Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
NAPOLI, IL CONSIGLIERE DEI VERDI CHIEDE CHE ORA SIA SALVINI A DARGLI LA CITTADINANZA ONORARIA
Si sente male al volante ma la prontezza di un passante corso in suo aiuto gli salva la vita. Una storia simile a tante altre, se non fosse che i protagonisti sono un attivista di ‘Noi con Salvini’ e un extracomunitario.
È quanto successo domenica a Marano, un piccolo comune alle porte di Napoli: Massimo Marsico, portavoce di ‘Noi con Salvini’, movimento fondato dal leader della Lega, ha avuto un malore improvviso mentre era alla guida della sua auto e a salvargli la vita è stato un giovane immigrato, che gli ha praticato il massaggio cardiaco in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.
L’uomo è ora ricoverato in osservazione all’ospedale Cardarelli di Napoli e sta bene.
A riferire la vicenda è il consigliere campano dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, secondo cui il giovane extracomunitario merita ora la cittadinanza onoraria e a dargliela dovrebbe essere proprio Matteo Salvini.
“Questo episodio — afferma l’esponente dei Verdi — è l’ennesima dimostrazione che le persone per bene non si distinguono in base al colore della pelle, alla religione o alle tradizioni culturali, ma solo ed esclusivamente in base a come si comportano e agli atti che compiono nel nostro Paese. Quello di salvare la vita ad un nostro concittadino è un gesto che merita il massimo della riconoscenza da parte dello Stato, a partire dal riconoscimento della cittadinanza onoraria”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
SOLO L’INVENTORE DI BUFALE COME “LA NIPOTE DI MUBARAK” O “I RISTORANTI SONO PIENI” POTEVA REPLICARE ALLE FAKE-NEWS DI RENZI E DI MAIO
Ma chi è Gallitelli? Da dove esce Gallitelli? Tutti a chiederselo dopo l’uscita da
Fazio. Lo stesso Salvini cade dal pero, la Lega si spacca e Brunetta parla di “esempio di standard”(?).
Non c’è niente da fare. Usurato, ristrutturato, forse ricandidato, Silvio Berlusconi rimane quello che è sempre stato: un gigante della comunicazione.
Solo l’inventore di bufale (nella fulgida era pre-fake-news) come “i ristoranti sono pieni” o “la nipote di Mubarak”, poteva replicare alla Leopolda contro-le-fake-news con un fake-candidato-premier.
Vedremo se l’interessato smentirà la disponibilità , così come aveva già fatto quando il suo nome era stato indicato per la Regione Lazio, ma ormai il più è fatto.
Spostando il dibattito pubblico reale sull’apparizione dell’uomo forte e gran lavoratore (pare che Gallitelli non faccia mai ferie, fake news?), nientedimeno che un generale dell’Arma, il Cavaliere ha centrato l’obiettivo e messo in secondo piano l’indubbio successo comunicativo del team renziano.
E pensare che era stato uno spin coi fiocchi, un report rilanciato dall’autorevole New York Times a poche ore dall’inizio della Leopolda, un’operazione che (forse) produrrà una legge anti-bufale in Rete e in ogni caso un dibattito che difficilmente scalderà i cuori del cosiddetto Paese reale.
Che poi, se ci sono milioni di persone disposte a credere a quello che già volevano sentirsi dire, valli a smontare con cose difficili come le eco-chambers o domini comuni su analytics tra movimenti politici in teoria rivali.
Se quelli da decenni volevano sentirsi dire che serviva l’uomo forte e capace, ora che ne è stato evocato uno, fake o no, c’è il rischio che lo vadano a votare davvero.
Poi se esista o meno, con la legge elettorale attuale, è un’altra storia.
Potremmo anzi assistere a un nuovo reality della politica e scoprire un uomo nuovo a settimana.
L’era del fake candidato premier è appena iniziata.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
SI INFORMI, LA MAGGIORANZA DEGLI ASPIRANTI E’ CRISTIANA, LA FREQUENTAZIONE DI RAZZISTI NON GIOVA ALLA SUA MEMORIA
“No alla fiducia sullo Ius soli intanto perchè i trafficanti di uomini avrebbero un argomento forte per dire guardate che in Italia è più facile conquistare la cittadinanza”. Inoltre, “alcuni di loro odiano i cristiani, gli ebrei, lo Stato italiano, non si può dare loro la cittadinanza italiana solo perchè è hanno frequentato una scuola”.
