Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
IN FONDO E’ NORMALE CHE QUALCUNO DIFENDA IL FATTURATO
Una rete di agenzie pubbliche dei Paesi Ue contro le `bufale’ online che fissino regole per evitare che la rete continui a essere una sorta di Far West.
Lo propone il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, in un’intervista al Financial Times, provocando la reazione furiosa di Beppe Grillo, che sul suo blog associa Pitruzzella a Gentiloni e Renzi, definendoli «i nuovi inquisitori del web», desiderosi di «un tribunale per controllarlo e condannare chi li sputtana».
L’obiettivo del ragionamento di Pitruzzella è lottare contro la diffusione in rete delle notizie false.
A suo giudizio, questa opera di smascheramento delle bufale è più efficace se viene affidata agli Stati.
«Ritengo che dobbiamo fissare queste regole e che spetti farlo al settore pubblico», aggiunge il presidente dell’Autorità , evidenziando che gli utenti continuerebbero «a usare un Internet libero», ma beneficerebbero di un’entità «terza», indipendente dal governo, «pronta a intervenire rapidamente se l’interesse pubblico viene minacciato». «La post-verità – è la tesi centrale di Pitruzzella – è uno dei motori del populismo ed è una minaccia per le nostre democrazie».
Ma è proprio sul tema del controllo della rete che Grillo sferra il suo attacco: «Vogliono fare un bel tribunale dell’inquisizione, controllato dai partiti di governo, che decida cosa è vero e cosa è falso».
In serata, Pitruzzella torna sull’argomento su Skytg24: «La mia non è una proposta volta a creare forme di censura, ma a rafforzare la tutela dei diritti nella rete».
Contro Grillo, il Presidente del Pd, Matteo Orfini: «Caro Beppe Grillo. Nessuno attacca la rete. Attacchiamo i cialtroni che la inondano di bufale e bugie. A proposito, ne conosci qualcuno?».
(da “La Stampa“)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
STUDIO CGIA DI MESTRE: MOLTE REGIONI DEL SUD TRA LE PEGGIORI D’EUROPA, L’ITALIA FUORI DALLE TOP 30
Cosa accadrebbe ai conti pubblici se tutta la Pubblica amministrazione dello Stivale operasse
con la stessa efficienza che si vede nella Provincia autonoma di Trento? Avremmo un reddito nazionale più alto di 30 miliardi all’anno, la cifra che rappresenta una manovra finanziaria o basta a salvare cinque Monte dei Paschi.
E’ il dato al quale è arrivata la Cgia di Mestre ragionando sull’inefficienza della Pa in base a uno studio realizzato dal Fondo Monetario Internazionale datato luglio 2015.
Il risultato: “Se la nostra amministrazione pubblica avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità , nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti (ovvero di oltre 30 miliardi di euro) all’anno”, dicono gli artigiani di Mestre.
I dati fanno il paio con quelli contenuti in un’indagine della ue sulla qualità dell’amministrazione pubblica a livello territoriale, che “conferma il forte divario esistente tra il Nord e Sud del Paese sulla qualità /quantità dei servizi erogati”, spiega l’Ufficio studi della Cgia.
“Rispetto ai 206 territori rilevati da questo studio, ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°, la Puglia al 188°, il Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto.
Solo Ege (Turchia), Yugozapaden (Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana.
Tra le realtà meno virtuose troviamo anche una regione del Centro, vale a dire il Lazio, che si piazza al 184° posto della graduatoria generale”.
Se si va invece tra le migliori 30 regioni europee, l’Italia è assente: per trovare la prima realtà , ovvero la Provincia autonoma di Trento, bisogna scorrere fino al 36° posto della classifica generale.
La Provincia autonoma di Bolzano si trova al 39°, la Valle d’Aosta al 72° e il Friuli Venezia Giulia al 98°.
Appena al di sotto della media Ue troviamo al 129° posto il Veneto, al 132° l’Emilia Romagna e di seguito tutte le altre.
Nella classifica generale, la Pa italiana si colloca al 17° posto su 23 paesi analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni paesi dell’ex blocco sovietico presentano un indice di qualità della Pa inferiore al nostro.
