Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
ANGELO PARISI DIECI GIORNI FA INSULTAVA GIORNALISTI E POLITICI SU TWITTER… DOPO CHE E’ STATO SEGNALATO LI HA CANCELLATI
“Non ricordo quei tweet, che vanno comunque contestualizzati. Ad ogni modo sono tweet
di un privato cittadino, quando li ho scritti non ero assessore designato dal Movimento cinque stelle. Cosa c’entra il passato col ruolo che dovrei ricoprire?”: così Angelo Parisi, assessore designato all’Energia da Giancarlo Cancelleri in caso di vittoria del MoVimento 5 Stelle alle elezioni siciliane, si giustificava a LiveSicilia qualche giorno fa con chi gli chiedeva conto dei sui cinguettii piuttosto violenti (eufemismo).
Come quello che ha dedicato al padre del Rosatellum Bis, la legge elettorale più odiata dal M5S:
“Tweet da contestualizzare con le trasmissioni tv seguite e commentate sul social network da Parisi: come quella che il 17 ottobre vede Rosato ospite del salotto di ‘di Martedì’, su La 7. Il capogruppo dem alla Camera difende la legge elettorale ed è protagonista di un acceso duello con il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, ma l’intervento del deputato non piace a Parisi che twitta: “Rosato facciamo un patto, se questa legge sarà cassata dalla Consulta ti bruceremo vivo. Ok?”.
Nella stessa puntata un faccia a faccia tra il presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Roberto Fico, e i giornalisti Massimo Giannini, Francesco Giorgino e Massimo Franco, accende la vis polemica di Parisi. Giannini chiede a Fico un commento a un post di Luigi Di Maio, che a seguito dell’avviso di garanzia inviato al sindaco di Torino Chiara Appendino aveva parlato di un movimento “sotto attacco”.
Parisi scrive: “Ecco l’altro cretino di Giannini che dimostra di non saper manco leggere, eppure il post era scritto in italiano”.
E ancora, storpiando il nome del giornalista di Repubblica: “Giannino il M5s è sotto attacco del Pd e di voi giornalisti servi, coglione”.
L’assessore in pectore non sembra aver compreso che minacciare qualcuno di bruciarlo vivo non è esattamente quello che può permettersi di fare qualunque privato cittadino. Intanto i tweet sono spariti dal social network ma nel frattempo la vicenda è arrivata anche su La Stampa:
Parisi guarda tanta tv, se la prende soprattutto con i malcapitati conduttori e sempre per difendere un 5 Stelle sott’accusa, che sia la sindaca di Torino o la collega di Roma. Il 5 e il 12 ottobre tocca a Corrado Formigli di Piazzapulita, ma i toni al confronto degli altri sembrano quasi gentili: «Formiglio, dopo fango e falsità adesso inviti la @virginiaraggi, al posto suo ti querelerei». Anche il tweet su Rosato è frutto di uno sfogo davanti alla tv, scritto durante la trasmissione di Floris, il 17 ottobre.
Quando in Sicilia, hanno ricordato a Parisi, appena indicato come assessore, le sue frasi, lui ha bloccato il profilo (scelta inusuale per Twitter, aperto a chiunque) e la sua risposta è stata imbarazzata: «Non ricordo quei tweet, che vanno comunque contestualizzati. A ogni modo sono tweet di un privato cittadino, scritti quando non ero assessore designato dal M5S. Cosa c’entra il passato col ruolo che dovrei ricoprire?».
Il passato sono dieci giorni fa, praticamente ieri.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI FIRENZE RIAPRE IL FASCICOLO SULLE STRAGI DI MAFIA DEL 1992 DOPO AVER RICEVUTO DA PALERMO LE INTERCETTAZIONI DEI COLLOQUI IN CARCERE DEL BOSS DI COSA NOSTRA
Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono di nuovo indagati come possibili mandanti delle stragi di mafia del 1993.
