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CRESCE IL DIVARIO POVERI-RICCHI: PESSIMISTA IL 40% DEGLI ITALIANI

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

POCHE ASPETTATIVE TRA PENSIONATI E CETI MEDI: SIAMO MARGINALI

L’approssimarsi della fine dell’anno, e l’aprirsi del nuovo, induce a fare bilanci, a soppesare quanto è avvenuto e prefigurare ciò che si attende.
Veniamo da diversi anni di difficoltà  economica e da instabilità  politica, non ultimo quello generato dall’esito referendario.
Dal 2008 abbiamo avuto cinque governi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e ora Gentiloni), in media più di un esecutivo a biennio.
È evidente che con un simile incedere qualsiasi attività  politica e azione riformatrice subisca uno «stop and go» continuo.
Il tentativo di offrire un disegno coerente al Paese e, quindi, una direzione da perseguire diventa come la tela di Penelope: ciò che si tesse di giorno, è dipanato il giorno successivo.
Così, l’emergenza è diventata la nostra normalità . Viviamo una condizione di continua discontinuità , alimentando fra gli operatori economici e nella popolazione un orientamento di adattamento e prudenziale.
Perchè nell’incertezza è meglio muoversi con cautela. Esattamente il contrario di ciò che servirebbe in un’epoca come l’attuale dove la velocità  e un disegno strategico costituiscono i fattori determinanti per una ripresa di competitività  del sistema-paese. Ciò nonostante, seppure con dati economici altalenanti, il Pil è rientrato leggermente in campo positivo e, nonostante tutto, l’azione del governo Renzi qualche esito positivo l’ha portato.
Tuttavia, la svolta, la ripresa più volte evocata non arriva. Continuiamo a procedere per piccoli passi, mentre altre zone del globo corrono a velocità  elevate. E in questa doppia velocità , nella sindrome dello «zero-virgola», maturano condizioni sociali ed economiche progressivamente divergenti: aumentano i divari fra chi è in grado di affrontare le difficoltà  e chi, invece, vede perdere progressivamente le proprie risorse, sospinto ai margini.
È questo il quadro generale che emerge dall’ultima rilevazione sugli italiani di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa. Facendo un bilancio su come sono andate le cose nel 2016, mediamente il 44,6% non ha percepito cambiamenti sostanziali.
Per contro, una quota analoga (42,6%) denuncia un peggioramento, mentre solo un decimo (12,8%) ha vissuto un miglioramento.
La media nasconde alcune diversificazioni.
Gli aspetti che non hanno avuto scostamenti particolari sono la sicurezza personale (56,8%), il reddito percepito (53,7%) e la lotta all’evasione fiscale (51,2%). Le dimensioni che più di altre, invece, sono avvertite peggiorate rinviano alla dimensione del mondo politico (politica italiana: 57,7%; corruzione politica: 47,9%) e della situazione economica (economia italiana: 47,9%; pressione fiscale: 43,4%).
L’unico fattore che ottiene una valutazione positiva è la credibilità  internazionale dell’Italia, ritenuta migliorata dal 32,8% degli italiani.
