Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
CONVENIENZE PARTITICHE A PARTE, SENTIRE CERTA DESTRA CHE VUOLE REINTRODURRE L’ART 18 FA SBELLICARE DALLE RISATE… E A SINISTRA QUELLI DELLA MINORANZA CHE L’HANNO VOTATO E ORA FANNO FINTA DI NULLA DOVREBBERO ANDARE A LAVORARE IN FABBRICA… GLI UNICI COERENTI SONO LANDINI, CIVATI E FASSINA, SPIACE DIRLO MA E’ COSI’
L’esercito del Sì indossa la felpa Fiom di Maurizio Landini e il doppiopetto berlusconiano di Renato Brunetta, sventola il vessillo padano di Matteo Salvini e la bandiera della sinistra Pd, domina il palco con la presenza di Luigi de Magistris e Beppe Grillo.
Ostilità al governo al governo Renzi a parte, tutti soggetti che o avrebbero tolto ai lavoratori anche la possibilità di andare a pisciare o che hanno votato in parlamento la riforma-patacca per vigliaccheria (esclusi Fassina e Civati che hanno rotto con il Pd proprio sul Jobs Act)
Miracoli del referendum, anzi dei referendum, perchè l’eterogena pattuglia che il 4 dicembre scorso ha scelto il No si ritroverà a braccetto anche per combattere il Jobs act.
Voteranno Sì, perchè la scelta è se abolire la legislazione sul lavoro approvata dall’esecutivo di Matteo Renzi.
Se a gennaio la Consulta ammetterà i quesiti referendari — e non dovessero essere convocate nel frattempo elezioni anticipate – sarà di nuovo battaglia.
Ecco i protagonisti dell’ultima sfida al leader del Pd.
Il referendum l’ha promosso la Cgil, quindi Susanna Camusso è il volto di copertina di questa campagna. La Confederazione ha raccolto le firme — è la prima volta che accade in un secolo — e adesso tenta l’assalto alla riforma più amata dall’ex premier. Con lei, gioca in squadra anche Maurizio Landini, sostenuto dalla Fiom: i due leader sindacali combattono dallo stesso lato della barricata, ma non manca la competizione interna per la futura leadership del primo sindacato d’Italia.
Non c’è nulla di più lontano che Renato Brunetta, eppure giocheranno la stessa partita: “Certo che voto Sì — spiega il capogruppo berlusconiano — sono sempre dalla parte opposta di Renzi. E stavolta vinceremo 70 a 30”. Se anche Silvio Berlusconi prenderà posizione contro il Jobs act la saldatura sarà completa.”
Brunetta non vota Sì nel merito, leggete bene, ma solo per andare contro la riforma di destra economica di Renzi, pensa te che coerenza.
E che dire dei sovranisti Salvini e Meloni, noti difensori dei diritti dei lavoratori?
Si buttereranno a capofitto in questo nuovo duello contro il governo, nuovi vate contro i licenziamenti senza giusta causa, tanto alle giravolte sono abituati.
Da lidi assai distanti, si schiererà con il Sì anche una fetta rilevante della sinistra del Partito democratico.
Roberto Speranza ha già chiesto un intervento per limitare l’utilizzo dei voucher, mentre l’ex numero uno della Cgil ed ex segretario dem Guglielmo Epifani ha promesso di votare a favore dei tre quesiti abrogativi.
Difficile che Pier Luigi Bersan prenda una posizione diversa, in particolar modo sul tema dei voucher.
Peccato che l’occasione di non votarla la riforma l’abbiano avuta, ma hanno votato a favore dello Jobs Act quando ci volevano le palle per non farlo.
Da sempre ostile alla riforma del lavoro, quindi già arruolati al fianco della Cgil, è Possibile di Pippo Civati, che ha lasciato il Pd anche in polemica con il Jobs act. Discorso analogo per Nichi Vendola e Stefano Fassina, che sul tema del lavoro sono pronti a lottare assieme a tutti i protagonisti di questo nuovo esercito.
Anche il sindaco di Napoli Luigi de Magistris è tra i firmatari dei quesiti e non farà mancare il proprio sostegno.
Non è l’unico primo cittadino di un grande comune a prendere posizione. Anche il dem bolognese Virginio Merola ha fatto lo stesso, facendo infuriare il Partito democratico.
A completare il quadro ci sono naturalmente i cinquestelle con Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che non si strapparono certo le vesti e non misero in campo i professoroni quando il governo impose una riforma a danno dei “cittadini” lavoratori.
Chi non ha mai lavorato sai che gliene fotte se ti cacciano senza motivo con due mesi di stipendio.
Il nuovo esercito è già pronto.