Lo scrive oggi Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, raccontando che la Procura di Firenze ha chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari la riapertura del fascicolo dopo avere ricevuto da Palermo le intercettazioni dei colloqui in cella del boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Intercettato, il capomafia di Brancaccio diceva: «Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia…».
Questi sono i colloqui in cui il capomafia di Brancaccio alludeva a Berlusconi con il suo compagno di detenzione: «Novantadue già voleva scendere… e voleva tutto»; e ancora: «Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia… (…) Ero convinto che Berlusconi vinceva le elezioni … in Sicilia … In mezzo la strada era Berlusca… lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi… lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…».
Graviano, affiliato alla famiglia di Brancaccio, è attualmente detenuto nel carcere di Opera a Milano ed è stato accusato di aver azionato il telecomando dell’autobomba che uccise Paolo Borsellino.
Le intercettazioni, ricorda Antimafia2000, sono state fatte nel carcere di Ascoli mentre Graviano parla con il boss Umberto Adinolfi.
Il giallo della frase di Graviano
Il 19 ottobre scorso è stata ascoltata in aula, davanti alla corte d’assise di Palermo che celebra il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, la conversazione del 10 aprile 2016 tra il boss Giuseppe Graviano e il codetenuto Umberto Adinolfi, intercettati durante l’ora d’aria in carcere.
L’ascolto si era reso necessario perchè i consulenti di pm e della difesa di Marcello Dell’Utri erano in disaccordo sulla interpretazione di una parola pronunciata dal capomafia.
Per gli esperti della Procura Graviano avrebbe detto “Berlusca ci fece una cortesia” alludendo a Berlusconi. Per il consulente della difesa, invece, la parola pronunciata sarebbe stata “benissimo”’o “bravissimo”.
Una differenza sostanziale visto che, per l’accusa, nel dialogo, ci sarebbe stata la dimostrazione di presunti favori fatti da Berlusconi alla mafia.
Il contrasto tra le interpretazioni restava, l’audio era molto confuso. La corte ascolterà di nuovo il nastro in camera di consiglio. Al termine dell’udienza, durante la quale erano stati ascoltati i consulenti audio di pm e difesa, i giudici hanno respinto la richiesta dei pm di risentire il mafioso messinese Rosario Cattafi.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
SU FB COMPAIONO DUE STRANI “STATUS” DI SCUSE DOPO CHE LO AVEVANO DEFINITO “AZZECCAGARBUGLI”… DI FRONTE ALLA MINACCIA DI QUERELA I DUE CORAGGIOSI EROI POPULISTI HANNO FATTO MARCIA INDIETRO
Oltre che esponenti di spicco del MoVimento 5 Stelle, Luigi Di Maio e Alessandro Di
Battista sono due facebook-star: ogni aggiornamento delle loro pagine sul social network riceve migliaia di mipiace e di commenti.
Ieri sera però la pagina di Alessandro Di Battista ha pubblicato un aggiornamento che ha avuto meno successo degli altri, forse perchè era abbastanza incomprensibile ai più. E precisamente quello che recitava: “La competenza professionale di chi ha redatto il ricorso per le regionarie siciliane è fuor di discussione”.
Per fortuna subito dopo lo stesso Di Battista ha pubblicato un video che parlava delle elezioni siciliane che ha ricevuto un sacco di mipiace.
Ma rimane la valenza criptica del messaggio di Di Battista: perchè ha sentito il bisogno di parlare il 31 ottobre della faccenda del ricorso per le regionarie siciliane dell’iscritto M5S Mauro Giulivi?
Sarà un messaggio in codice, roba tipo “le fragole sono mature”?
Il mistero ha cominciato a infittirsi quando anche Luigi Di Maio, candidato premier in pectore del M5S alle prossime elezioni politiche, ha scritto la stessa identica cosa, anche lui ricevendo pochi mipiace e anche lui postando successivamente una serie di video per “mandare giù” l’aggiornamento in questione
Ma insomma, cosa è successo ieri e cosa ha spinto Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio a pubblicare quegli aggiornamenti di stato?
