Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO LE VELINE E LE OLGETTINE, LE RUSPE E I “CLANDESTINI”, ALLA DESTRA ITALIANA OTTOCENTESCA NON RIMANE CHE PROMUOVERE IL CASTING DEGLI ONESTI
Apparteniamo a una generazione che ha fatto politica in nome di quelli che una volta si chiamavano “ideali”, giusti o sbagliati che fossero.
Cercando di coniugare il proprio “stile di vita” ai nostri valori di riferimento, impegnandoci a guardare oltre l’orizzonte del contingente e alla miseria umana che spesso incontra chi “fa politica per passione”.
Conosciamo, in pregi e difetti, il mondo umano che abbiamo frequentato in anni difficili, periodi “storici” in cui il 90% dell’attuale categoria politica sedicente di destra (e non solo), sarebbe scomparsa di fronte ai pericoli e alle discriminazioni, dedicandosi ad attività sicuramente più gratificanti e remunerative, al riparo di accoglienti case borghesi.
Abbiamo frequentato riunioni e congressi di partito in cui abbiamo avuto modo di ascoltare anche Nello Musumeci senza doverci porre il problema se fosse “onesto” o meno, anche perchè lo eravamo in tanti e le discriminanti a quei tempi erano altre.
Sinceramente avevamo idee diverse sulla destra e sulle rispettive frequentazioni politiche, non mi ha mai colpito particolarmente, a parte per la sua retorica che non fa parte delle mie corde emozionali.
Allora nella destra italiana ci si prendeva a seggiolate per la “linea politica”, oggi conta solo la linea e il fard per apparire “giovani” sullo schermo.
Allora chi apparteneva alla “destra sociale” si impegnava sul campo, organizzando iniziative, concerti, momenti di aggregazioni, impegnandosi in battaglie a tutela dell’ambiente e del lavoro, dei diritti delle minoranze, aprendo centri librari e aprendosi al confronto con la variegata umanità .
Non sentivamo la necessità di mettere in lista “impresentabili” e tanto meno cercare l’appoggio elettorale di clan rom.
Altri invece presidiavano semplicemente il confine dell’anticomunismo di maniera e della conservazione, sicuramente più remunerativo elettoralmente nel breve periodo, interpretando la parodia di come in fondo “ci volevano dipingere i nostri avversari”.
Erano due mondi quasi separati, inutile dire che Musumeci frequentava la seconda categoria cui abbiamo fatto riferimento.
Ma veniamo ai giorni nostri e all’impegno di Musemeci, dichiarato sui media, di rappresentare il riscatto della Sicilia dei meno abbienti.
L’analisi di Swg sul “Messaggero” di oggi certifica che la sua immagine non va nella direzione di quello che vorrebbe apparire.
Sulla base della categoria sociale dei suoi elettori, Musumeci spopola tra i ricchi (44%) i medio benestanti (37%) i mediobassi (32%) mentre raccoglie solo il 12% tra i poveri. Cancelleri tra i poveri raccoglie il 65%, tanto per capirci.
Musumeci ha un boom tra i pensionati (57%) contro un misero 18% di Cancelleri, mentre crolla tra i disoccupati (17%) contro il 61% del grillino.
Per usare un termine caro ai sostenitori padani di Musumeci, diciamo che la “percezione di socialità ” del neogovernatore della Sicilia da parte dei suoi conterranei non va nella direzione dichiarata.
“Però è onesto”, sentiamo ripetere da suoi sostenitori e lui lo ribadisce indicando viso e pizzetto.
E’ un elemento sufficiente per governare una Regione?
In Italia vi sono migliaia di aziende con dipendenti onesti, ma non per quello potrebbero fare gli AD della società .
Si conferisce un valore a un elemento che dovrebbe essere scontato, un politico dovrebbe essere onesto e d’esempio, così è uso in tanti Paesi civili, dove non è necessario un casting per accedere al timone di un Ente locale.
Se una sedicente destra come argomento, oltre a respingere gli “invasori” e a mettere ben allineate le sedie alle riunioni perchè “l’ordine regni”, ha solo questo, correndo dietro ai Cinquestelle a chi urla lo slogan a voce più alta, vuol dire che di argomenti “pesanti” e idee “incandescenti” ne ha ben poche (non ho usato il termine “rivoluzionarie” per non turbare la digestione dei “benpensanti”).
