Destra di Popolo.net

CINQUESTELLE: GIUNTA RAGGI, META’ DELLE DELIBERE SONO SULLE POLTRONE

Settembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

15 RIUNIONI DI GIUNTA, 34 DELIBERE, META’ SONO NOMINE DI COLLABORATORI ESTERNI

Sono passati ormai quasi 90 giorni dall’insediamento di Virginia Raggi come sindaco di Roma, eppure l’attività  del Campidoglio registra al suo avvio una paralisi quasi senza precedenti.
Repubblica mette in fila oggi tutti gli scogli che il primo cittadino si trova ad affrontare e che di fatto stanno bloccando tutto il Comune.
Uno dei dati più eloquenti, riporta Repubblica, è quello delle delibere.
Dal 7 luglio, debutto della giunta Raggi, l’esecutivo si è riunito una quindicina di volte: 34 le delibere approvate, metà  delle quali nomine di collaboratori esterni.
Ancor più magro il bottino dell’assemblea capitolina, ferma dal primo settembre: appena dodici sedute e undici delibere licenziate in aula.
Un andamento lento aggravato dalla crisi politica esplosa quasi tre settimane fa e non ancora risolta: dalle dimissioni a catena del capo di gabinetto, dell’assessore al Bilancio e del dg di Ama, azienda dei rifiuti.
Tre ruoli-chiave senza padrone, che hanno di fatto bloccato la macchina amministrativa.
Tanto più che pure la poltrona del segretario generale è vacante.
Risultato? Dirigenti e funzionari – 500 dei quali con contratto scaduto il 31 luglio e da allora in attesa del bando interno per essere ricollocati – non sanno con chi parlare. A chi sottoporre le questioni più urgenti.
Faticano persino a capire chi prende le decisioni.
E mentre la sindaca è impegnata nell’estenuante braccio di ferro con il M5s, le pratiche inevase si accumulano sulle scrivanie.

(da “Huffingtonpost“)

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INTERVISTA A KERRY: “ITALIA CRUCIALE NELLA LOTTA AL TERRORISMO, L’EUROPA SI MUOVA SUI PROFUGHI”

Settembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO DI STATO USA: “L’ITALIA E’ FONDAMENTALE PER LA STABILITA’ DELLA LIBIA”