Tra le tante dichiarazioni dell’ex Cavaliere Silvio Berlusconi durante l’intervista di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” che hanno fatto discutere, c’è anche quella che sancisce definitivamente la bocciature della riforma della cittadinanza.
La posizione del leader di Forza Italia sul ddl che, salvo colpi di scena, rischia di non vedere la luce nemmeno in questa legislatura, non stupisce politicamente, ma contiene una serie di informazioni false che vengono smentite non appena vengono associate ai dati.
Secondo infatti lo studio della Fondazione Leone Moressa, rilanciato nei mesi scorsi più volte dai giornali, se si fa uno studio sugli alunni stranieri che hanno frequentato le nostre scuole nell’anno scolastico 2015/2016, si può vedere che la platea dei beneficiari della riforma sarebbero 815mila minorenni.
Di questi: 157mila sono romeni, 111mila albanesi, 102mila marocchini, 45mila cinesi, 26mila filippini, 25mila indiani, 25mila moldavi, 19mila ucraini, 19mila pakistani e 18mila tunisini.
E se ipotizziamo che alla nazionalità coincida la religione prevalentemente professata nei Paesi d’origine, ne deriva che i futuri italiani saranno per la maggior parte provenienti da famiglie cristiane.
E di questi solo il 38,4 per cento sono musulmani.
I dati li ricorda sempre la Fondazione Moressa: i potenziali “nuovi italiani” professano la religione cattolica o protestante (16,1%), ortodossa (28%), islamica (38,4%), buddista (1,8%), induista (3,1%), nessuna fede (12,6%).
Per quanto riguarda la presenza sul territorio, che è però cosa diversa da chi aspira ad avere la cittadinanza con la riforma sullo Ius soli, secondo l’Istat attualmente in Italia ci sono 454mila marocchini, ma anche 441mila albanesi, 318mila cinesi, 234mila ucraini, 162mila filippini, 157mila indiani, 137mila egiziani, 132mila bengalesi, 130mila moldavi e 118mila pakistani.
Berlusconi ha detto una cosa falsa anche quando ha affermato che “non si può dare loro la cittadinanza italiana solo perchè hanno frequentato una scuola”.
Infatti, la legge che giace quasi dimenticata in Senato, in Italia sarebbe introdotto lo Ius soli temperato secondo cui la cittadinanza non si acquisisce automaticamente se si nasce in Italia, ma a determinate condizioni: uno dei due genitori deve trovarsi nel nostro Paese da almeno 5 anni e deve avere il permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo (cittadini extra Ue) o il diritto di soggiorno permanente (cittadini Ue).
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
SEMPRE PIU’ AMPIO IL DIVARIO TRA NORD E SUD… SORPRESA ASCOLI PICENO
Tutti a Belluno. È la città che si aggiudica il primo posto quanto a qualità della vita nella
XXVIII edizione dell’indagine annuale del Sole 24 Ore.
La migliore qualità della vita parte dalle Alpi, passa attraverso Aosta, Sondrio, Bolzano, Trento fino a Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte. Nei primi sette posti della classifica che misura il benessere, non solo economico, delle province italiane ci sono ben sei province alpine, a cui si aggiunge Trieste.
Elementi portanti dell’analisi sulle 110 province Italiane sono sei macro-aree e 42 indicatori, tra cui quest’anno entrano anche gli acquisti online, il gap retributivo di genere, la spesa per i farmaci, il consumo del suolo, gli anni di studio degli over 25 e l’indice di litigiosità nei tribunali.
Arretrano alcune grandi città : Milano che, nella classifica generale perde 6 posizioni e scivola all’ottavo posto; Roma, che scende al 24° rispetto al 13° del 2016, e Torino, che retrocede al 40° posto.
Nelle vittorie di tappa per singola macro-area, Milano è sempre al top nell’ambito “Ricchezza e consumi” e conquista il primato nel pil pro-capite, nell’importo medio delle pensioni e nei depositi bancari.
I voti migliori per il consumo di suolo e l’emigrazione ospedaliera vanno invece a Sondrio, che guadagna il podio dell’area “Ambiente e servizi”. Aosta “vince” in quanto a densità abitativa e nelle acquisizioni di cittadinanza, mentre per giustizia e sicurezza è la provincia di Verbano Cusio Ossola a guadagnare la prima posizione. Firenze, invece, supera Roma e si aggiudica il primo posto per cultura e tempo Libero.
