Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
IL SECONDO TURNO PUO’ TRASFORMARSI IN BOOMERANG
La simbolica occupazione da parte del popolo leghista di Bologna la “rossa” non ha inquietato più
di tanto la sinistra cittadina e il sindaco Virginio Merola: non è da destra che si prepara la vera insidia in vista delle Comunali della prossima primavera, che è invece rappresentata da un eventuale ballottaggio con un esponente del Cinque Stelle. Uno spauracchio che per il presidente del Consiglio non riguarda soltanto Bologna: in vista delle amministrative che chiameranno in causa anche la capitale del Paese, le due capitali del Nord (Milano e Torino) e la capitale del Sud (Napoli), Matteo Renzi sa bene che tutti i suoi candidati sindaco dovranno puntare a vincere al primo turno, perchè eventuali ballottaggi con i candidati del Cinque Stelle potrebbero rivelarsi molto più insidiosi delle tradizionali sfide con esponenti del centro-destra.
Sostiene Massimo Bugani, candidato dei Cinque Stelle nella sfida di Bologna: «Io credo al ballottaggio e, come dimostrano i casi di Parma e, più di recente a Livorno, quando poi andiamo al secondo turno può succedere di tutto».
Ecco il punto cruciale, la novità di sistema che potrebbe cambiare la natura dei secondi turni: a Parma, a Livorno, ma anche in altre cittadine è già accaduto che nella sfida con i Cinque Stelle, il Pd vada in affanno.
Uno scenario a rischio che potrebbe proporsi a Bologna, ma anche a Roma, Milano e persino a Torino, dove il Pd dovrebbe ripresentare Piero Fassino, «il sindaco più bravo d’Italia» lo ha definito Matteo Renzi in un colloquio con “La Stampa”.
Ma un peso massimo come Fassino dovrà fronteggiare un campo di battaglia accidentato: Sel e dunque il neo-partito Sinistra Italiana, appoggeranno Giorgio Airaudo, personaggio destinato ad erodere da sinistra l’elettorato Pd o comunque rendendo quasi impossibile per Fassino la missione di superare il 50% al primo turno.
E a quel punto diventerebbe probabile il ballottaggio con la candidata del Cinque Stelle, Chiara Appendino, grintosa consigliera comunale.
Dice un personaggio di esperienza come Giusi La Ganga, oggi consigliere comunale Pd, già presidente dei deputati Psi: «Non c’è dubbio che un eventuale ballottaggio al secondo turno con la candidata cinque stelle presenterebbe due insidie: la prima è legata al richiamo trasversale che quel movimento evoca anche in elettori “arrabbiati” di centrodestra; la seconda insidia è l’infausta politicizzazione che i leader nazionali daranno alle Amministrative, in questo modo spostando l’attenzione da quel che di buono hanno fatto i sindaci, Fassino in primis».
E sempre la vicenda di Torino disvela il disegno della “Sinistra italiana”: smarcandosi da Fassino (col quale Sel governa) e presentando Airaudo, il neo-partito dimostra di puntare, se non alla sconfitta generalizzata del Pd, quantomeno a dimostrarsi determinante.
Come è già accaduto, in negativo, in Liguria.
E altrettanto insidiose, per Renzi e per il Pd, si profilano le sfide di Napoli e Roma.
Nella Capitale la caccia al candidato per ora non ha dato esiti e tutti i sondaggi realizzati a caldo portano verso uno scenario ancora più problematico; il rischio di un ballottaggio Cinque Stelle-Centro destra.
E quindi, a parte Milano, dove è diventata ufficiale la disponibilità di Sala, a Napoli paradossalmente il migliore scudo contro il Cinque Stelle e contro un sindaco dalla postura populista come De Magistris, potrebbe essere il ritorno di Antonio Bassolino, un personaggio che sembrava appartenere alla stagione della rottamazione.
Uscito rivitalizzato dalle inchieste della magistratura, Bassolino ha fatto capire di essere pronto a rinverdire la fama che lo ricorda sindaco benvoluto di una città difficilissima.
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
SALVA SOLO ZINGARETTI
Dal capitano della Roma Francesco Totti all’ex sindaco Gianni Alemanno fino al gruppo Caltagirone.
L’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni Luca Odevaine, coinvolto nell’inchiesta “Mafia capitale”, nell’interrogatorio reso il 15 ottobre scorso, ne ha per tutti.
