APOCALISSE POPOLARE, DOPO IL VOTO SI SPACCA IN TRE: I FILO-GOVERNATIVI, CHI GUARDA A DESTRA, GLI AUTONOMISTI
IL DISASTRO ELETTORALE, LA PAURA DELLA NON RIELEZIONE… SABATO IL REDDE RATIONEM
“La verità è che al nostro interno siamo esplosi. Lo eravamo prima delle elezioni in Sicilia, lo siamo a maggior ragione dopo”. Un deputato di lungo corso mastica stancamente una gomma.
Siamo nel corridoio fumatori di Montecitorio, metà mattina, la sigaretta rimane spenta. Alternativa Popolare non ha conquistato nessun seggio in Sicilia. Il granaio dei centristi, la patria di Angelino Alfano.
“Ci sono tre posizioni che si mescolano continuamente tra i nostri – continua il deputato – chi vuole mollare il Pd e tornare nel centrodestra, chi vuole tentare l’avventura da solo e chi vuole rimanere al fianco di Matteo Renzi. Sempre che ci voglia”. E Alfano? “Alfano è in Russia”.
Già , perchè bisogna partire da qui nel racconto della truppa dell’ex delfino di Silvio Berlusconi, logorata dai tanti mesi a votare provvedimenti che fuori dal Palazzo diventavano comunicativamente le leggi del Pd, sballottata dai non rosei risultati elettorali siciliani, terrorizzata dalla non rielezione di qui a qualche mese.
Bisogna partire da Angelino Alfano. Che effettivamente è a Mosca nelle sue ultime vesti di una poliedrica carriera politica, quelle di ministro degli Esteri.
E dalla patria di Lenin alla domanda “che fare?” risponde con un laconico: “Ci ragioneremo su”.
Salvo poi stancamente aggiungere che “in questi anni abbiamo collaborato con governi che hanno preso l’Italia in una condizione peggiore, la stanno lasciando in una condizione migliore. Il saldo per gli italiani di questi anni è stato positivo”. Quasi un no comment.
C’è una fetta del partito che, con diversi gradi di maturazione, ha elaborato l’idea che quella di Angelino sia una carta troppo logora da giocarsi in campagna elettorale.
Il corollario, risultati siculi alla mano, sarebbe quello di chiedergli di fare un passo di lato, quantomeno di non essere il frontman della formazione che questo weekend si riunirà a in una conferenza organizzativa a Roma per raccapezzarsi su come presentarsi alle elezioni.
E qui è utile fare un passo indietro. Perchè occorre capire dove e come scendere in campo.
Tutti nel microcosmo popolare hanno notato una cosa. Vale a dire che Maurizio Lupi, attuale coordinatore e a detta di molti il volto più spendibile in vista delle urne, negli ultimi giorni è rimasto asserragliato in un ostinato mutismo.
“Stava a New York per correre alla maratona”, dice il suo entourage. Cosa che non spiega perchè tra i tweet e i post su Facebook non si trovi mezza parola sulle elezioni siciliane. Di nessun tipo.
Il coordinatore si deve districare in una situazione esplosa, tirato per la giacca tra le varie istanze che si muovono magmaticamente in Ap.
I più rumorosi sono quelli che con un misto di ammirazione e ironia vengono chiamati “i lombardi”, ma che non sono solo tali. I quali spingono decisamente per una virata a destra, un ritorno all’ovile di Berlusconi.
A tirare le fila è Roberto Formigoni. Sentite: “Le elezioni hanno evidenziato che i sostenitori dell’alleanza con il Pd hanno commesso un errore enorme”. E ancora: “È ineludibile un’inversione a 180 gradi quando ci riuniremo sabato”.
Formigoni ha in dote un gigantesco tessuto relazionale, suo e dei tanti amministratori che l’hanno seguito al centro e che vengono dalla comune esperienza di Comunione e Liberazione. In più, negli anni si è cementato un solido rapporto con Roberto Maroni, che non si ha nessuna intenzione di interrompere.
L’anno prossimo la Lombardia andrà al voto, e la pattuglia di Ap al Pirellone non ha nessuna intenzione di cambiare casacca. Una scelta che sarebbe difficilmente spiegabile ai propri elettori, potenzialmente suicida.
La senatrice Simona Vicari usa la clava. E parla di “numerosi errori di valutazione politica e di comunicazione da parte di tutto il gruppo dirigente del Partito. Nascondere questo risultato dietro calcoli percentuali che dimostrerebbero la possibilita’ di restare in vita a livello nazionale, puntando semplicemente a superare il 3 per cento nazionale, è un atteggiamento sbagliato”. Chiaro no?
Sull’altro piatto della bilancia c’è il fitto lavorio di Pier Ferdinando Casini. Il suo rapporto con Renzi si è consolidato negli anni. In molti dentro il partito hanno ironizzato per l’incontro tra i due andato in scena negli scorsi giorni a Firenze: “È andato a battere cassa”.
Ma al di là delle battute salaci, non è un mistero che il già presidente della Camera accarezzi l’idea di un accordo con il Pd, anche se i contorni non ne sono ancora stati definiti.
Sergio Pizzolante, vicepresidente del gruppo a Montecitorio, la mette giù chiara: “Per una forza moderata e centrista che ha governato il Paese per 5 anni con il Pd e altre forze, non c’era in Sicilia e non potrà esserci in Italia altra scelta se non quella di organizzare un’alleanza partendo dall’area di governo”.
La linea che esprime Pizzolante è quella su cui colloca tutta l’area filo-governativa, Beatrice Lorenzin e Fabrizio Cicchitto su tutti. Che temono, come molti sono pronti a giurare, che Lupi alla fine rompa gli indugi, e viri decisamente verso destra.
Cicchitto parla di due scelte: “Quella di collocarsi su una posizione autonoma o quella di verificare se esistono le condizioni politico programmatico di stampo riformista per una convergenza con il Pd”. Tertium non datur.
Trasversalmente, riaffiora costantemente l’idea: “E se andassimo da soli?”.
Una posizione che è sempre stata quella del coordinatore, ma che vacilla pesantemente dopo il magro bottino siciliano. “Con il 4% in una Regione forte come la Sicilia è tanto se a livello nazionale prendiamo il 2%”, ragiona un senatore centrista.
“Il punto – prosegue – è che rischiamo di prendere ancora meno se facciamo una listerella apparentata con il Pd. Perchè a quel punto un elettore dovrebbe votare noi e non direttamente Renzi?”.
Un problema, per usare un eufemismo. Del quale al momento non si intravede una soluzione. Non una che tenga uniti tutti i pezzi, almeno, senza un’ulteriore doloroso sbrindellamento.
Il tandem Alfano-Lupi rimane imperscrutabile in vista del redde rationem di sabato. Troppo alta la posta in gioco per sbagliare anche la più piccola mossa.
Sempre che si sia ancora in tempo per rattoppare alle scelte del passato.
(da “Huffingtonpost”)
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