Ma la grande sorpresa del 2017 è Ascoli Piceno, che vince la medaglia d’oro nella categoria “Lavoro e innovazione”. In coda alla graduatoria complessiva, invece, finiscono soprattutto le aree di Campania e Puglia: ben otto nelle ultime dieci posizioni, con Caserta maglia nera 2017 e Taranto al penultimo posto. Al terz’ultimo c’è Reggio Calabria.
A sancire il verdetto è la tendenza di fondo che mostra, attraverso i risultati dei singoli indicatori, come il divario tra Nord e Sud del Paese tenda sempre più ad ampliarsi: per trovare la prima provincia del Sud e delle Isole bisogna arrivare fino al 52° posto, ovvero quello di Oristano.
Le aree centro-settentrionali non solo ribadiscono i loro primati storici negli indicatori economici (dalla ricchezza al lavoro), ma guadagnano spazio anche nei ranking – come demografia e tempo libero – un tempo appannaggio dei territori del Sud.
Non mancano comunque le buone prestazioni: la stessa Oristano conquista il terzo posto nella macro-area “Giustizia e sicurezza”, Matera sale al 6° posto nella categoria “Ambiente e servizi” e le province del Mezzogiorno occupano in blocco i primi 14 posti nell’indicatore legato alla diffusione della banda larga.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
FATTI PROVATI, IMPOSSIBILE RIVELARLI SENZA VIOLARE LA LEGGE
L’allarme dell’intelligence americana sull’offensiva russa per influenzare la politica italiana era scattato nell’autunno del 2016, quindi molto prima che le operazioni di Mosca per condizionare le presidenziali Usa diventassero note.
La preoccupazione di Washington era così alta, che il dipartimento di Stato inviò una missione a Roma per informare del pericolo i colleghi dell’ambasciata di Via Veneto.
Lo scopo non era discutere se il Cremlino stesse cercando di manipolare la scena politica italiana, ma come reagire ad un attacco già reale e in corso.
I servizi americani e i diplomatici avevano notato uno schema che si ripeteva un po’ dappertutto.
§Ovunque c’erano le elezioni, cominciavano a circolare notizie false, azioni propagandistiche, gruppi politici che favorivano gli interessi della Russia, o puntavano a destabilizzare i paesi che prendevano le distanze da Mosca.
La tendenza era cominciata in Europa orientale, ma si era presto trasferita nei Balcani e nel resto del continente.
Qualcosa del genere era accaduta anche durante il referendum per la Brexit, e si sarebbe ripetuta nelle presidenziali francesi, le politiche tedesche, la Catalogna.
Lo scopo era chiaro: favorire i candidati più vicini al Cremlino, o destabilizzare i Paesi occidentali amici degli Usa e le loro alleanze, come Nato e Ue.
L’Italia era un obiettivo logico di questa strategia, un po’ per i legami storici ed economici con la Russia, e un po’ per la sua debolezza. Infatti era stata aggredita.
Le prove portate a Roma dalla missione del dipartimento di Stato erano concrete, ma sarebbe impossibile rivelarle senza violare la legge.
I potenziali punti di contatto in Italia erano stati identificati soprattutto nel Movimento 5 Stelle e nella Lega.
§La discussione, secondo fonti presenti, aveva riguardato come reagire, e gli inviati di Washington avevano sollecitato i colleghi di Via Veneto a prendere una posizione pubblica.
Questo passo alla fine era stato escluso, per non compromettere la possibilità di lavorare con tutte le forze politiche italiane, ma l’allarme era diventato sistemico.
Ora, alla vigilia delle elezioni italiane che potrebbero mettere in crisi Ue e Nato, il problema esplode in pubblico.
I media americani rilanciano l’emergenza. La Freedom House ha appena pubblicato il rapporto «Freedom on the Net», in cui ha individuato 16 Paesi che sono già stati soggetti a offensive di fake news come quella che la Russia ha condotto durante le presidenziali Usa.
Tra di essi c’è anche l’Italia, oltre a Germania, Francia, Corea del Sud, Turchia, e persino Angola e Zambia. Dunque un’operazione globale, a cui non può logicamente sfuggire il nostro paese.
Durante la sua recente visita a Washington, il candidato premier di M5S, Luigi Di Maio, ha cercato di rassicurare gli americani, dicendo che il suo movimento considera gli Usa un alleato e la Russia un interlocutore.
Il deputato repubblicano Francis Rooney, ex ambasciatore americano presso la Santa Sede e quindi esperto di Italia, ci ha spiegato che «sono stato io a raccontare a Di Maio l’offensiva russa per influenzare le nostre elezioni, non viceversa».