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
LO SPIRITO BOTTEGAIO HA ORMAI CONTAGIATO TUTTI E LA FORZA DELL’INDIGNAZIONE NON HA PORTATO ENERGIE NUOVE…EMERGE SOLO UN TASSO SCONFORTANTE DI INADEGUATEZZA
La foto ricordo della compagine ministeriale guidata dal torpido Paolo Gentiloni produce già a
prima vista un effetto spaventoso: tra “La notte dei morti viventi” (Padoan, Alfano, Fedeli, Minniti, Finocchiaro, Poletti, lo stesso Premier) e quelle cene tremende tra ex compagni di scuola, che si ritrovano dopo decenni e si riscoprono più rintronati ma sempre reciprocamente indigesti e carognette come allora (Madia, Orlando, Lotti, Lorenzin, Pinotti, Calenda, Del Rio. Per non parlare della compagna signorSì; nella manica dei professori sensibili allo sbattimento di ciglia e dunque detestata da tutti i compagni: la signorina perfettina Boschi).
Si dice, “governo di scopo”. Ossia compiere i passi necessari per “la fase due, la vendetta”, in cui il giovanile nume offeso di Rignano potrà tornare sulla scena e consumare le inevitabili ritorsioni contro chi non gli ha permesso di sacrificare al proprio Ego l’assetto democratico del Paese ed elevare la propria statua equestre sullo sbriciolato del costituzionalismo. Così almeno pare.
Ma non è sicuro, visto che il pallino è in mano a democristiani doc tipo Franceschini o il pur ondivago Gentiloni, dunque con il tradimento iscritto nel Dna.
Magari a spese di un democristiano geneticamente modificato quale Matteo Renzi (ibridato con il chiacchiericcio berlusconiano).
Insomma, l’esule di Pontassieve Les Deux Eglises potrebbe incappare in qualche brutta sorpresa. Prossimamente. Sicchè lo spettacolo indurrebbe soltanto a sperare che qualcuno ci liberi da questo repertorio di orrori, aprendo la strada a quel mito che un settantenne come il sottoscritto si porta addosso dai primi anni Settanta del secolo scorso: la mitica Thule dell’Alternativa.
Ma siamo sicuri che qualcuno voglia effettivamente schiodare la situazione e rimettere in moto il quadro democratico?
L’impressione è che in futuro dobbiamo attenderci verbosità tracotanti con, a seguire, tracheggiamenti sistematici.
Visto che lo spirito bottegaio ha contagiato un po’ tutti. E le opposizioni possono incassare robusti dividendi lasciando che il dramma shakespeariano del Pd produca ulteriori effetti disamoranti.
Tali calcoli opportunistici sono sintonizzabili con l’orologio biologico della società italiana? No di certo.
Però questo non interessa certo uno sgomitatore irresponsabile quale Matteo Salvini. Nè gli scampoli di una sinistra reducista, bramosa solo di sopravvivere a se stessa.
Come altre volte dichiarato, alcuni di noi avevano riposto una qualche speranza nell’area dell’indignazione come forza costituente, che nel nostro Paese era stata presidiata per tempo dal Movimento Cinquestelle.
Non per una particolare fiducia in questa sigla di sapore alberghiero o\ per il suo speaker; il Beppe Grillo, comico non propriamente spassoso, incapace di qualsivoglia ragionamento in assenza del suggeritore, comunque inventore di una gag personale: il mugugno gridato.
L’atto di fede nasceva da una sorta di idea deterministica: la forza dell’indignazione avrebbe portato sulla scena energie nuove.
Ma la speranza sembra definitivamente frustrata: le giovani leve parlamentari rivelano tratti pericolosamente subalterni nei confronti di chi controlla la macchina elettorale, magari residui di subculture da paleo-tricoteuses (possibile che il pur apprezzabile Danilo Toninelli non trovi di meglio per inveire contro Gentiloni del suo ipotetico “sangue blu”; come un qualsiasi NIP, l’insignificante rancoroso?).
Nè induce a speranza la cabina di pilotaggio delle candidature (leggi staff); dopo aver messo in pista a Roma una rampantina destrorsa come la Raggi smarrita, già giovane di bottega dalle parti di Cesare Previti.
Insomma, l’intero contesto rivela un tasso sconfortante di inadeguatezza, che induce a prevedere crisi sistemiche di durata pluridecennali.
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DEL DEPUTATO TROVA CONSENSI: TENERE FERMI I PUNTI CARDINE DELL’ITALICUM ED ELIMINARE IL BALLOTTAGGIO
L’idea è quella di estendere l’Italicum al Senato ma prevedere che il premio di maggioranza (55% dei seggi) scatti solo se una lista o un partito ottengono almeno il 40% dei voti – a livello nazionale – sia alla Camera che al Senato.
Ma se nessun partito dovesse toccare quota 40%, il premio di maggioranza non scatta e la redistribuzione dei seggi avviene sulla base di un meccanismo proporzionale.
Questa l’idea dell’on Lauricella che depositerà presto la proposta in commissione alla Camera.
Il “lodo Lauricella” fino ad ora ha il pregio di non essere stato bombardato subito e questo per una legge elettorale, in un momento così delicato e con un governo nato con questo primo obiettivo, è già un risultato.
Lui, Giuseppe Lauricella, parlamentare del Partito democratico, il giorno dopo la presentazione del suo “Italicum corretto”, cucito su Camera e Senato e con una base di partenza proporzionale, spiega che la soluzione “tiene insieme diverse esigenze” ma allo stesso tempo “non avvantaggia nessuno” tenendo conto del “contesto politico attuale”. Caratteristiche che ricevono sguardi d’interesse per una proposta che partendo da un impianto già esistente, corregge quelle parti che rischiano la bocciatura dei giudici costituzionali e che risultavano più indigeste ai più come il ballottaggio (che per Lauricella è buono solo per i sistemi monocamerali), le pluri candidature (che da dieci consentite diventano tre).
