Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
LA RIUNIONE DEI 25 FEDELISSIMI PER METTERE A PUNTO LA STRATEGIA
Unico Sostegno: Palazzo Chigi. Il Sostegno con la maiuscola perchè è il ristorante, a due passi dal Pantheon nel centro di Roma, dove 25 irriducibili renziani hanno concordato all’unisono: “Non possiamo perdere palazzo Chigi, dobbiamo andare alle elezioni da lì. O Matteo accetta un reincarico o Gentiloni”.
L’organizzatore è Francesco Bonifazi e ha il mandato dei due falchi del renzismo, “il Lotti” (così lo chiamano nel giro fiorentino) e Meb (Maria Elena Boschi), teorici della resistenza a oltranza nella stanza dei bottoni.
Le dimissioni del premier sono il punto di partenza perchè, dicono, a questo punto “non può perdere la faccia”.
Preoccupazione, rabbia, tra i volti televisivi del renzismo attovagliati, a partire dalle due Alessie, la Morani e la Rotta. Teso anche il mite Ermini.
Il punto è: “Che fare il minuto dopo le dimissioni?”.
Da palazzo Chigi arrivano notizie che “il Capo” è teso, non vuole parlare più con nessuno, che oscilla dal “me ne vado per un anno”, al “resto qui, se vogliono il governissimo, lo guido io”.
E soprattutto non si fida. Come non si fida Luca Lotti, che va ripetendo: se mettiamo qualcuno a palazzo Chigi, chi ci assicura che se ne va quando diciamo noi? Se parte un governo, chi ci dà certezza dei tempi?
Ecco dunque il piano dei falchi. Che pare abbiano convinto il Capo: “Matteo si dimette. Facciamo finta col governo istituzionale, con l’obiettivo di farlo fallire. A quel punto ci chiederanno di rimanere. E a palazzo Chigi o resta Matteo o mettiamo Gentiloni, con Lotti che rimane sottosegretario alla presidenza”.
Perchè non si sa mai. Il prossimo anno ci sono in agenda nomine che rappresentano il cemento di qualunque governo.
Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via.
E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Gran finale, Banca d’Italia, col mandato di Ignazio Visco che scade nel 2017. Chi le gestisce? Il prossimo governo.
Dal giro di telefonate fatte anche da Matteo Orfini, che ha qualche rapporto col Quirinale, inteso come staff di Mattarella, i renziani sono convinti che il capo dello Stato preferirebbe Padoan, mentre dentro il Pd si allarga il fronte pro-Franceschini. Sono due spettri, per i falchi, sia l’uno che ha già ricevuto un via libera sostanziale da D’Alema sia l’altro.
Il guanciale del Sostegno è ottimo, perchè arriva da Amatrice. Una volta la Rossi e la Pascale portarono lì anche Silvio Berlusconi per fargli apprezzare le specialità della casa.
Ma a tavola, stavolta, gli stomaci sono più chiusi: insalatine con grana e noci, insalatine con carciofi, bruschette, e parecchi secondi.
Il menù della crisi, assicura l’organizzatore, prevede: Matteo si dimette e si aprono le consultazioni, e il Pd va sulla linea “o urne o governissimo”, ma non indica il nome per il governissimo, rimettendosi nelle mani del capo dello Stato, nella certezza che l’ipotesi fallirà .
È a quel punto che si materializza il secondo tempo della crisi, di fronte al fallimento del primo giro: o accetta Renzi il reincarico o Gentiloni, con l’idea di “resistere” a palazzo Chigi fino alla sentenza della corte, recepire le modifiche della Consulta e andare dritti al voto.
A tavola la data più gettonata è il 19 marzo.
Al massimo aprile, insomma dopo le nomine di primavera.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
LAGGENTE HA “SCOPERTO” CHE IL MAGLIONE INDOSSATO DA AGNESE LANDINI IN RENZI POTREBBE COSTARE QUALCHE CENTINAIO DI EURO E PARTONO I SOLITI INSULTI… COME SE NON SE LO POTESSE PERMETTERE E IN OGNI CASO SONO CAZZI SUOI, LA POLITICA E’ ALTRA COSA
Letteralmente a margine del discorso di domenica notte con cui Matteo Renzi ha annunciato le
sue dimissioni c’era lei:
Agnese Landini in Renzi, la moglie del Presidente del Consiglio che in questi anni è stata oggetto di numerose critiche, alcune volgarissime e irripetibili quasi tutte senza senso.
In questi mille giorni di Governo Renzi a quanto pare in molti hanno fatto fatica a capire che Agnese Landini è un’entità distinta dal marito con il quale potrà pure condividere aspirazioni politiche ma ciò non toglie che legittimamente possa avere le sue opinioni e aspirazioni.
Perchè tanto odio nei confronti di una donna?
Dopo domenica notte abbiamo letto numerosi articoli su Agnese Renzi “la donna che commuove l’Italia” e che sa stare a fianco del marito nel momento di maggiore difficoltà : la sconfitta.
Certo, qualcuno forse ha un po’ esagerato coi toni, al punto che stiamo assistendo ad una forma di beatificazione laica della Landini che ha “semplicemente” fatto quello che ogni moglie farebbe.
Qualcuno ritiene che tutti gli elogi e le sperticate lodi rivolte al modo con cui Agnese Landini è stata accanto a Matteo Renzi domenica notte e il modo con il quale lo ha accompagnato fuori dalla porta del salone di Palazzo Chigi dove Renzi aveva appena finito di pronunciare uno dei discorsi più difficili della sua carriera politica possano rischiare di renderla ancora meno amata dagli italiani.
Ma non è davvero un problema che laggente, quella che ha sempre trovato un pretesto per dare addosso ad Agnese Lantini, si ponga.