Un indizio per la comprensione del sottotesto ce lo offrono indirettamente alcuni dei commenti pubblicati sotto gli status, e precisamente quelli che taggano e nominano l’avvocato romano Lorenzo Borrè, che insieme al palermitano Riccardo Gentile ha seguito il ricorso di Giulivi in Sicilia.
Subito dopo la sospensione delle regionarie decisa dal giudice civile, infatti, sia Di Maio che Di Battista avevano scritto degli status che, curiosamente, contenevano frasi piuttosto simili, parlando di “nemici della contentezza” che volevano provare a fermare il M5S con “un ricorso da azzeccagarbugli”.
L’affermazione era offensiva in primo luogo nei confronti del tribunale, che ha accolto totalmente le motivazioni del ricorso — che quindi non era roba da azzeccagarbugli, altrimenti sarebbe stato respinto — e poi anche nei confronti di chi si stava muovendo nei limiti di legge per far rispettare i propri diritti.
In effetti, poi, qualche minuti prima della pubblicazione degli status da parte di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, l’avvocato Borrè scriveva pubblicamente questo:
“Inizia il conto alla rovescia per le scuse pubbliche…restate in Rete, poi capirete…24 ore”
Ora, siccome tre indizi fanno una prova e quindi tremilanovecentosettantasei indizi fanno come minimo un ergastolo, abbiamo qualche elemento in più per ipotizzare cosa sia accaduto: molto probabilmente l’avvocato, ritenendo offesa la sua professionalità dalla definizione di azzeccagarbugli, ha minacciato di querelare Di Battista e Di Maio.
E loro, per evitare possibili conseguenze hanno deciso di rettificare quanto scritto (e detto all’epoca) ammettendo così implicitamente la colpa.
Ovviamente hanno fatto il tutto cercando di far comprendere il meno possibile agli iscritti alla pagina, come prevede esplicitamente il comma 3284732bis del codice dell’onestà intellettuale.
Niente di nuovo sul fronte occidentale.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
SENTENZA DEFINITIVA DELLA CASSAZIONE PER IL TELEFONINO DEL COMUNE IN USO ALLA FIGLIA CHE AVEVA SPESO 9.800 EURO DI SOLDI PUBBLICI
Il capogruppo al Senato di Forza Italia, Paolo Romani, uno dei più stretti collaboratori di Silvio Berlusconi, è stato definitivamente condannato in Cassazione per peculato.
La Suprema corte ha disposto che la pena – 1 anno e 4 mesi – venga ricalcolata in appello alla luce della possibile “tenuità del fatto”, sempre che i giudici di appello vogliano prendere in considerazione questa possibile attenuante, chiesta dalla difesa dello stesso Romani, il quale nel frattempo ha risarcito il Comune di Monza, vittima del suo reato.
Il caso era nato parecchi anni fa quando Paolo Romani era assessore in Comune a Monza e come tale disponeva di un’utenza mobile, a carico del Comune stesso.
Romani diede il telefonino in uso alla figlia, che arrivò a spendere in bollette 9.811,63 euro (la cifra poi restituita da Romani che in tal modo ha evitato che il Comune si costituisse parte civile contro di lui).
L’inchiesta giudiziaria era nata da un’inchiesta giornalistica del “Giornale di Monza”, che nel 2012 aveva scoperto che chiamando il numero dell’assessore all’urbanistica, rispondeva la figlia di Romani.
Romani è stato condannato in tutti i gradi di giudizio.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
SALGONO MDP E FORZA ITALIA, SCENDONO LEGA E PD
Eccoci con l’ultimo sondaggio elettorale, fornito da Emg per il Tg La7 di lunedì 30 ottobre
2017 .
Continua a crescere il M5s che guadagna mezzo punto e sale al 28,8%.