I talent show sarebbe meglio lasciarli presentare a chi lo fa per professione, la politica è un’altra cosa, e’ “saper andare oltre”, è studiare e anticipare i fenomeni, non subirli, è indirizzare l’opinione dei cittadini verso la meta di un “bene comune”, non cavalcarne gli eccessi e accettarne i condizionamenti.
Ma forse questa è un’altra storia, ancora tutta da scrivere.
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
ALMENO 90.000 I VOTI RACCOLTI DAI CANDIDATI SOTTO INCHIESTA E DIVERSI SONO STATI ELETTI
Il record lo raggiunge Luigi Genovese, studente universitario di 21 anni, e ora il più
giovane deputato eletto all’Assemblea regionale siciliana.
Diciassettemila preferenze, anzi 17.359 nel feudo di papà in provincia di Messina. Il papà è Francantonio, l’ex deputato del Pd condannato a 11 anni di carcere in primo grado, per truffa e frode fiscale, e passato in Forza Italia.
Pesano, eccome, i cosiddetti “impresentabili” nel voto siciliano che ha portato all’elezione di Nello Musumeci.
A Palermo è stata eletta Marianna Caronia, che accolse Berlusconi al Politeama con uno striscione di benvenuto di almeno cinque metri, coinvolta nell’inchiesta sugli appalti del servizio marittimo, il famoso “sistema Trapani” che ha potato in carcere l’ex sindaco: 6370 preferenze. Sempre a Palermo è stato eletto con 6554 preferenze Riccardo Savona, già deputato regionale con la destra nel 2012, poi passato con Crocetta e ora tornato in Forza Italia.
Non è indagato ma la rottura (con Crocetta) si consumò nel corso del congresso dei Riformisti, quando l’ex governatore, vedendolo seduto in prima fila disse, citando Pio La Torre: “Qui qualcuno deve uscire dalla sala”.
Il riferimento era a un’intercettazione di Savona con il re dell’eolico Vito Nicastri, secondo le indagini della Dia spregiudicato manager a servizio di Matteo Messina Denaro, ultimo grande latitante di Cosa Nostra.
Per poco invece non è stato eletto Riccardo Pellegrino, uno dei nomi più chiacchierati di questa campagna elettorale, arrivato secondo a Catania nella lista di Forza Italia.
Fratello di Gaetano, imputato per mafia, consigliere comunale nella sua città , ha raccolto 4427 preferenze.
Complessivamente Forza Italia ha eletto dodici deputati regionali, la lista di Musumeci Diventerà Bellissima quattro, la lista Fdi-Lega tre, i Popolari e autonomisti di Saverio Romano cinque.
Altro escluso Antonello Rizza, sindaco di Priolo parecchi capi di imputazione, arrestato con l’accusa di truffa e turbativa d’asta, nonostante le sue 4929 preferenze.
A Trapani non ce l’ha fatta Giovanni Lo Sciuto, tornato da poco in Forza Italia dal partito di Angelino Alfano. Lo Sciuto non ha indagini in corso ma è finito più volte tra le polemiche per i suoi vecchi rapporti di conoscenza con Matteo Messina Denaro.
Il giornalista Sandro Ruotolo, in una sua inchiesta, mostrò una fotografia in cui i due vengono immortalati assieme al matrimonio della cugina del superlatitante. “All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo”, ha precisato Lo Sciuto. Facendo una somma, solo per le liste di Forza Italia: 39.639 le preferenze dei nomi più chiacchierati.
Sempre a sostegno di Musumeci, nella lista dell’Udc, viene eletto a Messina Cateno De Luca con 5418, vulcanico ex deputato regionale, per il quale la procura ha chiesto una condanna a 5 anni: è accusato di aver favorito le imprese della sua famiglia quando era sindaco del piccolo comune di Fiumedinisi.
L’inchiesta è nota come il “Sacco di Fiumedinisi”.
Sono invece rimasti fuori a Siracusa Giovan Battista Coltraro (2752), già sostenitore di Crocetta, per falso in atto pubblico e Giuseppe Sorbello, detto Pippo (1949), democristiano da più lustri, grande tessitore di relazioni, incappato cinque anni fa in un’inchiesta per voto di scambio con il clan Nardo di Lentini.