Quanto alle altre posizioni del movimento che vanno incontro agli interessi russi, Steve Scalise, numero tre della maggioranza repubblicana alla Camera e quindi politico più alto in grado incontrato da Di Maio, ci ha consegnato questa riflessione: «Ogni nazione fronteggia sfide economiche e dibattiti interni riguardo le spese per la difesa, ma noi continuiamo a sollecitare tutti gli alleati Nato a rispettare il loro impegno di incrementare queste spese fino a 2% del pil».
Stesso discorso per le operazioni militari all’estero: «Il governo di Roma è stato un alleato cruciale in Afghanistan, ed è il secondo contributore a questa missione. Mentre gli Stati Uniti e la Nato incrementano la nostra presenza, noi speriamo che l’Italia continui ad essere un partner chiave per portare sicurezza e stabilità in Afghanistan».
Sebastian Gorka, ex consigliere del presidente Trump, ha aggiunto: «Ogni nazione che volesse persistere nello scroccare la difesa, non verrebbe vista con approvazione dagli alleati, America inclusa. In un’epoca in cui il terrorismo resta un pericolo globale, e la Russia minaccia il Baltico e l’Ucraina, la Nato resta la chiave per la difesa collettiva dell’Occidente. L’Italia è parte di questa comunità , e come tale dovrebbe agire da vero giocatore di squadra».
Aprire una discussione sulle basi, dunque, equivarrebbe a volere la rottura con gli Usa.
Il sospetto delle ingerenze russe, in sostanza, si è già trasformato nel dettaglio dei temi concreti su cui Washington teme che Mosca stia cercando di far deragliare le relazioni americane con Roma.
(da “La Stampa”)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
NEL SILENZIO DEI GOVERNI EUROPEI CHE HANNO VENDUTO LA DIGNITA’ AI CRIMINALI LIBICI, L’ESEMPIO DEL PAESE AFRICANO: “SIAMO PICCOLI MA DISPOSTI AD ACCOGLIERNE 30.000″… MINNITI, IMPARA COSA VUOL DIRE ESSERE UOMINI VERI
Un silenzio assordante. Questa la reazione occidentale al rivoltante reportage della CNN
che documenta la vendita all’asta di esseri umani in Libia.
Se ne scriveva e se ne parlava da tempo, in realtà , ma il merito della tv statunitense sta nell’aver documentato con immagini e aver quindi reso vivida la scandalosa tragedia in corso al di là del Mediterraneo. Non possiamo più far finta di non sapere.
Eppure, qui in Italia non ho sentito che frasi di circostanza. Nessuno sdegno vero, profondo, nessuna protesta degna di tal nome.
A Parigi migliaia di persone — quasi tutti francesi di origine africana — hanno manifestato subito il loro sdegno con un corteo che ha attraversato le vie della città al grido “Libèrez nos frères”, liberate i nostri fratelli, per approdare davanti all’ambasciata libica.
In Italia, davanti alla rappresentanza dello Stato nordafricano, l’appuntamento è stato venerdì 24, ben dieci giorni dopo lo scoppio dello scandalo. E i presenti erano poche decine di persone, agguerrite ma pur sempre vergognosamente poche.
Ma soprattutto, voci forti e decise di condanna da parte dei nostri politici non le ho sentite. Davanti all’orrore di esseri umani all’asta, non c’è appartenenza politica che tenga: tutti, con una sola voce, dovrebbero — avrebbero dovuto — gridare semplicemente NO.
E invece, mentre il mondo intero si indigna, noi facciamo finta di niente. Forse è più comodo così.
Troppo imbarazzante fare i conti con gli accordi della vergogna stretti dal nostro governo con lo “Stato” libico.
Troppo sconvolgente fare i conti con immagini che ci riportano indietro di secoli. Giovani neri forti e muscolosi, adatti ai lavori pesanti, in vendita al miglior offerente.
Non ci sono piantagioni di cotone, ma è come se i secoli non fossero passati, le Carte internazionali non fossero mai state firmate, i Diritti Umani fossero una chimera ancora di là da venire… Chi offre di più, signore e signori? Libia, anno domini 2017.
E mentre noi (non) ci indigniamo, qualcun altro agisce.
Alcuni governi africani hanno richiamato i propri ambasciatori. Ma non solo: dopo aver annunciato il proprio profondo sdegno il governo del Ruanda ha fatto un passo in più, dichiarando di essere pronto ad accogliere 30mila migranti subsahariani detenuti in Libia in condizioni di schiavitù.