«L’Italia sta offrendo un contributo cruciale in Libia, per affrontare la doppia minaccia dell’instabilità  interna e dell’estremismo violento straniero». Questo riconoscimento, e insieme l’incoraggiamento a proseguire il lavoro fatto finora, viene dal segretario di Stato americano John Kerry, nel giorno del rapimento di due lavoratori del nostro Paese.
Ieri sera Kerry ha consegnato il Global Citizen Award a Matteo Renzi durante il gala annuale dell’Atlantic Council, tenuto al Museum of Natural History di Manhattan.
In questa occasione, sullo sfondo dell’instabilità  globale che si manifesta dalla Libia ai recenti attentati di New York, Kerry ha accettato di rispondere alle domande de «La Stampa» per fare il punto sui rapporti bilaterali, anche in vista della visita che il premier italiano farà  alla Casa Bianca il 18 ottobre.
Il segretario di Stato ha insistito molto nell’appoggiare l’approccio complessivo di Roma per affrontare le crisi sovrapposte delle migrazioni, dei rifugiati e del terrorismo, dicendo che «sono d’accordo con Renzi, per l’Europa è arrivato il momento di muoversi».
Perchè le relazioni con l’Italia sono importanti per gli Stati Uniti, e cosa può fare Roma per promuovere crescita e stabilità  nell’Unione europea?  
«Fra Stati Uniti e Italia ci sono sempre stati, e sempre ci saranno, legami profondi e solidi di famiglia e amicizia. Questi legami sono cementati dalla storia, i valori e gli obiettivi condivisi, su un ampio spettro di temi globali. Io applaudo e ammiro la leadership del primo ministro Renzi. Lui ha rappresentato una voce potente ed eloquente riguardo la sicurezza e la prosperità  condivisa in Europa e attraverso l’Atlantico. Noi apprezziamo la sua visione di una Ue basata su ideali e principi comuni. L’Italia è stata all’avanguardia negli sforzi per difenderci contro l’estremismo violento, addestrare e consigliare i nostri partner in Iraq e rispondere alla crisi molto seria dei rifugiati e dei migranti. Io sono d’accordo col premier che ora per l’Europa è venuto il momento di muoversi».
Cosa può fare l’Italia per stabilizzare la Libia?  
«L’Italia ha lavorato con noi e col Governo di accordo nazionale per affrontare le minacce gemelle dell’instabilità  interna e dell’estremismo straniero violento. Noi apprezziamo il sostegno cruciale che Roma ha fornito agli sforzi del governo libico, inclusa la cura dei libici feriti nella lotta contro Isis».
Come possiamo affrontare l’emergenza dei migranti, che continua ormai da diversi anni, raggiungendo soprattutto le coste dell’Italia?  
«La crisi dei rifugiati e migranti è una sfida globale di proporzioni e dimensioni storiche. Mette alla prova i nostri valori e la nostra stessa umanità . Dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per sviluppare una risposta complessiva, coordinata e umana. L’Italia è stata sul fronte dello sforzo per gestire questa crisi in maniera efficace ed umana, e noi dovremmo ricordare che il movimento dei rifugiati e dei migranti è più complicato della semplice narrativa delle persone impaurite e disperate forzate a fuggire dalle loro case. È anche la storia, in alcuni casi, di criminali e trafficanti che cercano di fare soldi stipando questa povera gente dentro barche sovraccariche, senza alcuna preoccupazione se vivono o muoiono. Noi apprezziamo l’approccio complessivo che il premier Renzi raccomanda, sostenendo una fine diplomatica alla guerra in Siria, affrontando alle radici le cause delle migrazioni di massa lungo tutta la rotta di transito, e intervenendo quando emergono le emergenze, aiutando oltre 450.000 rifugiati e migranti a raggiungere le coste in sicurezza solo negli ultimi tre anni. È una notevole dimostrazione della compassione dell’Italia e dell’impegno a prevenire la perdita di altre vite. Comprendiamo che la crisi europea dei rifugiati e migranti continua. Sollecitiamo tutti gli stati membri della Ue a mantenere gli impegni di riallocare i richiedenti asilo dall’Italia e la Grecia, che sono stati entrambi sul fronte di questa crisi. Una Europa unita è oggi più importante che mai».
Come può l’Italia aiutare la lotta contro Isis in Iraq e Siria?  
«Roma è uno dei principali fornitori di truppe alla Global Coalition to Counter Isis, e fornisce una leadership significativa negli sforzi della coalizione in Iraq per addestrare la polizia irachena e offrire un cruciale supporto umanitario, incluso il recente impegno di luglio alla Pledging Conference in Support of Iraq. Noi diamo molto valore al ruolo che l’Italia svolge sul palcoscenico globale per far progredire tali iniziative decisive per la sicurezza. Sul terreno in Iraq, dove insieme forniamo i due contingenti più ampi della coalizione, i Carabinieri italiani guidano la missione per addestrare la polizia irachena, le truppe italiane stanno aiutando gli iracheni a proteggere la diga di Mosul, mentre le riparazioni essenziali vengono effettuate da una compagnia di ingegneri italiani. Roma è nel cuore dei nostri sforzi militari e umanitari per mettere gli iracheni in condizione di sconfiggere Isis. Le truppe italiane, poi, rappresentano il contingente europeo più ampio nelle missioni di peacekeeping dell’Onu, e servono in operazioni di pace e stabilizzazione in tutto il mondo. E Roma sta lavorando con noi per cercare una soluzione politica al conflitto in Siria, attraverso l’International Syria Support Group».
Cosa può fare l’Italia per spingere la Russia ad applicare l’accordo di Minsk in Ucraina?  
«Noi siamo grati all’Italia per il continuo supporto delle sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. Restare uniti sulle sanzioni è stato cruciale per portare Mosca al tavolo del negoziato. Noi dobbiamo rimanere determinati; le sanzioni devono restare in vigore fino a quando la Russia non applicherà  pienamente i suoi impegni stabiliti dagli accordi di Minsk e metterà  fine alla sua aggressione dell’Ucraina».

Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)

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LAVORI AD ALTO RISCHIO NEL FAR WEST DEL DESERTO

Settembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

LE AUTORITA’ ITALIANE SPESSO NON HANNO UN QUADRO PRECISO SUI TECNICI IMPEGNATI NEGLI APPALTI

Pur seriamente ammaccata, la Libia resta una gallina dalle uova d’oro.
E per questo motivo c’è un variegato mondo di ditte piccole e medie che si affollano nonostante i rischi altissimi. Questione di business.
A dispetto di quel che appare sui media, infatti, che rappresentano quotidianamente una situazione drammatica, in larga parte della Libia c’è ancora un’impalcatura statale e locale che gestisce appalti.
Era appunto il caso del piccolo aeroporto nell’oasi di Ghat, al Sud, nella regione del Fezzan. Ghat ha un suo sindaco, Komani Mohamed Saleh.
Si riconosce nel governo di Tripoli, quello che ha il suggello dalle Nazioni Unite. Gode di un’apparente normalità .
«In Libia, anche in questo momento – racconta uno che per mestiere conosce tutto di quei luoghi – c’è una variegata realtà  di imprese italiane al lavoro. Per lo più sono subfornitori di colossi quali Eni o Bonatti. Le loro maestranze sono di ogni nazionalità . Qualcuno è italiano, tanti sono pakistani, filippini o egiziani. Il problema è che i grandi hanno le spalle larghe: security interna, broker assicurativi, contractor professionali. E rapporti consolidati con le tribù locali. Gli altri si arrangiano».
Ebbene, un po’ per autotutela, un po’ per evitare noie con il governo, che però in caso di guai è costretto a gestire situazioni di grande vulnerabilità  per il Paese, ci sono imprese che fanno di tutto per passare inosservate.
I loro dipendenti si guardano a volte dal rispettare gli inviti della Farnesina, che attualmente sconsigliano di recarsi in Libia.
Se potesse, il ministero degli Esteri lo vieterebbe. Ma tant’è. E così ci sono molti lavoratori che appaiono e scompaiono come fantasmi attraverso le frontiere libiche.
Alla Farnesina ne sono consapevoli.
«Per chi decida – scrivono – di recarsi comunque nel Paese, sotto la sua responsabilità , si raccomanda, in particolare, di assumere adeguate misure di sicurezza, dato l’elevatissimo rischio che comportano gli spostamenti sul territorio che si raccomanda comunque di evitare».
Se non le imprese, i lavoratori dovrebbero registrarsi a titolo individuale sul sito Viaggiaresicuri, informando l’ambasciata e l’Unità  di Crisi di quando arrivano, dove alloggiano, quale itinerario si frequenta, chi è l’interprete locale.
Resta da verificare se i dipendenti della Con.I.Cos l’abbiano fatto. Non si erano registrati i quattro della Bonatti che furono sequestrati nel luglio 2015.
Una vicenda drammatica, come si ricorderà , che terminò con due ostaggi uccisi in uno scontro a fuoco nel deserto dalle parti di Sabratha.
Per lavorare in zone di crisi e allo stesso tempo sfangarla, questi italiani si affidano al fai-da-te.
Come racconta candidamente sul sito lavorareall’estero.it l’ingegnere Marco Capobianco, napoletano di 48 anni, con esperienze in Libia nel 2011 e poi in Afghanistan nel 2012: «Prima di partire ho seguito preziosi consigli dei colleghi con cui poi ho stretto un forte legame di amicizia».
Alla finestra, pronti a correre in Libia appena ci saranno le condizioni, ci sono i giganti delle costruzioni e dell’engineering.
Nel frattempo resta spazio per i piccoli e i piccolissimi. Nel 2014, per dire, approfittando di una parziale tregua, erano arrivati in 80 per una fiera a Tripoli.
«Di notte sentiamo sparare», raccontavano. Giulio Lolli, un bolognese che aveva un cantiere di yacht a Rimini e che le vicende della vita hanno portato a Tripoli, è lì e tiene duro.
Scrive sul suo blog: «Le potenzialità  di crescita sono enormi. Un’ultima conferma l’ho avuta poche settimane fa, quando è arrivato un tecnico motorista che avevo chiamato dall’Italia perchè mi venisse ad aiutare nel mio lavoro di assistenza tecnica alle barche. I miei colleghi libici l’hanno accolto come fosse un luminare, perchè in confronto a loro le sue competenze sono enormi».