Perchè gli ispettori della moda, analisti di borsette e haute couture gentisti hanno già individuato una nuova colpa della Landini: il maglione indossato quella sera.
Sulla pagina gentista Avvistamenti di Creature Mitologiche hanno scoperto che si tratta di un maglione di Scervino da ben 950€.
Alla faccia del fatto che è un’insegnante, è il commento più pacato (non pakato) che si legge.
Certo, Agnese Landini è un’insegnante ma è anche moglie del Presidente del Consiglio.
A parte notare l’ovvio, ovvero che il maglione non è lo stesso, visto che quello indossato dalla Landini è senza maniche, qual è il problema?
Diamo per scontato che il maglione sia davvero di quella marca e che costi settecento euro. Non se lo può permettere?
Ma che ne sanno gli arguti commentatori di quanto prende e quanto ha in banca Agnese Landini, che ne sanno che non sia un regalo del marito (che senza dubbio se lo può permettere).
Ci sono insegnanti — incredibile a dirsi — che sono sposate con imprenditori, dirigenti d’azienda, manager e così via fino a quelle che sono sposate con i disoccupati (succede).
Lo stesso vale, anche se in misura minore, per gli insegnanti di sesso maschile. Oppure laggente crede che in Italia ci si sposi solo tra persone dello stesso ceto sociale e che prima di sposarsi sia necessario confrontare le rispettive dichiarazioni dei redditi per verificare se sono congrue?
Naturalmente nessuno è disposto a capire che in quanto moglie del Presidente del Consiglio (trivia: la Landini non abita a Palazzo Chigi) la signora Renzi non può certo presentarsi ad un’occasione così importante in jeans e scarpe da ginnastica magari con i capelli in disordine.
Anzi, in quel caso sicuramente qualcuno l’avrebbe criticata per un’eventuale mancanza di rispetto delle istituzioni magari spiegando che “io quando vado a lavoro mi presento sempre in modo impeccabile perchè rispetto i miei colleghi e i miei clienti”.
Ed Agnese Landini ha indossato un maglione, bianco, a collo alto, non un abito di Valentino rosso fuoco.
È rimasta in disparte, non al centro della scena e non ha detto nulla.
Non mancano quelli che ricordano che la Landini dovrebbe essere in classe, ma di loro non ci preoccupiamo, visto che si tratta di persone che in classe non ci sono mai state dal momento che credono che a mezzanotte di domenica ci sia qualche importante lezione da seguire.
Si potrebbe dire che almeno il maglione è made in Italy, che se se lo può permettere non c’è nulla di male, ricordare che ci sono persone che fanno un finanziamento per comprarsi l’ultimo modello di iPhone (con il quale magari scrivono i commenti al vetriolo contro la Landini) oppure spiegare che alimentare il clima d’odio in questo modo non aiuta certo chi i soldi per comprare quel maglione non ce li ha.
Ma non servirebbe a nulla.
Per fortuna che al referendum non si è votato sul maglione di Agnese Landini, altrimenti il Paese ne sarebbe uscito davvero distrutto.
Resta un dato di fatto: mai come in questa legislatura si erano viste così tante manifestazioni d’odio nei confronti delle donne, da Laura Boldrini a Maria Elena Boschi passando per Cristina Bargero (e come dimenticare l’ex Ministra Kyenge) il nostro Paese si è scoperto sessista e misogino, qualcosa che evidentemente le quote rosa non possono curare.
Meglio uno pschiatra.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
SUL WEB BOTTE DA ORBI TRA RENZIANI E BERSANIANI…CHIARA GERONI VS ANNA RITA LEONARDI
La direzione del Partito Democratico è convocata per oggi pomeriggio ma il congresso intanto si svolge su Twitter.
E a vedere come se le danno potrebbe essere difficile arrivare alle 17,30 interi.
In questo caso vediamo disputare Chiara Geloni, ex direttrice di Youdem e bersaniana, e Anna Rita Leonardi, membro dell’Assemblea Regionale PD della Calabria e del Direttivo dei Giovani Democratici GD di Reggio Calabria e renziana. Ieri la Geloni aveva segnalato lo status di Alessio De Giorgi, componente dello staff di Renzi, in cui si chiedeva di andare a cantargliele a Pierluigi Bersani sulla pagina facebook di quest’ultimo.
Oggi la Geloni pubblica su Twitter un messaggio privato della Leonardi che esce da una chat di whatsapp in cui evidentemente si sente chiamata in causa.
«E mi devo far dare lezioni da gente che pagava una grassona 6000 euro al mese per attaccare figurine ai pc e portargli la birra», recita il messaggio.
La Geloni si sente chiamata in causa per il riferimento alla cifra (lorda) del suo stipendio, che faceva parte di un famigerato (e mai pubblicato) dossier di Renzi sulle spese folli del PD bersaniano: “Al netto, nella mia busta paga — diceva nel 2013 a Repubblica — ci sono un po’ meno di 6 mila euro, uno stipendio alto. Ma ho lasciato il lavoro a tempo indeterminato, che avevo prima, e ho accettato un contratto a termine, legato alle vicende della politica, perchè faccio il direttore. Ho chiesto uno stipendio un po’ più alto di quello di prima, di vice direttore a tempo indeterminato di un giornale. Credo sia nella media, paragonabile alle remunerazioni di altri colleghi giornalisti”, disse all’epoca.
Nella rissa di repliche che ne segue però la Leonardi spiega che non si riferiva alla Geloni con quel messaggio:
Ma la discussione sta degenerando, tra minacce di denunce e risse varie:
E siamo appena a mezzogiorno.
Riuscirà il PD a (r)esistere per altre due ore?
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
QUANDO SI INSEDIO’ OTTENNE 169 VOTI, OGGI 173… LA CONSULTA RESPINGE LE ACCUSE SULL’ITALICUM
L’aula del Senato ha approvato la fiducia chiesta dal governo sull’articolo 1 del ddl di bilancio
che contiene la manovra 2017 e triennale.