L’altro vantaggio è che prova a rendere le maggioranze più omogenee possibili sia alla Camera sia al Senato, elemento che insieme con gli altri potrebbe andare incontro anche al giudizio pendente della Corte Costituzionale che sul “vecchio” Italicum il 24 gennaio dovrà emettere il suo verdetto.
Oggi anche la presidente di Montecitorio ha detto che sulla legge elettorale, con l’obiettivo di “ottenere un consenso allargato, il Parlamento può già cominciare a lavorare”.
Se il gioco d’anticipo non sarebbe lesivo nei confronti della Consulta che comunque decide su un sistema che, dopo la bocciatura del referendum non è applicabile così com’è, e allo stesso tempo può essere una tentazione per chi ha manifestato l’esigenza di andare alle urne prima possibile.
La lista è lunga: primo il Movimento 5 Stelle ma anche Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e anche Renzi e i suoi fedelissimi costretti a cedere alla nascita del nuovo governo ma indisponibili a dargli troppi margini di manovra.
“Per noi meglio aspettare la Consulta ma far incontrare Italicum modificato e, per il Senato, i resti del Porcellum, non è una cattiva idea” spiega il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta.
La base proporzionale non dispiace così come l’altro paletto piantato dagli azzurri, ovvero che “il cuoco della nuova legge dovrà essere il Parlamento e non il governo”.
Per tutta l’opposizione il “Lauricellum” ha certamente il vantaggio che il premio di maggioranza scatta solo se la soglia del 40 per cento viene raggiunta dalla stessa lista in entrambe le Camere, risultato non facilmente raggiungibile in questa fase politica.
Tutti però se la possono giocare e infatti anche dal fronte governativo per ora non ci sono reazioni negative.
Nonostante nel Pd in tanti abbiano già firmato per una riedizione del Mattarellum, la legge che ha il marchio dell’attuale inquilino del Colle ha però il limite di essere poco amata nel campo dell’opposizione, oltre a essere una legge disegnata per una competizione politica bipolare e dunque troppo stretta.
In un giro d’orizzonte nella galassia Dem, la minoranza di sinistra lo giudica un contributo “equilibrato”, per altri dalla pattuglia ex lettiana si tratterebbe di un intervento “minimale” che però rappresenta un primo passo possibile.
Se “il cuoco sarà il parlamento” e non il governo, l’esecutivo avrà comunque il ruolo di dare i pareri nel percorso di commissioni e aula e dunque la nuova ministra delle riforme Anna Finocchiaro è il primo punto di riferimento istituzionale.
Con Giuseppe Lauricella è in ottimi rapporti ed è difficile che il lancio del sasso del parlamentare siciliano, sia avvenuto a sua insaputa.
Con gli opportuni interventi chirurgici e l’estensione per il Senato, l’Italicum “post referendum” potrebbe diventare anche da Palazzo Chigi un buon punto di partenza su cui sistemare il tavolo per un ampio consenso tra le forze politiche.
Con una base proporzionale che piace anche ai centristi, è nelle mani del Movimento 5 Stelle il destino del Lauricellum.
“Le modifiche dei giudici all’Italicum applicate anche al Senato e poi subito al voto” dice Danilo Toninelli l’esperto della materia per i 5 Stelle.
Se dunque la Corte Costituzionale dovesse fare le sue correzioni all’Italicum, sovrapponibili a questo sistema, la strada della nuova legge elettorale potrebbe sgombrarsi all’improvviso e accelerare così la fine della legislatura come, almeno a parole, in tanti dicono di desiderare.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
“VOGLIONO DIPINGERMI COME PENTITA MANOVRATA SOLO PER SALVARSI DALLE LORO RESPONSABILITA'”
Claudia La Rocca è l’onorevole dell’Assemblea Regionale Siciliana che dopo un consulto con
Cancelleri ha deciso di confessare con il magistrato il suo ruolo nella vicenda delle firme false a 5 Stelle.
La Rocca è anche la principale destinataria dell’esposto con cui i tre indagati parlamentari nella vicenda (Riccardo Nuti, Claudia Mannino, Giulia Di Vita) insieme a Loredana Lupo e Claudia Di Benedetto hanno accusato lei e l’avvocato Ugo Forello di Addiopizzo di aver trascinato nella vicenda giudiziaria gli onorevoli.
E oggi su Facebook decide di rispondere alle accuse di Nuti, Mannino, Di Vita (che ne aveva chiesto le dimissioni) & Co: la La Rocca dice che il ruolo di Forello fu solo quello di consigliare di collaborare con la magistratura e spiega che ha parlato soltanto per decisione sua:
Cosa ci sia di sbagliato in un avvocato che consiglia a diversi soggetti tirati in ballo nei servizi sulle “firme false”, di scegliere un’eventuale collaborazione con la magistratura, specificandone lo scrupolo e attenzione nel lavoro, non è dato saperlo… Eppure viene disegnato quasi come un peccato mortale.
