Dicembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
DOPO ANNI DI BATTAGLIE DEL M5S CONTRO LA COSTRUZIONE DI UN CENTRO COMMERCIALE SULL’AREA EX WESTINGHOUSE QUANDO GOVERNAVA FASSINO, ORA LA APPENDINO LO AUTORIZZA
A Torino il MoVimento 5 Stelle sembra seriamente intenzionato a voler dimostrare che il nuovo corso a Cinque Stelle è quello di seguire il doppio standard inaugurato qualche giorno fa dalla Sindaca di Roma Virginia Raggi: quando si è all’opposizione si contesta, quando si è al governo si fanno le stesse cose che prima venivano considerate sbagliate o inaccettabili.
Qualche indizio ce l’avevamo già , ad esempio sulle decisioni di Chiara Appendino per le nomine alla guida di Trm, la società che gestisce l’inceneritore di Gerbido.
Ma Appendino ha saputo fare di meglio e in questi giorni ha autorizzato la costruzione del centro commerciale sull’area ex- Westinghouse.
Quando il MoVimento era contro la volontà di fare cassa costruendo centri commerciali
La Sindaca Appendino ha giustificato la decisione spiegando che il Comune potrà così incassare 19,6 milioni di euro che potranno essere così messi a bilancio e utilizzati per sostenere il capitolo cultura e altre iniziative del Comune.
Chi non è di Torino però forse non sa che sull’area dove verrà edificato il centro commerciale il M5S ha condotto per anni una battaglia durissima.
Se lo ricorda ad esempio Vittorio Bertola (ex consigliere comunale M5S) che su Facebook ha ribadito com la battaglia contro l’ipermercato che verrà aperto sul giardino davanti al Tribunale è stata una delle più forti tra quelle condotte dai Cinque Stelle durante la precendente amministrazione a guida PD.
Bertola scrive chiaramente che all’epoca erano noti — e Appendino dovrebbe saperlo più di tutti visto che sedeva in Commissione Bilancio — sia lo stato delle finanze cittadine che il costo della rinuncia e di quel “no” alla nuova lottizzazione commerciale.
Questo è quello che scrivevano Bertola ed altri consiglieri pentastellati il 12 dicembre 2014, in un comunicato dove promettevano che “avrebbero vigilato sull’operazione” e invitavano l’Amministrazione ad un confronto con la cittadinanza in modo da garantire “una più ampia partecipazione dei cittadini al processo decisionale”.
Uno degli ultimi atti di una battaglia che il MoVimento torinese stava combattendo da anni, visto che sull’area dove sorgerà il nuovo centro commerciale doveva inizialmente ospitare una biblioteca, anzi, la biblioteca principale della città .
Progetto che poi è stato abbandonato a favore di un nuovo tipo di insediamento, non senza le lamentele del MoVimento 5 Stelle che ora si trova ad avallare quella stessa decisione che per anni ha osteggiato duramente.
Tanto che all’epoca Davide Bono su Facebook scriveva: “Ma secondo voi servono altri 10 ipermercati a Torino? Per “chi comanda a Torino” ancora edilizia e centri commerciali, intanto in centro chiudono tutti i negozi. grazie Piero Fassino, grazie #pd. il MoVimento Cinque Stelle Torino si farà sentire!!“. E si è fatto sentire.
Ma era il 2014, all’epoca l’allora assessore all’Urbanistica Stefano Lo Russo in un’intervista su Repubblica aveva giustificato così la decisione della giunta Fassino
“Il Comune non ha i soldi per le tante opere necessarie. Ad esempio per il nuovo centro congressi nell’area ex Westinghouse, 5.000 posti per un’infrastruttura di livello europeo. Ma servono fondi privati e per questo è stato aperto un bando per valorizzare tutta la zona. La proposta che ci è arrivata è quella di realizzare un centro commerciale.
Nel 2016 Chiara Appendino ha giustificato la retromarcia con la necessità di far quadrare i conti, che in fondo era la stessa spiegazione data all’epoca da Fassino.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
LA GENERAL ELECTRIC VUOLE CHIUDERE LA ALSTOM DI SESTO SAN GIOVANNI: GLI OPERAI PRESIDIANO I MACCHINARI FERMI
Visto dal carroponte, sembra un enorme drago d’acciaio addormentato e ripiegato su se stesso. 
