – sostiene, poi, che sul preventivo iniziale ha offerto uno sconto (accettato dal condomino) del 50 per cento: i lavori a pieno costo, quindi, sarebbero costati 620 mia euro.
Ci sono nuovi documenti, ancora, che dicono come almeno 200 mila euro per rifare l’immobile siano stati versati dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, così vicino al cardinale di Vercelli.
Bertone ha provato a spiegare: «Ho saputo dopo che erano state presentate fatture anche alla Fondazione Bambino Gesù, escludo in modo assoluto di aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione ad alcun pagamento».
Ecco le prime domande sorgere.
Ma perchè un’azienda edile in un periodo di profonda crisi del settore scontà di metà il suo preventivo, lavorando in perdita?
E perchè un ospedale pediatrico, il più importante in Italia, 25 mila ricoveri l’anno, dovrebbe pagare i due terzi della ristrutturazione del superattico di un cardinale? Già .
Ma non sono finite le domande a proposito del terzo piano di via San Carlo in Vaticano, l’ultima casa romana ad entrare di slancio nelle cronache italiane dopo l’immobile del ministro Lunardi, la terrazza del cardinale Dias, l’appartamento acquistato a sua insaputa del ministro Scajola.
Il cardinale Bertone con una lettera inviata l’8 novembre 2013 al presidente dell’ospedale, il bertoniano Giuseppe Profiti, e pubblicata da Il Tempo, fa sapere che sarà sua cura «fare in modo che la copertura economica occorrente alla realizzazione degli interventi venga messa a disposizione della Fondazione».
Che significa? Che il Bambino Gesù paga una parte cospicua della ristrutturazione cardinalizia e poi si riprende i soldi dall’impresa? È così.
Dopo averci rimesso (sconto del 50 per cento), l’imprenditore Bandera ha chiesto per iscritto – 20 ottobre 2013 – di poter restituire l’incasso, 310 mila euro, fin lì realizzato: riverserà la cifra all’ospedale in due tranche affinchè acquisti «attrezzature per curare i bambini».
Cosa chiede in cambio, il ristrutturatore? Una piccola sponsorizzazione, «il nome della sua azienda ricordato su queste attrezzature».
Ecco, un impressionante turnover di assegni e promesse, andata e ritorno, ruota attorno all’attico del cardinale più contestato.
L’ex presidente del Bambino Gesù, Giuseppe Profiti, già finanziere, lui rimosso dal vertice dell’ospedale lo scorso gennaio, allo strano cotè di pagamenti e donazioni aggiungerà questa altrettanto strana spiegazione: la parcella pagata in un primo momento dall’ospedale, dirà , si giustificherebbe con la necessità di utilizzare la casa del cardinale quale punto di riferimento per incontri e attività di ricerca fondi.
Bertone superstar aiuterebbe il Bambino Gesù nel fundraising a scopi umanitari, ma lo stesso Prufiti non sa dire se il cardinale è a conoscenza dell’occupazione futura del suo ampio salotto.
Tra l’altro il manager, confermando di aver versato 200mila euro, contraddice Bertone, che invece sostiene di aver pagato 300 mila euro di tasca propria.
La ristrutturazione è costata 310 mila euro e uno dei due – manager o cardinale – non dice la verità .
Nelle biografie delle persone che ruotano intorno alla corte bertoniana, e nei vantaggi da loro ottenuti, si trovano più risposte che nelle parole rilasciate.
L’imprenditore edile Bandera è un ingegnere a cui l’incontro di Tarcisio Bertone cambia il destino.
L’ingegnere costruisce parcheggi per le parrocchie di Genova, dove Bertone è nominato arcivescovo nel dicembre 2002. Cattolico e fedele, Bandera diventa presto Magistrato della Misericordia, fondazione che amministra i beni della diocesi destinati ai poveri.
Corrado Zunino
(da “La Repubblica“)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
PERCHE’ RENZI E’ PERSINO PEGGIO DI BERLUSCONI
Non è vero che, come qualcuno ha ricominciato a dire dopo la riabilitazione del Ponte sullo Stretto,
Renzi sia uguale a B.
Parla come lui e fa più o meno le stesse cose che faceva o voleva fare lui, ma non è uguale a lui: per certi versi è meglio, per altri è addirittura peggio.
È meglio perchè gli mancano la P2, la mafia, le mazzette e le mignotte.
È peggio perchè B. almeno andava al governo dopo aver vinto le elezioni: Renzi mai. B. non destituì mai un sindaco perchè non gli andava a genio: Renzi l’ha fatto a Roma, cacciando il sindaco eletto dal popolo per sostituirlo con un Dream Team non eletto da nessuno, ma nominato da lui che non ha eletto nessuno.