In tutto questo, fra le righe, anche la mia facoltà di intendere e di volere viene messa in dubbio, visto che sono stata dipinta come una “pentita manovrata”, quando di fatto ogni mia scelta è stata fatta in autonomia (e ci tengo a precisarlo), lontana da ogni eventuale consiglio e dopo lunghe riflessioni, pensando di fare semplicemente la cosa giusta nei confronti della mia coscienza e per tutto ciò in cui credo.
Solo un cieco non vedeva la degenerazione in cui si stava scivolando.
Strano che chi sceglie di collaborare con la giustizia, parlando prima di tutto del proprio coinvolgimento, venga dipinto come “irretito” da chissà quale inverosimile complotto.
Ancora più strano, è essere stata così ingenua al punto da mettere volontariamente in discussione anni di duro lavoro.
Praticamente il mondo al contrario.
La Rocca poi sostiene che alcune ricostruzioni giornalistiche sui fatti sono in effetti inesatte e ricorda che la storia è venuta fuori per creare caos in occasione delle comunali (ne avevamo parlato nell’articolo sulla talpa non ancora individuata),ma anche che questo nulla c’entra con la sua decisione di dire la verità .
Ho raccontato al PM solo ciò che effettivamente ricordavo con estrema onestà intellettuale, non una parola di più nè una in meno. Le carte lo dimostreranno. Ho sempre sostenuto che alcune ricostruzioni del servizio delle Iene non corrispondessero pienamente alla realtà , come la strumentalizzazione delle mail, del record delle 13 ore in sede o la storia della riunione dove si sarebbe parlato della ricopiatura delle firme. Motivo per cui non c’è nulla che “stride” fra le mie mail con la Mannino e la mia intenzione di dire la verità ai magistrati, cosa che non ho mai pensato omettere.
Sono anche fermamente convinta che i soggetti che hanno portato alla luce questa storia, dopo quattro anni e mezzo, non l’abbiano fatto di certo per amore della verità , ma probabilmente per mal di pancia passati e per creare caos in vista prossime comunali. In qualsiasi caso nulla cambia la realtà di un fatto avvenuto. Il punto è questo
Ci sono tanti comportamenti in questi giorni che mi hanno lasciata perplessa, ad esempio sono convinta che chi è innocente (e non sono io a deciderlo) ha il solo interesse di collaborare per far archiviare quanto prima la propria posizione, senza chiudersi in silenzi o paventate strategie per allungare il brodo.
Forse sarebbe stato più sano affrontare con responsabilità una situazione, invece di provare a “buttarla in caciara”.
Purtroppo sembra essersi perso il senso di ragionevolezza e della realtà . In questo momento surreale per vederci chiaro basterebbe fare ragionamenti semplici, oggettivi e logici.
Avevo pensato di indire una conferenza stampa, ma a questo punto non lo ritengo più necessario, attendo con fiducia l’esito delle indagini, voglio continuare a credere nel lavoro della magistratura
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
LA MINISTRA DELL’ISTRUZIONE SOTTO ATTACCO, MA STAVOLTA NON HA MENTITO… LA POLEMICA ORMAI E’ SOLO UN PRETESTO PER GLI ULTRAS CATTOLICI COL BURKA NEL CERVELLO… ANCHE BENEDETTO CROCE NON ERA LAUREATO MA DIVENNE MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, SICURAMENTE LASCIO’ UN SEGNO PIU’ GRANDE DI ADINOLFI
Nuova bufera sulla neo ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli.
Dopo le polemiche scatenate per le false informazioni riportate sul suo curriculum, nel quale si dava conto di un diploma di laurea in Scienze Sociali mai conseguita, ora l’attenzione si concentra sul suo trascorso scolastico.
Anche questa volta a sollevare per primo il caso è il direttore de La Croce Quotidiano Mario Adinolfi: “La Fedeli non ha fatto mai manco la maturità , ma solo i tre anni per fare la maestra. Poi diplomino da assistente sociale, privato. Questo è il nuovo ministro della Pubblica Istruzione che si dichiarava ‘laureata in Scienze Sociali’. Spero che studenti e docenti a ogni incontro la sotterrino di pernacchie”.
Lo staff del ministro, contattato dall’Huffpost, ha confermato: “Lo avevamo già spiegato nei giorni scorsi, lei ha fatto una scuola per conseguire il diploma di maestra nelle scuole materne che dura tre anni” e poi l’oramai famosa scuola per assistenti sociali. “Niente di nuovo, Adinolfi esprime legittimamente la sua opinione su quali titoli debba avere o non avere” un ministro dell’Istruzione.
Differentemente dal “diploma di laurea” inserito per “leggerezza” – come lei stessa si è giustificata in un colloquio con il Corriere della Sera – il diploma di maturità non è menzionato nel suo curriculum vitae, quindi non ha mentito.
Fedeli si è detta “sconcertata” per gli attacchi subiti in questi giorni, difendendo il suo passato di “sindacalista: lo sono sempre stata”. E, ha precisato, “non ho mai avuto alcun beneficio da quel pezzo di carta”.