Ad Agrigento non viene eletto, sempre nell’Udc, Gaetano Cani, nonostante i 4220 voti. È rinviato a giudizio per estorsione, perchè avrebbe fatto firmare ai docenti di un istituto paritario le dimissioni in bianco.
Facendo la somma, sono 14339 i voti raccolti dagli “impresentabili” del partito di Lorenzo Cesa.
Tra i Popolari e autonomisti, la lista ispirata da Saverio Romano sono eletti nomi pesanti dei tempi di Totò Cuffaro.
A partire da Toto Cordaro, storico avvocato di Vasa vasa nel processo per concorso esterno: 8170 voti a Palermo.
Stessa cifra Roberto Lagalla, ex rettore dell’Università di Palermo e soprattutto ex assessore alla Sanità dell’ultimo governo Cuffaro. E, direbbe Totò, “ho detto tutto”.
Nessuno dei due è coinvolto in processi, entrambi legati a un passato politicamente ingombrante.
A Palermo non è invece riuscito a farsi eleggere Roberto Clemente nonostante i 5520 voti. Al suo attivo una condanna, in primo grado, per corruzione elettorale. Altro escluso Roberto Corona, a Messina (2218), condannato in primo grado a 3 anni, per via di alcune fideiussioni facili quando presiedeva Confcommercio con relativa confisca di 650mila euro di beni.
Sempre tra i non eletti, a Trapani però, c’è il nome di Santino Catalano (2210 voti), che patteggiò un anno e 11 mesi per abuso edilizio. Complessivamente, 26.288 voti comprendendo l’avvocato di Cuffaro e il suo assessore alla Sanità , non indagati.
Risulta eletto, nelle liste di Musumeci, Giuseppe Zitelli con 6221, condannato a risarcire 3000 euro oltre le spese legali e di giustizia dalla Corte dei conti, nell’ambito di una Rimborsopoli nella provincia di Catania.
Tra i non eletti invece Pietro D’Aì, con la lista di Musumeci Diventerà Bellissima: è stato scagionato da ogni accusa per mafia, col Gip che ha rivelato solo una gestione della cosa pubblica in taluni casi “francamente illecita”. Per lui solo 1708 voti.
Restano fuori anche Ernesto Calogero (1699), condannato in primo grado a 4 anni per compravendita di diplomi
Complessivamente, il peso dei voti legati ai personaggi più chiacchierati, stando ai più noti, raggiunge nel centrodestra quota 89903, più di un decimo del totale dei voti di Musumeci (830mila).
Anche a sinistra ci sono parecchi chiacchierati, trasformisti e riciclati vari.
Luca Sammartino e Michele Catanzaro, due enfant prodige della covata di Cuffaro nell’Udc, sono eletti col Pd rispettivamente con 32.492 e 6.409 voti. Eletto a Ragusa anche Emanuele Dipasquale, detto Nello (5972).
Le cronache di qualche tempo ricordano di quando era un berlusconiano di ferro e urlava “il Pd fa schifo”, “è pieno di pagliacci”. Ma questa è un’altra storia. Ed ha a che fare col partito della Nazione di Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL DISASTRO ELETTORALE, LA PAURA DELLA NON RIELEZIONE… SABATO IL REDDE RATIONEM
“La verità è che al nostro interno siamo esplosi. Lo eravamo prima delle elezioni in Sicilia, lo siamo a maggior ragione dopo”. Un deputato di lungo corso mastica stancamente una gomma.
Siamo nel corridoio fumatori di Montecitorio, metà mattina, la sigaretta rimane spenta. Alternativa Popolare non ha conquistato nessun seggio in Sicilia. Il granaio dei centristi, la patria di Angelino Alfano.
“Ci sono tre posizioni che si mescolano continuamente tra i nostri – continua il deputato – chi vuole mollare il Pd e tornare nel centrodestra, chi vuole tentare l’avventura da solo e chi vuole rimanere al fianco di Matteo Renzi. Sempre che ci voglia”. E Alfano? “Alfano è in Russia”.
Già , perchè bisogna partire da qui nel racconto della truppa dell’ex delfino di Silvio Berlusconi, logorata dai tanti mesi a votare provvedimenti che fuori dal Palazzo diventavano comunicativamente le leggi del Pd, sballottata dai non rosei risultati elettorali siciliani, terrorizzata dalla non rielezione di qui a qualche mese.
