Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LUI STA SCONTANDO TRE ANNI E TRE MESI PER BANCAROTTA AI SERVIZI SOCIALI… SI E’ RIFATTO UNA VITA, COME LE RAGAZZE ESCORT
A Bari, oggi, è attesa una sentenza “minore”, che ci ricorderà che c’erano una volta Silvio Berlusconi e Gianpaolo Tarantini, “Gianpi”.
Il Presidente del Consiglio e il suo lenone barese.
E c’erano una volta le cene a Palazzo Grazioli con le ragazze della scuderia e il lettone di Putin.
Sembrava dovesse essere la fine di un Mondo, di un Sistema. E invece le acque si sono richiuse. Sono volati gli stracci. Silvio Berlusconi è tornato.
Gianpaolo Tarantini va a letto presto la sera. E sconta la sua “pena” tra Roma e Cortina. Le ragazze, a modo loro, si sono rifatte una vita. La giustizia penale è malinconicamente affondata nel pantano delle prescrizioni.
A vederlo oggi, diresti che lui, Gianpi, 42 anni compiuti in aprile, non sia cambiato. Sicuramente nell’aspetto. Ma, forse, neppure nella testa.
Sconta una condanna definitiva a tre anni e tre mesi. Non per droga. Non per sfruttamento della prostituzione. Ma per la bancarotta fraudolenta della Tecnohospital, una delle società di quel gruppo di imprese del settore dei prodotti sanitari da 200 milioni di fatturato che avevano fatto diventare “Gianpi” quello che era. A Bari, in Sardegna, a Roma. E che il terremoto avrebbe travolto.
Sconta la condanna non in una cella, ma a Roma nord.
Nella morbidezza di un contesto alto borghese (sia pure nella sua declinazione romana) in cui nuota come un pesce nell’acqua e da cui non si è mai separato. Dividendosi tra una parrocchia nel quartiere Parioli, la chiesa sant’Eugenio, dove un giorno a settimana (il mercoledì) dà una mano ai senzatetto, e un negozio di abbigliamento di marca per bambini, “American Industries”, in via degli Orti della Farnesina, dove segue un disabile mentale nel suo programma di riabilitazione al lavoro. Salvo affacciarsi, in stagione estiva o invernale, nella succursale che quel negozio ha nel cuore di Cortina d’Ampezzo, in piazzetta della Posta.
Date le premesse, proprio male non gli va.
Merito di una certa fantasia nel ritagliarsi un “affidamento in prova ai servizi sociali” su misura.
Merito della nuova compagna da cui ha avuto un nuovo figlio, Allegra Zingone, erede di un’importante famiglia di imprenditori del tessile, e che del negozio in cui “Gianpi” sconta la sua pena è la proprietaria.
La Procura generale di Bari si era opposta a questo esito che, di afflittivo, per Gianpi sembra avere un solo obbligo: rincasare ogni giorno non oltre le 20, costringendolo a una moderazione notturna che non è nel Dna dell’uomo.
Prova ne sia che per un po’, prima della passione per il tessile, Gianpi si era diviso tra il lavoro di “personal assistant” di un capriccioso sceicco del Dubai (“Oggi avrei voglia di una cena a Parigi”, “Tra due ore vorrei fare shopping a Londra”, racconta un amico di Tarantini che fossero le richieste) e le rimpatriate notturne con il nuovo grande amico romano, Stefano Ricucci.
Per carità , sarebbe potuta finire diversamente.
Precedenti penali (una condanna sospesa per millantato credito e corruzione) e antichi “contatti” con capibastone della criminalità organizzata barese – aveva argomentato la Procura generale di Bari – avrebbero sconsigliato l’affidamento in prova ai servizi sociali.
Ma il tribunale di sorveglianza, il 13 dicembre 2016, sarebbe stato di parere opposto. Tarantini ha collaborato con la giustizia e merita una chance. Da qui al 2019, Gianpi resterà nel retrobottega di “American Industries”, pendolando tra Roma e Cortina, tra lane e cappellini.
“Gianpaolo Tarantini ha collaborato con la giustizia”, dunque. Sarà .
Perchè in realtà anche i sassi, a Bari, sostengono che su come siano andate le cose otto anni fa la sappia lunga, ma l’abbia raccontata corta.
Che il segreto diventato assicurazione sulla sua vita sia stato non chiarire sino in fondo i più complicati dei capitoli di quella storia di sex addiction e potere.
Il tragitto della cocaina sull’asse Bari-Sardegna-Roma-Milano e gli appalti che avrebbero dovuto essere il vero trade off per l’organizzazione di quelle magnifiche serate. Per le quali la prima spesa affrontata dal “nostro” erano stati vetri oscurati alle sue auto e una società di consulenza nuova di zecca a Roma.
È un fatto – come spiega nel suo studio il brillante avvocato Nicola Quaranta – che la storia processuale di Gianpaolo Tarantini sia diventata in otto anni un sudoku.
Dei 9 procedimenti che lo avevano travolto a partire dall’estate del 2009, a sentenza ne sono finiti soltanto due: una condanna a 1 anni e 4 mesi (pena sospesa) per turbativa d’asta nella vicenda che aveva coinvolto l’ex vice presidente regionale del Pd, Sandro Frisullo, e, appunto, la bancarotta che sta scontando tra Roma e Cortina.
Degli altri sette, balla ancora in Cassazione (la decisione è attesa a dicembre) una sentenza di condanna a 1 anno e 8 mesi per lo spaccio di cocaina nell’estate dell’incontro con il Cavaliere.
È in Appello, invece, la condanna a 7 anni e dieci mesi per il reclutamento di una dozzina di ragazze per le cene nelle residenze di Berlusconi, dove, però, 14 dei 21 capi di imputazione sono già stati fulminati dalla prescrizione.
Che è poi la stessa fine che rischiano di fare i 5 anni e 7 mesi (a sentenza oggi) chiesti in primo grado per le corruzioni a medici e manager delle Asl pugliesi, ai quali Tarantini vendeva le sue “protesi fetenti”.
Mentre non si vede ancora la fine, perchè è all’inizio, di un secondo processo di corruzione che, a sei anni dalla chiusura delle indagini preliminari, non è ancora a sentenza di primo grado. Lasciando prevedere, facilmente, che anche qui tornerà utile la prescrizione.
Che, del resto, ha già fatto il suo lavoro in un processo a Taranto, sempre per vicende legate alla Sanità , e in quello sui finanziamenti illeciti concessi all’attuale assessore regionale del Pd, Michele Mazzarano.