Il settore della scuola ha subito negli anni diverse modifiche nella normativa per l’accesso all’insegnamento, causando non pochi disagi agli aspiranti docenti. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha confermato ad aprile scorso l’orientamento adottato con diverse sentenze dalla VI sezione consentendo l’accesso alle Gae, le graduatorie ad esaurimento, a coloro che hanno conseguito il diploma magistrale ante 2001/2002.
Ma è sempre il Consiglio di Stato ad aver scritto, nel dicembre 2013, che tale titolo non è equiparabile ai diplomi rilasciati a chiusura dei corsi di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale: solo questi ultimi consentono “l’accesso ai corsi di laurea universitari e alle carriere di concetto presso le Pubbliche amministrazioni e valgono ogniqualvolta la legge richiede il possesso di un diploma come requisito professionale”.
In conclusione la Fedeli è maestra d’asilo.
Per quello che hanno fatto certi “professori”, sfasciando la scuola italiana, è così necessaria avere una laurea o un diploma?
Fermo restando la leggerezza sul curriculum, la polemica puzza di pretestuosità lontano un miglio.
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
LE PERCENTUALI DI ASSENZE IN AULA SONO PERO’ DEL 27,78%, PEGGIO DI LEI ZAIA
Uno scatto dai mille accecanti colori, come le caleidoscopiche copertine dei dischi psichedelici di
fine anni Sessanta fiorite in musica dopo il pellegrinaggio beatlesiano alla corte del Maharishi.
Un gruppo di donne sedute, col capo coperto e in abiti tradizionali, sullo sfondo di un tempio. In primo piano, accosciata, Alessandra Moretti, capogruppo democratico del Pd in Consiglio regionale del Veneto.
Lei, Alessandra, veste all’occidentale, sul capo non il velo, solo occhiali da sole tra i capelli. Ma è sulla sua fronte che spicca il vermiglio contorno del “terzo occhio”.
Che forse la aiuterà a scrutare dentro se stessa e a spaziare nella sua coscienza superiore. Ma di certo non l’ha aiutata a pre-vedere la polemica, per lei “surreale”, in cui si è infilata proprio a causa di quella foto.
Alessandra Moretti l’ha caricata sul suo profilo Instagram.
Attirando si di sè il “grande occhio” dei nostri tempi, lo sguardo digitale dei social, che tutto vede e tutto sa. Così, è stata facilmente scovata e segnalata, per il disappunto dei colleghi di partito della Moretti in Consiglio regionale.
A cui nei giorni scorsi, in chat, Alessandra Moretti aveva recapitato un messaggio per comunicare la sua assenza nella seduta assembleare dedicata alla discussione della legge di stabilità . Motivazione: malattia.
Per questo, i consiglieri dem ci sono rimasti male nello scoprire che la loro capogruppo era invece in India.
E anche parecchio male, a giudicare dai commenti trapelati, dove c’è chi ha subito ricordato un altro viaggio della Moretti a Miami e chi invece la percentuale di assenze in Consiglio della capogruppo (25, pari al 27,78%, a fronte di 65 presenze), inferiore solo a quella totalizzata dal presidente Zaia che infatti evita di commentare.
Cosa faceva in India, Alessandra Moretti? Con il padre, era a Jaipur, non alla ricerca del suo guru ma invitata al matrimonio di Jorge Sharma, imprenditore dell’oreficeria con base a Vicenza. Quattro giorni di festeggiamenti.
Raggiunta da Radio Capital, Alessandra Moretti ricostruisce così la sequenza degli avvenimenti: “Ho avuto la febbre prima di partire, l’8 dicembre. Ma sono partita perchè il viaggio era programmato da tempo. In India mi sono riammalata, come succede a tutti quando si viene qui. E adesso sto rientrando. Ma di cosa mi devo giustificare?”.
Be’, osserva l’intervistatrice, forse una cosa è dire di stare male (mancando così a un impegno professionale, ndr) e restarsene a casa, altra è dire di star male ma essere in India.
Moretti a questo punto taglia corto: “Io le ho ricostruito tutta la vicenda. Non sono in un’aula di tribunale e, francamente, mi sembra surreale tutto questo interesse, per il mio stato di salute e per la mia vita privata”.
(da agenzie)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI TUTTI GLI ATTI DEI PRIMI CINQUE MESI DI GOVERNO… NEL MIRINO LE NOMINE DI ROMEO (CON STIPENDIO TRIPLICATO) E DI MARRA
La Guardia di Finanza si è presentata ieri a Palazzo Senatorio per acquisire tutti i documenti, compresi pareri e determine sui compensi, relativi alle assunzioni effettuate dalla sindaca di Roma Virginia Raggi.
Gli atti sono stati portati via in una serie di scatoloni e dovrebbero riguardare l’indagine scaturita dall’esposto di Carla Romana Raineri, ex capo di Gabinetto della Giunta.