A cominciare dal capitano della Roma che secondo Odevaine avrebbe pagato ‘in nero’ alcuni vigili urbani per l’attivita’ di vigilanza ai figli.
“È vero che dei vigili urbani facevano vigilanza ai figli di Totti – ha spiegato Odevaine, ribadendo quanto già detto a suo tempo da Salvatore Buzzi – ma lo facevano fuori dall’orario di lavoro e venivano pagati in nero, dallo stesso Totti”. Secondo Odevaine, “l’esigenza era nata dal fatto che era giunta una voce di un progetto di rapimento del figlio di Totti. Ne parlai con il colonnello Luongo dei carabinieri, il quale, tenuto conto della genesi e della natura della notizia, convenne con me che non era il caso di investire il comitato per la sicurezza ma che si poteva trovare un modo per provvedere”.
“Caltagirone pagò tangente per affare Bufalotta”.
Non solo. Odevaine ai magistrati ha parlato anche di una presunta una tangente per la costruzione di un complesso edilizio alla Bufalotta.
“Riccardo Mancini mi disse che era stata pattuita una tangente, pagata da Caltagirone, in relazione all’affare edilizio della Bufalotta, nella direzione di Marroni, Smedile e Alemanno”.
Odevaine ha poi spiegato che nel periodo in cui, sotto Alemanno, rivestiva la carica di vicecapo di gabinetto vicario “Mancini mi disse che non ero particolarmente amato neppure dai miei referenti politici. In particolare mi disse che in occasione di un incontro tra il sindaco e il capogruppo dell’opposizione Marroni e il presidente della commissione urbanistica Smedile, entrambi appartenenti all’apposizione, era stata chiesta la mia testa”.
Poi Odevaine ha sottolineato: “La ragione credo fosse da individuare nei contenuti di quell’incontro, che avevano ad oggetto delle delibere urbanistiche relative alla fiera di Roma e alla Bufalotta. Si trattava di un settore di interesse su cui nel periodo di Morcone commissario vi era stata una forte pressione di Smedile e Marroni, pressione cui il commissario ed io resistemmo, nel senso che facemmo passare le delibere che erano state già approvate in commissione, mentre bloccammo altre. Con Alemanno, i due ripresero la questione”.
Giunta Alemanno riprese sistema Buzzi”.
Odevaine ha quindi puntato il dito contro la gestione Alemanno. “La destra non aveva soggetti economici di riferimento, dunque l’amministrazione Alemanno, nel giro di qualche anno, individuò nel ‘sistema Buzzi’ il riferimento nel settore del sociale per l’aggiudicazione dei lavori”, ha spiegato nel corso dell’interrogatorio.
“Il nuovo sindaco – si legge nel verbale depositato – mi chiese di rimanere fino a luglio. Nella sostanza mi resi conto che egli non credeva di vincere e quindi non aveva una classe dirigente pronta al governo della città . Io accettai e in tale periodo egli mi presentò Riccardo Mancini e l’onorevole Vincenzo Piso, indicandomeli come interlocutori per suo conto per tutte le questioni di mio interesse”.
“Nella gestione del comune, Mancini e Piso mi dissero di voler inserire nei ruoli apicali e dirigenziali persone che, a prescindere dalla loro competenza e dalla competenza di chi in precedenza rivestiva quei ruoli, fossero di loro fiducia”.
In compenso, Odevaine ha però scagionato Luca Zingaretti. “Sono false le dichiarazioni di Salvatore Buzzi in relazione ad una tangente pagata a Nicola Zingaretti sul palazzo della Provincia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
I GRILLINI: “NON FACCIAMO ALLEANZE”… L’IRA DEL PD
“Non precludo la possibilità di sostenere un candidato del Movimento 5stelle a Roma se sul piano
programmatico è più compatibile con la nostra idea di sviluppo di una città . Vogliamo stare sui programmi”.
Stefano Fassina, tra i fondatori di Sinistra Italiana, ospite lunedì ad Agorà su Raitre, non esclude l’ipotesi di appoggiare un esponente grillino nella campagna elettorale per il sindaco della Capitale.
Ma a distanza di poche ore arriva la doccia fredda dei grillini: “Il Movimento 5 Stelle concorrerà con una unica lista, non faremo ammucchiate o alleanze, neanche con Fassina”.
“Le alleanze – proseguono dal Movimento – non fanno parte della nostra indole”.