Un capolavoro difensivo. O, forse, e al contrario, un suicidio della giustizia penale. Che peraltro ha trovato il tempo per archiviare il procedimento che lo vedeva coinvolto con Walter Lavitola e Berlusconi e nel quale Tarantini è passato da indagato a parte offesa.
Una capriola che porta la data di chiusura indagini del 2011 e un inizio di processo ancora da fissare (la procura di Bari ha appena chiesto il rinvio a giudizio).
Insomma, per dirla con Massimo D’Alema in quel lontano 2009, quando di cosa bollisse nel pentolone barese nessuno sapeva, “la scossa” chi ha fulminato davvero? Se si resta nei tribunali, di “fulminati” se ne contano sulle dita di una sola mano. Massimiliano Verdoscia e Alessandro Mannarini, i due amici di Gianpi (li chiamavano “i tre moschettieri”) che per suo conto compravano coca. Si sono presi 4 anni e 6 mesi. E attendono una sentenza definitiva di Cassazione in dicembre. Verdoscia si è reinventato come rappresentante di vini di un’importante azienda del Nord. Mannarini fa la spola con Milano e dicono passi il tempo a confezionare marmellate della sua bellissima masseria salentina.
E le ragazze? Patrizia D’Addario, Barbara Montereale, Graziana Capone, per esempio?
Se chiedi all’avvocato Salvatore Castellaneta, condannato a 11 mesi (pena sospesa) per aver consigliato Gianpaolo Tarantini di imbarcare nella serate a Palazzo Grazioli Graziana Capone, allora sua giovane collaboratrice di studio, da allora in poi la “Angelina Jolie” delle Puglie, ti trovi di fronte a un naufrago.
Che ha pagato per primo e, in proporzione, più di tutti. “Quella storia ha distrutto la mia vita. Non so e non voglio sapere più niente di nessuno. E questo solo per aver presentato una ragazza a Tarantini. Avevo uno studio tra i più grandi di Bari che fatturava 700mila euro l’anno. E ora non arriva a 70. Ho perso incarichi peritali e non siedo più in nessun collegio sindacale. Mi salva la masseria di famiglia. La Capone? L’ho incontrata l’ultima volta nella saletta Freccia Alata dell’Alitalia. Lei mi ha sorriso, io ho evitato lo sguardo. Sapevo fosse finita a Londra”
Graziana Capone sorride anche ora, mentre ordina una mozzarella di bufala ai tavoli di un bistrot del quartiere Prati di Roma. “Avete visto che pancia? Nasce tra tre mesi. È un maschio. Che dite, lo chiamo Silvio? Sto scherzando…”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI UNA RAGAZZA LIVORNESE: “MI HA AIUTATA AD ASCIUGARE LE LACRIME E PORTATA IN SALVO”… “POI PARLANO DEGLI STRANIERI A CASA LORO, VERGOGNATEVI”
“Camminavo da sola per strada, saranno state le 23.30: inizia così il post che Giada ha
pubblicato su Facebook il 15 ottobre.
Sembra un racconto come tanti, di un sabato sera qualunque passato a Firenze, e invece questa ragazza livornese ha fa sapere di aver subito delle pesanti molestie da un gruppo di italiani che lei non conosceva, riuscendo a salvarsi solamente grazie all’intervento di un venditore ambulante di rose.
“Mi si avvicina un gruppo, saranno stati 25 ragazzi ubriachi (italiani), scherzano, mi chiedono un selfie, ridono… io volevo andare via” ha proseguito poi la ragazza sul social di Zuckerberg. “A un certo punto, non saprei nemmeno spiegare come, mi accerchiano e iniziano a dire frasi come ‘daaai vieni con noi, […] ti facciamo godere, tanti tutti insieme non ne hai mai visti, tanto si vede che sei una che ci sta”.
È accaduto lo scorso sabato, in piazza della Repubblica, nel pieno centro storico del capoluogo toscano.
La giovane livornese respinge le avances: “Decidono di accerchiarmi ancora di più, tenermi per un braccio e iniziare a insultarmi… Io cerco di divincolarmi e andare via ma chiaramente non ci riesco, quindi decidono di tirarmi addosso bicchieri e cannucce e uno di loro, o forse un paio mi sputano, o tentano di farlo, tutto questo mentre altri riprendevano con il telefonino. L’unica persona che interviene Hossein, un venditore di rose ambulante che riesce a mandare via i ragazzi”.
Nel post, del resto, la ragazza inserisce anche la foto del venditore: “Hossein mi dà un fazzoletto per asciugarmi le lacrime, mi porta in un posto dove mi offre da mangiare e da bere, mi fa portare degli asciugamani per pulirmi e mi regala una rosa. Se non ci fosse stato Hossein io stasera non potrei raccontare questa storia, non sapendo come ringraziarlo gli ho donato una mia fototessera in modo che si ricordasse sempre il volto della ragazza che ha salvato quella sera”.
Infine, la ragazza livornese spiega perchè ha deciso di raccontare su Facebook quanto le era accaduto: “Perchè molti pensano che non ci sia bisogno del femminismo, dell’antisessismo, dell’integrazione, che in fondo quei ragazzi stessero solo scherzando, che sono ragazzate, che ‘gli stranieri a casa loro’, perchè i media dicono che ‘lo straniero è cattivo’, che la misoginia non esiste, che l’uomo e la donna sono uguali, che hanno gli stessi diritti e le stesse libertà . Ecco, noi sappiamo che non è così. Noi tutte dovremmo trovare la forza di dire ciò che ci accade, anche se proviamo vergogna, dobbiamo trovare il coraggio parlare, per essere solidali e per non abituarci a questa mentalità machista e per liberarcene”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
RAGGI, APPENDINO, NOGARIN, CINQUE: I SINDACI GRILLINI SOTTO ACCUSA
E ora tocca a Chiara Appendino.
Non c’è pace per i sindaci del Movimento 5 Stelle, dopo Virginia Raggi è il turno della sindaca di Torino, indagata per falso in relazione al bilancio 2016 dalla procura per la vicenda Ream. “Vi comunico che mi è appena stato notificato un avviso di garanzia – ha scritto su facebook – sono assolutamente serena e pronta a collaborare con la magistratura, certa di aver sempre perseguito con il massimo rigore l’interesse della città e dei torinesi. Desidero essere ascoltata il prima possibile al fine di chiarire tutti gli aspetti di una vicenda complessa relativa all’individuazione dell’esercizio di bilancio al quale imputare un debito che questa amministrazione mai ha voluto nascondere”.*
Peraltro Appendino risulta già indagata in un’altra inchiesta della Procura di Torino sui fatti di Piazza San Carlo dove più di mille persone rimasero ferite durante la proiezione della finale di Champions League e una donna è morta schiacciata dalla folla.