Scrive Simone Canettieri sul Messaggero che l’indagine potrebbe portare alla contestazione del reato di abuso d’ufficio per la prima cittadina, dopo che nelle scorse settimane anche l’Autorithy anticorruzione aveva puntato il dito sul conferimento degli incarichi a Marra e Romeo.
”Non so cosa sia stato fatto ma non abbiamo nulla da nascondere”, dice il vice sindaco di Roma Daniele Frongia.
La sindaca invece prima affida il suo pensiero a Twitter e poi si sfoga con i giornalisti: «Questa vicenda sta assumendo toni ridicoli. La magistratura lavorerà , sono atti dovuti ed e’ follia pensare che non siamo disponibili a collaborare con l’autorità giudiziaria. Ma e’ simpatico che tutto sia partito dall’ex capo di gabinetto che fu nominata con una procedura diversa rispetto a quella che io avevo individuato, dunque con una forzatura a cui sono stata indotta».
Il riferimento è al contratto della Raineri e alla procedura di assunzione del capo di gabinetto che venne contestata successivamente anche dall’Autorità Anticorruzione. Dopo essersene andata sbattendo la porta, per i rilievi dell’ANAC sulla sua nomina, seguita a ruota da quattro dei più importanti «tecnici» dell’amministrazione, la Raineri è andata a bussare alla porta del capo della procura Giuseppe Pignatone.
La procura ha già ascoltato Alessandro Solidoro, che il primo settembre ha lasciato il suo posto di amministratore unico dell’Ama e Marcello Minenna, superassessore al Bilancio e alla Partecipate, anche lui dimissionario, insieme al direttore generale di ATAC Marco Rettighieri e all’amministratore delegato Armando Brandolese.
Nel mirino della procura, tra gli altri, c’è la nomina di Salvatore Romeo, il dipendente comunale che ha ottenuto un incarico dirigenziale con triplicazione dello stipendio (poi ridotta da 90mila a 70mila euro).
Sulle nomine la Raggi aveva chiesto il parere dell’Anticorruzione e lo aveva utilizzato per chiedere alla Raineri un taglio di stipendio o un passo indietro, ottenendo alla fine le dimissioni dell’ex capo di gabinetto.
Cantone rilevò questioni di «illegittimità » evidenziando come il Tuel (testo unico enti locali) rimandi a un regolamento che il Campidoglio non ha e soprattutto sottolinei i problemi legati alla quantificazione degli emolumenti.
Proprio di questo si sta occupando il pubblico ministero Francesco Dall’Olio. Secondo la legge l’abuso d’ufficio scatta quando una nomina viene effettuata per far percepire all’interessato un ingiusto profitto e dunque bisognerà stabilire se la procedura abbia rispettato questa regola o se invece i due abbiano ottenuto più del dovuto.
Il parere di ANAC è stato acquisito agli atti del fascicolo, per ora senza indagati: a far scattare la necessità di ulteriori verifiche, il fatto che sebbene ci fosse la concreta possibilità di spostarlo da un incarico all’altro, Romeo sia stato messo in aspettativa dal suo lavoro presso il Comune (prendeva 37mila euro) per poi essere riassunto a tempo determinato con una cifra ritoccata a quasi 100mila euro.
Tra le nomine sotto la lente c’è anche l’incarico all’attuale capo del personale Raffaele Marra, che si sarebbe spinto a minacciare Laura Benente, che l’ha preceduto nell’incarico.
Ad agosto, l’allora vicecapo di gabinetto avrebbe preteso che la Benente gli desse l’ok per un master a Bruxelles pagato dall’amministrazione. E alle rimostranze di lei sarebbe esploso con accuse gravi: «Mi farò dare gli atti che ha firmato e troverò qualcosa per denunciarla» avrebbe detto (a lei e non alla sua superiore Carla Raineri). Nell’inchiesta è entrato anche l’esposto di Fratelli d’Italia (consultabile qui) in cui si contestavano le nomine di Daniela Raineri, Raffaele Marra e Salvatore Romeo. L’esposto aveva portato all’apertura di un fascicolo: nella denuncia si sosteneva che «l’amministrazione capitolina, nella deliberazione 14/2016», sarebbe «incorsa nel vizio di legittimità in violazione» di alcune decreti legislativi e del «Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e servizi dell’Ente».
Nei pareri le posizioni erano diversificate. In quello di Police si spiegava che l’interpretazione letterale dell’articolo 90 comma 1 TUEL è ostativa ad un’assunzione come quella di Romeo.
Il secondo parere, quello dell’Anac, risponde ad un quesito che sembra coniato ad hoc per salvare Romeo, sulla base di un regolamento del Comune di Firenze citato come precedente di una procedura analoga.
Ma Cantone, pur in termini molto difficili da decifrare e quasi elusivi, afferma la «necessità » di un«regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi» per consentire l’applicazione dell’articolo 90 del Tuel all’assunzione di personale già dipendente dal Comune tra i collaboratori dello staff del sindaco.
E, visto che Roma Capitale quella norma non ce l’ha, se ne deduce che la nomina di Romeo come fosse un esterno dall’amministrazione è illegittima.