Bisogna partire da Angelino Alfano. Che effettivamente è a Mosca nelle sue ultime vesti di una poliedrica carriera politica, quelle di ministro degli Esteri.
E dalla patria di Lenin alla domanda “che fare?” risponde con un laconico: “Ci ragioneremo su”.
Salvo poi stancamente aggiungere che “in questi anni abbiamo collaborato con governi che hanno preso l’Italia in una condizione peggiore, la stanno lasciando in una condizione migliore. Il saldo per gli italiani di questi anni è stato positivo”. Quasi un no comment.
C’è una fetta del partito che, con diversi gradi di maturazione, ha elaborato l’idea che quella di Angelino sia una carta troppo logora da giocarsi in campagna elettorale.
Il corollario, risultati siculi alla mano, sarebbe quello di chiedergli di fare un passo di lato, quantomeno di non essere il frontman della formazione che questo weekend si riunirà a in una conferenza organizzativa a Roma per raccapezzarsi su come presentarsi alle elezioni.
E qui è utile fare un passo indietro. Perchè occorre capire dove e come scendere in campo.
Tutti nel microcosmo popolare hanno notato una cosa. Vale a dire che Maurizio Lupi, attuale coordinatore e a detta di molti il volto più spendibile in vista delle urne, negli ultimi giorni è rimasto asserragliato in un ostinato mutismo.
“Stava a New York per correre alla maratona”, dice il suo entourage. Cosa che non spiega perchè tra i tweet e i post su Facebook non si trovi mezza parola sulle elezioni siciliane. Di nessun tipo.
Il coordinatore si deve districare in una situazione esplosa, tirato per la giacca tra le varie istanze che si muovono magmaticamente in Ap.
I più rumorosi sono quelli che con un misto di ammirazione e ironia vengono chiamati “i lombardi”, ma che non sono solo tali. I quali spingono decisamente per una virata a destra, un ritorno all’ovile di Berlusconi.
A tirare le fila è Roberto Formigoni. Sentite: “Le elezioni hanno evidenziato che i sostenitori dell’alleanza con il Pd hanno commesso un errore enorme”. E ancora: “È ineludibile un’inversione a 180 gradi quando ci riuniremo sabato”.
Formigoni ha in dote un gigantesco tessuto relazionale, suo e dei tanti amministratori che l’hanno seguito al centro e che vengono dalla comune esperienza di Comunione e Liberazione. In più, negli anni si è cementato un solido rapporto con Roberto Maroni, che non si ha nessuna intenzione di interrompere.
L’anno prossimo la Lombardia andrà al voto, e la pattuglia di Ap al Pirellone non ha nessuna intenzione di cambiare casacca. Una scelta che sarebbe difficilmente spiegabile ai propri elettori, potenzialmente suicida.
La senatrice Simona Vicari usa la clava. E parla di “numerosi errori di valutazione politica e di comunicazione da parte di tutto il gruppo dirigente del Partito. Nascondere questo risultato dietro calcoli percentuali che dimostrerebbero la possibilita’ di restare in vita a livello nazionale, puntando semplicemente a superare il 3 per cento nazionale, è un atteggiamento sbagliato”. Chiaro no?
Sull’altro piatto della bilancia c’è il fitto lavorio di Pier Ferdinando Casini. Il suo rapporto con Renzi si è consolidato negli anni. In molti dentro il partito hanno ironizzato per l’incontro tra i due andato in scena negli scorsi giorni a Firenze: “È andato a battere cassa”.
Ma al di là delle battute salaci, non è un mistero che il già presidente della Camera accarezzi l’idea di un accordo con il Pd, anche se i contorni non ne sono ancora stati definiti.
Sergio Pizzolante, vicepresidente del gruppo a Montecitorio, la mette giù chiara: “Per una forza moderata e centrista che ha governato il Paese per 5 anni con il Pd e altre forze, non c’era in Sicilia e non potrà esserci in Italia altra scelta se non quella di organizzare un’alleanza partendo dall’area di governo”.
La linea che esprime Pizzolante è quella su cui colloca tutta l’area filo-governativa, Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto su tutti. Che temono, come molti sono pronti a giurare, che Lupi alla fine rompa gli indugi, e viri decisamente verso destra.
Cicchitto parla di due scelte: “Quella di collocarsi su una posizione autonoma o quella di verificare se esistono le condizioni politico programmatico di stampo riformista per una convergenza con il Pd”. Tertium non datur.