Ma soprattutto: B. aveva sempre un piede in galera, dunque le porcate le faceva per costrizione e per disperazione: Renzi invece le fa per convinzione.
Per B. le leggi vergogna erano un dovere: per Renzi sono un piacere.
La devastazione autoritaria della Costituzione, il supercondono che manda al macero 10 mila processi per evasione fiscale, la soglia del contante a 3 mila euro, l’occupazione militare della Rai, la responsabilità civile dei giudici, il disprezzo per i sindacati, l’attacco ai talk che osano criticarlo, la cancellazione dell’articolo 18, la legge elettorale per nominare i parlamentari anzichè eleggerli, la tassa sulla casa tolta anche ai ricchi, il doppio gioco su diritti e unioni civili, l’amore per Alfano e Verdini, ora pure il Ponte (che, come ha scritto qualcuno, serve a collegare Alfano al Pd).
Renzi non ha ancora detto che Mangano era un eroe, ma solo perchè non sa chi sia. Chi s’illudeva che bastasse mandare a casa B. per liberarsi del berlusconismo ha la sensazione di rivivere sempre lo stesso giorno, come Albanese nel film È già ieri. Ma non è tutto come prima. Oggi è peggio.
Il Caimano ne combinava tali e tante da svegliare la società civile, creando con le sue mani un movimento spontaneo di cittadini che, per la prima volta in Europa, scesero in piazza in difesa della legalità e addirittura della magistratura.
La Costituzione non ebbe mai tanti tifosi come quando B. la picconava. Ma, se quel movimento di cittadini era spontaneo, non si può dire altrettanto di chi lo catalizzava, canalizzava e chiamava a raccolta: molto spesso erano giornali e intellettuali di sinistra (o sedicenti tali) che della legalità e della Costituzione se ne infischiavano: le usavano per combattere B., colpevole ai loro occhi non di attaccare legalità e Costituzione, ma di essere “di destra” e di governare al posto della sinistra.
Oggi che gli stessi valori sono minacciati dall’altra parte, quella “giusta” (la loro), i paraculi si voltano dall’altra parte (tipo Benigni ndr), non si fanno trovare, hanno altro da fare o fanno mille distinguo: eh, certo, questi magistrati sono dei gran rompicoglioni… e quella Costituzione, beh, a guardarla meglio non è proprio la più bella del mondo…
Anche il Ponte sullo Stretto, che quand’era targato B. faceva schifo, non stava in piedi (letteralmente: la campata unica con quei venti e quei rischi sismici), era un regalo alle mafie o uno spreco di miliardi, ora che è targato Renzi beh, insomma, non è mica una brutta idea.
L’altra sera se ne parlava a Linea Notte, che quando la conduce Maurizio Mannoni è meglio del Processo di Biscardi.
M’annoi aveva convocato una delle lingue più vellutate del new journalism, Salvatore Merlo del Foglio, che difendeva il Ponte con argomenti filosofici (“come si può essere contrari a un ponte?”), teologici (“Pontefice vuol dire facitore di ponti”, dunque Bergoglio è con lui) e persino odontotecnici (“quando ti cade un dente ti fai mettere un ponte”).
M’annoi dirigeva il traffico delle cazzate tutto giulivo, ben conscio di aver servito ancora una volta la Causa.
Nessuno ricorda quel che diceva Renzi prima della cura: “Preferiamo la banda larga al ponte sullo Stretto” (prima Leopolda, 7.11.2010), “Continuano a parlare del Ponte: ma gli 8 miliardi li dessero alle scuole!” (1.10.2012).
Anzi, avverte su La Stampa Federico Geremicca, il Ponte di Renzi è “moderno” e “postideologico” e chi si attarda a contestarlo è la “vecchia sinistra”, con “i piedi impantanati nel secolo scorso”.
Il fatto che proprio le grandi opere, pesanti, inquinanti, costose e criminogene, siano roba degli anni 80 e che tutto il mondo civile oggi insegua la leggerezza, il verde e il risparmio, non lo sfiora: per Geremicca le grandi opere sono sinonimo di “futuro, velocità , modernità e crescita”.
E cita, che Dio lo perdoni, come padre della modernità renziana Tony Blair (uno che passa il tempo a chiedere scusa e non osa mettere il naso fuori di casa nel suo Paese sennò lo lapidano) e come ultimo “modello della capacità italiana” l’Expo: grande emblema di “velocità ”, forse per le code di 7-8 ore.
A questo punto il raccordo anulare di Roma, come dice Crozza, dovrebbe essere monumento nazionale.
Ma non è mica finita qui: “la Tav e il Mose” eguaglieranno presto “il Colosseo, Firenze e Pompei” (al netto del Vesuvio, si spera): “il futuro è scritto e appartiene alle grandi opere.