I voti a favore sono stati 173 e 108 i contrari.
Il testo è stato approvato senza modifiche rispetto a quello che ha ricevuto il sì della camera in prima lettura.
Il governo Renzi ottiene più voti (173 a 169) rispetto al suo insediamento il 24 febbraio del 2014.
La Commissione ha espresso un “sentimento di rammarico che ha unito tutti i gruppi” per la mancata lettura congiunta della legge di Bilancio. Tonino ha quindi riferito le “polemiche e critiche dell’opposizione” nonchè la “presa d’atto della presentazione di 1.000 emendamenti circa da parte dei gruppi, in particolare dell’opposizione e di un certo numero di ordini del giorno”.
E’ stato convenuto – ha detto ancora – che non avrebbe avuto senso impegnare su questo o quel tema il governo dimissionario e quindi la Commissione ha deciso di accogliere gli ordini del giorno come raccomandazione al futuro governo. Vista impossibilità di procedere al voto degli emendamenti è stato deciso di concludere senza il mandato al relatore.
LA CONSULTA PRECISA
La scelta di una data anteriore rispetto a quella fissata del 24 gennaio per la trattazione delle questioni relative alla legge elettorale “avrebbe privato le parti dei termini dei quali dispongono per legge, allo scopo di costituirsi in giudizio e presentare memorie”. Lo sottolinea la Corte Costituzionale che rileva come la Consulta “opera secondo le regole degli organi giurisdizionali”.
IN DIREZIONE RENZI PARLERA’ MA SENZA REPLICHE
Dopo il voto al Senato, i riflettori si spostano sulla sede del Pd al largo del Nazareno dove, alle 17,30, si riunirà la direzione del Pd
Potrebbe aprirsi e chiudersi con le comunicazioni di Matteo Renzi, la riunione della direzione del Partito democratico convocata per oggi pomeriggio.
L’ipotesi confermata da fonti del Nazareno è infatti che il segretario prenda la parola all’inizio della riunione, spiegando le sue intenzioni e sottolineando il ruolo in questa fase del presidente della Repubblica.
Il dibattito interno al partito sull’analisi del voto e gli scenari per il governo verrebbe invece rinviato a un secondo momento.
RENZI FA DI TESTA SUA: ALLE 19 SI DIMETTE, SCHIAFFO A MATTARELLA
Il post di Renzi
“La legge di Bilancio 2017 è stata approvata anche dal Senato. Credo sia un’ottima legge e vi invito a vedere le slide che abbiamo preparato un mese fa all’atto dell’approvazione in Consiglio dei Ministri. Stasera alle 19 sarò al Quirinale per formalizzare le dimissioni da Presidente del Consiglio dei Ministri. ”
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
IL GIORNALE GOVERNATIVO DETTA LA NUOVA LINEA: “APPREZZIAMO RENZI, MEGLIO IL PRAGMATISMO DEGLI SLOGAN POPULISTI”… A SALVINI RESTERA’ SOLO LA MAGLIETTA RICORDO DELLA GITA IN PIAZZA ROSSA
Il Cremlino avrebbe preferito la vittoria del sì nel referendum italiano, perchè ritiene Matteo Renzi un interlocutore di alto livello e non ha altrettanta fiducia nei suoi maggiori avversari, Lega e Cinquestelle: è quanto emerge da una dichiarazione ufficiale, e dagli editoriali di alcuni dei maggiori media governativi e non governativi in Russia.
Un indizio di una prossima presa di distanze da parte di Mosca nei confronti del populismo trionfante in Occidente, secondo alcuni politologi che studiano le strategie della èlite al potere in vista delle elezioni presidenziali del 2018.
Alle quali Vladimir Putin non ha ancora confermato di voler partecipare.
CON RENZI RAPPORTI “ALTI”
“E’ difficile sottovalutare il ruolo di Renzi nello sviluppo delle relazioni italo-russe in questi ultimi anni, nonostante i tempi”, ha detto il portavoce del presidente, Dmitri Peskov.
“E’ stato il sostenitore di un dialogo alto, attivo e costruttivo, che andava ben oltre il protocollo e si sostanziava nella discussione e nella soluzione di problemi concreti della collaborazione, sia in materia economico-commerciale che negli investimenti e in ogni altro aspetto. Apprezziamo molto il ruolo che ha avuto”.
“La vittoria del no non è una buona cosa per la Russia, scrive la Komsomolskaya Pravda, il quotidiano più letto nel Paese. “Matteo Renzi non ci ha mai fatto giuramenti di fedeltà nè dichiarazioni d’amore, ma se [vincendo il referendum] avesse aumentato il suo potere [in Italia e in Europa], dato il suo pragmatismo, nei rapporti con noi si sarebbe ispirato alla convenienza economica e politica, piuttosto che a slogan populisti”, si legge nella pagina dedicata al voto referendario in Italia.
La sconfitta di Renzi implica un “indebolimento” delle posizioni italiane contrarie alle sanzioni imposte alla Russia e all’austerità fiscale, continua l’articolo.
Che condanna Lega e Cinquestelle per voler bloccare ogni attività governativa anche “tecnica” con elezioni anticipate.
La proprietà della Komsomolskaya Pravda è riconducibile al colosso energetico statale Gazprom, altrimenti noto come “l’arma del Cremlino”.
SLOGAN POPULISTI
Il “Viva Trump, viva Putin, viva Le Pen, viva la Lega” lanciato su Facebook e Twitter da Matteo Salvini il 4 dicembre, al secondo punto non sembra quindi particolarmente corrisposto.