In sintesi, la percezione della popolazione è che nel 2016 l’Italia abbia accresciuto la sua autorevolezza nelle relazioni con partner esteri, sia rimasta perlopiù stabile nel reddito individuale e nella sicurezza, ma sia peggiorata la situazione economica e soprattutto politica.
Cosa ci riserverà  il 2017, come andranno le cose il prossimo anno? In generale, emerge una visione pragmatica (o rassegnata?).
Quanti attendono un miglioramento non si discostano dalla valutazione sul 2016. Poco più di un decimo (13,6%) auspica vi sarà  un cambiamento positivo, in particolare per quello che riguarda l’economia del nostro paese (21,7%) e migliorerà  ulteriormente la nostra credibilità  sul piano internazionale (20,7%).
Aumentano, invece, quanti ritengono che le condizioni generali rimarranno tutto sommato stabili (50,6%), soprattutto per ciò che riguarda la sicurezza personale (65,6%), il proprio reddito (58,9%) e la corruzione politica (55,1%). Un terzo degli italiani, però, prefigura un ulteriore peggioramento (35,8%), specialmente sul versante della politica italiana (51,0%) e della nostra economia (38,9%).
Si potrebbe sostenere che per il futuro prossimo la maggior parte degli italiani intravede (e auspica) scenari «non peggiorativi», considerato che le condizioni generali (politiche ed economiche) sono percepite ancora fortemente critiche.
Unendo le opinioni espresse sul bilancio del 2016 con quelle delle previsioni per il 2017 è possibile individuare la mobilità  di opinione degli intervistati fra un anno e l’altro.
In questo modo otteniamo tre gruppi.
Il primo, e più rilevante quantitativamente, è degli italiani che non rilevano discontinuità  fra i due anni considerati. Il 52,7% non muta la propria valutazione e sottolinea come il nostro paese resti ancorato alla sindrome dello «zero-virgola», alla «stabilità »: il sentore è di un’Italia vischiosa. Ed è interessante osservare come sia soprattutto il ceto medio-alto (68,4%), composto da liberi professionisti e dirigenti, a rimarcare maggiormente quest’orientamento.
Il secondo gruppo intravede una recrudescenza ulteriore delle condizioni, un «degradamento»: si tratta di una quota cospicua (40,0%) annidata soprattutto nei ceti medio-bassi (44,2%, lavoratori manuali, pensionati) e bassi (61,6%, operai, disoccupati).
Il terzo gruppo, costituito da una quota largamente minoritaria (7,3%), all’opposto avverte un miglioramento e una crescita fra i due anni, concentrato nei ceti medio-alti (9,3%) e, soprattutto, alti (35,8%, imprenditori, manager).
A cavallo fra i due anni prevale negli italiani una pre-visione priva di scostamenti, quasi piatta: un misto di adattamento e disincanto, di cautela e rassegnazione. Pochi scorgono una crescita, mentre molti fra i ceti medio-bassi e bassi intravedono una progressiva erosione delle loro opportunità , anzichè la possibilità  di una mobilità  ascendente. Ed è questa polarizzazione nelle condizioni, come certificato dall’Istat e dall’esito del voto referendario, a muovere il malessere.
Coesione e sviluppo dovranno essere le parole chiave dell’agenda per il futuro dell’Italia.