Per M5S i guai giudiziari nelle città che amministrano continuano ad aumentare.
Virginia Raggi, prima cittadina di Roma, ha visto archiviare alcune accuse nei suoi confronti ma resta in piedi quella per falso nell’ambito dell’inchiesta per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento Turismo (la procura ha chiesto invece l’archiviazione per l’indagine a carico della sindaca per un’altra nomina, quella di Salvatore Romeo, ex capo della sua segreteria politica, nella quale la prima cittadina risponde di abuso di ufficio).
Altro caso giudiziario recente, e forse tra i più scottanti, riguarda Patrizio Cinque, sindaco di Bagheria, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Termini Imerese sull’affidamento del servizio dei rifiuti, sulla gestione del Palasport e sull’abusivismo edilizio che coinvolge altre 22 persone, tra cui il vicesindaco.
In questo caso a Cinque le ipotesi di reato sono di rivelazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio e turbativa d’asta. In un primo momento era stato disposto per il primo cittadino anche l’obbligo di firma, poi revocato dal Gip di Termini Imerese.
Poi Livorno, dove il sindaco Filippo Nogarin è indagato per bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in bilancio nell’inchiesta relativa alla revoca del cda di Aamps e all’approvazione del bilancio della municipalizzata dei rifiuti.
Altro casi, più laterale: a Quarto, in provincia di Napoli, è finita sulla graticola Rosa Capuozzo. La sindaca eletta con la lista dei grillini non è stata indagata dai magistrati, ma alcune intercettazioni hanno comunque gettato un’ombra sul suo comportamento per i presunti ricatti subiti da un consigliere comunale.
Alla fine anche Rosa Capuozzo è stata allontanata dal M5S.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LE SCELTE CHE HANNO PORTATO A NON ISCRIVERE A BILANCIO LA CAPARRA DI 5 MILIONI DI EURO DELLA REAM PER L’ANNULLAMENTO DEL PROGETTO SULL’EX AREA
La sindaca di Torino, Chiara Appendino, è indagata dalla Procura di Torino per falso in
relazione al bilancio 2016. Il reato nell’ambito dell’inchiesta sull’area ex Westinghouse, per un debito fantasma di 5 milioni di euro verso Ream scomparso dal bilancio 2016.
L’ipotesi di reato per la sindaca di Torino, Chiara Appendino e per l’assessore al Bilancio, Sergio Rolando, che avrebbero ricevuto oggi un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta su Ream Westinghouse, è di falso in atto pubblico.
L’indagine riguarderebbe le scelte che hanno portato a non iscrivere a bilancio la restituzione dei 5 milioni di euro di caparra dovute alla Ream per l’annullamento del progetto sull’area ex Westinghouse.
Il caso Westinghouse è uno dei tanti che hanno portato il MoVimento 5 Stelle torinese a rimangiarsi le promesse elettorali di fronte alla realtà : Chiara Appendino in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe cancellato il progetto messo a punto dalla giunta Fassino, ma poi, una volta eletta, ha confermato l’impegno a investire sull’area dell’ex Caserma Lamarmora, di fronte al Palazzo di Giustizia, dove sorgeranno il nuovo centro congressi della città e un ipermercato della catena Esselunga.
L’inchiesta, aperta dal pm Marco Gianoglio, riguarda l’area ex Westinghouse e i 5 milioni di euro che il Comune di Torino avrebbe dovuto restituire a Ream, partecipata della Fondazione Crt che nel 2012 aveva acquisito il diritto di prelazione sull’area.
La somma non è stata però versata, nè iscritta a bilancio ma considerata come un debito fuori bilancio. Una scelta contestata dalle opposizioni in Consiglio comunale.
Il PM ha sentito Anna Tornoni, ex direttrice del settore Finanza che aveva denunciato le pressioni del capo di gabinetto di Chiara Appendino, Paolo Giordana, affinchè non iscrivesse il debito da 5 milioni a bilancio. il 20 luglio ha sentito Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, che dopo aver chiesto la restituzione del debito ha concesso il rinvio della riscossione del credito
Tornoni, che nel frattempo è stata destinata ad altro incarico, ha confermato agli inquirenti di aver avuto rapporti prevalentemente con Paolo Giordana nella predisposizione dei conti che poi si sarebbero riversati nel bilancio di previsione.
Circostanza che è testimoniata anche dalle numerose email già consegnate alla procura con l’esposto del consigliere Alberto Morano.
Mentre Quaglia ha raccontato di aver trattato sul tema solo con la sindaca e il suo assessore al Bilancio.
Ream, nel 2012, aveva versato la somma a titolo di caparra per esercitare un diritto di prelazione sull’area poi aggiudicata per 19,6 milioni a un’altra società , l’Amteco- Maiora.
I revisori dei conti in occasione della discussione sulla salvaguardia degli equilibri di bilancio in consiglio comunale hanno reso pubblica una lettera del presidente dell’organismo di controllo Herri Fenoglio e degli altri due componenti, Maria Maddalena De Finis e Nadia Rosso.
In quella lettera i revisori hanno messo in evidenza quella che per loro era un’incongruità perchè nella bozza di delibera da loro visionata c’è scritto che «il collegio si esprimeva con parere favorevole, richiedendo di riconoscere e finanziare nel bilancio preventivo dell’esercizio 2018… il debito di 5 milioni, oltre agli interessi legali nei confronti di Ream».
Il collegio invece, ha ripetutamente ribadito di riconoscerlo e finanziarlo nel bilancio preventivo 2017. I revisori sostengono di averlo fatto 4 volte il 27 e il 28 aprile.
Poi con due mail inoltrate con posta certificata il 4 e il 5 maggio dove si comunicava all’amministrazione che l’allegato 5/a «mecc 2017 00884/024 è stato erroneamente corretto nel terzo capoverso a pagina 5».
L’ultimo parere è arrivato il 24 luglio.
Se questa ricostruzione è vera allora la domanda viene spontanea: chi ha modificato quel parere? Le opposizioni da Alberto Morano (Lista civica di centro destra) ad Osvaldo Napoli (Forza Italia) fino a Stefano Lo Russo (Pd) lo hanno chiesto in Consiglio comunale proponendo alla maggioranza Cinquestelle di sospendere la discussione in attesa di chiarire la questione.