Lega e M5S sono sempre stati prodighi di complimenti per la Russia di Putin, divenuto un faro dei movimenti e dei partiti politici che fanno della lotta contro l’establishment la loro parola d’ordine.
Salvini anche pochi giorni prima del referendum era a Mosca. I Cinquestelle concedono spesso interviste ai media propagandistici del Cremlino.
E’ evidente che chi si occupa di strategie tra leghisti e pentastellati pensa che sbandierare una vicinanza ideologica col presidente russo sia una carta elettoralmente vincente, visto il richiamo del putinismo in Italia.
I commenti del portavoce di Putin e gli articoli di giornale pro-Renzi sono arrivati la sera del 5 e la mattina del 6 dicembre.
A mente fredda, quindi.
Durante la giornata, i quotidiani ufficiali come Russiyskaya Gazeta, organo del governo, avevano riportato solo i fatti, e qualche analisi pacata sulla politica interna italiana. Senza mai sbilanciarsi sulle conseguenze della vittoria del no sui rapporti tra Italia, Russia ed Europa.
Solo Izvestia, con un’intervista a Giuseppe Brescia dei Cinquestelle, parlava di una “più vicina” abolizione delle sanzioni.
DEPUTATI “PRIMITIVI”
Immediate erano state invece le reazioni entusiaste di alcuni deputati della Duma, la camera bassa del Parlamento: il vicepresidente dell’assemblea Sergey Zheleznyak aveva detto che il voto italiano “va nella direzione della difesa degli interessi nazionali” a scapito dell’Ue, e aveva sottolineato il “desiderio di indipendenza dai burocrati di Bruxelles”.
Zheleznyak è l’interlocutore di Salvini e dei rappresentanti dei Cinquestelle in occasione delle loro visite alla Duma.
“La fine del governo Renzi non è una buona notizia per noi, come si potrebbe pensare dai primi commenti a caldo”, ha detto riferendosi all’esito del referendum Maxim Usin, esperto di politica estera del quotidiano Kommersant.
“I deputati della Duma hanno un modo di vedere piuttosto primitivo: dividono tra amici e nemici a seconda che siano o meno dalla parte della Merkel e dell’Ue, e Germania e Ue certamente sostenevano Renzi. Ma è una reazione assolutamente sbagliata […]: abbiamo perso un partner affidabile e comprensibile, pronto ad ascoltare le nostre argomentazioni”, spiega.
Secondo Usin, il populismo per l’Europa è un “rischio”.
Intanto – aggiunge – la prospettiva di un’Italia “ferma” con un governo tecnico, o comunque finalizzato solo a fare una legge elettorale per andare anticipatamente alle urne, rende più probabile una riconferma delle sanzioni economiche contro la Russia.
DIMISSIONI ESEMPLAR
Il giornalista ricorda come, quando Francia e Germania insistevano per imporre nuove sanzioni in seguito al bombardamento di Aleppo, il governo Renzi abbia di fatto bloccato la proposta.
E ricorda l’invito di Putin a Milano nel 2014, quando il presidente russo era isolato sul palcoscenico internazionale perchè sotto accusa per l’abbattimento dell’areo passeggeri della Malaysia Airlines sull’Ucraina orientale.
“Poi ci fu il summit Europa-Asia, e la Russia iniziò a essere meno sola. Fu Renzi a spingere in questo senso”, conclude Usin.
“Bravo, Renzi!”, scrive – tornando alla Komsomolskaya Pravda – Nikita Isaev, direttore dell’ Istituto di economia contemporanea di Mosca, colpito dal discorso con cui il premier italiano si è assunto la responsabilità della sconfitta e ha annunciato le dimissioni.
L’economista ricorda l’importanza della partecipazione di Renzi al forum internazionale di San Pietroburgo e la sua amicizia con la Russia.
Ora “va via in modo bello e onesto”, nota Isaev.
L’articolo descrive come “un fatto essenziale della democrazia” la possibilità che un capo di governo possa lasciare il potere anche se non ci sono state elezioni politiche.
Le reazioni a bocce ferme della stampa vicina al Cremlino alla sconfitta di Renzi, fredde nei confronti dei vincitori Salvini e Grillo, potrebbero comunque rientrare in un piano di “nuova normalizzazione” che all’interno prevede l’isolamento dei silovikì ed elezioni in un clima più democratico, e all’esterno il distanziamento da alcuni dei movimenti e dei partiti anti-Ue e anti-immigrazione europei che si dichiarano putinisti.
La Russia sta cercando il modo di controllare una transizione al vertice del potere o di confrontare lo spettro di proteste popolari indotte dalla crisi economica, prevenendole. In entrambi i casi, un’ associazione all’estrema destra europea è controproducente.
In Russia si ricorda continuamente la “Grande guerra patriottica” che si concluse con la bandiera sovietica sul Reichstag.
E in ogni caso, anche quando – come per Lega e Cinquestelle – non si tratta di destra estrema esplicita, si ritiene più saggio ricostruire i rapporti con l’Europa, e farlo con leader il meno imprevedibili possibile.
“Con Renzi il Cremlino ha avuto un ottimo rapporto, ogni cambiamento oggi è considerato solo un rischio”, sostiene Solovei.
Riccardo Amati
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
“LANCIO CAMPO PROGRESSISTA, IDEA PER ARRIVARE AL GOVERNO”
“È il momento della verità ” avverte Giuliano Pisapia. Ognuno si assuma le proprie
responsabilità , dice l’ex sindaco di Milano: e quando si andrà a votare, “al più presto possibile, con una legge elettorale che sia uguale per le due Camere”, lui è pronto a tornare in pista.
Per riunire il popolo di sinistra che non si riconosce nel Pd sotto la bandiera di un nuovo soggetto politico – il Campo Progressista – disponibile a un’alleanza leale con Renzi. Ad una condizione: che lui rompa con Alfano e con Verdini.