Trasversalmente, riaffiora costantemente l’idea: “E se andassimo da soli?”.
Una posizione che è sempre stata quella del coordinatore, ma che vacilla pesantemente dopo il magro bottino siciliano. “Con il 4% in una Regione forte come la Sicilia è tanto se a livello nazionale prendiamo il 2%”, ragiona un senatore centrista.
“Il punto – prosegue – è che rischiamo di prendere ancora meno se facciamo una listerella apparentata con il Pd. Perchè a quel punto un elettore dovrebbe votare noi e non direttamente Renzi?”.
Un problema, per usare un eufemismo. Del quale al momento non si intravede una soluzione. Non una che tenga uniti tutti i pezzi, almeno, senza un’ulteriore doloroso sbrindellamento.
Il tandem Alfano-Lupi rimane imperscrutabile in vista del redde rationem di sabato. Troppo alta la posta in gioco per sbagliare anche la più piccola mossa.
Sempre che si sia ancora in tempo per rattoppare alle scelte del passato.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI ALTRI QUOTIDIANI EUROPEI DOPO LE REGIONALI IN SICILIA
“Era il rottamatore. Ma fino ad ora ciò che Mr. Renzi ha demolito con più successo, è stato
il suo Pd”.
L’Economist non risparmia critiche al segretario del Partito Democratico dopo i risultati delle elezioni regionali in Sicilia. Lo fa sull’homepage del suo sito internet, in un articolo che commenta i nuovi equilibri politici restituiti dalla consultazione insulare e in cui definisce “una disastrosa performance” quella a cui il Partito Democratico è andato incontro domenica.
Nello stesso articolo il settimanale inglese parla della rinascita del centro-destra, sottolineando come Silvio Berlusconi abbia “iniziato ad assumere l’aura di un vecchio statista, nonostante la condanna per evasione fiscale e una serie di scandali a sfondo sessuale” e conclude il pezzo annunciando che “Mr Berlusconi è tornato e si vendicherà “.
L’Economist non è l’unico organo d’informazione straniero ad interessarsi delle elezioni siciliane.
La Sueddeutsche Zeitung definisce la vittoria del centro-destra “un eccentrico scherzo della storia”, mentre per Le Monde “dopo la Sicilia la destra vuole conquistare l’Italia”.
Secondo il Financial Times il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi “ha respinto una forte sfida dal movimento populista dei 5 Stelle” e ora “mette pressione” su Matteo Renzi. Per il quotidiano finanziario, i risultati delle urne, viste come “il test finale prima delle prossime elezioni parlamentari” mostrano che “l’umore politico dell’Italia si sta spostando verso la destra euroscettica” e “suggeriscono anche che i 5 Stelle restano una forza potente ma non più in ascesa e che Renzi e il Pd potrebbero essere nei guai”.
Quanto al Pd il Financial Times sottolinea “la difficoltà a connettersi con gli elettori” e come ora Renzi debba affrontare gli scettici all’interno del suo partito, i quali “credono sia diventato troppo divisivo e che le sue politiche siano troppo centriste per vincere le prossime elezioni”.
“Il problema più grosso per Renzi – argomenta l’articolo – potrebbe essere che il ritorno di Berlusconi renderà più difficile trovare voti tra i centristi italiani mentre la sinistra non trova ancora un accordo di coalizione che la metterebbe in una posizione più forte nelle elezioni del 2018”.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
A CASTELLUCCIO NON NE ARRIVERANNO PRIMA DELLA PRIMAVERA, A VISSO FORSE DOPO NATALE… LA RABBIA DELLA POPOLAZIONE
Più di due famiglie su tre ancora non hanno ricevuto le Sae e si arrangiano tra alberghi della costa, agriturismo e sistemazioni autonome.
A oltre un anno di distanza, è molto lontano dall’essere completato il piano di prima emergenza mentre la ricostruzione è una parola perfetta soltanto per pensosi dibattiti.
L’ultima mappa pubblicata dalla Protezione Civile è una fotografia di decine di ritardi.
Ci sono alcune aree (poche) contrassegnate da simboli verdi a indicare la consegna delle Sae e una larga parte di territorio dove il colore prevalente è il giallo, simbolo di inizio lavori, in alcuni casi persino ancora il bianco che sta a indicare più o meno il nulla.