La Raggi pubblicò il parere ANAC sulla Raineri poche ore dopo l’arrivo, mentre non protocollò nemmeno quello su Romeo.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
ERA IL CAVALLO DI BATTAGLIA DEL M5S, MA QUANDO LA REGIONE FA UNA LEGGE PER ISTITUIRLO STANNO A GUARDARE… L’EX GRILLINA SALSI: “SONO IN CONFUSIONE MENTALE”
Ieri il Consiglio regionale dell’Emilia Romagna ha approvato la legge che vara il reddito di
solidarietà (Res), un provvedimento per aiutare le fasce più deboli della popolazione per il quale sono stati stanziati 72 milioni di euro, 35 dei quali messi dalla Regione mentre i restanti invece saranno erogati dallo Stato come Sostegno all’inclusione attiva (Sia).
L’importo del Res varierà da famiglia a famiglia fino ad un massimo di 400 euro al mese andrà a beneficio di tutti i nuclei familiari che hanno un Isee fino a tremila euro l’anno.
Dal Consiglio regionale stimano che potenzialmente sono 35 mila le famiglie che potrebbero beneficiare del Res (circa 80 mila persone) ma solo a condizione che i beneficiari si impegnino — con il sostegno del Comune di residenza e dei servizi sociali — a trovare un modo per uscire dalla propria condizione.
Un aiuto “condizionato”, quindi e non un provvedimento a carattere meramente assistenzialistico che segue la linea dettata dal Governo per il Sia.
Il Ministro Poletti infatti a settembre aveva varato quello che è stato chiamato “piano anti povertà ”, un progetto per il quale il governo ha stanziato 750 milioni di euro che saranno destinati a quei quasi 220 mila nuclei familiari con un Isee al di sotto dei tremila euro l’anno.
Secondo le stime del Governo grazie al Sostegno all’inclusione attiva il contributo medio del Sia dovrebbe essere intorno ai 320 euro mensili.
Anche in questo caso il progetto non costituisce una forma di elemosina ma quello che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali definisce un patto tra servizi e famiglie “che implica una reciproca assunzione di responsabilità e di impegni. Le attività possono riguardare i contatti con i servizi, la ricerca attiva di lavoro, l’adesione a progetti di formazione, la frequenza e l’impegno scolastico, la prevenzione e la tutela della salute. L’obiettivo è aiutare le famiglie a superare la condizione di povertà e riconquistare gradualmente l’autonomia“.
Queste quindi saranno le linee guida del provvedimento varato in Emilia Romagna che però amplia i limiti del Sia dal momento che il Res non richiede la presenza all’interno del nucleo familiare di un minore, o di un figlio disabile, o di una donna in stato di gravidanza e quindi il provvedimento approvato ieri è destinato a qualsiasi tipo di nucleo familiare, anche composto da una sola persona.
Se la Lega Nord e Forza Italia hanno votato contro la legge che istituisce il Res (forse per paura che possano usufruirne gli stranieri) la posizione del MoVimento 5 Stelle sorprende tutti.
I consiglieri regionali del partito di Grillo hanno infatti coraggiosamente deciso di astenersi e non votare il provvedimento che considerano una “brutta copia” della loro proposta e soprattutto insufficiente a risolvere i problemi della povertà .
Qualcuno potrebbe dire che dopo tante battaglie sul reddito minimo e sul reddito di cittadinanza questo poco che c’è è già qualcosa, ma i Cinque Stelle, fedeli alla loro linea del “monitorare e vigilare” hanno preferito restare alla finestra.
C’è da dire inoltre che nella Livorno a Cinque Stelle il tanto annunciato reddito di cittadinanza è riuscito a soddisfare le domande di appena cento persone a causa della budget messo a disposizione.
A criticare la posizione del M5S in Regione anche l’ex consigliera regionale Cinque Stelle Federica Salsi che denuncia la “confusione mentale” dei pentastellati dell’Emilia Romagna.
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 15th, 2016 Riccardo Fucile
COSA CI FA ANTONIO PAPPALARDO, EX SOTTOSEGRETARIO DI UN GOVERNO TECNICO (NON ELETTO DAL POPOLO!) A CAPO DEI FORCONI?…ACCUSA I POLITICI DI RUBARE AI CITTADINI, MA LUI INTASCA 3.000 EURO AL MESE DI VITALIZIO… DITE AI FORCONI DI ARRESTARLO
Ieri un gruppo di aderenti al movimento “rivoluzionario” dei Forconi ha tentato di arrestare l’ex parlamentare Osvaldo Napoli.
Un blitz, a pochi passi da Montecitorio e davanti ad una pattuglia dei Carabinieri. I Forconi non hanno fatto a tempo a declamare il capo d’imputazione che Napoli era già riuscito a divincolarsi e a fuggire.
Nel gruppo di rivoluzionari guidato dall’agricoltore pontino Danilo Calvani c’era anche il Generale dei Carabinieri in pensione nonchè ex parlamentare della Repubblica il settantenne Antonio Pappalardo.
Subito dopo i concitati attimi del fallito blitz, che sulla pagina della rivoluzione permanente del 9 dicembre (l’unica rivoluzione che si svolge una volta all’anno senza fare nessun danno) viene presentato come “il primo arresto”, Pappalardo ha bonariamente redarguito i suoi sodali facendo notare — da esperto qual è — che non è così che si fanno gli arresti.