Francesco Grignetti
(da “La Stampa”)

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CHI SONO I DUE TECNICI ITALIANI SEQUESTRATI IN LIBIA

Settembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

BRUNO CACACE, 56 ANNI, DI BORGO SAN DALMAZZO E DANILO CALONEGO, 68 ANNI, DA 30 LAVORA IN LIBIA

Gli occhi sono puntati sul televideo del bar Sport, nessuno riesce a credere che uno dei due rapiti in Libia sia Bruno Cacace.
A Borgo San Dalmazzo, cittadina alle porte di Cuneo di 12 mila abitanti, tutti lo conoscono. Qui vive l’anziana mamma, che ieri sera non sapeva ancora del rapimento. Bruno, quando rientra dall’estero, abita con lei.
Dopo la separazione anni fa dalla moglie dalla quale ha avuto due figli si era trasferito da Roccabruna a Borgo. Ma a casa ci stava poco, sempre in giro per il mondo, dipendente della Conicos. Dalla Turchia alla Libia.
Il cellulare del sindaco Gian Paolo Beretta non smette di suonare.
Anche lui Bruno lo conosce bene, «dai tempi della scuola. Poi quando tornava ci si incrociava spesso». Cacace ha una sorella e un fratello gemello. Beretta prova a chiamare quest’ultimo al cellulare per avere conferma, non crede che un suo concittadino sia stato rapito.
Ma non riceve nè conferme nè smentite. «Probabilmente ai familiari è stato consigliato di non parlare. Dalla voce mi è sembrato provato». Beretta chiama anche la caserma dei carabinieri per avere conferme, ma anche da parte loro massimo riserbo.
Intanto la voce inizia a circolare, se ne parla sotto i portici, nei bar. Stupore, incredulità  si rincorrono per le vie della cittadina. Il pensiero va all’anziana mamma. «Speriamo che non lo sappia ancora. Lei lo aspetta sempre con tanta gioia, quel figlio che sta lontano così tanto tempo, ma che quando torna è tutto per lei. Mi auguro che tutto si risolva molto velocemente e che lui e i suoi colleghi vengano presto liberati e che quando tornerà  a Borgo San Dalmazzo si farà  una grande festa», commenta qualcuno.
Il cellulare del sindaco intanto continua a squillare senza sosta. La notte, carica d’ansia, sarà  lunga.
Danilo Calonego   Una vita passata tra le dune: “Qui le persone sono buone”
«Studi: solo fino alla terza media, poi inizio apprendistato presso la concessionaria Fiat di Belluno per anni cinque, dopo servizio militare e poi avanti con l’estero!».
Una vita in poche righe, scritte di proprio pugno senza pensarci troppo e affidate a un curriculum pubblicato online.
Dirette, essenziali e molto «venete», com’è normale per uno nato a Peron, frazione di Sedico, 340 abitanti sulle Prealpi Bellunesi, cresciuto in officina ed emigrato presto, prestissimo, prima in Svizzera poi (dal ’79) in Libia.
Dove sarebbe rimasto trent’anni, con l’eccezione di un’esperienza in Laos (ma non gli piaceva: «Troppo umido», disse due anni fa) e qualche trasferta in Algeria e Marocco.
Dalle montagne alle dune, tante avventure, una fuga rocambolesca nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi, eppure Danilo Calonego, a 68 anni, non era ancora stanco.
La pensione poteva aspettare: dopo una vita da meccanico di auto e camion al servizio, tra gli altri, del Gruppo Maltauro, aveva deciso di accettare l’offerta della Conicos per quel cantiere all’aeroporto di Ghat.
Conosceva la Libia come le sue tasche. Sapeva che del deserto non ci si poteva fidare: lo avevano intervistato, due anni fa, quando per la prima volta era tornato a Peron dopo la guerra civile in Libia, e in quell’occasione se l’era vista brutta, costretto a fuggire attraverso il deserto scortato dai militari, con l’incubo di Al Qaeda e Isis.
Se l’era vista brutta, ma aveva giurato che ci sarebbe tornato, se le acque si fossero calmate.
Ha rispettato la promessa a metà : al fascino delle dune non ha saputo dire di no, ci è tornato, ma in piena bufera. A Peron, oggi, non ha più parenti stretti.
La sua vita è laggiù, ma ora forse si sente un po’ tradito: «Non sarei rimasto così tanto tempo in Libia, se le persone lì non fossero così buone» diceva nel 2014.
Calonego, dicono i colleghi, annota tutto quello che gli succede: vuole farci un libro, aspetta solo di sapere come sarà  il finale.