A guidare la classifica, invece, sono le Pa dei paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi).
Conclude il Segretario della Cgia, Renato Mason: “La sanità al Nord, le forze dell’ordine, molti centri di ricerca e istituti universitari italiani presentano delle performance che non temono confronti. Tuttavia è necessario migliorare l’efficienza media dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, affinchè siano sempre più centrali per il sostegno della crescita, perchè migliorare i servizi vuol dire migliorare il prodotto delle prestazioni pubbliche e quindi l’impatto dell’attività amministrativa sullo sviluppo del Paese”
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL RICORSO: TESSERAMENTO GONFIATO DI 16.000 TESSERE… A SETTEMBRE IL GIUDICE HA DATO RAGIONE AI RICORRENTI, RICONFERMATO LO STOP
Quel poco che resta del vecchio Psi si azzuffa in tribunale: il tribunale civile di Roma ha sospeso gli effetti del congresso nazionale di Salerno vinto ad aprile dal segretario Riccardo Nencini.
Il sospetto: il tesseramento potrebbe essere stato gonfiato di sedicimila tessere, secondo il ricorso presentato alla magistratura da cinque membri del partito (Roberto Biscardini, Pieraldo Ciucchi, Gerardo Labellarte, Aldo Potenza e Angelino Sollazzo). Nencini alla vigilia dell’assise dichiarò 22 mila iscritti, stabilendo una platea di un delegato ogni trenta iscritti, che tagliò di fatto fuori dai giochi la minoranza, di cui fa parte anche Bobo Craxi.
Furono richiesti gli elenchi, vennero negati per ragioni di privacy.
A quel punto, bilancio alla mano e forti di alcune perizie, la minoranza giunse alla conclusione che solo seimila tessere sarebbero state effettivamente pagate. Partì la causa.
“Tesseramento gonfiato”, è lapidario l’ex parlamentare Labellarte. A settembre il giudice ha dato ragione ai ricorrenti, Nencini ha fatto appello, ma ora in via cautelare, un collegio di tre giudici ha nuovamente confermato la sospensione del congresso.
Il Psi l’ultima volta che si è presentato alle politiche, nel 2008, ha preso l’1 per cento. Nel 2013 ha corso sotto l’ala del Pd, portando in Parlamento appena sette rappresentanti, eppure da quasi tre anni sta al governo con Nencini, viceministro alle Infrastrutture.
“Certe cose si risolvono sul piano politico”, commenta amaro il leader.
Per Nencini il tesseramento non fu manipolato. “Abbiamo dimostrato che il prezzo delle iscrizioni è variabile, 30 euro per il socio ordinario, 15 euro per pensionati – la metà degli iscritti – e studenti, in più alcune federazioni usano gli introiti per pagare gli affitti”.
Vero o falso lo chiarirà il giudizio di merito. Intanto per il collegio di giudici non era stata indicata in maniera trasparente la platea congressuale.
“Non abbiamo mai conosciuto il numero perchè il consiglio nazionale ha approvato una ripartizione dei delegati in bianco. Roba che nemmeno Ceausescu”, fa notare Marco Di Lello, deputato passato nel frattempo nel Pd.
“Gravi brogli” scrive ora in una nota Claudia Bastianelli, coordinatrice Socialdem. “Ma quali brogli!”, si inalbera Nencini. “L’ordinanza dice che manca l’allegato con la ripartizione dei delegati, ma quella la stabilisce la commissione di garanzia, non il Consiglio nazionale. Lo chiariremo nel merito”.
Congelato il congresso di Salerno rimangono in piedi gli effetti di quello di Venezia, vinto nel 2013 sempre da Nencini, come gli ultimi cinque.
Bobo Craxi apre un altro fronte, quello del doppio incarico segretario-membro del governo. “Lo statuto non lo prevede. La linea del segretario è stata sconfitta al referendum, lui era per il Sì, abbiamo vinto noi del No. I socialisti sconfitti del Sì devono tornare a cogestire il Psi”.