Lei è stato uno dei pochi uomini alla sinistra del Pd che si è schierato a favore della riforma, e a Milano il Sì ha vinto. Pochi conoscono meglio di lei i sentimenti del popolo di sinistra. Perciò le chiedo: è il momento giusto, secondo lei, per andare a elezioni anticipate?
“Io penso che ormai non si possa più andare avanti così. Forse febbraio è troppo presto, ma è ora che si vada a elezioni. Ed è indispensabile che non ci si vada con queste leggi elettorali. È del tutto evidente che ci sono alcuni punti dell’Italicum su cui la Corte costituzionale indirettamente si è già pronunciata, e vanno modificati. E poi non si può andare a votare con due leggi elettorali diverse per Camera e Senato, che quasi sempre producono due maggioranze diverse. Io credo che il Paese abbia bisogno di una legge elettorale che sia più democratica e permetta agli elettori di scegliere i propri parlamentari, con un premio di maggioranza che garantisca la governabilità senza essere eccessivo come è nell’Italicum. E non c’è dubbio che l’unico modo per superare il problema sia quello di assegnare il premio di maggioranza non al singolo partito ma alla coalizione vincente “.
Nel Pd c’è chi dice: abbiamo perso il referendum, ma noi abbiamo il 40 per cento e tutti gli altri devono dividersi l’altro 60 per cento. E’ così?
“Un momento: il 40 per cento del Sì contiene voti di centro-destra che certo non sarebbero disponibili per un’alleanza di centro-sinistra. Mentre nel 60 per cento del No ci sono tanti voti di elettori di sinistra che invocano l’unità del centrosinistra, e sono pronti a votare una coalizione che abbia questo segno”.
Già , ma al momento non c’è. Oggi Renzi potrebbe coalizzarsi solo con il Nuovo Centrodestra di Alfano, a giudicare da quello che accade alla sua sinistra. A meno che nasca un nuovo soggetto politico, raccogliendo l’eredità di quei “sindaci arancione” di cui lei era l’esponente numero uno.
“Questo è il momento della verità . I cittadini vogliono che ci sia un Parlamento che garantisca la governabilità , dove le mediazioni avvengano tra forze politiche che si riconoscono negli stessi valori e negli stessi principi. Oggi non è così, perchè siamo in uno stato di necessità e non c’è una maggioranza alternativa a questa. Però le elezioni sarebbero, per il Pd, il momento decisivo per le sue scelte. Renzi dovrebbe scegliere se guardare a un’alleanza a sinistra, formando un centrosinistra, o un’alleanza con il Nuovo Centro Destra che trasformerebbe il Pd in un partito geneticamente modificato. Il popolo del Pd, io lo conosco bene, non accetterebbe mai la seconda soluzione”.
E quindi?
“Quindi serve un’alleanza aperta, diamole un nome: Campo Progressista, che riunisca le forze di sinistra in grado di assumersi una responsabilità di governo. Non per motivi di potere ma per fare le cose di sinistra. Intendiamoci: anche questo governo ha fatto cose di sinistra, penso alle unioni civili, ma ha dovuto fare anche altre cose che nascevano dalla necessità di arrivare a un compromesso con un partito di centro-destra. Questo non va più bene”.
Chi vedrebbe lei, in questo Campo Progressista? C’è già un progetto, un embrione?
“A Milano ho partecipato a due iniziative intitolate “Dopo il 4 c’è il 5”, pensando proprio al dopo-referendum. E naturalmente il tema era questo. Ecco, lì ho visto che ci sono gli spazi per questo progetto. E in questi mesi, girando l’Italia, partecipando a tante iniziative, mi sono accorto che il popolo di sinistra non aspetta altro “.
Lei ha in mente un soggetto politico alla sinistra del Pd, che si allei con Renzi alle prossime elezioni…
“Mettendo dei paletti ben precisi: nessuna alleanza con le forze di centro- destra o con quelle persone che non hanno la credibilità o l’affidabilità necessarie, anche se i loro voti oggi sono diventati indispensabili in Parlamento “.
Quindi nè Alfano nè Verdini. Ma su quali forze potrebbe contare, in concreto, un partito di sinistra che nascesse oggi?
“Guardi, alle ultime amministrative in tantissimi Comuni grandi e piccoli sono nate delle liste di sinistra che si sono rivelate determinanti per la vittoria del centrosinistra. Gran parte di queste sono diventate associazioni culturali. È necessario riunirle, metterle in rete, ragionare insieme “.
Ma come? Dove? Quando?
“A Milano, come le dicevo, abbiamo già fatto due iniziative. Il 18 dicembre a Roma si incontrerà tutta quella parte della sinistra che ritiene che il Partito democratico non possa che essere suo alleato, e voglia collaborare lealmente in un’ottica di centrosinistra assumendosi le sue responsabilità . Il giorno dopo ci vedremo a Bologna, dove sarà presente anche il sindaco di Bologna, Merola, e Gianni Cuperlo, che sono del Pd, ma anche io e il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che non siamo del Pd. Chiaramente sarà fondamentale vedere cosa deciderà la Direzione del Pd. Ma questo è il momento della scelta”.
E Sel? E Sinistra Italiana? Dentro o fuori?
“Noi ci rivolgiamo alle forze organizzate a livello locale. Poi l’appuntamento di Roma è organizzato da una parte della sinistra che viene da Sel e da Sinistra Italiana. Non verranno quelli che ritengono il Pd un partito geneticamente modificato e non ritengono possibile nessuna alleanza. Io rispetto la loro posizione, ma noi vogliamo dare voce alla grande richiesta di unità del centrosinistra che ho sentito girando per l’Italia. E riuscire a parlare ai tanti disillusi che non sono più andati a votare, o hanno votato turandosi il naso. Dobbiamo restituire l’entusiasmo di fare politica agli italiani di sinistra che l’hanno perso”.