Il PD non perde comunque molto terreno questa settimana, in rialzo di un decimo, si porta al 26,5%.
L’area di Centro-Sinistra, volendo considerarla come somma dei voti del PD+Alternativa Popolare (2,0%/-0,2%)+Verdi 0,9%+PSI 0,9%+Pisapia 0,9%+SVP 0,4%+Scelta Civica 0,1%, perde mezzo punto e scende al 31,4%.
Motivo per cui, è il Centro-Destra ad essere il polo più avanti nei sondaggi politici elettorali Emg, con il 33,3%, tuttavia anch’esso in ribasso di mezzo punto.
Il calo è dovuto al crollo della Lega Nord che perde lo 0,7% e scende al 13,6%, mentre si fa sotto Forza Italia al 13,2%, in crescita di mezzo punto.
Stabile Fratelli d’Italia al 5,0%, Movimento Animalista 0,8%, UDC 0,7%.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
“PARLAMENTARI AD ALTA LIBIDO”, OLTRE 50 DEPUTATI CONSERVATORI E 15 MEMBRI DEL GOVERNO COINVOLTI
Ci sono circa 50 deputati conservatori, fra cui ben 15 membri del governo, in un dossier di presunti molestatori compilato da ricercatrici parlamentari britanniche di cui Times scrive oggi d’essere venuto a conoscenza.
Nomi non ne vengono per ora fatti, ma si fa riferimento fra l’altro a un ministro di alto rango additato per l’abitudine di «allungare le mani» sulle donne in occasione di party ed eventi sociali. Nella lista – intitolata “Parlamentari ad alta libido” – risultano poi 4 deputati laburisti, inclusi due ex ministri ombra.
Un flagello in piena regola, altro che casi isolati.
Il parlamento britannico e il governo conservatore di Theresa May rischiano di sprofondare nella vergogna per la bufera sui sospetti di molestie sessuali scatenatasi a Westminster in scia al caso che ha travolto negli Usa Harvey Weinstein, re dei produttori di Hollywood.
Cosa contiene il dossier
Il dossier compilato da ricercatrici e ricercatori parlamentari punta il dito contro quasi una cinquantina di “onorevoli”, in larga parte d’affiliazione Tory, inclusa una fetta rilevante dell’esecutivo: ben 15 fra ministri e sottosegretari d’un gabinetto guidato per di più da una donna. Intitolato con amara ironia “Parlamentari ad alta libido”, è già finito sotto gli occhi del Times.
Nomi non ne vengono per ora fatti, oltre ai pochi saltati fuori nei giorni scorsi. Ma la bomba è pronta a detonare e altri giornali, come il progressista Guardian, raccontano già di un clima di «paura» all’interno del tempio della politica del Regno di fronte alla prospettiva che vengano alla luce «nuove sconcezze» e soprattutto che cada per molti la protezione dell’anonimato.
Nel documento, sottolinea il Times, compaiono di sicuro i nomi del sottosegretario Mark Garnier, quello che ieri ha ammesso – fra le altre cose – d’aver regalato vibratori e sex toys non richiesti a una collaboratrice, e dell’ex ministro ed ex candidato leader conservatore Stephen Crabb, autore recidivo di sms sconci inviati in ultimo a un’aspirante stagista 19enne.
Ma si tratta a quanto pare solo della punta dell’iceberg.
Il totale dei parlamentari del partito al potere tirati in ballo potrebbe infatti salire appunto fino a 50. E 15 di questi sembra abbiano un ruolo nell’esecutivo: cosa che se confermata minaccia di dare alla già zoppicante compagine di Theresa May l’immagine d’un governo infestato di “mani lunghe”.
I laburisti sospettati sono invece “solo” quattro, ma con due ex ministri ombra. Nella pagine del fascicolo si parla di almeno 25 fra assistenti parlamentari e collaboratori – donne e anche alcuni uomini – vittime di «comportamenti impropri».