30mila esseri umani a cui offrire una seconda opportunità . Sì, avete sentito bene: quello ruandese ad oggi è l’unico governo al mondo ad aver fatto qualcosa di concreto.
Ad aver offerto rifugio alle persone calpestate ed abusate in Libia.
Un paese che — si legge sull’account Twitter del governo — proprio per la sua storia non può rimanere indifferente a quanto sta avvenendo.
La ministra degli Esteri Louise Mushikiwabo (tra l’altro, il Ruanda è il parlamento con la più alta percentuale di donne al mondo) ha affermato: “Il Ruanda è piccolo, ma troveremo posto!”.
Ed è vero: il paese delle mille colline è piccolo e sovrappopolato. Eppure questo non ha impedito al suo governo di prendere una decisione esemplare.
E per una volta vorrei fermarmi qui.
Per una volta, non mi interessa discettare sulla crescita economica a due cifre del piccolo paese nel cuore dell’Africa e sull’origine di tale fortuna. Non mi interessa rinfocolare le polemiche sui mandati presidenziali. Sullo sfruttamento delle ricchezze del vicino Congo. Sulla mancanza di pluralità interna. Tutto vero.
Un paese ricco di luci e di ombre. Ma chi non ne ha?
Per una volta, vorrei soffermarmi solo sulla scelta in sè. Saranno stati fatti precisi calcoli? Certamente. Ci saranno secondi fini? Forse. E anche se fosse?
Intanto, il Ruanda è ad oggi l’unico paese ad andare oltre mielose e spesso false parole di contrizione.
È l’unico ad offrire una speranza a queste persone schiacciate, calpestate, abusate come mai più avremmo voluto vedere.
Chapeau.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
I NAZISTI DI ONR INVOCANO LA FORCA PER GLI OPPOSITORI DI PIATTAFORMA CIVICA… LA CONDANNA DELLA UE, L’ INDEGNO GOVERNO POLACCO NON INTERVIENE
Eurodeputati simbolicamente impiccati in piazza. Ai piedi di un monumento ai caduti.
È successo a una manifestazione della destra sovranista a Katowice (Polonia) dove sabato scorso sono state esposte per la prima volta delle forche con le foto di sei eurodeputati dell’opposizione Piattaforma civica (Po) ‘colpevoli’ di aver votato a favore della risoluzione con quale il Parlamento Ue ha ammonito il governo di Varsavia per il mancato rispetto dello stato di diritto.
La foto è stata pubblicata su Twitter dal portavoce di Po, Jan Grabiec, che ha chiesto alle autorità di reagire.
La manifestazione è stata organizzata dai “nazisti di Onr e si è svolta sotto gli occhi della polizia che non è intervenuta.
I sei eurodeputati erano già stati criticati sia dalla premier Beata SzydÅ‚o che dal presidente della Repubblica Andrzej Duda, entrambi esponenti del partito di destra ‘Diritto e Giustizia, il cui leader è il controverso JarosÅ‚aw KaczyÅ„ski.
Il voto dell’Europarlamento è del 15 novembre, quando la plenaria, con 438 voti a favore, convinta che i valori fondamentali dell’Europa siano a rischio, ha chiesto di attivare il meccanismo preventivo previsto dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, che sancisce alla fin fine la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio Ue.
Come la Commissione europea, che ha avviato una procedura di infrazione, il Pe ha invitato la Polonia a non procedere con le nuove leggi sul sistema giudiziario, a sospendere immediatamente l’abbattimento degli alberi nell’antica foresta di Bialowieza, come deciso dalla Corte di giustizia dell’Ue, a rispettare il diritto di libertà di assemblea, oltre a condannare “la marcia xenofoba che si è svolta a Varsavia” l’11 novembre e a fornire sistemi contraccettivi liberi e accessibili alle donne senza discriminazione.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
LA TRAGICA GESTIONE E IL BUCO MILIARDARIO, LE SCELTE SBAGLIATE E I FAVORI ALLA CONCORRENZA
A tarpare le ali di Alitalia non è stato l’avvento delle compagnie low cost, ma le scelte
scellerate dei Capitani Coraggiosi chiamati da Silvio Berlusconi per salvare la compagnia di bandiera. Senza i danni causati dal Piano Fenice firmato da Cai — in base al quale l’ex Alitalia ha abbandonato il mercato infrauropeo, rinunciando volontariamente a un tesoro di circa 10 milioni di passeggeri per concentrarsi sul mercato domestico a tariffe non competitive — oggi l’Italia non sarebbe il Paese europeo col maggior tasso di penetrazione di vettori a basso costo.