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
ENTRANO IN ROTTA DI COLLISIONE DUE STRATEGIE OPPOSTE… RENZI GIOCA LA CARTA “GOVERNO ISTITUZIONALE SOSTENUTO DA TUTTI” SAPENDO CHE NESSUNO CI STAREBBE: COSI’ METTEREBBE ALL’ANGOLO LA MINORANZA DEM
La vera novità arriva a due giorni dal voto referendario che ha bocciato la riforma costituzionale Boschi, alla vigilia della direzione nazionale del Pd e della ufficializzazione delle dimissioni di Matteo Renzi dal governo.
Ed è questa: Sergio Mattarella e Matteo Renzi entrano in rotta di collisione. Diretta: prima vera crepa tra il rottamatore e il presidente.
La tensione è palpabile tra Palazzo Chigi e Quirinale, a sera.
Al termine cioè di una giornata di contatti tra il Colle e i propri interlocutori diretti nei gruppi parlamentari del Pd, a cominciare dal ministro Dario Franceschini.
Obiettivo: frenare l’ansia di Renzi di tornare al voto al più presto possibile, tirarlo via dal treno ad alta velocità che ha preso subito dopo la sconfitta e farlo salire su un convoglio intercity che gestisca tutto in maniera ordinata.
O almeno farci salire il grosso dei gruppi parlamentari e della direzione Pd. E’ per questo che a metà pomeriggio il capo dello Stato fa sapere a chiare lettere che lui è contrario alle elezioni immediate, pensa che vada formato un governo solido e che sia necessario mettere mano alla legge elettorale.
Per garantire la formazione di un esecutivo dopo le elezioni. E per evitare salti nel buio. Da Palazzo Chigi, Renzi la prende come un pugno sui denti.
Ma andiamo con ordine.
Già ieri sera, quando negli studi di ‘Porta a Porta’ il ministro dell’Interno Angelino Alfano scommette sulle elezioni a febbraio, al Colle i conti cominciano a sballarsi.
Al fianco di Alfano, il capogruppo Dem alla Camera Ettore Rosato pure accompagnava il ritornello del voto subito.
E qui qualcosa ha cominciato a non tornare anche in casa Franceschini, visto che Rosato è esponente di Areadem, uomo vicino al ministro dei Beni Culturali ma in tv ha fatto il renziano doc.
Come se la sconfitta di domenica non ci fosse stata. Qualcuno nel Pd racconta che è stato il ministro stesso a fargli una sfuriata al telefono per riportarlo sulla ‘retta via’. Fatto sta che oggi la linea del Pd è cambiata.
Non più voto subito, come dicevano i falchi renziani ieri. Bensì: governo istituzionale sostenuto da tutti, non solo dal Pd e comunque non dalla maggioranza dell’attuale governo dimissionario.
Cosa è successo?
Quella del “governo istituzionale sostenuto da tutti” è la carta che Renzi si giocherà in direzione domani. E’ il suo contrattacco alla mossa di accerchiamento apparecchiata da Franceschini, il ministro Orlando, ma anche Delrio: tutti con l’appoggio di Mattarella.
Accerchiamento per frenarlo dalla smania di elezioni. Pare che qualcuno volesse addirittura raccogliere le firme per mostrare al segretario, nero su bianco, che non avrebbe avuto la maggioranza in direzione se avesse forzato.
Ma forse non è stato necessario. Con gran parte dei leader di maggioranza schierati con la minoranza bersaniana che ha votato no (“Sconsiglio di sfidare il paese…”, dice Pier Luigi Bersani), Renzi ha capito che era il caso di cambiare tattica.
E’ la prima volta che è costretto a farlo da quando è segretario del Pd. Anche questa è una novità che fa il paio con la tensione con Mattarella.
E’ a questo punto che nasce la contromossa.
Alle consultazioni dei partiti con il capo dello Stato per la formazione di un nuovo governo, che presumibilmente inizieranno giovedì, “il Pd proporrà la formazione di un esecutivo istituzionale sostenuto da tutti”. Questo dirà Renzi in direzione.
Non parlerà di voto immediato. “Poi, se la maggioranza delle forze politiche si assesteranno sulla linea del voto, il Pd non ha paura delle elezioni”, dice oggi anche Rosato.
Ma la vera scommessa del premier è un’altra. E’ che questo governo non nascerà . Non ci sono all’orizzonte forze di opposizione che si prestino al gioco. E per ora sembrerebbe che Renzi non abbia torto.
Nota la contrarietà del M5s e Lega a dare sostegno ai “governicchi”, il primo indiziato sarebbe Silvio Berlusconi.
Ma, da quanto trapela dal pranzo dell’ex Cavaliere con i suoi oggi ad Arcore, la disponibilità di Forza Italia a sostenere un governo istituzionale non c’è.
C’è quella a sedersi al tavolo della nuova legge elettorale. Insomma l’ex premier vuole vedere le carte. E Renzi vede la partita ancora aperta. La sua nuova e pericolosa partita col Pd e con il Colle.
“Mica possiamo assumercela solo e sempre noi la responsabilità . Se la devono assumere anche gli altri”, dice in Transatlantico la fedelissima renziana Alessia Morani.
E’ il nuovo verbo del premier, fedele alla linea che ha voluto dettare la sera della sconfitta: “Oneri e onori dei vincitori: spetta a loro trovare una nuova legge elettorale…”.
Proprio questa drammatizzazione non è piaciuta al Colle. Questo modo tutto renziano di saltare alle conclusioni, tra annunci di dimissioni e voglia di voto immediato. Basta: hanno cominciato a dirgli anche dal Pd, da Franceschini a Orlando.
