CHI SONO I DUE TECNICI ITALIANI SEQUESTRATI IN LIBIA
BRUNO CACACE, 56 ANNI, DI BORGO SAN DALMAZZO E DANILO CALONEGO, 68 ANNI, DA 30 LAVORA IN LIBIA
Gli occhi sono puntati sul televideo del bar Sport, nessuno riesce a credere che uno dei due rapiti in Libia sia Bruno Cacace.
A Borgo San Dalmazzo, cittadina alle porte di Cuneo di 12 mila abitanti, tutti lo conoscono. Qui vive l’anziana mamma, che ieri sera non sapeva ancora del rapimento. Bruno, quando rientra dall’estero, abita con lei.
Dopo la separazione anni fa dalla moglie dalla quale ha avuto due figli si era trasferito da Roccabruna a Borgo. Ma a casa ci stava poco, sempre in giro per il mondo, dipendente della Conicos. Dalla Turchia alla Libia.
Il cellulare del sindaco Gian Paolo Beretta non smette di suonare.
Anche lui Bruno lo conosce bene, «dai tempi della scuola. Poi quando tornava ci si incrociava spesso». Cacace ha una sorella e un fratello gemello. Beretta prova a chiamare quest’ultimo al cellulare per avere conferma, non crede che un suo concittadino sia stato rapito.
Ma non riceve nè conferme nè smentite. «Probabilmente ai familiari è stato consigliato di non parlare. Dalla voce mi è sembrato provato». Beretta chiama anche la caserma dei carabinieri per avere conferme, ma anche da parte loro massimo riserbo.
Intanto la voce inizia a circolare, se ne parla sotto i portici, nei bar. Stupore, incredulità si rincorrono per le vie della cittadina. Il pensiero va all’anziana mamma. «Speriamo che non lo sappia ancora. Lei lo aspetta sempre con tanta gioia, quel figlio che sta lontano così tanto tempo, ma che quando torna è tutto per lei. Mi auguro che tutto si risolva molto velocemente e che lui e i suoi colleghi vengano presto liberati e che quando tornerà a Borgo San Dalmazzo si farà una grande festa», commenta qualcuno.
Il cellulare del sindaco intanto continua a squillare senza sosta. La notte, carica d’ansia, sarà lunga.
Danilo Calonego Una vita passata tra le dune: “Qui le persone sono buone”
«Studi: solo fino alla terza media, poi inizio apprendistato presso la concessionaria Fiat di Belluno per anni cinque, dopo servizio militare e poi avanti con l’estero!».
Una vita in poche righe, scritte di proprio pugno senza pensarci troppo e affidate a un curriculum pubblicato online.
Dirette, essenziali e molto «venete», com’è normale per uno nato a Peron, frazione di Sedico, 340 abitanti sulle Prealpi Bellunesi, cresciuto in officina ed emigrato presto, prestissimo, prima in Svizzera poi (dal ’79) in Libia.
Dove sarebbe rimasto trent’anni, con l’eccezione di un’esperienza in Laos (ma non gli piaceva: «Troppo umido», disse due anni fa) e qualche trasferta in Algeria e Marocco.
Dalle montagne alle dune, tante avventure, una fuga rocambolesca nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi, eppure Danilo Calonego, a 68 anni, non era ancora stanco.
La pensione poteva aspettare: dopo una vita da meccanico di auto e camion al servizio, tra gli altri, del Gruppo Maltauro, aveva deciso di accettare l’offerta della Conicos per quel cantiere all’aeroporto di Ghat.
Conosceva la Libia come le sue tasche. Sapeva che del deserto non ci si poteva fidare: lo avevano intervistato, due anni fa, quando per la prima volta era tornato a Peron dopo la guerra civile in Libia, e in quell’occasione se l’era vista brutta, costretto a fuggire attraverso il deserto scortato dai militari, con l’incubo di Al Qaeda e Isis.
Se l’era vista brutta, ma aveva giurato che ci sarebbe tornato, se le acque si fossero calmate.
Ha rispettato la promessa a metà : al fascino delle dune non ha saputo dire di no, ci è tornato, ma in piena bufera. A Peron, oggi, non ha più parenti stretti.
La sua vita è laggiù, ma ora forse si sente un po’ tradito: «Non sarei rimasto così tanto tempo in Libia, se le persone lì non fossero così buone» diceva nel 2014.
Calonego, dicono i colleghi, annota tutto quello che gli succede: vuole farci un libro, aspetta solo di sapere come sarà il finale.
(da “La Stampa”)
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