Sulle primarie l’M5S fa sapere che molto probabilmente avverrà una consultazione online, a differenza di Milano, e che potranno ricandidarsi anche i consiglieri comunali e municipali attualmente in carica.
Fassina, intanto, congela la propria candidatura a Roma: “Sceglieremo insieme quale è la figura migliore”.
Arriva il controcanto di D’Attorre, un altro fuoriuscito del Pd entrato in Sinistra Italiana come fondatore: “Sarebbe un ottimo candidato”.
“Salvini e Berlusconi sono i nostri principali avversari e ieri a Bologna dovrebbe essersi capito perchè. Noi vogliamo portare al voto un pezzo largo di popolo democratico che in questo anno e mezzo è stato abbandonato dal Pd”, sottolinea ad Agorà .
A proposito di una sua candidatura al Campidoglio, Fassina aggiunge: “A Roma ci sono dei problemi molto profondi da affrontare: la drammatica conclusione della Giunta Marino, per responsabilità principale del Pd che non ha consentito neanche una discussione in Consiglio comunale, lascia aperte questioni strategiche. Roma deve ritrovare una vocazione economica: non può più andare avanti coi motori della spesa pubblica o dell’edilizia espansiva. Quindi, insieme a tanti altri stiamo lavorando affinchè possa esserci un programma adeguato e a tempo debito parleremo anche delle candidature. Sto pensando di dare una mano a costruire questo percorso, poi sceglieremo insieme quale è la figura migliore che può interpretare il progetto di svolta a Roma. Non si tratta di cominciare dall’alto. Abbiamo visto che anche se trovi un candidato forte che vince le Primarie, se poi non c’è un progetto, una classe dirigente, una squadra, alla fine di sgonfia. Vorrei dire che io non sono stato nominato. A Roma ho fatto le Primarie e col Pd ho preso quasi dodicimila preferenze”, conclude.
Sarcastici i commenti di alcuni esponenti del Pd alla notizia dell’appoggio di Fassina al M5S, anche se non manca chi – come David Sassoli – polemizza con Matteo Orfini sul “percorso” alle candidature dem nella Capitale.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
CHIARA APPENDINO, MANAGER LAUREATA ALLA BOCCONI, E’ LA CANDIDATA M5S A TORINO
Piero Fassino una volta l’ha definita una “Giovanna D’Arco moralista”, a causa della dura opposizione che gli ha fatto in Consiglio comunale.
“Il Movimento 5 Stelle è l’unica scelta per cambiare. Oggi mi sento di essere la punta di un iceberg, di un sistema di idee, di bisogni e di persone”.
Si presenta così Chiara Appendino, 31 anni, la giovane consigliera comunale che i pentastellati hanno scelto come candidato sindaco di Torino.
Scelta all’unanimità dai 250 grandi elettori del movimento, la sua candidatura è stata presentata al mercato coperto della Falchera, periferia del capoluogo piemontese.
“Non siamo qui per occupare, ma per restituire”, sottolinea la giovane candidata, che lavora nell’azienda di proprietà del marito, dove si occupa di contabilità e amministrazione.
Laurea alla Bocconi, esperta di controllo e gestione, è in dolce attesa, riporta il Fatto Quotidiano: diventerà mamma di Sara a gennaio, in piena campagna elettorale. “Vogliamo costruire un modello di comunità urbana – aggiunge – che unisca questa città . Da settembre i nostri gruppi lavorano sul territorio per il programma”.
“Taglieremo del 30% i costi della politica di Fassino – annuncia l’Appendino – mettendo a disposizione le risorse contro la disoccupazione in città . La colpa più grande di Fassino è quella di non avere il coraggio di raccontare quello che veramente è la nostra città – sottolinea -: c’è una persona su dieci a rischio povertà . Le persone sono sempre più sfiduciate”.
Tuttavia, su di lei arrivano i primi veleni interni. Il capogruppo M5S in Consiglio Vittorio Bertola si aspettava di essere scelto come suo vice.