E addirittura di 37 esponenti politici molestati da colleghi attraverso approcci insistenti, proposte di relazioni extraconiugali, abusi.
Episodi di natura e gravità diversa, all’apparenza, legati tuttavia da un filo conduttore di mancanza di rispetto, prevaricazione, arroganza del potere.
Si va dal misterioso «ministro di alto rango» di cui si racconta l’abitudine ad «allungare le mani durante i party» tanto di meritarsi la nomea di “cop-a-feel” (espressione gergale – usata anche dall’ex presidente americano George Bush senior – che sta per “dare una palpatina”); al vecchio battitore libero Tory descritto come «perennemente assatanato e molto inappropriato con le donne»; fino a un suo compagno di partito accusato d’essere riuscito a imporre a una ricercatrice sua vittima una sorta di patto del silenzio.
Un campionario di obbrobri, a dar credito alle accuse, di cui May almeno qualcosa sembra abbia saputo, grazie ai rapporti quotidiani del suo capogruppo.
Ma che ha preferito lasciare sotto il tappeto o magari sfruttare a suo vantaggio, sospettano i detrattori, scettici ora sull’impegno a far piazza pulita dei sospetti contenuto in una lettera della premier allo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, in cui si definisce «intollerabile» lo scandalo.
Uno scandalo che getta «discredito su Westminster» fa eco stasera la ministra Andrea Leadsom, in un aula non proprio affollata, promettendo misure più incisive sui controlli e per la tutela di che denuncia.
Mentre Harriette Harman, ex leader ad interim del Labour e campionessa riconosciuta delle pari opportunità , fustiga l’omertà diffusa e «un’atmosfera di sfottò squallidi, sessisti e omofobi».
Una sua giovane compagna, Jess Phillips, non si mostra del resto troppo ottimista. Proprio oggi denuncia di aver sorpreso due colleghi uomini a sbuffare contro «questa caccia alle streghe».
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
IL PARTITO NAZIONALISTA FIAMMINGO LO SCARICA: “NON LO ABBIAMO CERTO INVITATO NOI”
La vicenda dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont, scappato in Belgio a elemosinare
un asilo politico quasi impossibile dopo aver chiesto ai suoi di fare “resistenza democratica”, può essere letta come la parabola dell’avventurista.
I quotidiani spagnoli, ma anche quelli catalani, ne danno un giudizio inesorabile.
Il suo inanellare un errore dietro l’altro ha portato la Spagna e la ‘sua’ Catalogna in una situazione paradossale, scatenando una crisi che solo il voto anticipato di dicembre potrà sciogliere.
§Il tutto per poi scappare, senza dire una parola, dai nazionalisti fiamminghi su consiglio di un altro avventurista della politica: Theo Francken, segretario di stato belga per le politiche di asilo e migrazione, già nell’occhio del ciclone per aver partecipato al novantesimo compleanno di uno dei più noti collaborazionisti fiamminghi dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e per dichiarazioni ostili verso migranti e gay.
Finisce in farsa, dunque, anche se le conseguenze politiche, in entrambi i Paesi e per l’Ue, ci sono.
La Catalogna si ritrova spaccata in due, con la marea unionista che ha sfilatoin Plaza Catalunya a chiedere l’arresto dell’ex president, e il popolo indipendentista che si sente sempre più tradito e confuso.
I commentatori catalani danno tutta la colpa all’avventurismo di Puigdemont e non gli perdonano l’ultimo ‘errore’: non aver avuto i nervi abbastanza saldi giovedì scorso per resistere alle pressioni degli alleati e alle sdrucciolevoli offerte di Madrid e convocare le elezioni, salvando le istituzioni catalane.
Puigdemont è entrato così nella storia come il secondo presidente catalano ad avere proclamato la Repubblica. Ma con un risultato effimero, come fu quello ottenuto da Lluis Companys nel 1934.