Ora questa accelerazione va gestita: frenando con prudenza, dicono dal Quirinale.
L’udienza della Corte Costituzionale sui ricorsi sull’Italicum fissata al 24 gennaio è già un poderoso freno: è un’udienza, non una sentenza.
Potrebbe non sciogliere il nodo su cosa non va della legge elettorale a livello costituzionale. E questo inevitabilmente allunga i tempi del voto, a meno che il Parlamento non decida prima. Improbabile.
Ma oltre a scommettere che il governo istituzionale non nascerà , della serie ‘non esistono altri governi al di fuori di me’, Renzi fa anche un altro tipo di ragionamento. “Loro non capiscono cos’è il consenso”, dice uno dei suoi commentando le indiscrezioni del Colle. “Il paese vuole andare a votare”.
E in questo schema, è la convinzione, Renzi si posiziona dalla parte ‘giusta’, con Grillo, Salvini e tutti coloro che chiedono elezioni al più presto.
Mentre chi frena sul voto si mette “dalla parte dei parlamentari che vogliono aspettare di maturare la pensione a ottobre prima dello scioglimento delle Camere”, è l’altro pezzo di ragionamento.
E ancora: “Hanno paura che Renzi li escluda dalle liste del prossimo parlamento”.
Attacchi che scommettono sull’impopolarità dei freni sul voto. Ma che svelano comunque un certo nervosismo, alla vigilia di una direzione Dem che si annuncia tesissima.
Per la prima volta, Renzi non dà le carte. Almeno non tutte. E nel giro di 48 ore dal referendum che lo ha travolto, è costretto a inseguire e scommettere per sopravvivere come segretario del Pd.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
ROBERTO, 43 ANNI, VIVE CON I GENITORI: “VORREI DARE LORO UNA SODDISFAZIONE, E’ UN MONDO DOVE CI SONO TROPPE DIFFERENZE TRA I RICCHI E I POVERI”
Una vita da precario che lo ha portato a scegliere il No al referendum. 
La Stampa racconta oggi la storia di un uomo 43enne che da 25 anni insegue un posto fisso ma non lo trova: vive a Milano insieme ai genitori e ha fatto dal barista al volontario, al magazziniere all’educatore fino allo scaricatore, lo scrutatore o l’ascensorista o il vivaista.
Una vita passata a cercare lavoro e un solo sogno: “Rendere felici i miei genitori, dargli almeno una soddisfazione” dice Roberto Montino.
“I miei sono pensionati. Mio padre era grafico pubblicitario, mia madre impiegata in un ufficio marketing. Mia madre mi passa sette euro al giorno, mio padre quando può altri tre o quattro. Quando ho comprato un pacchetto di sigarette ho già speso metà della mia somma” racconta alla Stampa spiegando la sua condizione.
Ha una ragazza?
«Ne frequento una da quattordici anni».
Vorrebbe andare a vivere con lei?
«No, no, adesso vorrei soprattutto dare una soddisfazione ai miei genitori. Non gliene ho mai data una. Vorrei un lavoro, così sarebbero più sereni e orgogliosi di me».
Esce alla sera?
«Mai. Torno a casa alla intorno alle diciannove, ceno e spesso vado subito in camera mia. Io non sono in grado di offrire un caffè a un amico. Uscire alla sera significa spendere venti euro come niente».
Al cinema?
«Non ci vado da vent’anni, penso. E nemmeno alla stadio».
Un esempio di un ragazzo che ha lottato per una vita alla ricerca di un contratto e ora non trova risposte nella politica.
“Io odio l’euro. Con la lira pagavo un pacchetto di sigarette duemila e cinquecento lire, adesso cinque euro, cioè diecimila lire. Quale inflazione può quadruplicare i prezzi in quindici anni?».
Per chi vota?
«Non mi va di parlare di politica».
Le piacciono Grillo e Salvini?
«Lasciamo perdere».
Loro sono contro l’euro… Mi dica almeno che cosa ha votato al referendum.
«Ho votato No».
Perchè?
«Perchè la Costituzione va bene così».
Se avesse trovato un posto di lavoro, avrebbe votato Sì?
«Penso di sì».
Che c’entra il suo lavoro con la Costituzione?
«Se avessi un lavoro fisso, e tutta l’economia andasse meglio avrei fatto in modo che Renzi non si dimettesse».
Che colpe ha Renzi?
«È proprio questo mondo che non mi piace. Vedo troppe differenze fra ricchi e poveri. C’è chi spende e spande oltre ogni necessità o desiderio, e gente che vive sulla strada di carità . Come è possibile tollerarlo? Qualche giorno fa ho dato trenta centesimi a un senza tetto e lui mi ha detto che Dio ti benedica e gli ho detto che benedica te, che hai più bisogno di me. A me non sembra così difficile fermarsi a pensare ogni tanto».
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
LA SOCIOLOGA: “E’ STATO UN VOTO DI SPERANZE DELUSE, ALLARMA IL DISAGIO DELLA POVERTA’, E’ LA SENSAZIONE DI FRANARE”
La narrazione “miracolistica” si è rivelata un “boomerang” per il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Perchè, mentre gli esponenti del governo parlavano di un’Italia che riparte e di un #cambiaverso, i cittadini non hanno visto la loro vita cambiare. “E questo ha prodotto irritazione”.
E’ questo uno dei motivi che hanno portato il popolo italiano a bocciare in modo netto la riforma costituzionale al referendum del 4 dicembre, sostiene la sociologa Chiara Saraceno.
I dati diffusi dall’Istat sul rischio di esclusione sociale, (un italiano su quattro ne viene investito, al Sud tocca a un cittadino su due) fotografano una realtà che non ha trovato riscontro nella narrazione ottimistica del premier in questi due anni di governo.
Ed è anche per questa ragione che gli italiani hanno detto No, dice la sociologa in un’intervista all’HuffPost.