Voti contati, polemiche tante: il socialismo italiano si lecca le sue ferite proprio mentre sorge l’anno del suo 125esimo compleanno
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO UN DIPENDENTE ERA IN REGOLA, GLI ALTRI IRREGOLARI O IN NERO
Ballerine, addetti alla sicurezza e al guardaroba, camerieri, barman. Tutti irregolari, 40
addirittura in nero.
Un solo dipendente era in regola: praticamente il locale era «total black».
Questo secondo la Guardia di Finanza di Desenzano del Garda, che ha fatto il blitz al Sesto Senso, rinomata discoteca di Lonato, provincia di Brescia: i controlli si sono svolti a ottobre e hanno permesso di individuare 40 lavoratori in nero e 34 irregolari. Per il sabato sera di «apertura» della stagione invernale, il proprietario del locale aveva ingaggiato 75 lavoratori, tra cui numerose ballerine , diversi addetti alla sicurezza, al guardaroba, camerieri e barman.
Nello specifico, dopo la prima rilevazione effettuata dai finanzieri al momento dell’accesso presso il locale del lago di Garda, sono stati svolti, nel periodo successivo, mirati accertamenti nei confronti di tutto il personale identificato.
All’ esito di tale attività è risultato regolarmente assunto 1 solo lavoratore con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, 34 erano gli irregolari per mancanza di attivazione preventiva dei “voucher” di retribuzione obbligatori per ogni ora di lavoro mentre i restanti 40 erano privi di qualsiasi formalità riguardante la collaborazione e l’impiego con il locale da ballo.
I militari di Desenzano hanno pertanto contestato al legale rappresentante della società , la violazione amministrativa che prevede una sanzione di € 1.500,00 per ogni lavoratore in nero e di € 800,00 per ogni lavoratore irregolare.
In tutto fanno 85mila euro.
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
PER BLOCCARE L’USO DEI PETARDI CI VORREBBE UN INTERVENTO DELLA UE
Se l’accensione dei fuochi d’artificio è da sempre una tradizione tipica della notte di San Silvestro, non deve aver pensato la stessa cosa Virginia Raggi. E prima di lei, circa altri 1400 primi cittadini italiani.
La Raggi, infatti, non è altro che il fanalino di coda di una lunga fila di Sindaci scesi in campo con misure extra ordinem, per combattere la battaglia contro i petardi di Capodanno.
Ma i botti di Capodanno non possono considerarsi un fatto straordinario, e infatti il Ministero dell’Interno ha ribadito come dalle ordinanze non emergano situazioni non preventivabili e, soprattutto, come ulteriori divieti non possano essere stabiliti in alcun modo dai Sindaci, ma solo dalla normativa di settore.
Non solo, ma quando il Sindaco adotta ordinanze di questo tipo, lo fa in qualità di Ufficiale del Governo che espleta servizi di competenza statale, e dunque è in rapporto di dipendenza dal Prefetto e deve pertanto comunicare preventivamente il provvedimento, anche ai fini di predisporre gli strumenti necessari ad una sua attuazione.
Ecco spiegato il motivo per cui sembra essere stata bloccata l’ordinanza nella Capitale, forse emanata più che altro per ottenere la risonanza mediatica del divieto.
Uno degli aspetti più gravi delle ordinanze, e meno propedeutici, sembra essere quello che ha visto porre alla stessa stregua tutti gli articoli pirotecnici, anche quelli “declassificati”.
In questo modo, esplosivi micidiali catalogati F4 (il massimo indice di pericolosità secondo le normative europee) sono stati accomunati alle stelline scintillanti che i bambini infilano nei panettoni.
Il risultato? Una grossa ritorsione sul mercato legale, e una fortissima accelerazione delle vendite in nero.
Soprattutto se si parla dei famigerati «petardoni», vera causa degli incidenti che si verificano a Capodanno e responsabili principali di feriti gravi, animali offesi e danni al patrimonio pubblico e privato.
A sentire il presidente di SI.N.O.P. Pierdaniele Friscira, uno dei massimi esperti del settore, i petardoni non c’entrano niente con i fuochi d’artificio.
Nascono come articoli professionali, ma lo stesso Friscira assicura di non sapere come utilizzarli in uno spettacolo.