Sembra quasi che Pappalardo si stia dissociando dall’azione rivoluzionaria ma non è così, perchè Pappalardo invita i poliziotti e i carabinieri a farsi avanti e a prendere in consegna l’arrestato, perchè “è assurdo che siano i cittadini a dover fare certe cose” che invece dovrebbero ricadere nell’ambito dei compiti delle forze di polizia a tutela della ggente.
Concetto ribadito da Pappalardo in un post sul suo profilo Facebook dove accusa gli uomini delle Forze dell’Ordine che scortano i politici “non eletti dal popolo” e i ministri del governo abusivo di compiere un atto d’ufficio.
Attenzione! Gli uomini delle Forze dell’Ordine che stanno scortato i parlamentari abusivi e incostituzionali, state commettendo abuso di ufficio,non potete scortare ALFANO,MINNITI, e tutti i nuovi ministri in carica, da questo momento appena siete in contatto con questi cialtroni,li dovete ARRESTARE, se non lo fate voi lo fanno i cittadini in qualsiasi luogo d’Italia si trovano.il fatto quotidiano ha detto bugie credevamo che questo pseudo giornale dicesse la verita’ nei suoi srticoli e fosse dalla parte del popolo, non e” stato denunciato nessuno perche’ al Commissariato Trevi gli investigatori hanno capito le ragioni dei cittadini che hanno operato l’arresto, sono stati ratificato i verbali contro l’Arrestato e inviati all’Autorita’ Giudiziaria.I FORCONI HANNO DENUNCIATO NON SONO STATI DENUNCIATI.
Pappalardo — sempre parlando in qualità di uno che “conosce la legge” — invita la Polizia e i Carabinieri ad arrestare i politici altrimenti i cittadini saranno costretti (andando però contro la legge) a provvedere da soli agli arresti.
Poco fa Pappalardo è tornato a parlare di “delinquenti” riferendosi ai parlamentari “abusivi” e spiegando che il Popolo è incazzato perchè non vengono indette libere elezioni.
Un comunicato del SUPU, il Sindacato Unitario Personale in Uniforme del quale Pappalardo è Presidente dal 2007, ribadisce il concetto, spiegando che “i delinquenti sono i parlamentari abusivi dal 2014, che hanno rubato alla casse dello Stato oltre 900 milioni di euro. E non i Forconi che stavano arrestando uno di loro“.
E qui la faccenda si fa interessante perchè Pappalardo, che è stato eletto nel 1992 alla Camera dei Deputati come indipendente tra le fila del Partito Socialista Democratico Italiano, percepisce come ogni parlamentare della Repubblica un vitalizio pari a 3.108 euro al mese (alla quale va aggiunta la pensione da Generale in congedo) ovvero la cifra che spetta a tutti i parlamentari che sono rimasti in carica una legislatura.
Niente di illegale, sia ben chiaro, però come non ricordare che l’XI legislatura, quella durante la quale Pappalardo prestò servizio come deputato, viene ricordata come la più breve della storia della Repubblica Italiana.
Dopo appena 722 giorni infatti le camere vennero sciolte e così terminò, nel 1994, l’ultima legislatura della Prima Repubblica.
Ma in quel brevissimo arco di tempo Pappalardo fece a tempo a cambiare partito (entrò nel gruppo del Patto Segni), diventare sottosegretario alle finanze del governo tecnico (quindi non eletto dal popolo) guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Nel 1994 poi l’allora Colonnello Pappalardo si candidò alle amministrative di Roma come capolista di Solidarietà Democratica, movimento politico che venne coinvolto in un’inchiesta per alcuni legami con la massoneria deviata legata a Forza Italia guidata dal principe Giovanni Alliata di Montereale (già coinvolto nel golpe Borghese) che mirava a influenzare l’esito delle elezioni romane (le prime nelle quali c’era l’elezione diretta del sindaco).
Pappalardo non è certo nuovo ad uscite rivoluzionarie, nel 2000 quando era alla guida del COCER (il sindacato della Benemerita) ad esempio aveva minacciato l’agitazione dell’Arma dei Carabinieri auspicando che i militi provvedessero a “fondare un nuovo Stato”.
Dichiarazione che gli costò la rimozione immediata dal Comando del II Reggimento Carabinieri di Roma.
In seguito Pappalardo ha tentato di promuovere il federalismo in salsa siciliana e addirittura di portare la pace tra israeliani e palestinesi con un musical.
Abbandonate le velleità pacifiste ora Pappalardo è alla guida del Movimento Italia che mira alla ricostruzione dello Stato italiano da zero grazie all’azione responsabile dei Carabinieri in congedo e di tutte le Forze dell’Ordine di buona volontà che abbiano desiderio di seguirlo. Insomma Pappalardo crede che l’Italia sia la Turchia e che quindi l’esercito (perchè i Carabinieri sono una delle quattro forze armate) abbia il compito di intervenire con la forza per ristabilire l’ordine costituzionale.
(da “NextQuotidiano“)
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