Macchinari silenziosi, uno di fianco all’altro, nati per fabbricare componenti di centrali elettriche.
Alla Alstom di Sesto San Giovanni gli operai sono gli unici guardiani della bestia. Rotori, cappe di blindaggio, alesatrici, statori: materia che risponde a un lessico ingegneristico, una lingua comprensibile solo agli addetti ai lavori.
Come loro, gli operai. Guardano le macchine ancora vive, le chiamano per nome, ma non sanno se si risveglieranno.
All’entrata di via Edison 50, gli ultimi metalmeccanici di Sesto San Giovanni difendono la fabbrica, l’animale.
Si tratta dello stabilimento della Alstom – inglobata dalla General Electric a fine 2015, che subito dopo ha annunciato 10mila esuberi in tutto il mondo – due capannoni a ridosso della Bicocca in quello che un tempo era il cuore della produzione industriale del Paese e oggi è un prolungamento della periferia che si trasforma senza direzione.
I turni per l’occupazione della fabbrica sono gli stessi di quando c’era il lavoro: notte, mattina e pomeriggio.
“Solo che ora non ci sono domeniche o festivi – dice Diego Tartari, 38 anni, addetto al controllo qualità – e siamo qui a oltranza, dobbiamo difendere la fabbrica, il nostro lavoro. Voglia di abbandonare? Quella mai”.
Gli operai hanno occupato dal 27 settembre – sono circa una sessantina quelli che si danno il cambio, gli esuberi totali erano 249 – e dal 21 novembre hanno dato il via a una vertenza legale per impugnare i licenziamenti.
Da quando hanno preso il controllo della fabbrica, dell’azienda non entra più nessuno: “Ci hanno provato all’inizio, ora non si presentano più”.
Trattative aperte non ce ne sono, anche se le istituzioni hanno fatto capire che sono dalla loro parte. I metalmeccanici hanno ancora 12 mesi di mobilità in cui si giocheranno il tutto per tutto, serrando i ranghi e impedendo a chiunque di portare via i macchinari.
Perchè la speranza è che qualcuno sia pronto a riavviare la produzione.
“Resisti solo se hai una famiglia paziente, – dice Stefano Sfregola, 49 anni, gruista – . Tra di noi c’è chi fa fatica. Ad esempio chi come me ha la mamma anziana e malata da accudire “.
Stefano viene da Paderno Dugnano ed è figlio di operai: “Quando ero piccolo mio padre teneva in un braccio me e nell’altro la bandiera della Fiom – racconta – . Come potrei non essere qui a occupare? Il Natale in fabbrica non mi spaventa, ne ho già fatti diversi da piccolo”.
Di quando il drago era sveglio e attivo se ne ricordano tutti: “Quando tutto era in funzione era meraviglioso, sembrava un’opera lirica”, dice Stefano.
“Ogni volta che entro qui mi prende il magone – ricorda Debora Ravelli, 40 anni, avvolgitrice – . Sì, certo, poi stai con i colleghi con cui prima neanche ti rivolgevi la parola e che hai imparato a conoscere, ma non è la stessa cosa. È una sensazione di tristezza infinita, quando entravi qui pensavi che un posto del genere non potesse mai chiudere”.
E invece. All’inizio della fine in pochi volevano crederci. Perchè sembrava impossibile: l’azienda aveva appena organizzato la festa per il training center, un locale con aule e banchi dove si poteva studiare il funzionamento del rotore.
Ora gli occupanti ci fanno le assemblee. “In molti pensavano fossero solo dei pettegolezzi – ricorda Diego Tartari mostrando i volantini ancora attaccati nella bacheca sindacale – . Come delegati sindacali abbiamo fatto una fatica incredibile a spiegare quello che stava succedendo. Perchè lo avevamo capito, la produzione stava calando senza motivo”.