Un “regalone” che ha permesso in meno di dieci anni a Ryanair e simili di accaparrarsi il 52% dei voli nazionali, il 58% dei voli infraeuropei e il 60% di quelli intraeuropei (dati 2016).
Ciò che ancora oggi viene indicato come la causa della crisi della ex compagnia di bandiera, sarebbe quindi l’effetto delle sue politiche industriali.
Sono alcune delle conclusioni contenute in “Alitalia e il mercato del trasporto aereo”, il dossier elaborato dal Dipartimento di Scienze Economico aziendali (Di.Sea.De) dell’Università Statale di Milano Bicocca.
Uno studio ancora inedito — che Business Insider Italia ha potuto leggere in anteprima — firmato dal professor Ugo Arrigo, che ha il merito di smontare molti dei luoghi comuni spesso associati alla vicenda Alitalia.
L’analisi nasce dall’esame di tutti i bilanci della compagnia dal 1947, anno della fondazione, ai giorni nostri. «In realtà ci fermiamo al 2015, perchè i bilanci e i numeri del 2016 non sono ancora stati forniti dagli attuali commissari (Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari, ndr», spiega il Professore.
Non uno qualsiasi Arrigo, ma la “Cassandra” che già a settembre 2008 aveva previsto l’attuale debacle del vettore.
E il relativo nuovo salasso per le casse pubbliche, che per non lasciare a terra gli aerei, hanno appena accordato alla compagnia un prestito ponte da 900 milioni, oltre ad altri 80 milioni l’anno per 1600 cassaintegrazioni.
Un’ennesima iniezione di contante che segue quella versata per la crisi del 2008 (quando nacque Cai) e del 2014 (che portò in regalo gli arabi di Ethiad).
In entrambi i casi, i privati godettero dell’aiuto dello stato, mettendoci molto poco di tasca propria: i Capitani coraggiosi nel 2008 versarono complessivamente 427 milioni (la valutazione degli asset ceduti dall’allora commissario Augusto Fantozzi fu 1.052 miliardi, ma 625 milioni risultarono un accollo di debiti), mentre Etihad nel 2014 versò 388 milioni cash, ma pretese, come vedremo, la cessione di cinque preziosi slot (il permesso ad atterrare e decollare in un aeroporto in una specifica data e orario)sull’aeroporto londinese di Heathrow e del 75% di Millemiglia.
Complessivamente Capitani ed Ethiad rilevarono Alitalia con 815 milioni complessivi
Per capire perchè Alitalia si sia ritrovata alla terza iniezione di capitale in meno di otto anni, è utile analizzare il flusso delle perdite dal 1947 a oggi.
Si scopre così che tra il 1947 e 2007 — ultimo anno a gestione pubblica, espresse in euro 2016 (rivalutazione fatta con l’indice del Pil nominale) -, queste ammontano a 6,5 miliardi, valore che si riduce a 5 miliardi conteggiando gli 1,5 miliardi di tasse versate dalla compagnia allo Stato. Colpisce che sino alla decisione di smantellare l’Iri (1993), le perdite cumulate di Alitalia sono zero al lordo delle tasse.
I 5 miliardi di perdita al lordo delle tasse si creano infatti nel periodo tra lo smantellamento di Iri e la gestione diretta da parte del Tesoro (scelta incomprensibile in quanto il Tesoro non aveva mai avuto alcuna competenza di tipo industriale).
Ma, soprattutto, si scopre che nel 2008, la scelta dell’allora premier Berlusconi di mettere in piedi la “cordata patriottica” ha comportato una perdita ulteriore per le casse pubbliche, stimabile approssimativamente in 5-6 miliardi.
«Quella fu una mossa geniale di Berlusconi, che rinunciò all’ottima offerta di acquisto presentata da Air France, per dare alla compagnia a imprenditori presentati come “di sinistra”, a partire da Colaninno padre», ricorda amaro Arrigo, il quale sottolinea anche le colpe dei sindacati, i quali con toni pur diversi, appoggiarono l’operazione scellerata.
Dati alla mano, la verità oggi innegabile è che gli oltre 10 miliardi di oneri derivanti da Alitalia si creano quasi tutti del periodo post IRI e oltre la metà di questi è imputabile alla scelta del 2008. Una bella medaglia per il Cavaliere.