E invece la Appendino ha fatto sapere che la squadra verrà decisa dopo che sarà pronto il programma. “Mi sarei atteso più trasparenza e democrazia on-line. Temi che il Movimento sta abbandonando, anche per questo mi sento sempre più fuori posto”, ha detto Bertola in un’intervista alla Stampa, dove ha annunciato che non si ricandiderà . I nostri contrasti non sono nuovi. Ma non mi è piaciuto che la scelta sia arrivata da una riunione di partito chiusa, invece che da un’assemblea aperta per lo meno agli iscritti al portale nazionale: forse il risultato sarebbe stato un po’ diverso. I sostenitori di Appendino scrivono un messaggio precotto, con lo stampino, dicendo che mi sono inventato tutto. Ma è solo un modo per nascondersi dietro a un dito, fare muro di gomma. All’assemblea erano cento attivisti, l’apparato – lo so è una brutta parola – appiattito su Appendino, che non ha avuto fiducia in me. C’è chi mi ha sostenuto in privato, ma non ha avuto coraggio davanti a lei. Mi sarei aspettato un grazie e arrivederci, invece ora mi attaccano, ma fanno solo brutta figura”
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
DA SASSARI A PORTO TORRES, DAI RUBINETTI SCORRE LIQUIDO GIALLO
Dalla Sicilia, rimasta senz’acqua da Agrigento a Messina, è piena emergenza anche nel nord della
Sardegna, dove dai rubinetti esce un liquido giallo e imbevibile.
La situazione — denuncia La Nuova Sardegna – è disastrosa.
Da Sassari a Porto Torres, a Caselsardo, da Olbia ad Arzachena e Golfo Aranci dai rubinetti esce un liquido sempre più ambrato, un colore che dichiara da solo la sua non potabilità .
E infatti fioccano le ordinanze dei sindaci che vietano l’utilizzo dell’acqua a fini alimentari.
Divieti che si aggiungono alle chiusure notturne degli acquedotti per risparmiare acqua. Perchè all’origine di tutto ci sono i bacini ormai vuoti, una situazione che potrà essere risolta solo dall’arrivo delle piogge che al momento, a sentire le previsioni meteo, è solo una pia illusione.
La Regione Sardegna cerca in qualche modo di correre ai ripari.
Domani si terrà a Cagliari un vertice convocato dall’assessore regionale ai lavori pubblici Paolo Maninchedda per fronteggiare i problemi più urgenti. “Abbanoa prepara un piano straordinario, ma intanto bisogna accelerare gli appalti per 80 milioni di euro. Che non risolveranno nell’immediato il problema della sete del nord Sardegna”, scrive ancora il quotidiano locale.
Nessun sollievo in Sicilia, alle prese da almeno due settimane con l’emergenza idrica.
A Messina sono state messe in campo 34 autobotti per garantire la fornitura d’acqua alla popolazione, in seguito alla frana verificatosi nel comune di Calatabiano che ha danneggiato l’acquedotto Fiumefreddo.
Soltanto ieri sono stati distribuiti 930 metri cubi di acqua, compresi ospedali ed edifici pubblici. Ma la situazione resta drammatica.
Come scrive Repubblica Palermo:
A Messina da due settimane i quattrocento pazienti dell’ospedale Papardo mangiano solo panini. A Niscemi quattro mamme si sono presentate dai carabinieri perchè da due settimane senz’acqua e costrette a lavare i bambini con la minerale. A Caltanissetta il sindaco ha vietato l’uso dell’acqua per scopi alimentari mentre a Campobello di Licata da giorni ci sono le autobotti in piazza […].
Sono istantanee della grande crisi idrica della Sicilia, con intere città tornate agli anni Cinquanta e altre che da quel periodo non si sono mai discostate. Un’Isola dalle reti colabrodo, senza veri investimenti per decenni, con un siciliano su quattro che non ha un regolare approvvigionamento nella propria abitazione, contro gli otto su cento del resto d’Italia.
Secondo l’Istat, il 20 per cento dell’acqua che viene prelevata per uso potabile deve essere trattata perchè non buona. E il 49 per cento si perde nelle reti bucate.
I disagi più gravi si registrano negli ospedali. “Abbiamo chiuso la mensa – dice a Repubblica il manager dell’azienda Papardo, Michele Vullo – e serviamo ai pazienti solo panini. La situazione è difficile, e non vediamo ancora via d’uscita. Io stesso sto andando a farmi la doccia a casa di amici, perchè in casa mia non arriva acqua da giorni”.
Dalla Sicilia alla Sardegna, scene che si ripetono.
