E’ FINITA IN FARSA, PUIGDEMONT ALLA RICERCA DI UN ASILO IMPOSSIBILE
IL PARTITO NAZIONALISTA FIAMMINGO LO SCARICA: “NON LO ABBIAMO CERTO INVITATO NOI”
La vicenda dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont, scappato in Belgio a elemosinare un asilo politico quasi impossibile dopo aver chiesto ai suoi di fare “resistenza democratica”, può essere letta come la parabola dell’avventurista.
I quotidiani spagnoli, ma anche quelli catalani, ne danno un giudizio inesorabile.
Il suo inanellare un errore dietro l’altro ha portato la Spagna e la ‘sua’ Catalogna in una situazione paradossale, scatenando una crisi che solo il voto anticipato di dicembre potrà sciogliere.
§Il tutto per poi scappare, senza dire una parola, dai nazionalisti fiamminghi su consiglio di un altro avventurista della politica: Theo Francken, segretario di stato belga per le politiche di asilo e migrazione, già nell’occhio del ciclone per aver partecipato al novantesimo compleanno di uno dei più noti collaborazionisti fiamminghi dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e per dichiarazioni ostili verso migranti e gay.
Finisce in farsa, dunque, anche se le conseguenze politiche, in entrambi i Paesi e per l’Ue, ci sono.
La Catalogna si ritrova spaccata in due, con la marea unionista che ha sfilatoin Plaza Catalunya a chiedere l’arresto dell’ex president, e il popolo indipendentista che si sente sempre più tradito e confuso.
I commentatori catalani danno tutta la colpa all’avventurismo di Puigdemont e non gli perdonano l’ultimo ‘errore’: non aver avuto i nervi abbastanza saldi giovedì scorso per resistere alle pressioni degli alleati e alle sdrucciolevoli offerte di Madrid e convocare le elezioni, salvando le istituzioni catalane.
Puigdemont è entrato così nella storia come il secondo presidente catalano ad avere proclamato la Repubblica. Ma con un risultato effimero, come fu quello ottenuto da Lluis Companys nel 1934.
La Repubblica allora durò 11 ore prima di essere soffocata nel sangue da Madrid. Companys venne arrestato, condannato a 30 anni, poi fucilato dal franchismo. Il president rischia la stessa fine, fucilazione a parte s’intende.
La procura spagnola ha chiesto già la sua incriminazione: rischia 30 anni, nonostante la sua ‘rivoluzione’ sia stata tutta pacifica.
I commentatori hanno visto un Puigdemont “abbattuto” da giovedì. Il president si è sentito tradito da tutti. Dalla piazza che lo ha fatto passare da eroe a “traditore” in 5 minuti, quando stava per firmare la convocazione delle elezioni.
Dal suo alleato Oriol Junqueras, che l’ha messo con le spalle al muro minacciando di far cadere il governo. Dal ‘nemico’ Rajoy, che giovedì a mezzogiorno non lo ha chiamato per confermare lo stop al 155 promesso dal mediatore basco Urkullu.
Indipendentista da sempre, Puigdemont non ha cercato il potere, spiega il suo amico Antoni Puigverd. È diventato presidente per caso dopo la rinuncia di Artur Mas. Lo è stato con “franchezza, empatia, naturalezza”, lo difende Puigverd.
“Certo, nel momento della verità non ha avuto i nervi d’acciaio, la punta di cinismo e il senso della realtà , la durezza dei grandi politici, figlia di ambizioni eroiche: governare il destino dei popoli”. “Ma l’ambizione di Puigdemont – dice Puigverd – è solo essere parte della gente, della sua gente”, in mezzo alla quale si è tuffato sabato e domenica a Girona, prima di volare a Bruxelles.
Qui andrà incontro, con tutta probabilità , a un’altra porta in faccia. Già ieri sera il primo ministro belga Charles Michel aveva chiarito che l’ipotesi di concedere asilo politico a Puigdemont “non è assolutamente all’ordine del giorno” del governo belga.
In serata anche il partito nazionalista fiammingo N-Va prende le distanze, precisando che “se Puigdemont è a Bruxelles, non è certamente stato invitato da noi”.
L’imbarazzo è evidente, sia per il presidente destituito che per il premier belga, che pure deve fare i conti con un cortocircuito interno (i nazionalisti fiamminghi rappresentano la principale forza politica a livello federale dopo le elezioni del 2014: da loro, e dai loro 31 seggi alla Camera dei rappresentanti, dipende il futuro del governo).
Rimasto solo, fatta eccezione per il manipolo di ex ministri che l’ha seguito a Bruxelles, Puigdemont ha scelto di tacere per tutto il giorno.
Probabilmente sa anche lui che di avere pochissime chance di diventare un rifugiato politico: i casi di asilo intra-Ue sono rarissimi e riguardano perlopiù minoranze etniche come i rom.
Per Bruxelles, concedergli l’asilo significherebbe dubitare che la Spagna sia in grado di assicurargli un processo e un trattamento equi, circostanza che creerebbe una frattura insanabile con Madrid.
Per questo il governo belga è imbarazzato, e ha isolato il ministro nazionalista fiammingo che vorrebbe spezzare quel cordone di sicurezza stretto dall’Ue attorno alla questione catalana.
A uscire bene, in tutta questa vicenda, sono i Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, e il loro ormai ex comandante Josep Lluis Trapero. Accusato di sedizione e sottoposto a regime di libertà vigilata, Trapero è stato rimosso dalla guida dei Mossos. Ma invece di tentare la fuga o alimentare i contrasti, l’ex comandante ha scritto una lettera ai suoi invitandoli “alla calma e alla comprensione”. “Proteggere e garantire la sicurezza delle persone è la nostra priorità . Continuiamo a lavorare normalmente”, sono le sue parole.
In fuga e silente, invece, resta l’ex presidente catalano. Secondo fonti citate dalla stampa catalana, Puigdemont dovrebbe comparire in conferenza stampa per spiegare i motivi del suo improvviso viaggio in Belgio. Insieme a cinque ex ministri del suo govern, il president avrebbe prima viaggiato in auto fino a Marsiglia, per poi imbarcarsi alla volta della capitale d’Europa.
Così facendo, ha portato nel cuore dell’Ue tutta la goffaggine e l’inadeguatezza di un leader politico che ha cavalcato una causa populista senza prima assicurarsi di aver allacciato la sella. Ma il paradosso è anche per il debole governo belga, la cui fragilità ha permesso alla ‘farsa’ catalana di finire proprio nel centro di un’Europa a sua volta sempre più fragile.
(da “Huffingtonpost”)
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