(da “La Stampa”)

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“RAPITI DA CRIMINALI COMUNI, NON DA TERRORISTI”: MA C’E’ IL RISCHIO CHE I DUE ITALIANI SIANO VENDUTI

Settembre 20th, 2016 Riccardo Fucile

SECONDO FONTI LOCALI NON C’E’ AL QAEDA DIETRO IL RAPIMENTO DI CACACE E CALONEGO, SI IPOTIZZA UN FINE ESTORSIVO… COME AL SOLITO NON ERANO REGISTRATI IN LIBIA E NON AVEVANO LA SCORTA, LAVORATORI LASCIATI ALLO SBARAGLIO

Una storia che si ripete: stando a quanto riportano tutti i principali i quotidiani il cuneese Bruno Cacace e il bellunese Danilo Calonego, i due italiani rapiti lunedì nell’area libica del Fezzan, non erano registrati all’Aire e viaggiavano senza scorta. Questo nonostante l’entroterra del Paese, in cui coesistono il governo di unità  nazionale guidato dal premier Fayez al Sarraj e quello di Tobruk sostenuto dal generale Khalifa Haftar, sia un’area incontrollabile, contesa tra tribù locali, dai Tuareg propensi ad appoggiare Sarraj ai Tebu che invece non riconoscono l’esecutivo di Tripoli.
E nel grande risiko libico si muovono naturalmente anche cellule dell’Isis e di Al Qaeda, che però secondo fonti di sicurezza e intelligence non appaiono coinvolte nel rapimento, stando agli elementi emersi finora.
Tesi confermata dalla municipalità  di Ghat, il cui portavoce ha riferito ai portali Libya Observer e Al Wasat che sono stati “sequestrati da un piccolo gruppo di criminali a mano armata tra le sette e le otto di ieri mattina mentre si trovavano sulla via che collega la zona di Tahala e Ghat” e ha escluso che si tratti di una “banda di terroristi“.
Tutto insomma fa pensare a un sequestro a scopo di estorsione, per ottenere denaro o altri beni: azioni che le tribù nomadi mettono in atto non di rado.
Quella del Fezzan, nel cuore del Sahara, dove si trovano grandi giacimenti di gas che alimentano tra l’altro il gasdotto Greenstream dell’Eni, “è una zona di traffici, di armi e di esseri umani, nessuna pista può essere esclusa e per il momento non c’è una chiave di lettura univoca”, hanno commentato alcune fonti di intelligence citate dall’Adnkronos.
La prospettiva è comunque preoccupante perchè, fa notare il Corriere della Sera, il rischio è che “i nostri due connazionali diventino merce di scambio con i terroristi, anche tenendo conto che l’area è vicina al confine algerino ma anche a quello del Mali e del Niger“.
Al contrario “da un primo esame — hanno fatto sapere alcune fonti di intelligence citate dall’Adnkronos — si può escludere che si sia trattato di un’azione specificamente anti-italiana”, legata per esempio all’inizio la settimana scorsa dell’operazione Ippocrate, lo schieramento di 100 militari a Misurata per proteggere un ospedale da campo italiano che curerà  i feriti nei combattimenti contro il Califfato a Sirte.
O alla presenza nel Paese di unità  speciali coordinate dalla presidenza del Consiglio che danno supporto strategico nella guerra all’Isis.
In questo quadro, colpisce il fatto che anche i due tecnici della Conicos di Mondovì — come Salvatore Failla, Fausto Piano, Filippo Calcagno, Gino Pollicardo, i lavoratori della Bonatti sequestrati l’anno scorso, i primi due dei quali sono stati uccisi dai rapitori — viaggiassero senza scorta armata, su un semplice fuoristrada con un autista locale, come riporta Repubblica.
Tanto più che il 68enne Calonego nell’ottobre del 2014 era già  sfuggito a due imboscate da parte dei predoni del deserto.
Ma dopo un breve periodo a casa aveva voluto tornare in Libia, pur dicendo che “è tremenda dopo Gheddafi, un disastro”.
La Farnesina, ricorda La Stampa, sconsiglia di andare nel Paese e raccomanda a “chi decida di recarsi comunque” in Libia “sotto la sua responsabilità  di assumere adeguate misure di sicurezza, dato l’elevatissimo rischio che comportano gli spostamenti sul territorio”.
“Noi gli italiani li abbiamo portati via tutti dalla Libia”, aveva detto il premier Matteo Renzi lo scorso marzo, quando Pollicardo e Calcagno sono rientrati in Italia. Affermazione che aveva suscitato le critiche del presidente di Conicos Giorgio Vinai, che in un’intervista a La Stampa aveva definito “ipocrisia” il tentativo di “tenere lontani gli italiani dalle proprie imprese in Libia” e preannunciato: “Tornerò presto, per tutelare i miei interessi“.
Poi l’accusa: “L’Italia lascia sole le piccole e medie imprese rivolgendo tutti gli sforzi a tutela degli interessi dei colossi“.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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