In base ai dati pubblicati il 20 ottobre, sulle 3.699 Sae ordinate per i 51 comuni che ne hanno fatto richiesta, ne erano state consegnate ai sindaci 1.042, meno di una su tre.
Se anche qualcosa è cambiato in queste tre settimane si tratta di poche decine di casette in più che non modificano il quadro generale.
Ci sono luoghi come Castelluccio dove si è deciso di chiudere la strada che da Norcia porta sull’altopiano e per le Sae bisognerà aspettare fino alla primavera.
Una decisione inevitabile, secondo il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno: “E’ aperta la strada che passa per Campi e non abbiamo alternative se vogliamo rimettere a posto la strada. Per quel che riguarda le Sae la Regione e il Comune hanno aperto un tavolo di confronto con il Ministero dell’Ambiente e quello dei Beni Culturali. Castelluccio ha caratteristiche particolari che vanno tutelate, era necessario ascoltare tutte le associazioni e recepire ogni suggerimento. La soluzione che adotteremo sarà quindi diversa da tutte le altre, anche chi non ha la residenza abituale potrà avere una casetta. In totale saranno 8 Sae che saranno collocate in maniera tale da non creare problemi paesaggistici in un altopiano tra i più belli al mondo”.
Nemmeno una Sae consegnata in tantissimi altri borghi devastati dal terremoto, da Ussita a Visso.
A Visso nella migliore delle ipotesi bisognerà aspettare gennaio mentre 231 persone sono ancora ospiti di strutture lungo la costa e 538 sono in autonoma sistemazione. Il sindaco Giuliano Pazzaglini ha annunciato proteste: “Come sempre la mia lealtà è nei confronti della popolazione,, quindi do piena disponibilità a qualsiasi iniziativa si dovesse intraprendere”.
(da “La Stampa”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE M5S AMMETTE: “ABBIAMO PERSO TEMPO E NON ABBIAMO ANCORA APERTO LA GARA D’APPALTO PER LA RIMOZIONE”
Il MoVimento 5 Stelle continua a guidare l’amministrazione comunale capitolina con
piglio deciso e facendo le cose per bene.
Ne è una prova il bando da quasi 500 milioni di euro annullato dal Comune di Roma dopo il parere negativo espresso dall’Antitrust.
Ma a Roma ci sono altri appalti da assegnare, ad esempio quello per il servizio rimozioni delle auto in sosta vietata. Si tratta di una commessa da 5 milioni di euro all’anno. Un servizio che manca a Roma dal novembre 2015, quando venne revocato l’appalto al Consorzio Laziale Traffico (CLT).
L’appalto per le rimozioni era stato sospeso dal Comandante della Polizia Locale perchè due delle consorziate del CLT “sono risultate responsabili dall’Agenzia delle Entrate di violazioni fiscali accertate in via definitiva. Ciò ha reso obbligatorio il non procedere al perfezionamento del contratto”.
Il risultato della sospensione è stato che Roma è rimasta senza un servizio di rimozioni e senza carri attrezzi.
La Capitale ha provato a metterci una pezza ricorrendo a quelli dei depositi giudiziari. Ma il numero dei mezzi non era sufficiente per un’efficace azione di contrasto alla sosta selvaggia.
In tutto questo ci sarebbe aspettati che i difensori della legalità si adoperassero per garantire il rispetto delle regole. A Roma ci sono tanti cittadini onesti che non ne possono più di trovare auto parcheggiate in doppia fila, in divieto di sosta, sulle strisce pedonali e così via.
Ieri finalmente il presidente della Commissione Mobilità Enrico Stefà no ha preso “di petto” la questione ammettendo onestamente che l’Amministrazione comunale ha perso tempo.
Tempo che è stato perso anche perchè l’assessora Linda Meleo per due volte ha chiesto ad Atac — la municipalizzata dei trasporti — di farsi carico delle rimozioni.
Al punto che lo stesso Stefà no ad inizio 2017 annunciava che «Il servizio rimozioni del Comune sarà portato all’interno di Atac, con un processo burocratico che dovrebbe concludersi a inizio 2018».
Prorogando così l’avvio della gara al 2019. Atac però ha risposto picche ad entrambe le richieste.