Per comprendere di quanto siano riusciti a “toppare” i Capitani coraggiosi con il loro Piano Fenice, basta dire che la compagnia prevedeva di incassare dalle tratte domestiche in media 106 euro a biglietto.
Se tale previsione si fosse avverata, nel 2015 in quel segmento avrebbe dovuto raccogliere 1,26 miliardi. In realtà incasserà solo 760 milioni, cioè ben 500 milioni di meno.
Stesso discorso (errato) vale per le tratte di medio raggio: Cai prevedeva un ricavo medio di 118 euro a biglietto, ne raccoglierà appena 95 euro, con un ammanco rispetto alle previsioni di circa 180 milioni di euro. Ecco spiegate le perdite aziendali dell’ultimo biennio.
Ma anche così è difficile comprendere come si possa arrivare ad accumulare 5 miliardi di debiti in un mercato in continua crescita: tra il 1997 e il 2016 l’Italia passa da 50 milioni di passeggeri/anno a 134 milioni.
Un boom che ha avvantaggiato soprattutto le low cost, che tra il 2004 e il 2016 quadruplicano i passeggeri (da 13 a 66 milioni).
Negli stessi anni anche le altre compagnie tradizionali crescono, passando da 33 a 42 milioni di passeggeri. L’unica a perdere in maniera continuata è Alitalia: dal 37% del mercato di linea controllato a fine 2007, Cai riparte nel 2009 con il 23%, per approdare al misero 17,6% del 2016.
Quindi la risposta alla domanda precedente è: sbagliando tutto quanto fosse possibile sbagliare. Cai dal 2008 decide di non provare neanche a competere con gli altri vettori sulle rotte europee e cancella così gran parte delle offerte infracontinentali; di non puntare neanche su quelle intercontinentali, nonostante assicurino maggiori margini di guadagno; di lanciarsi in un’insensata guerra alle low cost sulle tratte nazionali, ma però offrire tariffe paragonabili e, infine, di avere solo aerei in leasing! Corollario di tutto ciò, il ridimensionamento indiscriminato: meno persone, meno offerta, meno servizi. Eccolo in sintesi il Piano Fenice, una disfatta.
Con il solo il disimpegno volontario di Cai nel medio raggio, la compagnia perde nel biennio 2007/2009 oltre 6 milioni di passeggeri. Che passano tutti alle low cost, tanto che queste registrano 26 milioni di viaggiatori trasportati nel 2007, 29 nel 2009, 36 nel 2011 fino ai 50 milioni del 2016.
Tagli e costo del lavor
Altro mito da sfatare è quello di una compagnia azzoppata dall’insopportabile costo del lavoro: in realtà questo oggi pesa per meno del 17% sui costi industriali della compagnia, ed è è il più basso tra tutte le compagnie di tradizionali europee (British 21%, Lufthansa 23%, Air France-Klm 30%).
Un indice in continua discesa: dai 15 euro a posto offerto del 2009, si è passati ai 12 euro del 2015, mentre il costo medio per un dipendente Alitalia oggi è di 8 mila euro più basso rispetto alla media degli altri vettori tradizionali e di 5 mila euro inferiore a quello di una low cost.
Al netto degli oneri a carico del datore di lavoro, persino Ryanair paga di più i prori lavoratori! Tuttavia tale diminuzione è stata vanificata dal parallalelo incremento dei costi per la flotta, passati da 14 euro a biglietto del 2009 ai 19 del 2015. Insomma, i sacrifici dei lavoratori sono stati tanti, onerosi ma soprattutto vani!
Ridimensionamenti “tafazziani”
Anche la politica dei “ridimensionamenti” indiscriminati è stata “tafazziana” secondo Arrigo: nel 2007 Alitalia dichiarava costi operativi 5,2 miliardi di euro. Nel 2009 Cai, reduce dall’assorbimento di AirOne (a un prezzo sconsiderato), taglia per oltre 2 miliardi (la stessa cifra che si intende tagliare oggi) e chiude il bilancio con 3,2 miliardi di costi.
Tuttavia, quando le aziende vengono ridimensionate, insieme ai costi si riducono anche i ricavi che i rami recisi generavano. Quindi, il ridimensionamento eÌ€ vantaggioso solo se la riduzione dei primi eÌ€ molto piuÌ€ consistente di quella dei secondi. Se invece dopo i tagli, costi e ricavi si equivalgono, c’è un problema
Ed è proprio ciò che accade ad Alitalia: nel 2007 aveva 5,2 miliardi di costi operativi a fronte di 4,9 miliardi di ricavi; Cai nel 2009 ha 3,2 miliardi di costi e 2,9 miliardi di ricavi.