Non solo: l’esplosivo detonante può essere estratto troppo facilmente ed ha una velocità di detonazione di 4800 metri al secondo, per una potenza appena il 30% inferiore al tritolo.
I petardoni, però, sono assolutamente legali. Se milioni di pezzi vengono immessi sul mercato e i pirotecnici non li acquistano, molti di questi ordigni finiscono tra le mani di chiunque, anche dei terroristi.
Su YouTube tantissimi video mostrano minorenni che li nascondono in cameretta senza sapere che se dovessero esplodere uno vicino all’altro potrebbero distruggere il palazzo.
«Vengono fabbricati con il marchio CE, il quale permette la libera vendita e circolazione in Europa — sottolinea Friscira —. In Viminale hanno detto di essere a conoscenza del problema e che l’omologazione del Ministero cesserà nel 2017, ma è proprio questo il punto: i petardoni continueranno ad avere il marchio europeo e a finire tra le mani dei ragazzi».
Non può bastare, dunque, un’ordinanza d’urgenza. Il problema è alla base. Bisogna insistere con la Commissione Europea affinchè ne impedisca la fabbricazione e ritiri quelli già certificati.
Solo così potranno diventare davvero illegali.
Francesco Moroni
(da “La Stampa”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
PLAUSO DELL’EX PREMIER PER LA SQUADRA DI GOVERNO, PRESSING SULLA LEGGE ELETTORALE
Tanto per cominciare, il piano sui sottosegretari è stato rispettato alla lettera: varare una squadra fotocopia con scambi di poltrone che si contano sulle dita di una mano era la migliore soluzione per far capire che il Pd vuole elezioni subito.
«E non era scontato farcela», raccontano gli uomini dell’ex premier.
Dunque anche questa mossa è piaciuta al convitato di pietra di questa giornata campale, cioè Matteo Renzi.
«Rivendico questa continuità sul piano politico», mette le cose in chiaro Gentiloni, come a dire idealmente che «io e Matteo siamo una cosa sola».
E che sia proprio così lo dimostrano segnali vari, come il fatto che Filippo Sensi in questa fase faccia da portavoce a entrambi – premier ed ex premier – o come la scelta di Gentiloni di nominare capo del suo staff Antonio Funiciello, presidente del Comitato del Sì e spin doctor di Luca Lotti a Palazzo Chigi.
Gli scambi whatsapp e le chiacchiere sui cellulari riportano dunque solo carezze per chi sta pedalando in tandem con Matteo nella stessa direzione di marcia, ovvero il voto anticipato.
Nessun rilievo di sorta al neo premier. Il che, per una tribù sospettosa e abituata a pensar male come quella del «giglio magico» è fatto raro, specie se si tratta di commentare le azioni di chi ora mena le danze.
Promosso alla prova del fuoco della conferenza di fine anno dal suo predecessore, che dalle Dolomiti ha seguito a distanza la condotta del suo prescelto.
«Paolo va benissimo, è stato bravo, del resto Matteo sul voto e sulla legge elettorale non mette prescia a lui, ma al Parlamento», racconta il fiorentino David Ermini, amico di Renzi nonchè responsabile giustizia del Pd.
Che apprezza i toni e le professioni di lealtà dimostrate ad ogni piè sospinto. «Potete crederci o no, ma gliel’ho chiesto io alla Boschi», giura Gentiloni, caricandosi sulle spalle anche il fardello della riconferma della testimonial della riforma costituzionale, addossato finora solo al leader. Il quale ovviamente ha gradito questo gesto, così come non sono sfuggite le parole di «massima considerazione» nei riguardi di Lotti.
Renzi viene menzionato dal premier per dare plastica rappresentazione di una lealtà formale e sostanziale, con toni perfino protettivi in vari passaggi: riproducendo un copione di sintonia umana e politica che arriva fino al paradosso di non nutrire istinti difensivi verso la propria poltrona di premier.
Perchè quando Gentiloni dice che «non si può vedere il voto come una minaccia», non fa che ammettere la sua disponibilità a lasciare Palazzo Chigi quando glielo chiederanno: cioè quando Renzi farà capire a Mattarella che il Pd non vorrà andare oltre, una volta ottenuta l’armonizzazione dei sistemi elettorali tra le due Camere.