Sopra la gru, Roberto Cazzaniga, 52 anni, si affaccia a guardare il capannone dispiegato in tutta la sua lunghezza. Quassù non ci saliva mai, lui che dopo anni trascorsi al montaggio e alla costruzione degli statori negli ultimi tempi si occupava di preventivi. “Sono entrato nell’86 quando era ancora Ercole Marelli e ho visto tutti i passaggi di proprietà . All’inizio qui eravamo in mille e nell’officina si faceva di tutto, persino la carpenteria “.
Fa un respiro: “Ne ho viste tante in questi anni, ma la lettera di licenziamento, quella davvero non me la sarei mai aspettata”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
AVEVA 24 ANNI E, NELL’INFERNO DELLA CITTA’ SIRIANA, SI TRAVESTIVA DA PAGLIACCIO PER STRAPPARE UN SORRISO AI PIU’ PICCOLI… E’ MORTO DURANTE UN BOMBARDAMENTO DEL CRIMINALE ASSAD
Anas al-Basha aveva 24 anni e faceva il clown ad Aleppo, in mezzo alle bombe, alla distruzione, in quello che l’Onu ha ieri definito un cimitero a cielo aperto.
Si travestiva da pagliaccio, nell’inferno della Siria, per alleviare i traumi e i drammi dei bambini. Anas però non c’è più.
Come riporta la Associated Press, Anas è morto martedì in un bombardamento, molto probabilmente dei governativi, nel quartiere di Mashhad, nella parte orientale della città , dove le truppe di Assad negli ultimi giorni hanno guadagnato molto terreno tra le macerie.
Anas faceva parte dell’associazione “Space for Hope” (“Spazio per la speranza”), che ad Aleppo ha promosso un gran numero di iniziative per i bambini e non solo, mentre fuori si muore ogni giorno da oramai cinque sanguinosissimi anni.
In particolare, Space for Hope collabora con 12 scuole nella città e fornisce supporto psicologico per oltre 300 bambini che hanno perso un genitore o entrambi.
Come quello che faceva Anas al-Basha ogni giorno, col parruccone arancione, il cappello giallo e il naso rosso.
L’associazione aveva realizzato anche degli asili/parco giochi sotterranei negli ultimi mesi, come già visto in Siria, ma ora ha sospeso le operazioni a causa del conflitto sempre più devastante.
Anas aveva deciso di rimanere fino all’ultimo ad Aleppo, nonostante i suoi genitori avessero deciso di lasciare la città da molto tempo.
Lui no, voleva restare e gli faceva mandare il suo piccolo stipendio, nelle campagne intorno, dove si erano rifugiati.
Anas si era sposato qualche mese fa ad Aleppo, con la sua giovane moglie, che ora sarebbe intrappolata ad Aleppo est.
Anas faceva il pagliaccio in un mondo di assassini, e come il finto matto shakesperiano incarnava la verità , la speranza, la vita vera, mentre fuori i matti si ammazzano.
(da agenzie)
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Dicembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
MEGLIO VOTARE IN SILENZIO…E’ UNA LIBERTA’, NON LA SPRECHIAMO
Per fortuna mancano soltanto 48 ore e lo spettacolo, parecchio allucinante per la verità , propinatoci
da molti degli “attori in campo” (sia per il SI, sia per il NO) ce lo potremo mettere finalmente alle spalle.
Una pagina molto triste, comunque.
“Salvando la pace” di qualcuno è sembrato di assistere ad un pessimo film con “orde di barbari” – talvolta “impazziti”, e sino ai limiti della follia – variamente assiepati ai “lati del fiume”.
Ma l’Italia è diventata questo, purtroppo. Urla. Isterismi incontrollati.
Carenza di studio, di riflessione, di approfondimento e (in moltissimi casi) finanche di “autonomia valutativa e decisionale”.
Comunque sia, sebbene il mio sia stato, sempre e soltanto, l’impegno civico di un cittadino appassionato, questa volta ho deciso che “voterò in silenzio”.
Nessuna sorta di “propaganda”, ne’ per il SI, ne’ per il NO…
Che tutti votino secondo coscienza ed in modo consapevole…
Votare non è un dovere: è un diritto.