A luglio è arrivata la visita della Guardia di Finanza per l’acquisizione dei documenti. Adesso è il turno dell’avviso di garanzia.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
IN TRE PUNTI QUELLO CHE SERVE SAPERE
DI COSA È ACCUSATA APPENDINO
La sindaca di Torino Chiara Appendino ha ricevuto un avviso di garanzia in cui è stata informata di essere stata iscritta nel registro degli indagati dal pm Marco Gianoglio per falso ideologico in atto pubblico.
Lo stesso avviso hanno ricevuto l’assessore al bilancio del Comune Sergio Rolando e il capo di gabinetto della sindaca Paolo Giordana.
Nel bilancio 2016 del Comune sarebbe stato nascosto un debito di 5 milioni di euro. D’accordo con la sindaca il suo braccio destro, Giordana, avrebbe fatto cancellare la casella del debito dal bilancio.
COSA RISCHIA LA SINDACA
Per ora si è alla fase preliminare delle indagini, se la sindaca fosse rinviata a giudizio e poi condannata la pena prevista per questo reato va da uno a sei anni di reclusione. Inoltre le regole al momento in vigore all’interno del Movimento 5 Stelle prevedono, in caso di condanna, anche solo in primo grado, le dimissioni dalla carica ricoperta.
COS’È IL CASO WESTINGHOUSE
L’area ex Westinghouse è nel pieno centro di Torino, a due passi dal Palagiustizia. Un’ex fabbrica che doveva ospitare prima la nuova Biblioteca civica poi un centro congressi e un grosso supermercato.
I 5 milioni di euro, sono la caparra versata per esercitare un diritto di prelazione sul progetto di riqualificazione dell’area ex Westinghouse da parte di una società immobiliare della Fondazione Crt, la Ream.
Il debito era stato contratto dalla precedente giunta ma poichè Ream ha deciso di non esercitare la prelazione il Comune avrebbe dovuto restituirlo nel 2017.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
“NESSUNA “VERGOGNA” O “FANGO”, NON FACCIAMO SCONTI A NESSUNO, PARLANO PER NOI I DOCUMENTI”… LA REPLICA PUNTO PER PUNTO
L’analisi della gestione del Campidoglio si basa su fatti e documenti pubblici e tutto ciò
porta L’Espresso a non far sconti a nessuno, in particolare a chi ricopre un ruolo pubblico o nella pubblica amministrazione.
Come per Virginia Raggi, anche in passato ci siamo comportati allo stesso modo con i predecessori, da Gianni Alemanno a Ignazio Marino, fino al commissario Francesco Paolo Tronca.
Il nostro articolo si basa su dati che chiunque può consultare. Si trovano sul sito istituzionale di Roma Capitale.
Basta andare nella sezione “Deliberazioni e atti” e scaricare le delibere della Giunta capitolina da quando Virginia Raggi è sindaco.
Chi volesse, può controllare di persona qui. Il difficile è raccapezzarsi fra le molte delibere che riguardano l’assunzione dei collaboratori degli assessori, poichè la Giunta ha dovuto spesso riscriverle o riformularle, in alcuni casi su richiesta dell’Autorità anti-corruzione Anac (vedi il caso Salvatore Romeo).
Il criterio con cui abbiamo effettuato i calcoli è molto semplice: abbiamo considerato i collaboratori assunti dagli assessori in carica, quelli chiamati dalla giunta per uffici di Roma Capitale (un esempio è il direttore generale Franco Giampaoletti, che aveva lo stesso incarico al Comune di Genova), i manager scelti per le due principali aziende possedute interamente, Ama e Atac.
La sindaca di Roma ha accusato l’Espresso di usare numeri e cifre “sballati”. Qui c’è la lista completa delle persone ingaggiate dalla prima cittadina nella sua giunta o nelle municipalizzate con relativi emolumenti
Nel foglio di calcolo che abbiamo compilato non abbiamo considerato i collaboratori che erano stati assunti da assessori le cui dimissioni erano già effettive al momento della pubblicazione.
Un altro esempio: nella lista degli 85 attualmente in carica, non ci sono Alfredo Tranfaglia, Mauro Frai, Monica Rossi e Giuseppe Recchia, che al momento delle dimissioni dell’ex assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, risultavano lavorare per lui e in seguito non risultano essere passati ad altri colleghi.
Ci sono invece Andrea Tardito e Marianna Luciani, che sono transitati alle dipendenze di Rosalba Castiglione.
Ecco perchè il numero 85, che non torna con quelli forniti nel suo post da Virginia Raggi. Arrivare ai 102 collaboratori e manager assunti dalla Giunta nei sedici mesi di attività non è dunque difficile, considerando le delibere fatte per collaboratori poi divenuti assessori (come Mazzillo, Luca Montuori, Margherita Gatta), per quelli apparentemente decaduti, per gli ex capo di gabinetto Daniele Frongia (poi vice-sindaco) e Carla Raineri, per i manager presi per le varie partecipate e poi mandati via o dimissionari, da Alessandro Solidoro a Bruno Rota.
Dalla tabella degli 85 si desume facilmente anche il calcolo degli stipendi.
È importante notare che nell’esborso complessivo di 4,1 milioni di euro degli stipendi lordi dei collaboratori non abbiamo incluso quelli dei vertici di Ama e Atac, che sono pagati dalle rispettive società .
Alla stima di 5 milioni di euro del costo complessivo siamo arrivati considerando gli oneri a carico del Comune: come possono facilmente controllare i lettori, tutte le delibere riportano la specifica che nelle cifre non sono inclusi «oneri riflessi e Irap». Ci sono delibere che citano ma non quantificano altre voci, che non ci è stato possibile calcolare: per assumere una collaboratrice da una partecipata, ad esempio, Roma Capitale ha deciso di farsi carico del Tfr maturato e dei contributi al Fasi, il fondo assistenziale dei dirigenti aziendali.
Ci piacerebbe sapere se, nel suo conto, la sindaca ha tenuto in considerazione anche questo genere di costi.
Immaginiamo anche che i collaboratori assunti dagli assessori poi allontanati abbiano comportato un costo, così come i manager delle partecipate che hanno potuto svolgere il loro compito solo per alcuni mesi, se non settimane.
Qui i nostri criteri. Nell’analisi di centinaia di delibere potremmo aver fatto degli errori, di cui nel caso ci scusiamo con i lettori.
Forse non siamo gli unici: al numero di 153 collaboratori assunti dalla giunta Marino citato da Virginia Raggi a noi pare si giunga contando i dirigenti nominati nelle varie direzioni dei dipartimenti e dei municipi, a cui l’attuale amministrazione ha messo mano finora in maniera molto limitata, forse per le note vicissitudini legate all’arresto Raffaele Marra, responsabile del dipartimento organizzazione e risorse umane. Questo non vuol dire che la giunta passata fosse morigerata: tutt’altro.