La Repubblica allora durò 11 ore prima di essere soffocata nel sangue da Madrid. Companys venne arrestato, condannato a 30 anni, poi fucilato dal franchismo. Il president rischia la stessa fine, fucilazione a parte s’intende.
La procura spagnola ha chiesto già la sua incriminazione: rischia 30 anni, nonostante la sua ‘rivoluzione’ sia stata tutta pacifica.
I commentatori hanno visto un Puigdemont “abbattuto” da giovedì. Il president si è sentito tradito da tutti. Dalla piazza che lo ha fatto passare da eroe a “traditore” in 5 minuti, quando stava per firmare la convocazione delle elezioni.
Dal suo alleato Oriol Junqueras, che l’ha messo con le spalle al muro minacciando di far cadere il governo. Dal ‘nemico’ Rajoy, che giovedì a mezzogiorno non lo ha chiamato per confermare lo stop al 155 promesso dal mediatore basco Urkullu.
Indipendentista da sempre, Puigdemont non ha cercato il potere, spiega il suo amico Antoni Puigverd. È diventato presidente per caso dopo la rinuncia di Artur Mas. Lo è stato con “franchezza, empatia, naturalezza”, lo difende Puigverd.
“Certo, nel momento della verità non ha avuto i nervi d’acciaio, la punta di cinismo e il senso della realtà , la durezza dei grandi politici, figlia di ambizioni eroiche: governare il destino dei popoli”. “Ma l’ambizione di Puigdemont – dice Puigverd – è solo essere parte della gente, della sua gente”, in mezzo alla quale si è tuffato sabato e domenica a Girona, prima di volare a Bruxelles.
Qui andrà incontro, con tutta probabilità , a un’altra porta in faccia. Già ieri sera il primo ministro belga Charles Michel aveva chiarito che l’ipotesi di concedere asilo politico a Puigdemont “non è assolutamente all’ordine del giorno” del governo belga.
In serata anche il partito nazionalista fiammingo N-Va prende le distanze, precisando che “se Puigdemont è a Bruxelles, non è certamente stato invitato da noi”.
L’imbarazzo è evidente, sia per il presidente destituito che per il premier belga, che pure deve fare i conti con un cortocircuito interno (i nazionalisti fiamminghi rappresentano la principale forza politica a livello federale dopo le elezioni del 2014: da loro, e dai loro 31 seggi alla Camera dei rappresentanti, dipende il futuro del governo).
Rimasto solo, fatta eccezione per il manipolo di ex ministri che l’ha seguito a Bruxelles, Puigdemont ha scelto di tacere per tutto il giorno.
Probabilmente sa anche lui che di avere pochissime chance di diventare un rifugiato politico: i casi di asilo intra-Ue sono rarissimi e riguardano perlopiù minoranze etniche come i rom.
Per Bruxelles, concedergli l’asilo significherebbe dubitare che la Spagna sia in grado di assicurargli un processo e un trattamento equi, circostanza che creerebbe una frattura insanabile con Madrid.
Per questo il governo belga è imbarazzato, e ha isolato il ministro nazionalista fiammingo che vorrebbe spezzare quel cordone di sicurezza stretto dall’Ue attorno alla questione catalana.
A uscire bene, in tutta questa vicenda, sono i Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, e il loro ormai ex comandante Josep Lluis Trapero. Accusato di sedizione e sottoposto a regime di libertà vigilata, Trapero è stato rimosso dalla guida dei Mossos. Ma invece di tentare la fuga o alimentare i contrasti, l’ex comandante ha scritto una lettera ai suoi invitandoli “alla calma e alla comprensione”. “Proteggere e garantire la sicurezza delle persone è la nostra priorità . Continuiamo a lavorare normalmente”, sono le sue parole.