Daniele Marini
Università  di Padova
(da “La Stampa”)

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PERCHE’ IL MATTARELLUM PIACE A SALVINI MA NON A BERLUSCONI

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

UN’ESCA VELENOSA PER FORZA ITALIA

La proposta lanciata da Renzi di recuperare il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia. A rispondere sì finora sono stati Salvini e Meloni: a loro conviene tenere in vita l’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali (il Mattarellun ne prevede fino al 75%, il resto è proporzionale).
È l’idea di una coalizione di destra-centro con a capo il leader della Lega, che in questo modo potrebbe eleggere parlamentari anche al Sud dove i voti per il Carroccio scarseggiano. Voti ai suoi candidati nei collegi uninominali che dovrebbero venire da Forza Italia.
Ecco perchè Berlusconi e una parte del suo partito, quella del Sud, sono contro il Mattarellum.
Il Cavaliere, che è nato politicamente maggioritario, ora si è convertito alle virtù del proporzionale.
È solo un modo per tenersi le mani libere e non dare a Salvini la chance di scalare il centrodestra (e non dare i voti azzurri, pochi o molti che siano, ai candidati leghisti o fratelli d’Italia).
Mani libere per poter magari dopo il voto sostenere un governo delle larghe intese con il Pd ed evitare che a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle.
Quei 5 Stelle che sono stati gli unici a non difendere Mediaset da Vivendi, anzi a sostenere che non sarebbe un problema se l’azienda del Biscione venisse sbranata dai francesi. Dunque tutto per bloccarli.
Il punto è che c’è una parte di Forza Italia che vuole convincere Berlusconi a sostenere il Mattarellum. È vorrebbero convincerlo con l’allargamento della quota proporzionale fino al 50%.
In questo modo si salverebbe la colazione nei collegi uninominali ma allo stesso tempo ogni partito avrebbe la possibilità  di eleggersi i suoi esponenti nell’ampia parte proporzionale.
A lavorare a questa ipotesi sono il capogruppo Romani è il governatore ligure Toti, con il sostegno di tutti i parlamentari azzurri del Nord.
Ed è facile capire il perchè: sono loro che ne avrebbero un vantaggio in quei colleghi dove la Lega è forte e nel Nord lo è in Lombardia e Veneto.
Discorso opposto invece per i parlamentari del Sud che sarebbero costretti a ricambiare offrendo il loro sangue elettorale e di consensi.
È infatti sono sul piede di guerra e spingono sul pedale del proporzionale, sperando che Berlusconi tenga ferma la sua posizione.
Ma le posizioni di Berlusconi cambiano con grande rapidità  e in relazione alle convenienze del momento.
A parte il fatto che il Cavaliere adesso ha ben altro e di più importante cui pensare come la vicenda della scalata di Vivandi a Mediaset.
Il punto è che c’è una guerra in atto tra i parlamentari del Sud contro quelli del Nord che vogliono come Salvini e Meloni il Mattarellum.
In attesa che il capo ci metta un po’ la testa e capisca che allargando la quota proporzionale e tenendo i collegi per l’alleanza si salverebbe capra e cavoli.
Renzi sa bene quale sia il problema nel centrodestra e sta giocando la carta Mattarellum per compattare il Pd e mettere alla prova il centrodestra, a cominciare da Berlusconi che fa finta di volere le elezioni anticipate.
Già  avere dalla sua parte Lega e Fdi è un buon risultato. Ora aspetta Berlusconi. Resterebbero fuori i 5 Stelle alle prese con il caos di Roma.

Amedeo Lamattina
(da “La Stampa“)

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LA MOSSA DEL PD: “NON CHIEDEREMO LE DIMISSIONI DELLA RAGGI IN CASO DI AVVISO DI GARANZIA”

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

MENTRE SI FANNO SEMPRE PIU’ INSISTENTI LE VOCI DI UN AVVISO IMMINENTE, LA CAPOGRUPPO DI BIASE RICORDA: “NON ABBIAMO LA DOPPIA MORALE DEL M5S, RESTIAMO COERENTI ALLA NOSTRA IMPOSTAZIONE”

“Io sono convinta che qualora arrivasse un avviso di garanzia il sindaco Raggi non si dimetterebbe dal suo incarico. Noi siamo abituati alla doppia morale del Movimento 5 Stelle, ma il partito democratico non ha mai chiesto le dimissioni di nessuno a seguito di un avviso di garanzia, e non le chiederemmo sulla base di un avviso di garanzia, non è questa la base politica su cui si chiede a un sindaco di rassegnare le dimissioni”. Così Michela Di Biase, capogruppo del Partito democratico dell’assemblea capitolina di Roma, a Mix24, commenta così le parole di Virginia Raggi, “se mi arrivasse un avviso di garanzia io valuterò”.
“Noi non chiediamo le dimissioni della Raggi perchè le responsabilità  della Raggi sono in capo a lei e al Movimento 5 Stelle che l’ha candidata, è stata scelta dal 70% dei romani poco più di sei mesi fa – ha aggiunto Di Biase.
“In questa fase chiediamo al sindaco di continuare ad andare avanti con l’amministrazione della città , se ci riesce, se è in grado. E vorremmo che tutto il Movimento 5 Stelle che l’ha votata e l’ha messa lì si assumesse l’onere anche del governo della città “.
Come dire “più va avanti e più fa danni al Movimento”.