A Caltanissetta il sindaco Giovanni Ruvolo ha vietato l’uso potabile dell’acqua perchè torbida e oggi nella piazza Mercato stazionerà un’autobotte per rifornire i cittadini di acqua utilizzabile anche per usi alimentari: “La Sicilia cade a pezzi – denuncia il sindaco – e siamo costretti a vivere in un inaccettabile stato di perenne emergenza”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
PRESENTATO IL MOVIMENTO “AZIONE NAZIONALE” PER “RIAGGREGARE LE ANIME DISPERSE DELLA DESTRA”… NELLE FIRME DELL’ATTO COSTITUTIVO LA PROVA DI CHI SONO GLI ISPIRATORI… IL PROGRAMMA E LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Lo avevamo anticipato e i fatti l’hanno confermato: si chiamerà “Azione nazionale” il nuovo movimento politico “volto a riaggregare “le varie anime della diaspora della destra, partendo da una rete civica fortemente radicata nel territorio”, presentato poche ore fa a palazzo Ferrajoli, a Roma.
Il nome scelto ricalca non a caso quello di Alleanza nazionale, il partito guidato a suo tempo da Gianfranco Fini, in evidente contrasto con l’uso di Alleanza Nazionale attualmente “appaltato” al partito della Meloni.
I promotori ufficiali sono i primi firmatari della “mozione dei quarantenni” discussa all’ultima assemblea della Fondazione Alleanza nazionale e che sono stati sconfitti di qualche decina di voti all’assemblea stessa dall’alleanza Meloni-Gasparri-La Russa-Matteoli.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi su chi sostiene e ha ispirato la loro
iniziativa è sufficiente rinviare a chi ha depositato il simbolo all’Ufficio italiano brevetti e marchi: Marco Cerreto, fiduciario di Gianni Alemanno, Roberto Menia , braccio destro di Gianfranco Fini, e Giuseppe Scopelliti, ex governatore della Calabria.
Sempre nel consiglio direttivo ritroviamo Marco Cerreto, portavoce di Prima l’Italia, e Mario Ciampi, legato alla fondazione Liberadestra, guidata da Fini.
Questo per chi aveva dato “parziali smentite” ai giornali.
Come presidente del comitato dei promotori c’è Pasquale Viespoli, già sottosegretario in tre governi Berlusconi e ora presidente di Mezzogiorno Nazionale.
Fausto Orsomarso (consigliere regionale in Calabria, emenazione di Scoppellitti, è il portavoce per i primi tre mesi, gli altri “quarantenni” (Sabina Bonelli, Alessandro Urzì, Michele Facci, Andrea Santoro, Gianluca Vignale) sono nel consiglio direttivo.
Programma
Oltre a ritornare sulla priorità di selezionare gli amministratori attraverso le primarie, sono sei i temi ritenuti prioritari: la centralità della Nazione e il rispetto della sovranità , il senso dello Stato, la solidarietà comunitaria, la promozione del Made in Italy e del lavoro italiano, la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori e i valori non negoziabili della persona.
L’obiettivo è quello di ripartire dalla Destra come “spazio libero e autonomo” dagli altri partiti dell’attuale centrodestra.
Modello Cinquestelle
Il nuovo movimento-partito, utilizzerà la rete per decidere su temi cruciale: “si doterà di un blog e di una piattaforma per votare online su tutte le decisioni essenziali che riguardano la vita del Movimento”
Struttura
Azione nazionale prevede circoli locali aperti alla partecipazione, mentre a livello regionale l’organizzazione sarà autonoma, in base alle esigenze dei territori, rispettando direttive e linee di programma nazionali. A fianco del movimento opererà una confederazione di liste civiche e locali.
Gli aderenti ad Azione nazionale potranno essere contemporaneamente iscritti ad altro partito o associazione di centrodestra: ciò a conferma del carattere movimentista della struttura.
Azione nazionale potrebbe porsi come un vero partito, con statuto da registrare, e in prospettiva potrebbe pure presentarsi alle elezioni.
Da segnalare che Fratelli d’Italia ha già reagito annunciando espulsioni: ““Gli iscritti di Fratelli d’Italia che aderiranno a percorsi non concordati con il nostro movimento se ne chiamano fuori per sempre”.
Sullo sfondo la battaglia per ottenere finanziamenti dalla Fondazione An a cui c’è chi attinge e chi no (facile immaginare chi sì e chi no).