Professoressa Saraceno, il popolo italiano hanno detto senza mezzi termini No alla riforma costituzionale. Ma non solo a quella. C’è un legame tra il voto referendario e i dati diffusi dall’Istat sull’esclusione sociale?
“Il risultato referendario è la combinazione di motivazioni diverse. Molti hanno votato nel merito, essendo contrari al modo in cui era stata formulata la riforma. Altri hanno votato contro Renzi, per mandarlo a casa. Però, se si guarda al Sud e ai giovani, tanti hanno votato sul fatto che il governo non ha realizzato quanto aveva promesso, sottovalutando una serie di problemi anche gravi, come le diseguaglianze e il Mezzogiorno. Le speranze sono state deluse e alcuni problemi non sono stati visti per niente, portando così a un aggravamento della situazione. Basta guardare i dati Istat per capire che questo è un Paese che non cresce ma crescono invece le diseguaglianze. Sono dati preoccupanti. È gravissimo che il Sud si sia ulteriormente allontanato”.
Quale è stato l’atteggiamento del governo?
Chiunque denunciasse questi problemi era etichettato come arretrato, non moderno oppure non sufficientemente speranzoso. Nessuno si aspettava un miracolo, ma a fronte di un leader che ha fatto della sua capacità miracolistica la sua parola d’ordine, questo è stato un prezzo da pagare. Sembrava che tutti i problemi dell’Italia sarebbero stati risolti dalla riforma della Costituzione.
Quale Italia esce dalla fotografia fatta dall’Istat?
Secondo i parametri Eurostat, si dice che è a rischio di esclusione sociale chi presenti almeno uno di quattro indicatori (come vivere in famiglie dove non ci sono occupati o a “bassa intensità ” lavorativa, oppure essere a rischio di povertà relativa, o ancora essere in condizione di deprivazione grave). Non sono tutti della stessa misura e dello stesso peso. Forse sono indicatori un po’ troppo larghi ma di certo in termini comparativi con altri Paesi vediamo una percentuale di diseguaglianza che è aumentata dall’inizio della crisi. Grave perchè si conferma al Sud e cresce nel Centro Italia, un altro dato allarmante. Ci sono gruppi sociali che in questi anni o non hanno visto modificare la loro situazione o addirittura l’hanno vista peggiorare.
Non di rado Renzi si è vantato dei risultati dati dalla sua riforma del lavoro.
Eurostat conferma quello che già si era capito leggendo altri dati Istat, quelli sui consumi. Anche avere un lavoro spesso non mette al riparo dalla povertà , in particolare su base familiare. Se una famiglia è monoreddito – ed è un reddito modesto – e la famiglia è numerosa il rischio povertà è altissimo. Il 15% delle persone che vivono in famiglie monoreddito soffrono di deprivazione grave. Vuol dire che tutta questa enfasi del governo sull’aumento dell’occupazione – e non è aumentata di molto – non si spiega, perchè non è stato un incremento sufficiente. I motivi sono diversi: ci sono disoccupati in famiglia oppure i redditi sono particolarmente modesti. Come dimostra l’ultimo rapporto Inps, i contratti a tutele crescenti sono cresciuti ma sono aumentati molto quei contratti a tempo parziale, e se uno ci deve mantenere una famiglia è molto difficile.
Il disagio sociale è diffuso, in sintesi.
Il disagio forse è più diffuso della povertà : c’è la sensazione di franare. Mentre c’è uno zoccolo duro di povertà anche assoluta, allo stesso tempo c’è una quota di ceto medio che si è sentita franare di più verso il basso e ha visto allontanare i suoi punti di riferimento. E questo non contribuisce a far sentire inclusi e solidali, se mi accorgo che vado a stare peggio mentre qualcuno sta meglio.
Cosa ha sbagliato Renzi nella sua narrazione sull’operato del suo governo?
La narrazione funzione se ci sono dei riscontri oggettivi. In questo caso non ci sono stati. L’unica cosa a favore di Renzi è l’occupazione che ha cessato di diminuire, risalendo un pochino. Ma la qualità dell’occupazione aumentata l’abbiamo capita, sono cresciuti i contratti a tempo per non parlare dei voucher che sono ripresi alla grande. Il premier ha fatto una narrazione per certi versi comprensibile: ha tentato di dare iniezioni di ottimismo, e va bene. Però di qui a dire che saremmo diventati il primo Paese d’Europa, che ormai avevamo la crisi alle spalle e che tutti i problemi erano legati al “gufismo” conservatore, non ha poi aiutato i giovani che faticano a trovare lavoro o a trovarlo con un orizzonte temporale decente. Nel Mezzogiorno solo negli ultimi tempi è ritornato sulle cronache, lì dove è andato a fare i Patti per il Sud per motivi elettorali. Il Sud ormai è sparito, ma da prima di Renzi, sono ormai 10 anni.
Ha messo in campo misure insufficienti?
Guardi, si fa il bonus bebè ma non si fa la riforma degli assegni per i figli, si fa la quattordicesima per gli anziani a basso reddito ma gli anziani poveri, parliamo di povertà assoluta, sono un ottavo di tutti i poveri assoluti mentre i giovani sono invece la metà . C’è uno squilibrio di attenzione, si capisce. Le risorse sono scarse ma si sprecano e si distribuiscono in modo poco efficiente. E questo è diventato un boomerang: all’inizio ha prodotto speranze e simpatia ma quando alla sua narrazione non facevano seguito dei cambiamenti, il prodotto è stato l’irritazione. E che Renzi rovesciasse ogni sensazione di disagio o di critica a questa narrazione univocamente produttiva in un problema di gufi e frenatori, non ha aiutato. È stato come non avere più un interlocutore.
(da “Huffingtonpost“)
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