(da agenzie)

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ROMEO, IL DIPENDENTE DEL COMUNE CHE URLAVA: “ABBIAMO VINTO” DOPO IL TRIONFO DELLA RAGGI

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

E INFATTI LUI HA AVUTO UN INCARICO CON STIPENDIO TRIPLICATO

Salvatore Romeo, il dipendente grillino al Comune messosi in aspettativa e riassunto come dirigente con stipendio triplicato — probabilmente in omaggio ai principi profondi del MoVimento 5 Stelle — non è soltanto quel gran genio dall’alta professionalità  che diceva che il M5S aveva sbagliato le nomine perchè «era agosto, faceva caldo».
No, il volontariamente dimissionario Romeo è anche uno che quando il Movimento ha vinto le elezioni andava in giro per le stanze del Comune e gridava “abbiamo vinto, abbiamo vinto”.
L’aneddoto lo ha raccontato una persona degna di fiducia: Rodolfo Murra, capo dell’avvocatura capitolina fino al settembre scorso, prima di essere giubilato per iniziativa di Raffaele Marra, oggi in carcere con l’accusa di essersi fatto comprare casa da Scarpellini e la contestazione del reato di corruzione.
Murra è stato cacciato perchè i suoi pareri confliggevano con quelli dei noti espertoni di cui ama circondarsi la sindaca; la Procura l’ha convocato per farsi spiegare cosa successe all’epoca delle dimissioni di Carla Romana Raineri. La vicenda potrebbe costare un avviso di garanzia alla Raggi.
Ora è in carcere, sarà  questa l’occasione per parlare?
«Può darsi. Lui sicuramente aveva rapporti a vari livelli. Era interlocutore dei costruttori e aveva legami con la destra romana. È stato collaboratore di Gianni Alemanno e in un’intervista ha detto che Franco Panzironi (ex di Ama imputato in Mafia Capitale ndr) è una brava persona. Non so se abbia garantito alla Raggi un pacchetto di quei voti. Diceva che loro lo avevano reclutato per scegliere le persone giuste in Comune e perchè esperto di pratiche amministrative».
Perchè lo riferiva a lei?
«Lo conosco sin da quando era alle Politiche abitative del Comune, nel 2012. È sempre stato un tipo losco e arrogante. Poi ha preso l’aspettativa e quando è tornato con questa giunta era addirittura peggiorato».
Lo dice perchè è arrabbiato per essere stato rimosso?
«Sono arrabbiato, ma non per la rimozione. Ce l’ho con loro per la macchinazione sulla richiesta di parere all’Anac sulla nomina a capo di gabinetto di Carla Raineri. A Marra l’ho detto chiaro: con me avete chiuso. Avete strumentalizzato Cantone per cacciare Raineri. E avete distrutto il mio lavoro».
Si può dire che in Campidoglio c’era una faida?
«Si può dire che nella stanza della sindaca c’erano sempre Marra e Romeo. E naturalmente Frongia. Loro contro tutti. Frongia è il migliore perchè comunque ha metodi civili e dedica ascolto alle persone. Gli altri due sono arroganti e volgari, ma la sindaca li ha sempre appoggiati. Parlare da soli con lei non era possibile. Se le chiedevo chiarimenti oppure opinioni sulle questioni mi rispondeva: “Ne parli con Marra, si rivolga a Marra”»
E Romeo?
«Lui impartiva ordini. La premessa era sempre: “Vengo a nome di Virginia”»
Secondo lei perchè aveva tanta influenza su Raggi?
«Lui è un grillino da tanto tempo. Quando il Movimento ha vinto le elezioni andava in giro per le stanze del Comune e gridava “abbiamo vinto, abbiamo vinto”».
Beppe Grillo ha preteso che lui e Frongia vengano ridimensionati. Secondo lei sarà  così
«È una farsa. Senza di loro la sindaca non può far niente».