È una libertà : non la sprechiamo…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Dicembre 2nd, 2016 Riccardo Fucile
PERCHE’ NESSUN PAPRTITO PROPONE IL CARCERE PER CHI EVADE?
Tutti presi, ormai da mesi, sul dilemma Sì o No al referendum costituzionale, i partiti italiani continuano a ignorare — nei loro programmi ma soprattutto nella loro azione politica — la realtà dei diseredati, che in Italia sono ormai fra un quarto e un terzo della popolazione.
Per l’esattezza: in Italia ci sono 8 milioni di poveri, fra cui 1 milione di minorenni. Circa metà è in povertà assoluta, l’altra metà in povertà relativa.
Ci sono 4 milioni di disoccupati.
Ci sono 4 milioni di disabili, di cui una metà gravissimi, murati in casa dalle mille “barriere”.
C’è 1 milione di malati di Alzheimer o altre forme di demenza, del tutto abbandonati al sostegno, non solo economico, dei familiari.
C’è un numero imprecisato di immigrati clandestini in condizioni miserevoli.
E di recente sono apparsi i dati dell’Atlante dei bambini di Save The Children.
In Italia i bambini “molto poveri” sono 1.131.000, un minore su tre (490 mila al Nord, 450mila al Sud, 19mila al Centro): il 32,1% del totale, contro il 27,7% della media Ue. Il 39% dei bambini vive in case non riscaldate (media Ue, 24,4%). Bassissima la capacità di lettura.
Crescente il fenomeno del bullismo. Per Eurosat l’Italia destina all’infanzia e alla famiglia una quota di spesa sociale pari alla metà della media Ue (4,1% contro 8,5%). Ci sono fondate speranze sulla capacità della economia globalizzata di un miglioramento che si rifletta anche sull’Italia?
Purtroppo no, come dimostrano i dati inquietanti dall’Ocse e della inglese Joseph Rowntree Foundation: i posti “non standard” (tempo determinato, part time o autonomi) rappresentavano il totale dell’aumento netto dei posti nel Regno Unito sin dal 1995, ben nove anni prima della nascita di Facebook.
In Gran Bretagna quattro lavoratori sottopagati su cinque non riescono a ottenere salari decenti neanche dopo dieci anni, mentre il 30% delle persone in età lavorativa non può permettersi un piano pensionistico privato.
Negli Usa, entro il 2020 metà degli individui lavorerà come free lance.
E’ uno “sboom silenzioso”. Emblematico il caso delle auto: per Jeremy Rifkin a ogni vettura presa in sharing se ne produrranno una dozzina in meno.
Tom Barrack, consigliere ascoltato di Trump, ha scritto che la middle class ha perso “ogni speranza”.
Tornando alla realtà del nostro Paese, a fronte dei diseredati ci sono alcune migliaia di italiani che evadono il fisco per 150 miliardi l’anno (oltre 5 volte la legge finanziaria per il 2017).
Per realizzare un “piano per la povertà ” servirebbero 7 miliardi l’anno: una somma equivalente ameno del 5% di quei 150 miliardi.
Di fronte a questa realtà , la priorità assoluta di tutte le forze realmente riformiste (Forza Italia e Lega guardano con molta tolleranza agli evasori, mentre il Pd, che ci governa, non si occupa di questo tema se non per “ammorbidire” i toni verso i contribuenti) dovrebbe essere una lotta molto dura alla evasione.
Come mai a proporla non ci pensano i parlamentari di M5S, invece di focalizzare la loro azione sulla richiesta demagogica di dimezzare gli stipendi dei parlamentari, che fra l’altro sono 900, contro le decine di migliaia di grandi evasori ?
Dopo decenni di esperimenti, l’evasione ha continuato a crescere.
L’unico deterrente efficace in questo campo è la certezza del carcere per i grandi evasori. E’ necessaria una legge che preveda per loro una pena minima di tre anni, così da evitare il salvagente della condizionale.
A chi fa obiezioni di tipo “garantista” rispondo semplicemente così: “ il garantismo non può essere illegalità ”.
Carlo Troilo
(da “Huffingtonpost”)
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