Non abbiamo mai scritto che i dirigenti delle società partecipate scelti da Virginia Raggi guadagnavano più dei predecessori, anzi abbiamo sottolineato come i loro profili professionali siano ben qualificati.
Allo stesso modo non abbiamo scritto che i collaboratori delle giunte precedenti costavano meno. Basta leggere l’articolo per capire che le questioni sollevate sono altre .
I lettori possono trovare il nostro dossier su Alemanno (il titolo rende l’idea: «Cinque anni di pessima amministrazione, clientele, scandali, figuracce e promesse mai realizzate»).
Non si contano nemmeno gli articoli sui tempi di Marino.
È superfluo, poi, ricordare il ruolo di denuncia giornalistica svolto da L’Espresso nelle vicende di Roma Capitale. Mentre Roma affondava, insomma, noi c’eravamo.
Quando ancora Virginia Raggi praticava la professione di avvocato e poi quando svolgeva il ruolo di consigliere comunale.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
MINACCIA DI QUERELA L’ESPRESSO, NEGA DI SPENDERE PIU’ DI MARINO E ALEMANNO MA TAROCCA I DATI RISPETTO A QUANTO AVEVA DETTO UN ANNO FA… E UNA DELIBERA LA INCHIODA
Virginia Raggi ha già chiesto al suo avvocato di presentare querela contro l’Espresso colpevole di aver parlato di “casta del Campidoglio” in relazione ai nominati dalla giunta.
A riferirlo è la stessa sindaca nei commenti al suo post di ieri sera dove ha voluto rimarcare la differenza tra la sua e le precedenti amministrazioni sia per quanto riguarda il numero dei nominati sia per quanto riguarda il costo complessivo dell’esercito dei collaboratori.
Secondo la Raggi non sono 102, come sostiene l’Espresso, ma solo 54.
I collaboratori della Raggi costano di più di quelli di Marino?
Su Facebook la Raggi definisce “indegno” l’ultimo numero dell’Espresso anzi «degno del peggior giornalismo. Quello che non racconta la verità dei fatti ma getta solo fango per screditare a fini politici l’Amministrazione di Roma».
Secondo la sindaca i numeri e le cifre sono sballati e l’articolo sui miracolati dell’Amministrazione a 5 Stelle di distingue per una diffusa disonestà intellettuale. Virginia Raggi non ha gradito la copertina del settimanale “al limite della blasfemia” che la ritrae come una Madonna dei Miracoli e fa sapere che è assolutamente falsa l’affermazione secondo la quale “Raggi fa il pieno di collaboratori: 102 in 16 mesi”. I collaboratori della Giunta — ribadisce la Raggi sono la metà , 54 in tutto.
L’ammontare totale dei compensi si aggira intorno ai 3,8 milioni di euro e non 5 milioni come riportato dall’Espresso.
La sindaca poi ci tiene a rimarcare la differenza con i suoi predecessori: Ignazio Marino in due anni e mezzo di mandato ha nominato 154 collaboratori per un costo complessivo pari a 7 milioni di euro.
La Raggi insomma non solo ha ridotto il numero dei nominati ma ha pure risparmiato. In proporzione però — basandoci unicamente sui dati forniti dalla sindaca — la Raggi spende di più per lo staff rispetto a Marino.
Con appena un terzo dei collaboratori rispetto al suo predecessore la Raggi spende più della metà di quello che spendeva Marino.
Insomma, anche solo guardando quello che dice la sindaca i suoi collaboratori saranno anche meno ma per i loro stipendi pesano di più sul bilancio rispetto a quelli di Marino
Quanti sono i nominati dalla giunta Raggi?
Come ristabilire la verità ? Chi ha ragione, la Sindaca o l’Espresso?
Per ristabilire la verità è possibile andare a leggere il testo dell’ordinanza numero 84 del 12 giugno 2017 con la quale la sindaca ha stabilito la “Disciplina per la costituzione degli uffici di diretta collaborazione del Sindaco, del Vice Sindaco e degli Assessori“.
Vale a dire il tetto e il numero dei collaboratori che ogni assessore può assumere. Dal documento emerge che dei 34 membri dello staff della Raggi 18 sono interni (ovvero già dipendenti comunali) e 16 sono esterni a chiamata.
Al vicesindaco Luca Bergamo ne spettano 22, di cui nove assunti a tempo determinato. Per fare un confronto Marino aveva fissato a 11 il tetto dei collaboratori esterni del suo ufficio e a 7 quello per l’ufficio del Vice Sindaco.
Altri trenta collaboratori esterni potranno essere assunti dagli Assessori Luca Bergamo, dal dimissionario Massimo Colomban (sostituito da Alessandro Gennaro), Daniele Frongia, Flavia Marzano e Pinuccia Montanari cui ne spettano sei ciascuno. L’Assessore al bilancio (all’epoca Andrea Mazzillo ora Gianni Lemmetti) potrà assumere 11 collaboratori esterni mentre nove ciascuno spettano agli assessori Luca Montuori, Laura Baldassarre, Adriano Meloni e Linda Meleo.
Si arriva così al numero di 102 assunti con contratto a tempo determinato. La giunta di Ignazio Marino si era fermata a 90.
Attualmente sono stati nominati solo la metà dei collaboratori previsti, 54 appunto il cui costo è pari a 3.8 milioni di euro.
Siamo quindi ben al di sopra del milione di cui la sindaca parlava qualche tempo fa. Ed è possibile che una volta ultimate le nomine possa essere superato anche il tetto massimo dei cinque milioni di euro l’anno. Si vedrà eventualmente quando tutte le nomine saranno ultimate.
Il gioco delle tre carte del M5S sugli stipendi dello staff dei sindaci di Roma
Ad agosto del 2016, a due mesi dalle elezioni, la Raggi faceva sapere che non aveva ancora completato le nomine e che “non arrivava al milione di euro“.
La sindaca prometteva che la sua Amministrazione aveva fissato l’obiettivo di spendere meno di cinque milioni di euro l’anno per lo staff. Ovvero appena trecentomila euro in meno di quanto faceva Marino.
Ora la sindaca “scopre” che Marino spendeva addirittura sette milioni di euro e Alemanno 12 milioni di euro.