(da “NextQuotidiano”)

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COLOMBAN NON VUOLE FARE IL VICESINDACO, CONTINUA LA FARSA

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

LA RAGGI CONTINUA LA RECITA: “SE ARRIVERA’ UN AVVISO DI GARANZIA? VALUTERO’…”

“Se mi arriverà  un avviso di garanzia? Valuterò”. Così Virginia Raggi uscendo stamani da casa per recarsi in Campidoglio dove l’aspetta un’altra giornata impegnativa, alla fine della quale potrebbe arrivare la designazione del nuovo vicesindaco.
“Non sono commissariata e mi sento ancora dentro M5S”, ha precisato la sindaca della Capitale.
Intanto la sindaca sembra aver vinto la sua battaglia contro i vertici del M5s che avrebbero voluto imporle come vicesindaco l’attuale assessore alle Partecipate Massimo Colomban, imprenditore veneto vicino alla Casaleggio Associati. Colomban, però, si è dichiarato non disponibile a prendere la poltrona occupata fino a sabato sera da Daniele Frongia: “Sono onorato ma non posso farlo”, ha dichiarato stamane alle agenzie e ha aggiunto: “Non ho nè il tempo nè la disponibilità  per assumere il ruolo di vicesindaco, come imprenditore e tecnico preferisco completare il compito di assessore alla riorganizzazione delle Partecipate, prima di assumere altri impegni gravosi o politici”.
Tuttavia Colomban si è detto disposto ad affiancare Raggi   “nelle scelte organizzative e strategiche sia nel Comune di Roma che nelle partecipate”.

(da agenzie)

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“RAGGI SCELSE MARRA PER VINCERE, MA POI POTEVA RICATTARLA”: PARLA L’EX CAPO DELLA AVVOCATURA DEL COMUNE

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

RODOLFO MURRA: “IL RIDIMENSIONAMENTO DI MARRA E ROMEO E’ UNA FARSA, SENZA DI LORO LA RAGGI NON PUO’ FARE NULLA”

“Virginia Raggi frequentava Raffaele Marra ben prima dell’inizio della campagna elettorale. Me lo raccontò Marra spiegando che lei, Salvatore Romeo e Daniele Frongia volevano vincere e lo avevano reclutato come punto di riferimento in Campidoglio. Lui poi ha preso il potere pieno e noi abbiamo sempre pensato che alla base di tutto ci potesse essere un ricatto. Era interlocutore dei costruttori e aveva legami con la destra romana”.
Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera Rodolfo Murra, ex capo dell’Avvocatura capitolina tra i testimoni chiave dell’inchiesta sulle nomine al Comune di Roma.
“Non posso essere più preciso”, dice a proposito dell’ipotesi di ricatto. “So soltanto quello che mi diceva lui in continuazione: ‘So tutto di loro, prima o poi parlerò. E se parlo non so che cosa succede’”.
“Si può dire che nella stanza della sindaca c’erano sempre Marra e Romeo. E naturalmente Frongia. Loro contro tutti. Frongia è il migliore perchè comunque ha metodi civili e dedica ascolto alle persone. Gli altri due sono arroganti e volgari, ma la sindaca li ha sempre appoggiati. Parlare da soli con lei non era possibile. Se le chiedevo chiarimenti oppure opinioni sulle questioni mi rispondeva: ‘Ne parli con Marra, si rivolga a Marra’”. Romeo “impartiva ordini. La premessa era sempre: ‘Vengo a nome di Virginia’”.
Un ridimensionamento di Romeo e Frongia? “È una farsa. Senza di loro la sindaca non può far niente”.
Intervistato anche dal Messaggero, Murra sottolinea che Raffaele Marra non era “uno dei 23mila lavoratori comunali”.
“Questa è una menzogna a cui non credono neanche i grillini più accaniti”, dice. “Marra era l’alter ego di Virginia Raggi. E il suo rapporto stretto con la sindaca lo conoscono tutti in Campidoglio”.