Alla faccia di quei gufi tristanzuoli della sinistra pd. Anzi della sinistra tutta, più in generale”. Allarghiamo gli orizzonti.
“Perchè — domanda il piccolo scrivano renziano — la Francia deve avere la torre Eiffel e l’Italia non può avere il Ponte sullo Stretto, che servirebbe pure?”.
Mi voglio rovinare: perchè gli egiziani devono avere la Sfinge e la Piramide di Cheope, i cinesi la Grande Muraglia, e noi no?
Pensiamo in grande e soprattutto annunciamo alla grandissima.
L’altro giorno è tornata a piede libero Wanna Marchi: appena in tempo.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 8th, 2015 Riccardo Fucile
LA REGIONE DI SCIASCIA E PIRANDELLO FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI, TRANNE CHE DAI RUBINETTI DEI CITTADINI
A Sambuca di Sicilia c’è una piscina olimpionica di 50 metri dove fino a qualche tempo fa gli allevatori portavano le vacche ad abbeverarsi.
Ad Altavilla Milicia c’è uno stadio ormai abbandonato costruito in un paese che non aveva neanche la squadra di calcio.
A Cefalù il Palazzetto dello sport “Marzio Trico-li”,costato 8 milioni di euro, ha il parquet coperto da teloni di plastica da agosto: infiltrazioni d’acqua dal tetto l’hanno reso inagibile.
A Giarre il teatro è un cantiere aperto da 50 anni, lo stadio, la piscina e la casa di riposo sono scheletri in costruzione da più di vent’anni.
Con il record di opere incompiute in Europa, oltre venti, c’era persino un campo di polo (“di polo!”) per 20 mila spettatori, tanti quanti gli abitanti, il paese ha guadagnato una citazione sul sito di Usa Today: per capitalizzare quei monumenti allo spreco il sindaco ha istituito l’assessorato alle Incompiute progettando con un’associazione privata il “Parco delle Incompiute.”
Quasi la metà di dighe, strade, viadotti, palestre, piscine, stadi iniziati e mai conclusi (160 su 360, denunciò nel 2007 il procuratore antimafia Pietro Grasso) è nella Sicilia del “disastro infrastrutturale”descritto il 9 ottobre scorso da Laura Boldrini: l’annuncio di Renzi del Ponte sullo Stretto suona come “una presa per il culo”.
Non solo per Beppe Grillo, ma per chi oggi deve andare da Palermo a Catania con l’autostrada interrotta a metà dal crollo del viadotto Imera, vicino a Scillato, sommerso dalle promesse del governo e dell’Anas che ancora non sono riusciti neanche ad aprire un cantiere per realizzare una bretella tampone di raccordo e dove, in direzione Catania, si transita, da decenni e per una decina di chilometri su un solo asse della carreggiata.
Nei sogni di Renzi e di Alfano il pilone siciliano del ponte previsto a Ganzirri è la porta d’ingresso in un’isola che si sta sbriciolando sotto i colpi del dissesto idrogeologico: un mese fa una frana ha interrotto anche l’autostrada Messina-Catania, all’altezza di Letojanni, e in commissione territorio e ambiente l’assessore Giovanni Pizzo ha lanciato l’allarme sulla massa di terra rimasta (può “scivolare a valle”) che insiste su un depuratore “tutto abusivo.”
Ad Agrigento i lavori sul ponte Verdura, crollato nel 2012, sono iniziati dopo il crollo del viadotto Scorciavacche, sulla Palermo-Agrigento: l’asfalto ha ceduto a capodanno, due giorni dopo la consegna.
E dieci giorni fa, dopo una pioggia leggera, l’asfalto di San Giorgio, in provincia di Catania,si è aperto inghiottendo una 126. Sulla Messina-Palermo la manutenzione è ferma da anni, la segnaletica orizzontale ormai quasi cancellata dal tempo e di notte la curva che immette al viadotto di Pollina-Castelbuono è una trappola per chi non ne conosce l’insidia.
Non va meglio a chi viaggia in treno: in Sicilia circolano ogni giorno 397 treni, in Lombardia, 2.300 convogli;nei due mesi successivi al crollo del viadotto Imera i pendolari hanno fatto i conti dei ritardi, scoprendo che su 634 treni analizzati solo 27 sono arrivati in orario: i convogli giunti in ritardo da 1 a 5 minuti sono stati 300 (47%); 134 da 6 a 10 minuti (21%); 56 da 11 a 20 minuti di ritardo (8,2%); 52 con un ritardo superiore ai 20 minuti (7,8%); e 10 con più di 60 minuti (1,5%). Messina senz’acqua ha avuto l’onore delle prime pagine, ma a Gela l’acqua arriva una volta a settimana e ad Agrigento l’ erogazione è stata sospesa per la presenza di un batterio.
Giuseppe Lo Bianco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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