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
IN LISTA TRE EX ASSESSORI DELLA GIUNTA SCIOLTA PER INFILTRAZIONI DELLA ‘NDRANGHETA
A Sedriano, primo comune lombardo sciolto per mafia, sventolano le bandiere di Forza Italia e di
Fratelli d’Italia, legate sui cancelli dell’auditorium delle scuole medie. Qui, nell’ottobre del 2012, andò in scena un consiglio comunale infuocato: il sindaco, Alfredo Celeste, era agli arresti per corruzione nell’inchiesta sul voto di scambio mafioso e le opposizioni tentavano la spallata.
La giunta si salvò per un voto. E continuò nei mesi successivi a salvarsi per un voto, quello di Teresa Costantino, figlia di Eugenio, ritenuto un boss della ‘ndrangheta, sul quale pende una condanna in primo grado a 16 anni per sequestro di persona ai fini di estorsione e un’altra richiesta di condanna a 17 anni per mafia.
Quella sera, in strada, i cittadini urlavano “Fuori la ‘ndrangheta dal nostro paese”.
Gli amministratori, scortati da ‘guardaspalle’, dovettero scappare dal retro.
Oggi, dopo lo scioglimento del comune nell’ottobre 2013, a Sedriano si vota in un clima surreale.
Quegli stessi assessori che scapparono scortati sono ancora in campo. Anzi, sono ancora in lista.
Alla presentazione arrivano i ‘big’: Romano La Russa per la destra di Fratelli d’Italia e il senatore berlusconiano Sante Zuffada.
Quest’ultimo, creatura politica dell’ex vicepresidente lombardo Mario Mantovani (in carcere con le accuse di corruzione, concussione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio) è fresco di condanna della corte dei conti per 112mila euro di rimborsi irregolari in Regione: viaggi, cene, hotel, ricariche telefoniche, giornali e una vagonata di francobolli. “Ci metto la faccia”, dice.
Qualcuno sorride: “Ci vuole del coraggio”.
Con lui c’è Alessandro Cattaneo, ex sindaco di Pavia ed ex ‘formattatore’ del Pdl, il giovane che avrebbe guidato un centrodestra ripulito nell’era, per la verità mai cominciata, del post Berlusconi: “Conosco Sedriano, mio padre è di Cornaredo, qui vicino. E mi ha sempre detto che questo è il ‘paese delle ciliegie’, giusto?”
Negli ultimi anni è anche il paese della ‘ndrangheta. Ma nel corso della presentazione della lista di centrodestra, che dura due ore, nessuno, manco per sbaglio, pronuncia mai la parola ‘mafia’.
Eppure, dopo lo scioglimento del comune, sono successe un sacco di cose.
La prima, il Tar ha respinto il ricorso degli ex amministratori e ha confermato che a Sedriano la ‘ndrangheta era penetrata in municipio, con una sentenza che descrive la cittadina dell’hinterland milanese al pari di un paese della Locride.
La seconda, il Tribunale di Busto Arsizio ha imposto all’ex sindaco Celeste (che voleva ripresentarsi alla guida del centrodestra) il divieto di candidatura.
La terza, la Procura di Milano ha formulato le richieste di condanna al processo politica-mafia, chiedendo per Celeste 3 anni e 6 mesi di carcere e descrivendo l’ex primo cittadino come un pubblico amministratore “che non poteva dire ‘no’ alla famiglia mafiosa dei Musitano”.
Fatti residuali per La Russa, che parla di “varie vicissitudine, ma non è il caso di entrare nel merito, perchè bisogna guardare avanti”.
Gli fa eco Zuffada, che ignora totalmente il tema e preferisce “portare il sostegno di Forza Italia a una lista che deve giocare questa partita fino in fondo”.
Poi, quando ilfattoquotidiano.it chiede perchè in lista vi siano tre assessori legatissimi a Celeste, fra cui l’ex vicesindaco Adelio Pivetta (celebre una sua dichiarazione: “Per la legalità abbiamo fatto tanto, in quattro anni abbiamo eliminato le prostitute”) e l’ex titolare dei Lavori pubblici, Massimiliana Marazzini (che ancora deve spiegare perchè l’appalto del verde pubblico finì senza gara a una società legata alla famiglia Musitano), allora scatta il fuggi-fuggi generale: La Russa e Zuffada si dileguano per improvvisi impegni di partito, mentre l’ex sindaco di Pavia, Cattaneo, la butta ‘in caciara’: “Attenzione ai professionisti dell’antimafia, che fanno più danni della mafia”.