Ed è curioso che il Comune si sia intestardito a cercare una soluzione “interna” appoggiandosi ad un’azienda che era noto non navigasse in ottime acque e per la quale è stato chiesto qualche tempo fa il concordato preventivo.
Il Comune, invece che approntare una gara d’appalto che era l’unica cosa intelligente da fare, è rimasto a “studiare” la situazione.
Il risultato è che il bando non è ancora pronto.
Ci è voluto un anno solo per ammettere che il MoVimento non ha saputo governare una situazione per certi versi assai favorevole al “cambiamento” propugnato da Virginia Raggi.
Sarebbe bastata una gara d’appalto, di quelle fatte bene, per mettere in riga i furbetti del parcheggio selvaggio. Ma così non è stato, e per vedere i carri attrezzi di nuovo in circolazione si dovrà attendere l’estate del 2018.
Due anni dopo l’insediamento della Raggi. Ammesso e non concesso che anche questo bando non venga sospeso o ritirato per qualche irregolarità , come è già successo nel passato recente di questa amministrazione.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
“PRONTO A DENUNCIARE IL PARTITO, E’ IN CONTRADDIZIONE CON LA BATTAGLIA PER LO IUS SOLI”
“Chiedo l’immediata sospensione delle primarie comunali del centrosinistra”. Nicolae Galea, 20enne nato a Cantemir in Moldavia, ma regolarmente residente a Vicenza e iscritto al circolo Pd del centro storico, non ci sta: “Si sta violando lo Statuto nazionale del partito, si vuole infatti impedire a me e agli altri cittadini extracomunitari, regolarmente residenti, di votare alle primarie del centrosinistra per il candidato sindaco di Vicenza”.
Il 3 novembre Galea ha scritto alla Commissione nazionale di garanzia del Partito democratico, dopo aver letto sul “Giornale di Vicenza” che i tre candidati sindaco, tutti iscritti al Pd, per le primarie comunali del centrosinistra (che si terranno a Vicenza il 3 dicembre prossimo) “hanno accettato la norma che esclude dal diritto di voto i cittadini extra-europei, ancorchè regolarmente residenti in Italia”.
Galea lamenta il fatto che tale decisione viola diversi articoli dello Statuto nazionale del Pd, a partire “dall’articolo 2, laddove definisce come elettrici ed elettori, cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso del permesso di soggiorno, stabilendo il loro diritto a partecipare alle elezioni primarie per la scelta dei candidati”.
Per questo, Galea chiede la sospensione delle primarie comunali del centrosinistra nella sua città e l’assunzione di provvedimenti disciplinari nei confronti dei candidati sindaco, che hanno avallato “una decisione che così platealmente viola le norme statutarie nazionali e regionali”, e avverte che si riserva di ricorrere alla magistratura.
Contraddizione con le norme statutarie a parte, il caso suona ancora più paradossale tenendo conto che il Pd da mesi dichiara l’impegno a fare il possibile per approvare, prima della fine della legislatura, la legge dello Ius soli che darebbe la cittadinanza ai figli di immigrati.
Ma questa battaglia per il futuro, evidentemente, non impedisce che per il presente, a Vicenza, gli stranieri residenti e in regola con i permessi di soggiorno vengano tenuti fuori dai seggi delle primarie della città dove vivono.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
LA DATA E’ STATA NOTIFICATA AGLI AVVOCATI
Potrebbe essere costretta a difendersi dall’accusa di falso in piena campagna elettorale la
sindaca di Roma, Virginia Raggi.
L’udienza nella quale si deciderà il rinvio a giudizio della sindaca è stata infatti fissata al 9 gennaio prossimo davanti al gip Gentile. La data è stata notificata agli avvocati venerdì.
Le accuse alla Raggi
La procura di Roma accusa la Raggi di falso: secondo l’accusa mentì all’Anticorruzione del Comune sulla nomina di Renato Marra.
Da graduato dei vigili urbani fu promosso (nomina revocata successivamente) a capo del dipartimento Turismo del Campidoglio, con un incremento di stipendio pari a 20 mila euro. La sindaca affermò all’Anticorruzione che il ruolo di Raffaele era stato «di mera pedissequa esecuzione».
Le indagini svolte dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Francesco Dall’Olio raccontano un’altra verità .