(da “Huffingtonpost”)

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FU DI MAIO A GARANTIRE PER MARRA, A LUGLIO FU RICEVUTO DAL VICEPRESIDENTE DELLA CAMERA

Dicembre 19th, 2016 Riccardo Fucile

IL MINIDIRETTORIO NON LO VOLLE INCONTRARE, LUI SI’: NESSUN PREGIUDIZIO”… DI MAIO RESPINGE LE ACCUSE E ANNUNCIA QUERELE

Luigi Di Maio dice di aver incontrato Raffaele Marra una volta sola, ai primi di luglio, e di avergli detto – “con cortesia” – che “se ne doveva andare” dal gabinetto della sindaca di Roma.
Il vicepresidente della Camera lo scrive in un post sul blog di Beppe Grillo: “Durante l’incontro, di cui anche Davide Casaleggio e Beppe Grillo erano al corrente, svolto nel mio ufficio con tanto di registrazione all’ingresso, gli riportai che il Movimento non aveva fiducia in lui. Ho aggiunto anche che essendo dirigente assunto per concorso non potevamo certo licenziarlo. Lui ci tenne a spiegarmi che le cose che si dicevano sul suo conto non erano vere. Ma il suo racconto non cambiò il mio e il nostro orientamento”.
L’esito di quell’incontro appare però molto diverso alla luce delle ricostruzioni, dei resoconti sulla stampa, mai smentiti, e delle dichiarazioni – pubbliche e non – rilasciate in quei giorni dallo stesso Di Maio.
Il primo luglio, dopo che il minidirettorio aveva provato – attraverso Roberta Lombardi – a porre un veto sulla nomina di Marra come vicecapo di gabinetto con potere di firma, a domanda diretta al festival di Spoleto Di Maio rispondeva: “Non abbiamo pregiudizi verso nessuno. Chi ha operato bene, anche in altre forze politiche, può e deve essere coinvolto”.
Un concetto ripetuto quella stessa sera, al festival del Lavoro all’Angelicum.
E che fa infuriare alcuni parlamentari, che lo ritengono una “copertura politica” di Raggi.
Sono i giorni in cui la sindaca sta costruendo la sua giunta. Quelli in cui litiga col minidirettorio e telefona ai vertici per lamentarsi delle ingerenze di Lombardi: “Parla male di Marra solo perchè vuole comandare lei!”.
Così, la sindaca chiede a Di Maio di incontrare il suo fedelissimo. E quell’incontro avviene – come racconta Marco Travaglio il 10 settembre sul Fatto quotidiano – il 6 luglio.
“L’ex finanziere gli porta il solito valigione di documenti con tutte le sue denunce – scrive Travaglio – e per un’ora e mezza gli illustra la sua esperienza nell’amministrazione regionale e capitolina.
“Se non l’avrò convinta ho qui pronta la lettera di dimissioni””. Marra non si dimette. Quella sera Di Maio va a festeggiare i suoi trent’anni su un barcone sul Tevere.
Il giorno dopo parte per il Medio Oriente e a Hebron – a domanda su Marra – ripete lo stesso concetto del primo luglio. Aggiungendo: “È il sindaco che deve scegliere di chi fidarsi”.
In quelle ore, Virginia Raggi sta inaugurando la sua giunta davanti al consiglio comunale di Roma. Marra non ha il potere di firma, ma rimane vicecapo di gabinetto con la promessa di un altro incarico.
Il 12 luglio arriva Grillo. Due giorni dopo, quel che avviene non è l’allontanamento di Marra. A essere messa fuori dal “minidirettorio” è proprio Lombardi.
Ad agosto, i giornali si riempiono delle ricostruzioni sul “raggio magico”. Di Maio si infuria, prova a smentire l’irritazione di Grillo, dice di Marra: “Stiamo parlando di un incensurato!”.
Poi inciampa sul caso Muraro, quando dichiara di non sapere dell’indagine a carico dell’assessora ai Rifiuti nonostante avesse ricevuto mail e sms dettagliati.
Chiarisce con Grillo, che lo perdona pubblicamente nella piazza di Nettuno. E smette di occuparsi di Roma. “Non ha mai difeso Marra – fa sapere la comunicazione dei 5 stelle – le sue dichiarazioni sono sempre state a sostegno dell’autonomia della sindaca, perchè era la linea decisa”.
Una parte del Movimento 5 stelle però continua a indicare in Di Maio il garante politico della scelta di Raggi di tenere Marra al suo fianco.

Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)

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