DA DUE MESI OCCUPANO LA FABBRICA: “NOI, PRIGIONIERI PER DIFENDERE IL NOSTRO FUTURO”
LA GENERAL ELECTRIC VUOLE CHIUDERE LA ALSTOM DI SESTO SAN GIOVANNI: GLI OPERAI PRESIDIANO I MACCHINARI FERMI
Visto dal carroponte, sembra un enorme drago d’acciaio addormentato e ripiegato su se stesso.
Macchinari silenziosi, uno di fianco all’altro, nati per fabbricare componenti di centrali elettriche.
Alla Alstom di Sesto San Giovanni gli operai sono gli unici guardiani della bestia. Rotori, cappe di blindaggio, alesatrici, statori: materia che risponde a un lessico ingegneristico, una lingua comprensibile solo agli addetti ai lavori.
Come loro, gli operai. Guardano le macchine ancora vive, le chiamano per nome, ma non sanno se si risveglieranno.
All’entrata di via Edison 50, gli ultimi metalmeccanici di Sesto San Giovanni difendono la fabbrica, l’animale.
Si tratta dello stabilimento della Alstom – inglobata dalla General Electric a fine 2015, che subito dopo ha annunciato 10mila esuberi in tutto il mondo – due capannoni a ridosso della Bicocca in quello che un tempo era il cuore della produzione industriale del Paese e oggi è un prolungamento della periferia che si trasforma senza direzione.
I turni per l’occupazione della fabbrica sono gli stessi di quando c’era il lavoro: notte, mattina e pomeriggio.
“Solo che ora non ci sono domeniche o festivi – dice Diego Tartari, 38 anni, addetto al controllo qualità – e siamo qui a oltranza, dobbiamo difendere la fabbrica, il nostro lavoro. Voglia di abbandonare? Quella mai”.
Gli operai hanno occupato dal 27 settembre – sono circa una sessantina quelli che si danno il cambio, gli esuberi totali erano 249 – e dal 21 novembre hanno dato il via a una vertenza legale per impugnare i licenziamenti.
Da quando hanno preso il controllo della fabbrica, dell’azienda non entra più nessuno: “Ci hanno provato all’inizio, ora non si presentano più”.
Trattative aperte non ce ne sono, anche se le istituzioni hanno fatto capire che sono dalla loro parte. I metalmeccanici hanno ancora 12 mesi di mobilità in cui si giocheranno il tutto per tutto, serrando i ranghi e impedendo a chiunque di portare via i macchinari.
Perchè la speranza è che qualcuno sia pronto a riavviare la produzione.
“Resisti solo se hai una famiglia paziente, – dice Stefano Sfregola, 49 anni, gruista – . Tra di noi c’è chi fa fatica. Ad esempio chi come me ha la mamma anziana e malata da accudire “.
Stefano viene da Paderno Dugnano ed è figlio di operai: “Quando ero piccolo mio padre teneva in un braccio me e nell’altro la bandiera della Fiom – racconta – . Come potrei non essere qui a occupare? Il Natale in fabbrica non mi spaventa, ne ho già fatti diversi da piccolo”.
Di quando il drago era sveglio e attivo se ne ricordano tutti: “Quando tutto era in funzione era meraviglioso, sembrava un’opera lirica”, dice Stefano.
“Ogni volta che entro qui mi prende il magone – ricorda Debora Ravelli, 40 anni, avvolgitrice – . Sì, certo, poi stai con i colleghi con cui prima neanche ti rivolgevi la parola e che hai imparato a conoscere, ma non è la stessa cosa. È una sensazione di tristezza infinita, quando entravi qui pensavi che un posto del genere non potesse mai chiudere”.
E invece. All’inizio della fine in pochi volevano crederci. Perchè sembrava impossibile: l’azienda aveva appena organizzato la festa per il training center, un locale con aule e banchi dove si poteva studiare il funzionamento del rotore.
Ora gli occupanti ci fanno le assemblee. “In molti pensavano fossero solo dei pettegolezzi – ricorda Diego Tartari mostrando i volantini ancora attaccati nella bacheca sindacale – . Come delegati sindacali abbiamo fatto una fatica incredibile a spiegare quello che stava succedendo. Perchè lo avevamo capito, la produzione stava calando senza motivo”.
Sopra la gru, Roberto Cazzaniga, 52 anni, si affaccia a guardare il capannone dispiegato in tutta la sua lunghezza. Quassù non ci saliva mai, lui che dopo anni trascorsi al montaggio e alla costruzione degli statori negli ultimi tempi si occupava di preventivi. “Sono entrato nell’86 quando era ancora Ercole Marelli e ho visto tutti i passaggi di proprietà . All’inizio qui eravamo in mille e nell’officina si faceva di tutto, persino la carpenteria “.
Fa un respiro: “Ne ho viste tante in questi anni, ma la lettera di licenziamento, quella davvero non me la sarei mai aspettata”.
(da “La Repubblica”)
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