In fuga e silente, invece, resta l’ex presidente catalano. Secondo fonti citate dalla stampa catalana, Puigdemont dovrebbe comparire in conferenza stampa per spiegare i motivi del suo improvviso viaggio in Belgio. Insieme a cinque ex ministri del suo govern, il president avrebbe prima viaggiato in auto fino a Marsiglia, per poi imbarcarsi alla volta della capitale d’Europa.
Così facendo, ha portato nel cuore dell’Ue tutta la goffaggine e l’inadeguatezza di un leader politico che ha cavalcato una causa populista senza prima assicurarsi di aver allacciato la sella. Ma il paradosso è anche per il debole governo belga, la cui fragilità ha permesso alla ‘farsa’ catalana di finire proprio nel centro di un’Europa a sua volta sempre più fragile.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 31st, 2017 Riccardo Fucile
CRESCE LA DIPENDENZA DALLA FAMIGLIA, SEMPRE PIU’ INCAPACI DI ACCETTARE RESPONSABILITA’ DELLA VITA ADULTA… LA GIOVENTU’ DURA FINO A 52 ANNI, L’UNICA PAURA COMUNE E’ LA VECCHIAIA
Parafrasando il titolo di un noto libro, potremmo dire che viviamo in un’epoca di “passioni tiepide”.
Non “tristi”, come quelle evocate da Miguel Benasayag e Gèrard Schmit nel loro saggio (pubblicato nel 2004 da Feltrinelli). Piuttosto: “disincantate”. Interpretate con realismo. In particolare dai giovani. Abituati a proiettare il futuro nel loro sguardo. E a orientare il nostro. Perchè i giovani “sono” il futuro.
È l’immagine suggerita dal sondaggio dell’Osservatorio di Demos-Coop, condotto nei giorni scorsi e proposto oggi su Repubblica.
D’altronde, la società , e soprattutto i giovani, si sono abituati al clima di sfiducia che grava su di noi. Ormai da troppi anni. Così, lo attraversano senza troppa paura. In particolare, i “giovani-adulti” (secondo i demografi), la “generazione del millennio”, secondo l’Istat.
Insomma, coloro che hanno fra 25 e 36 anni e stanno a metà fra giovinezza ed età adulta. E cumulano l’insicurezza di chi ha di fronte un futuro carico di incognite e la sicurezza di chi i problemi del futuro ha iniziato a sperimentarli.
È la metafora di una società che non accetta di invecchiare. Dove tanti, quasi tutti, vorrebbero restare “per sempre giovani”. A costo di protrarre all’infinito le incertezze degli adolescenti.
È un aspetto che avevamo già osservato altre volte, in passato. Ma oggi si ripropone, in modo, se possibile, più marcato.
La giovinezza, secondo gli italiani, si allunga sempre più. Quanto più gli anni passano. Fra coloro che non superano i 36 anni, la giovinezza finisce poco più avanti: a 42 anni. Poi, via via che gli anni passano, anche la giovinezza si allunga. Fino a 62 anni, per coloro che hanno superato 71 anni.
La “generazione della ricostruzione”. Parallelamente, si allontana anche la soglia della vecchiaia. Tanto che, secondo i più anziani, pardon, i “meno giovani”, si diventa “vecchi” solo dopo aver compiuto 80 anni.
Non è una novità . La nostalgia della giovinezza spinge a negare la vecchiaia. E induce ad accettare di essere vecchi… solo dopo la morte. Eppure, ogni volta mi stupisco. Non riesco a farmene una ragione.
La vecchiaia come dis-valore: significa negare l’importanza dell’esperienza. La maturità . D’altra parte, l’età adulta si restringe sempre di più. Così, la nostra biografia accosta e oppone gioventù e vecchiaia. Una accanto all’altra. E riduce l’età adulta a un passaggio rapido. Quasi occasionale.
“Diventare grandi”, una promessa attesa, quando ero bambino, oggi appare quasi una minaccia. Al più ci è concessa la condizione di “adulti con riserva” (per citare un bel libro di Edmondo Berselli).