Pratica archiviata dunque, mentre l’ex assessore Danilo Patanè, noto alle cronache per aver dato lettura in consiglio comunale di un’accorata missiva dell’allora sindaco agli arresti, si scortica le mani dagli applausi.
Nel settembre 2013 disse: “Se Sedriano viene sciolto per mafia, mi mango un gatto vivo”. Un mese dopo successe. Il felino, per fortuna, si salvò.
E il candidato sindaco, Maurizio Mucciarelli, ex Lega Nord poi passato a Fratelli d’Italia, che ne pensa? “Il comune sciolto per mafia? Sì, l’abbiamo letto sui giornali. Ma sono garantista. Finora non ci sono sentenze (quella del Tar, a quanto pare, non conta, ndr) e gli ex assessori che sono nella mia lista non hanno mai avuto a che fare con la magistratura”.
No, erano solo in carica quando il comune venne sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Ma sono dettagli trascurabili.
Il candidato sindaco riesce persino a peggiorare la situazione, con una gaffe: “Purtroppo, dico purtroppo, nella mia lista non c’è una persona che abbia dei carichi pendenti o che sia andata in galera”.
E aggiunge: “Voi non conoscete nessuno che è nel malaffare oppure un delinquente?”. Il pubblico batte le mani. Sembra di sognare, anche quando Mucciarelli, passando di palo in frasca, stempera la tensione con una chiosa da scolpire nel marmo: “Abbiamo in lista tante casalinghe, che lavorano senza essere pagate. E facciamolo un applauso alle casalinghe”. L
a sala ubbidisce, in sintonia con lo slogan della lista: “Amministrare con il cuore”. Segue rinfresco.
Ersilio Mattioni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
UNA LEGGE AD HOC PER RIPIANARE IL PASSIVO DEL PARTITO
Una legge ha obbligato lo Stato a versare pochi giorni fa 107 milioni di euro nelle casse delle banche creditrici dei Ds, i Democratici di Sinistra.
La legge è legge ed è toccato ai contribuenti, secondo quanto scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ripianare i debiti del partito.
E non è nemmeno tutto; mancherebbero altri 18 milioni dovuti alla Sga, società nata dieci anni fa con la funzione di recuperare la montagna di crediti dal crac del Banco di Napoli che ha ritenuto di non rivendicare quella cifra.
Si tratta di 107 milioni pubblici che si trovano ora parcheggiati nei forzieri delle banche creditrici dei Ds con «riserva». Significa che pende ancora il giudizio di appello, ma le speranze che quei denari tornino indietro sono al lumicino.
Il Corriere e Report di Milena Gabanelli avevano già raccontato come il rischio che si è materializzato fosse concretissimo.
E tutto grazie a una leggina del 1998 che stabiliva l’estensione della garanzia dello Stato già vigente sui debiti degli organi di partito ai debiti del partito che si faceva carico dell’esposizione del proprio giornale con le banche.
Sembrava una norma scritta su misura per il quotidiano diessino l’Unità .
I Democratici di sinistra avevano generosamente deciso di accollarsi la drammatica esposizione bancaria del giornale, che stava imboccando il tunnel di una crisi durissima.
Tanta generosità era tuttavia condivisa con tutti gli italiani che pagano le tasse. Visto che il partito si accollava i debiti del giornale insieme alla garanzia statale trasferita per legge dal giornale al partito. Che se non avesse pagato lui, avremmo pagato noi.
Il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti, prosegue il Corriere della Sera, non ha mai rinnegato quella mossa assai discutibile.
Sposetti ce la mise comunque tutta per abbattere la montagna di debiti che sfiorava i 450 milioni di euro. Anche con l’aiuto di altre ancor più discutibili leggine approvate dal parlamento intero con rarissime eccezioni, che fecero lievitare come panna montata i rimborsi elettorali: l’ultima, quel capolavoro partorito all’inizio del 2006 che consentiva il pagamento dei contributi pubblici anche nel caso di scioglimento anticipato della legislatura, come avvenne nel 2008.
L’anno in cui si consumò l’ultimo atto dei Ds, con la nascita del Pd: partito che non raccolse l’eredità economica dei due soggetti fondatori, la Margherita e i Democratici di sinistra, i quali pur defunti continuarono comunque a incamerare per tre anni cospicui fondi statali.