A pensar male si potrebbe dire che nel M5S si sono accorti che l’operazione risparmio non sta funzionando e quindi per far credere ai romani di aver abbassato i costi della politica hanno pensato bene di “far lievitare” i costi sostenuti dalle amministrazioni precedenti.
Fare come ha fatto la sindaca ieri, che ha rivendicato il “successo” di aver nominato meno collaboratori esterni rispetto a Marino quando deve ancora finire di fare tutte le nomine è un’operazione intellettualmente disonesta.
Anche perchè c’è un documento firmato dalla stessa sindaca dove viene stabilito che la giunta potrà nominare 102 collaboratori.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
DOVEVA COMBATTERE GLI SPRECHI E TAGLIARE LE POLTRONE, INVECE LA SINDACA FA IL PIENO DI ASSUNZIONI, SPESSO NEL GIRO DEGLI AMICI
Alcuni mesi fa la città di Roma aveva deciso di migliorare le condizioni di vita dei gatti
randagi. Il 21 aprile, infatti, la giunta di Virginia Raggi aveva assunto un collaboratore, Edgar Helmut Meyer, scrittore, animalista, portavoce dell’associazione “Qua la zampa”. Tra i suoi compiti c’era quello di «promuovere iniziative a favore dei diritti degli animali» e istituire dei corsi di formazione «per tutor di colonie feline», rivolti ai dipendenti del Comune. Tutte le metropoli civili devono affrontare il problema della salute di cani e gatti abbandonati e, dunque, lo stipendio di 41.425 euro che l’assessore Giuseppina Montanari aveva dato a Meyer era certamente ben motivato.
Anche se, va detto, è curioso notare come un mese dopo l’ingresso in Campidoglio, Meyer si sia presentato sul palco tra i fondatori del Movimento animalista di Michela Vittoria Brambilla, mettendosi subito in rotta di collisione con i Cinque Stelle, che non hanno gradito.
A Roma, in effetti, scorrere il lungo elenco dei collaboratori assunti dalla giunta Raggi dall’insediamento a oggi fa venire il sospetto che tra gli oltre 23 mila dipendenti comunali ci siano poche persone davvero in grado di lavorare.
Il 4 agosto scorso, ad esempio, un medico fisioterapista dell’Ospedale Israelitico, Andrea Pece, è stato assunto (stipendio: 55.158 euro) per favorire la pratica dello sport inteso come «ricerca del benessere fisico», coinvolgendo le società dilettantistiche presenti sul territorio e promuovendo lo sviluppo «di un’impiantistica leggera negli spazi aperti». Qualche mese prima era toccato a Andrea Lijoi, allenatore di rugby e docente di scienze motorie, ingaggiato con una retribuzione di 44.720 euro per aiutare, pure lui, il vice-sindaco Daniele Frongia a convincere i romani a darsi all’attività fisica, «tenuto conto della valenza», dice la delibera, che ha «quale strumento di formazione della persona».
I nomi di Meyer, Pece e Lijoi fanno parte di uno squadrone ben nutrito.
Tra i collaboratori esterni, i manager presi e poi licenziati, i (rari) funzionari trasferiti da un altro ente pubblico, in un anno e quattro mesi Virginia Raggi ha già assunto 102 persone, una dozzina in più di quante ne avesse prese in due anni e mezzo di governo il predecessore Ignazio Marino.
Non tutti sono ancora a libro paga dell’amministrazione, perchè nel via vai di assessori sfiduciati o dimissionari qualcuno è presumibilmente tornato a casa.
Tuttavia, se ci si limita ai collaboratori che lavorano per l’intera giunta o assunti dagli assessori oggi in carica, il numero resta elevatissimo: 85 persone.
Il costo complessivo è di 4,1 milioni di euro se si considerano gli stipendi e sale a circa 5 milioni, tenendo conto degli altri oneri a carico del Comune.
Nel bilancio di una metropoli come Roma può sembrare una cifra trascurabile.
Eppure, leggere la sequenza dei nomi di chi ha trovato un posto grazie a Virginia Raggi aiuta a mettere a fuoco due immagini molto chiare.
La prima è la fotografia quasi scontata di un movimento di protesta che, arrivato nella stanza dei bottoni, assapora l’ebbrezza di dispensare poltrone e stipendi. E, con il paravento del rapporto fiduciario, sceglie con criteri di selezione mai dichiarati anche amici e attivisti, di cui fornisce curriculum ridotti all’osso.
Quando, invece, Roma avrebbe bisogno di puntare con determinazione su persone capaci di far ripartire una città che fatica persino a spendere i soldi che ha a disposizione per gli investimenti, se solo sapesse organizzare meglio i propri uffici.
La seconda immagine, meno prevedibile, è la radiografia delle varie fasi che la giunta Raggi ha attraversato nel suo travagliato percorso.
I sedici mesi della sindaca alla guida del Campidoglio, in effetti, sembrano suddivisibili in almeno tre momenti diversi fra loro, dall’euforia dei primi, confusissimi, giorni, alla realpolitik dei tempi correnti, quando i manager arrivati dal Nord con il viatico di Davide Casaleggio e dell’assessore (anche lui uscente) alle partecipate, Massimo Colomban, si sono trovati a dominare le scelte più controverse, come l’approvazione del progetto per lo stadio della Roma o il commissariamento dell’azienda dei trasporti, l’Atac.
È forse questa la chiave di lettura più interessante del boom di incarichi assegnati dalla sindaca Raggi, i quali, visti in successione, forniscono una rappresentazione delle vicissitudini attraversate dalle elezioni in poi.
Dopo il primissimo start, con addetti stampa, colleghi di lavoro degli uffici di provenienza dei diversi assessori, personale politico legato al Movimento 5 Stelle, si entra nel pandemonio suscitato dai “Quattro amici al bar”, come si era battezzato in una chat telefonica il gruppetto di collaboratori più fidati della sindaca, il vice Frongia, Salvatore Romeo, il tuttofare della scalata al Campidoglio, e Raffaele Marra, il dirigente inviso a una parte del partito ma che la prima cittadina aveva deciso di difendere a ogni costo.
La promozione con annesso maxi-aumento di stipendio di Romeo, l’insofferenza dei quattro nei confronti della giudice Carla Raineri, il capo di gabinetto la cui nomina era stata avallata da Casaleggio e Beppe Grillo, l’arresto di Marra con l’accusa di corruzione per una vicenda immobiliare che risale a quando lavorava con Gianni Alemanno, sono fatti ormai noti.
Eppure, proprio i materiali depositati nel corso dell’indagine a carico di Marra permettono di percepire il clima di quei giorni, quando il gruppo dei “quattro amici” si gioca ogni carta utile per sbarazzarsi degli avversari interni o dei funzionari che considera meno pronti a seguire il nuovo corso.