Nei messaggi del 14 novembre scorso Raffaele – a proposito dell’aumento dello stipendio del fratello – scrive alla sindaca: «Se lo avessi fatto vicecomandante i soldi erano gli stessi». La Raggi replica: «Infatti abbiamo detto vice no. Doveva restare dov’era con Adriano (Meloni, assessore al Turismo)». E lui controbatte: «Infatti con Adriano il posto era quello di cui abbiamo sempre parlato».
La scelta del rito ordinario
I legali di Virginia Raggi, gli avvocati Emiliano Fasulo e Alessandro Mancori, sono decisi a procedere con il rito ordinario. La sindaca Raggi dunque, convinta della sua innocenza, non opterà ne per un patteggiamento ne per il rito abbreviato.
(da “La Stampa“)
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Novembre 7th, 2017 Riccardo Fucile
UNA FOLTA DELEGAZIONE COMPOSTA DA PC, PCI, RIFONDAZIONE HA PARTECIPATO OGGI ALLE CELEBRAZIONI DELL’ANNIVERSARIO
In Russia i cento anni della Rivoluzione d’Ottobre sembra che interessino più agli stranieri che non ai russi stessi.
Oggi, 7 novembre, data esatta dell’anniversario – corrispondente al 25 ottobre del calendario giuliano allora in uso nella Russia zarista – le bandiere rosse sventolano sulla Piazza Rossa di Mosca.
Ma sono soprattutto quelle di oltre cento delegazioni straniere di partiti comunisti, fra cui una nutrita rappresentanza italiana, composta da Pc, Pci e Rifondazione comunista.
Il presidente Vladimir Putin non parteciperà alle celebrazioni, nè tantomeno alla marcia al centro della capitale guidata dal Partito comunista russo (Kpfr), alla quale prendetanno parte studiosi, ricercatori e nostalgici oltre a partiti e movimenti politici di diversi paesi che hanno abbracciato il socialismo tra cui Cina, Corea del Nord, Cuba e Vietnam. Eppure la rivoluzione compie cent’anni, quando nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24 e 25 ottobre), le formazioni armate dei bolscevichi guidate da Lenin occuparono i centri nevralgici di Pietrogrado.
Il giorno seguente, cadde anche il Palazzo d’Inverno, una specie di “Bastiglia zarista”, simbolo stesso della rivoluzione.
“Bisogna capire che la gente è stanca delle tragedie e non bisogna continuare a rimarcare”. Così il politologo, Sergey Markov, considerato vicino al presidente, spiega il quasi totale disinteresse del potere centrale russo allo storico anniversario.
“La popolazione sostiene questa posizione, del governo e di Putin”, aggiunge.
Tra le delegazioni italiane, come detto, c’è quella del Partito comunista guidata dal segretario Marco Rizzo, che per l’occasione ha presentato anche il suo nuovo libro “Urss, a cento anni dalla rivoluzione sovietica, i perchè della caduta”, edito da Male edizioni.
E che ha organizzato a Roma per sabato 11 novembre un grande corteo nazionale di giovani e lavoratori che partirà alle 16 dal Colosseo.
Presente alla sfilata di Mosca anche Rifondazione Comunista con il segretario nazionale Maurizio Acerbo e Marco Consolo, responsabile Esteri del partito.
Ma il gruppo più numeroso è senza dubbio quello del Partito comunista italiano guidato da Mauro Alboresi: ben 80 delegati da tutta Italia che, accollandosi tutte le spese del viaggio nella capitale russa, hanno deciso di portare la loro testimonianza.
Infine il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando ha tenuto diverse iniziative in Italia sulla Rivoluzione d’Ottobre, che si concluderanno sabato 11 a Reggio Calabria.
Nel 1917 la Russia era un Paese arretrato e sull’orlo del collasso. Governata per secoli da dinastie di zar, i sovrani russi dai poteri pressochè assoluti, la Russia era rimasta una monarchia dai tratti medievali, con un’industria quasi assente, un Parlamento (chiamato Duma) privo di poteri effettivi e una popolazione numerosa, povera e legata quasi esclusivamente all’attività agricola. La partecipazione alla Prima Guerra Mondiale non fece che peggiorare la situazione.
Questa serie di malcontenti portò il paese dritto verso la Rivoluzione, dalla quale nascerà un nuovo ordine per quella nazione che, dal 1922 e fino al 1989, tutto il mondo avrebbe conosciuto come Unione Sovietica.
(da agenzie)
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