La separazione dei destini economici consentì ai Ds con l’abile regia di Sposetti di blindare il patrimonio immobiliare dell’ex Partito comunista in una cinquantina di fondazioni indipendenti dal partito centrale perchè emanazione delle federazioni provinciali.
Ovvero, soggetti giuridici autonomi. Su questo punto la polemica con il segretario democratico Walter Veltroni raggiunse il calor bianco.
Ma le sue dimissioni, rassegnate all’inizio del 2009, segnarono la fine di qualunque resistenza interna.
Oggi, le banche creditrici, non avendo più neppure un mattone da pignorare, hanno preteso di escutere la garanzia dello Stato sui debiti residui: 125 milioni. Il giudice non ha potuto che dar loro ragione e lo Stato ha dovuto adesso sborsare 107 milioni.
Non è la prima volta che succede una cosa del genere.
Alla fine del 2003 avevamo già pagato i debiti dell’ex Avanti!, il quotidiano del Psi craxiano. Sia pure per una cifra più modesta: 9 milioni e mezzo. Ma allora non fu possibile ascoltare la versione del tesoriere socialista
Sposetti, attualmente senatore del Pd e presidente della Fondazione Ds, intervistato a maggio di quest’anno da Emanuele Bellano di Report disse:
«Il debitore è morto. Se il debitore muore, che succede? Ci sono le norme e in questo caso un magistrato civile ha detto “guarda, signor Stato, che devi pagare tu…”».
Gli chiede allora il giornalista, dopo aver ricordato la storia della legge del 1998: «È stata una mossa calcolata e strategica quello che poi è successo dopo?»
E lui risponde: «Quindi che vuol dire? Che sono stato bravo! Una società mi avrebbe dato tanti soldi per fare questo lavoro…» Verissimo.
Almeno quelli ce li siamo risparmiati. Ma è una ben magra consolazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 9th, 2015 Riccardo Fucile
“SALVINI, MELONI E SILVIO IL NUOVO? MA SE HANNO GOVERNATO PER 10 ANNI E LI HANNO CACCIATI PER INCAPACITA'”
“La nuova sinistra? Salottieri votati a essere minoritari”. “Berlusconi e Salvini? Vecchie glorie
incapaci”. In un’intervista a La Stampa, il presidente del Pd Matteo Orfini dà giudizi impietosi sia a destra che a sinistra, dopo un weekend che ha visto prima la nascita ufficiale di Sinistra italiana, poi la rèunion della destra di Salvini e Berlusconi a Bologna:
“Oggi è un bel giorno per il Pd”, “il weekend ha dimostrato ancora una volta che c’è una sola forza politica che vuole risolvere i problemi degli italiani: noi. Intorno, c’è solo chi parla alla pancia del Paese con parole di rancore e rabbia: quella di Bologna m’è sembrata una rèunion di vecchie glorie che hanno già fallito la prova del governo […]. È complicato definire qualcosa di nuovo la Lega, o la Meloni che è stata ministro. È gente che ha già provato a governare ed è stata cacciata dagli italiani per manifesta incapacità “.
Per Orfini, Salvini e Berlusconi “sono due facce della stessa medaglia: una storia già nota che non ha più nulla da dare al Paese”.
Poi si passa a Sinistra italiana, definita da Orfini un circolo di “salottieri” destinati a “essere minoritari”.
“Alcuni dei fuoriusciti sono amici e quindi mi dispiace. Ma ritengo abbiano fatto un errore grave, è una scelta fuori dalla nostra e loro cultura politica. Dicono di ispirarsi a Berlinguer ma nella tradizione del Pci non c’è mai stata una vocazione al minoritarismo radicale nè alla divisione delle forze della sinistra. Sabato hanno speso più tempo a criticare il Pd della destra, una confusione culturale e politica dalla quale spero passano presto riprendersi”
Per Orfini, “sinistra italiana è l’ennesima riedizione della sinistra salottiera”, “se la patente di sinistra devono darla Settis, Zagrebelsky e Rodotà , i professionisti del ditino alzato, allora mi arrendo. Mi ricordo che quando la sinistra ha dato retta a quella visione, i ceti popolari si sono voltati dall’altra parte”.
Quanto alle critiche di chi paragona il Pd renziano a un “liberismo alla Happy Days”, il presidente del partito risponde: “A parte che non capisco il nesso tra Happy Days e il liberismo, ma Happy Days era allegro e divertente. Perchè la sinistra deve essere triste e cupa?”.
(da “Huffingtonpost”)
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