«Con Renzi ho un rapporto di stima e collaborazione e penso che questo sia un vantaggio per il Pd e il governo», dice Gentiloni, facendo capire quale sia la vera polizza per la stabilità .
Un rapporto che consente ai legionari del renzismo di battere da giorni su ordine del leader le truppe nemiche, «Nessuna melina sulla legge elettorale, i partiti si muovano, questo famoso 60% del No era una bufala, perchè quando dal No si passa a dover dire un Sì tutti scappano», è lo sfogo del leader con i suoi interlocutori.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
E’ UN SISTEMA DOVE NESSUNO VINCE, MA ALMENO NESSUNO PERDE E TUTTI SONO RAPPRESENTATI
Il nuovo anno ci porterà alla fine della legislatura, con il dilemma della legge elettorale con cui
andremo a votare.
Dilemma che diverrà di impellente attualità dopo che a fine gennaio la Corte costituzionale, molto probabilmente, annullerà il c.d. Italicum.
Sappiamo bene che i modelli elettorali sono pressochè infiniti (sono in Italia fra comunali, regionali ed europee ne applichiamo una decina).
Ma, ora, a contendersi il campo abbiamo sostanzialmente due ipotesi. Entrambe già note al corpo elettorale:
il Mattarellum, con cui abbiamo votato dal 1993 al 2005; un maggioritario a turno unico per il 75 per cento dei voti, con il recupero proporzionale del restante 25%.
Un sistema misto che incentiva le coalizioni, perchè i 3/4 dei seggi (475 alla Camera e 232 al Senato) sono assegnati a chi vince il collegio, per cui si punta a coalizioni pre-elettorale.
La storia ci insegna che queste coalizioni (Ulivo, Polo delle libertà , Polo del Buon governo) non sempre restavano coese dopo il voto, ma tendenzialmente individuavano un leader che diventava presidente del Consiglio (almeno a inizio legislatura), con governi abbastanza lunghi (Berlusconi II, Prodi I).
il proporzionale, sistema con cui abbiamo votato dal 1948 al 1992. Un sistema semplice, a preferenza unica: tutti i seggi vengono assegnati in base ai voti ricevuti, senza sbarramenti o premi di maggioranza.
In tal modo ciascun partito ha generalmente corso da solo per poi giungere ad accordi dopo le elezioni, per raggiungere la fiducia.
La storia ci fa ricordare il sistema del “penta-partito”, in cui accanto alla Dc e al Psi i partiti minori diventavano decisivi per raggiungere la maggioranza (Pli, Pri, Psdi).
In genere ci ha portato ad avere governi più fragili e di breve durata (salvo Craxi I, Moro III, De Gasperi VII).
Oggi noi abbiamo un sistema politico confuso, con tre schieramenti, ciascuno alle prese con i suoi problemi interni.
A cui si aggiunge una grande disaffezione popolare e tanta incertezza.
In questo quadro i partiti sceglieranno l’azzardo di un sistema elettorale che consentirà a qualcuno di vincere o preferiranno un sistema in cui non perde nessuno?
Davvero non ho dubbi.
Il Mattarellum è un modello troppo azzardato in questo quadro, ancor più se corretto con un piccolo premio di maggioranza che sostituisce il recupero proporzionale.
Ma oggi, il Pd ha paura dei 5 Stelle. I 5 stelle tentano il grande passo. Le minoranze a sinistra provano a organizzarsi. Il Centro-destra è frammentato.
Tutti sanno che il voto è imprevedibile, come accaduto il 4 dicembre.
Allora meglio il sistema proporzionale che non fa vincere nessuno, ma nemmeno farà perdere nessuno. A ciascuno il suo e basta.
Senza il rischio di dover lanciare i dadi.
Se avessi 1 euro da scommettere, scommetterei di votare con il proporzionale in autunno 2017 o ancor più probabilmente a febbraio 2018.