Marra aveva stretto un rapporto di confidenza con Antonio De Santis, un assistente parlamentare che la sindaca aveva prelevato nel gruppo dei Cinque Stelle alla Camera, affidandogli la delega al personale (stipendio: 55.158 euro).
E questo permetteva a De Santis di esprimergli qualche perplessità persino sull’attivismo di Romeo, l’uomo che aveva indicato Virginia come beneficiaria di una polizza vita: «Salvatore sembra che ha conquistato la Gallia e deve costituire l’impero… Ci vuole calma invece… Quando entro in confidenza mi permetterò di dirglielo», scriveva De Santis a Marra via WhatsApp il 23 luglio 2016, prima ancora di ottenere ufficialmente l’incarico dalla giunta.
In quei primi mesi, tuttavia, non era il solo Romeo a respirare a pieni polmoni l’atmosfera euforica di conquista.
Il 4 ottobre lo stesso De Santis segnala a Marra un «amico di grande fiducia» che lavora in Corte dei Conti, e che potrebbe occupare una posizione nell’ufficio di Romeo; il 17 ottobre gli annuncia di aver «appena mandato su Saturno» qualcuno vicino a un altro funzionario dello staff; il medesimo funzionario che, qualche giorno dopo, De Santis si rallegrerà di aver rimproverato aspramente «in pompa magna davanti a tutti».
Marra, inizialmente vice-capo di gabinetto, poi retrocesso a direttore del dipartimento organizzazione e risorse umane, smista continuamente richieste e sollecitazioni che riguardano ruoli e poltrone.
Sui toni delle telefonate si potrebbe scrivere un trattato di sociologia ma poche suonano vivide come quelle con Giovanni Boccuzzi, presidente grillino del Quinto Municipio di Roma.
Il 3 novembre Marra gli telefona per fargli il nome di una persona che gli manderà per una posizione vacante. Boccuzzi è sul chi va là , ha sentito parlare del carattere difficile della candidata e vuole rassicurazioni sul fatto che sia adatta a lavorare: « Quanti anni c’ha?», chiede, «perchè se è una giovane, uno ce se po’ parla’, se una è già anziana, è incancrenita, non ce se po’ parla’…»
Quella prima fase di euforia e di scontro interno va esaurendosi già dall’autunno 2016. Con la sindaca nel mirino di una parte del Movimento, la radiografia delle nomine mostra l’emergere di due diverse figure. Il primo è Colomban, l’assessore mandato da Casaleggio e da Grillo per gestire la grana delle società partecipate dal Comune; il secondo è Andrea Mazzillo, il responsabile della raccolta fondi durante la compagna elettorale, assunto inizialmente nello staff di Virginia (86.000 euro), poi promosso assessore al Bilancio per sostituire Marcello Minenna, dimissionario con la giudice Raineri.
Colomban inizia a tessere la sua tela e assume sei persone, Mazzillo altrettante.
Quando anche quest’ultimo perderà la poltrona, alla fine dello scorso agosto nella battaglia su come gestire la crisi dell’Atac, alcuni suoi collaboratori passeranno a Rosalba Castiglione, una degli assessori che la sindaca nomina per sostituirlo.
Colomban e Mazzillo non sono gli unici a circondarsi di nuovi collaboratori.
Il vice-sindaco Luca Bergamo arriva a quota 7, l’assessore all’ambiente Montanari a 6 (più Meyer).
Anche la sindaca, nonostante le difficoltà , non smette di rinforzare la sua squadra, che raggiunge le dodici teste.
Lo spettro degli incarichi dei suoi si allarga sempre più: Ghislana Caon segue il Far East (45.177 euro), Massimo Castiglione le pagine Facebook e Twitter (41.078 euro), Rosalba Matassa arriva dal ministero della Salute per guidare la Direzione tutela degli animali (59.600 euro).
Diversi stipendi vengono aumentati: Fabrizio Belfiori, assunto tra i primi con poco più di una mancia (1.216 euro l’anno) nel giro di poche settimane riesce a farselo portare a livelli più onorevoli (22.840 euro).
Un filo conduttore di questa seconda fase, in effetti, sembra essere il tentativo di premiare chi si è dato da fare in campagna elettorale, magari per dare un segnale alla base dopo le polemiche sui casi Marra e Romeo.
Il fisioterapista Andrea Pece, ad esempio, che aveva vissuto un momento di popolarità locale come titolare della striscia “Impecettati”, su GoldTv, dove dava consigli agli amanti dello sport, nel 2012 aveva partecipato ai tavoli di lavoro istituiti dal Movimento per raccogliere le proposte dei cittadini e si era candidato alle elezioni del 2013, senza essere eletto.
Tra gli attivisti, qualcuno si merita una carriera fulminea: Margherita Gatta, assunta il 28 giugno 2017 dall’assessore all’urbanistica Luca Montuori con uno stipendio di 55.158 euro per aiutarlo nella «pianificazione strategica delle politiche urbanistiche», poche settimane dopo viene promossa assessore alle Infrastrutture.
Anche lei, quando si ritrova in mano i cordoni della borsa, non esita a chiamare persone dall’esterno e per la sua prima assunzione punta su un profilo più qualificato di quanto fosse il suo quando era stata presa da Montuori, assumendo come responsabile dello staff Maria Grazia Lalloni.
Piccolo dettaglio: il ruolo della neo arrivata Lalloni suona simile a quello vecchio della Gatta quando era una semplice collaboratrice. Pure lei contribuisce alla «definizione della pianificazione strategica delle politiche infrastrutturali». Ma essendo più qualificata, guadagnerà di più (88.728 euro) di quanto facesse la sua nuova capa.
Uno dei problemi più drammatici di Roma è, ormai da tempo, l’incapacità di programmare investimenti seri, utili per migliorare la qualità della vita, di realizzarli nei tempi previsti e senza scaricare costi impropri sulla città .
Uno dei paradossi della Capitale è che, dopo il commissariamento dei debiti cittadini, in parte rifilati allo Stato, il bilancio della città potrebbe tranquillamente sopportare un aumento della spesa per interessi.
Gli addetti ai lavori calcolano che, in base ai vincoli dettati dalle normative nazionali per il patto di stabilità interno, Roma potrebbe spendere dieci volte quanto fa oggi in oneri sui finanziamenti. Il problema non è la mancanza di quattrini ma gli sprechi e gli uffici che non funzionano.