Le fratture generazionali, così, appaiono meno evidenti e meno marcate di un tempo. Io stesso, alla fine degli anni Novanta, avevo definito i giovani una “Generazione invisibile” (Ed. Il Sole 24ore, 1999).
Per sottolineare la progressiva marginalità dei giovani, ma, ancor più, la loro coerenza con gli orientamenti degli… adulti. Meglio, dei genitori. Al punto da non coglierne più le distanze. Cioè: le specificità generazionali.
D’altronde, gli anni delle contestazioni sociali, ma prima ancora, familiari – dei figli contro i genitori – erano lontani. In seguito, non si sono più riproposte. Anzi: i genitori, la famiglia, sono divenuti l’appiglio che permette ai figli di condurre la loro transizione infinita all’età adulta.
Si spiega soprattutto così l’importanza attribuita dai più giovani ai rapporti con la famiglia. Ma soprattutto all’indipendenza e all’autonomia.
Tre su quattro, fra quanti hanno fino a 24 anni, li considerano molto importanti. Nel 2003 erano poco più di uno su due. Segno evidente che il sostegno della famiglia è necessario, ma, al tempo stesso, aumenta, la domanda di in-dipendenza. Di crescere e auto- realizzarsi. Di affermarsi e “fare carriera”.
Obiettivo ambìto dal 41% dei più giovani: quasi 10 punti in più rispetto ai primi anni 2000. Una speranza che, per essere realizzata, li spinge a guardare – e andare – altrove.
I più giovani, insieme ai giovani-adulti, i millennials, sono la generazione della rete, la generazione più globalizzata. Abituati a comunicare a distanza. E a orientarsi verso “altrove”, sostenuti dai genitori. E dai nonni.
Per questo non riescono a sfuggire al senso di solitudine, che grava su tutta la società . Certo, i giovani-più-giovani sono sostenuti e aiutati da reti amicali più fitte. Ma i loro fratelli maggiori, i giovani-adulti, la “generazione del millennio”, ne soffrono più degli altri. Nel sondaggio di Demos-Coop, il 39% di essi, quasi 4 su 10, ammettono di “sentirsi soli”.
D’altra parte, internet e i social media permettono di restare sempre in contatto con gli altri. Gli amici. Ma sei tu, davanti al tuo schermo. Da solo. Oppure in mezzo agli altri. A comunicare. Da solo. Con il tuo smartphone.
Così, le passioni non diventano “tristi”, ma più tiepide. Perchè le stesse “fedi” sbiadiscono. E si perdono. La politica: non interessa più quasi a nessuno. Anche fra i più giovani.
Presso i quali la componente che considera importante la politica non va oltre il 14%. Poco sopra alla media generale. Sono lontani i tempi della “contestazione”. La stessa “generazione dell’impegno” – del ’68 – appare disillusa. Elisa Lello, in una ricerca pubblicata alcuni anni fa, ha parlato di una “triste gioventù”, (Maggioli, 2015).
Insomma, non c’è più fede. Soprattutto fra i più giovani.
Lo ha spiegato Franco Garelli, studioso delle religioni giustamente ri-conosciuto, in un testo dal titolo esplicito: “Piccoli atei crescono” (Il Mulino, 2016). L’indagine di Demos- Coop lo conferma, visto che la religione è ritenuta importante solo dal 7% della “generazione della rete”. Un quarto, rispetto alla popolazione nell’insieme. Meno di un terzo rispetto al 2003.
In altri termini, “non c’è più religione”. Soprattutto fra i più giovani. Così, diventa difficile provare “passioni”. Accese e perfino tristi. Prevale il disincanto.
E le passioni si raffreddano. Divengono tiepide. Eppure conviene “credere” nei giovani. Perchè, comunque, più di tutti gli altri, “credono” nell’Europa.
Perchè sono il nostro futuro. E più di tutti gli altri, “credono” nel futuro.
(da “La Repubblica”)
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