Alfonso Celotto
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
CON I VOTI DEL 2013 NESSUNO AVREBBE LA MAGGIORANZA…LE QUATTRO SIMULAZIONI DEL SISTEMA
La legge elettorale è da rifare e il Pd rilancia il Mattarellum, con cui si è votato dal ’94 al 2001.
Ma cosa succederebbe se si votasse con quel sistema?
E il risultato sarebbe diverso rispetto a un modello proporzionale?
Stime precise non sono possibili, ma simulazioni sì, tenendo presente alcune variabili. Innanzitutto il passaggio da un sistema bipolare ad uno tripolare, che vede oggi i 5Stelle in campo accanto a centrosinistra e centrodestra.
Inoltre rispetto al Porcellum (con cui si votò nel 2013) il Mattarellum (75% di maggioritario, 25% di proporzionale) introduce fattori in grado di spostare consensi: la capacità attrattiva dei candidati di collegio, la necessità di coalizzarsi.
Ecco quattro diverse simulazioni del Mattarellum elaborate da Salvatore Vassallo, docente di
Scienza politica all’università di Bologna, sulla base della distribuzione territoriale del voto 2013 (escluse Valle d’Aosta e estero)
La prima riporta i consensi di quella tornata nei collegi uninominali ipotizzando, sulla base dei flussi stimati alle Europee 2014, che i voti di Scelta Civica (Monti) vadano per il 40% al centrosinistra (Pd+Sel) e per il 60% al centrodestra (FI+Lega+Fratelli d’Italia).
Risultato: nessuno dei tre poli ottiene una maggioranza autosufficiente.
Il centrodestra è la prima forza con 291 seggi alla Camera (ne servirebbero 316) e 154 al Senato (contro 161 necessari).
Visto il rifiuto dei pentastellati a stringere alleanze solo un accordo tra centrodestra e centrosinistra potrebbe far nascere un governo.
Nella seconda tabella i 5Stelle arrivano ai livelli massimi dei sondaggi: il 31% alla Camera, dove otterrebbero 189 seggi, 73 al Senato, a scapito degli altri.
Ma neanche loro avrebbero la maggioranza
Nella terza simulazione il centrosinistra supera il 37% alla Camera (il Pd alle Europee toccò il 40%).
Sfiorerebbe così la maggioranza a Montecitorio con 307 seggi e la conquisterebbe per un soffio al Senato (161 seggi); per governare avrebbe comunque bisogno di una intesa (almeno con un pugno di parlamentari).
Ma se uno dei poli arriva invece intorno al 40% conquista la maggioranza: è l’esempio della quarta tabella, dove il centrodestra tocca il 39% e prende 357 seggi alla Camera e 184 al Senato. 
«Questo dimostra che la Mattarella, se i tre poli sono più o meno equivalenti fotografa la situazione, ma se l’elettorato predilige nettamente uno dei tre si riattiva la dinamica maggioritaria», sostiene Vassallo
Al contrario un proporzionale come il Consultellum «in nessuno di questi quattro scenari emergerebbe una maggioranza autosufficiente e omogenea ». Le larghe intese quindi sarebbero l’unica alternativa ad un ritorno alle urne.
Quanto alla proposta di un proporzionale corretto da un premio, Vassallo avverte che si correrebbe un rischio non da poco: «Con un sistema bicamerale e una struttura tripolare dell’offerta politica si rischia il paradossale risultato di avere premi attribuiti a forze antagoniste alla Camera e al Senato. Forse — è il suo suggerimento – un Mattarellum rivisitato, che mischi sistema tedesco e spagnolo, potrebbe essere la soluzione. Nel 2007 Veltroni e Berlusconi ci andarono vicini ».
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 30th, 2016 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SALVA IL COMMERCIO AMBULANTE DALLA DIRETTIVA BOLKESTEIN… CERTI INTERESSI ECONOMICI NON POSSONO ESSERE TOCCATI E TANTO MENO REGOLAMENTATI DA BANDI PUBBLICI TRASPARENTI
«Il termine delle concessioni è prorogato al 31 dicembre 2020»: alla fine è il governo che
“salva” il commercio ambulante dalla direttiva europea Bolkestein che imponeva nuovi bandi per le assegnazioni dei posti entro maggio 2017.