Un piccolo esempio, spesso sottolineato in consiglio dall’opposizione. Quest’anno dovevano entrare in cassa 10 milioni di euro dai condoni, ne arriverà uno solo per una vecchia bega di rapporti contrattuali tra il dipartimento cittadino che dovrebbe occuparsene e una società controllata, la Risorse per Roma.
Lo stesso vale per le cosiddette “affrancazioni”, i quattrini che i cittadini dovrebbero pagare per poter rivendere gli alloggi popolari acquistati a prezzi agevolati: manca un software per rendere fluide le procedure, e tutto va a rilento.
Solo il tempo dirà se, nell’ondata di assunzioni fatte, ci sono profili capaci di aiutare la città a uscire dall’impasse.
Resta il fatto che le sbandate della giunta hanno generato un’evoluzione che si è manifestata pienamente soltanto all’inizio dell’estate scorsa, con la terza fase dell’era Raggi.
Per capire cos’è successo, si può partire nuovamente da un tweet, questa volta dell’assessore Montuori: mostra il via libera arrivato la scorsa primavera al nuovo stadio della Roma, a Tor di Valle.
Sono affiancate due immagini: il vecchio progetto, elaborato ai tempi di Marino e del suo assessore all’urbanistica, il professor Giovanni Caudo, e quello nuovo. Nel primo spiccano tre grattacieli, nel secondo non ci sono più.
Lo slogan scelto dai Cinque Stelle per far digerire lo stadio agli elettori è stato: abbiamo ridotto le cubature.
C’è un però: è vero che nel vecchio progetto si concedeva ai costruttori di edificare di più ma i profitti generati dalle cubature extra andavano per intero a finanziare opere pubbliche, come un ponte nuovo di zecca sul Tevere, l’estensione della metropolitana dall’attuale fermata Magliana alla nuova Tor di Valle, parcheggi di interscambio, un parco fluviale, un ponte pedonale per connettere l’impianto alla stazione ferroviaria sulla Roma-Fiumicino.
Con il nuovo progetto, una bella fetta di queste opere è giudicata non necessaria, e non verrà costruita. Occhio alle cifre: a fronte di una riduzione delle cubature del 40 per cento, le opere pubbliche diminuiscono molto di più, del 70 per cento. I costruttori avranno certamente gradito.
A negoziare l’accordo fra la giunta Raggi, stretta nella gabbia della propaganda che aveva costruito attorno al progetto, e i costruttori, forti del plebiscito dei tifosi giallorossi è stato chiamato un avvocato di Genova, Luca Lanzalone, fino a poco tempo fa ignoto al grande pubblico.
La partita era delicatissima e il legale è stato paracadutato a Roma grazie alla fiducia, si racconta, di Casaleggio. Lanzalone ha lavorato gratuitamente ma lo scorso maggio ha ottenuto la poltrona più prestigiosa della sua carriera: la presidenza di Acea.
Nell’azienda che fornisce acqua, gas e luce alla città è entrato al fianco del nuovo amministratore, Stefano Donnarumma, uno stimato tecnico del settore.
Nomine sulle quali, dal punto di vista del curriculum, pochi hanno da dire. Resta però la peculiare marcia di avvicinamento a Roma di Lanzalone, con il ruolo di mediatore non retribuito in un affare miliardario, che fa il pari con l’altra nomina partorita da Massimo Colomban in questi mesi, il nuovo numero uno dell’Atac, Paolo Simioni, veneto come l’assessore che lo ha scelto.
Anche qui: Simioni ha un profilo tecnico certamente qualificato ma il suo debutto sulla scena romana è stato quanto mai particolare. È arrivato a fine 2016 come coordinatore di un tavolo tecnico sulle partecipate del Comune, pagato (240.000 euro) non dal municipio ma dall’Acea, che lo ha assunto come dirigente proprio per partecipare al suddetto tavolo tecnico.
Poi, il 2 agosto, gli è stato affidato l’incarico di presidente e amministratore delegato di Atac, seguito da quello di direttore generale.
L’undici agosto la prima firma, pesantissima: una parcella da 270 mila euro per dare mandato a un avvocato di Roma, Carlo Felice Giampaolino, di assistere l’Atac nel fallimento pilotato richiesto in tribunale.
Tutto rapidissimo, com’è proprio di una rivoluzione in cui i cittadini, però, appaiono ormai lontanissimi.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile
PER UN TERZO DELLE VOTAZIONI C’E STATA CONVERGENZA TRA RENZI E BERLUSCONI… MA LEGA E M5S HANNO VOTATO INSIEME IL 71% DELLE VOLTE
La Stampa pubblica oggi un’infografica che riepiloga i comportamenti delle forze politiche di questa legislatura a partire da aprile 2013: dal governo Letta all’attuale esecutivo guidato da Gentiloni, passando per i quasi tre anni di Renzi.
L’analisi dei dati parte dalla selezione di 80 voti chiave tra quelli pubblicati da OpenParlamento di OpenPolis.
Colpiscono tre cose.
Primo: il 32,5% per cento delle volte, praticamente in un caso su tre, Pd e Forza Italia hanno votato insieme.
Secondo: l’alleanza post-elezioni tra Lega e Movimento 5 Stelle sembra uno scenario possibile (la convergenza c’è nei 71% dei voti chiave), anche se il sì leghista al Rosatellum sembra aver incrinato i rapporti.
Terzo punto: la convergenza tra il Carroccio e Forza Italia (pari al 67,5%) è inferiore a quella tra grillini e forzisti.
Ecco quindi che le larghe intese, che potrebbero essere favorite dal voto con il Rosatellum Bis nel 2018, nei fatti si possono mostrare anche in questa legislatura.
Dove è di sicuro più significativo il risultato che riguarda PD e Forza Italia, se non altro perchè la Lega e il M5S sono entrambi all’opposizione e a volte si può votare no per motivi divergenti su una stessa legge.
Ma, spiega sempre La Stampa, dal 2013 al 2017 emerge uno spostamento a destra del Movimento.
Un elettore su tre dei Cinque stelle ritiene sbarchi e rifugiati tra i problemi più urgenti da risolvere in Italia (rilevazione Ipsos 2016) e il 70% di loro vede gli immigrati come un «peso» per il Paese.
Non stupisce così che un tema come lo Ius soli avvicini, nei comportamenti in Aula, Lega e Movimento.
In ultimo c’è da sottolineare che la convergenza tra Lega e FI è amplissima per quanto riguarda i provvedimenti economici (80%). Un buon viatico per il governo di centrodestra prossimo venturo. Sempre che abbia i numeri.
(da “NextQuotidiano”)
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