Mentre il Consiglio del Lazio e l’Assemblea Capitolina votavano infatti impossibili richieste di modifiche alla direttiva (visto che era una norma nazionale, che poteva essere modificata soltanto dal governo), l’esecutivo decideva di darla vinta agli ambulanti che protestavano con Luigi Di Maio, proponendo una proroga nel Milleproroghe che ora dovrà essere votata dall’Aula ma ha la maggioranza dalla sua parte.
Alla fine quindi i Tredicine, ovvero la famiglia di Roma che possiede per sè o attraverso prestanome gran parte delle licenze di ambulantato in città , li salva il governo Gentiloni.
Anche se c’è qualcuno che non è molto contento: “La proroga quasi quadriennale, dal luglio 2017 al 2020, del termine per le concessioni del commercio su aree pubbliche è un fulmine a ciel sereno per il settore. Centinaia di comuni hanno già attivato le procedure per rinnovarle. Cambiare in corsa le regole del gioco, ad appena sette mesi dalla scadenza inizialmente prevista, non farà altro che creare ulteriore confusione e incertezza”, dice Maurizio Innocenti, presidente di Anva, l’associazione Confesercenti del commercio su aree pubbliche.
“Abbiamo sempre contestato e contrastato la direttiva Bolkestein — continua Innocenti — e abbiamo lavorato duramente per raggiungere in sede di Conferenza Stato Regioni un accordo sul rinnovo delle concessioni che tutelasse i circa 200mila imprenditori del settore ed i loro dipendenti. Un’intesa equilibrata ed utile a tutti, perchè premia l’esperienza degli operatori, confermata anche da questo provvedimento. Lo stop di tre anni stabilito dal governo, però, rende il settore complessivamente più fragile, perchè rinvia la soluzione definitiva della questione. Sorprende inoltre l’inserimento dell’intervento nel milleproroghe, in assenza di scadenze al 31 dicembre 2016. Le stesse Regioni che hanno gia’ adottato provvedimenti al riguardo non ci risultano essere state preventivamente consultate, nonostante abbiano piena competenza in materia di commercio su aree pubbliche. In generale, comunque — conclude Innocenti -, ci aspettavamo una proroga tecnica temporalmente più contenuta. Sulla legittimità della norma si pronunceranno gli enti competenti, nel frattempo, in attesa della conversione in Legge, agiremo nel modo piu’ efficace per dare le massime tutele agli imprenditori che esercitano la propria attività su aree pubbliche”.
Di tutt’altro tenore i commenti dei 5 Stelle: “Finalmente, dopo anni di dura lotta e di pressioni nei confronti prima di Letta, poi di Renzi e quindi di Gentiloni, l’applicazione della direttiva Bolkestein nei confronti degli operatori del commercio ambulante è rimandata al 2020″,
Esulta anche il presidente dell’ANCI e sindaco di Bari Antonio Decaro: “L’allineamento al 2020 delle concessioni per il commercio ambulante pone poi i Comuni in condizione di lavorare in maniera adeguata sull’applicazione della Bolkestein. Mentre esprimiamo apprezzamento per la sensibilità su questi punti dobbiamo ricordare la necessita’ di affrontare quelle questioni, pure in rilievo per i Comuni, che non hanno trovato risposta nella Legge di Bilancio”.
In questa fine del 2017 la direttiva Bolkestein era stata oggetto di molti appelli alla modifica.
L’unico modo per farlo però era emendare la legge dello Stato che recepisce la direttiva, e quindi tutte la bagarre create nei vari consigli regionali servivano solo a far rilevare che ci sono degli interessi economici che non possono essere toccati e regolamentati da bandi pubblici aperti e trasparenti.
In particolare per quanto riguarda la questione romana questo è già evidente da tempo, sia dall’Amministrazione Alemanno (in Consiglio Comunale sedeva un Tredicine) sia per quanto dichiarato di recente dal Presidente della Commissione Commercio Andrea Coia che ha salvato il Natale dei Tredicine in Piazza Navona.
Adesso hanno vinto. Grazie a Gentiloni.
(da “NextQuotidiano”)
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