Il saldo negativo di gestione resta uguale a -300 milioni, tuttavia la Cai del 2009 è una compagnia molto più piccola di Alitalia e meno competitiva.
E dopo sarà anche peggio: “Nel 2015, ultimo anno di cui eÌ€ noto il bilancio, Alitalia ha registrato ricavi operativi per poco meno di 3,2 miliardi e costi operativi per poco meno di 3,6 miliardi, con un risultato negativo di 420 milioni. I ricavi operativi hanno pertanto coperto solo l’88% dei costi operativi, contro il 94% del 2007, l’ultimo anno a gestione statale piena della vecchia Alitalia”, si legge nel rapporto. La storia di Alitalia è un esempio da manuale di come la sola riduzione dei costi attraverso la contrazione dei fattori produttivi non serva a riequilibrare i conti di un’azienda.
Il leasing che strozza
Altra voce di costo insostenibile è quella della flotta: nel 2009, Cai decise di rinunciare alla flotta di proprietà , ritenendo più conveniente utilizzare aeromobili in leasing.
Così oggi la compagnia si ritrova con soli 7 aeromobili di proprietà su 122 velivoli totali. Gli altri sono noleggiati a prezzi totalmente fuori mercato: per i 20 velivoli regionali spende 55,4 milioni l’anno (2,8 milioni l’uno); per i 23 a lungo raggio, 127 milioni (5,8 milioni); per i 72 di medio raggio, 261 milioni (3,6 milioni).
Per comprendere quanto sia il sovrapprezzo, basti pensare che Vueling, l’unico altro grande vettore europeo non proprietario, per un medio raggio paga 2,4 milioni l’anno, 1,2 milioni in meno di Alitalia. Inoltre Vueling ha aerei più capienti, più performanti e che volano per più ore.
Anche gli Arabi hanno fatto (male) la loro parte
Se la gestione Cai è stata disastrosa, quella successiva di Ethiad non ha certo brillato: degli arabi probabilmente rimarranno negli annali solo gli insufficienti investimenti sul lungo raggio, l’esplosione dei costi per flotta e servizi, l’incredibile vicenda degli slot.
Quando nel 2014 i Capitani Coraggiosi implorano l’ingresso in società dei soldi degli Emirati Arabi Uniti, i manager di Abu Dhabi accettano, ma pongono una condizione capestro: per iniziare l’avventura, Cai avrebbe dovuto cedere loro 5 slot su Heathrow per 60 milioni complessivi.
Una cifra irrisoria, considerando che un singolo slot su Londra era valutato in media 40 milioni! Evidentemente i manager Cai non conoscevano i prezzi correnti o non erano in grado di opporsi. Ma oltre la rapina la beffa: subito dopo la cessione, quegli stessi slot Ethiad li affitterà proprio a Cai…
Che fare oggi
Fin qui abbiamo visto cosa è accaduto in passato, ma il report di Arrigo suggerisce anche soluzioni per uscire dalla crisi attuale. «Basterebbero 900 milioni — che poi è la cifra del prestito ponte concesso ad Alitalia dal governo nei mesi scorsi — per ripartire. Peccato che gli attuali commissari usino quei soldi unicamente per tamponare le spese in attesa di un compratore», commenta sconsolato Arrigo.
E sì che la via per la rinascita sarebbe molto chiara: «Per prima cosa si dovrebbe incrementare il lungo raggio, anche se ciò richiede investimenti onerosi», e contemporaneamente, «Alitalia dovrebbe attivare un’offerta a basso costo su tratte brevi, aprendo o comprando una low cost. Il tutto, naturalmente, tornando a fare concorrenza sul traffico intraeuropeo».
Altrettanto necessario sarebbe l’abbattimento dei costi della flotta: nel 2015 i costi operativi totali di Alitalia per posto offerto per un viaggio da 1000 km sono stati pari a 75 euro, un valore piuÌ€ che doppio rispetto ai 36 euro di Ryanair, ma non così distanti dai 66 euro di EasyJet (15% in piuÌ€) e dai 60 di Vueling (25% in piuÌ€). E l’obiettivo di scendere al livello dei due ultimi vettori eÌ€ difficile, ma non impossibile.
Secondo Arrigo, la strada da seguire è quella imbracciata nel 2006 (ben 11 anni fa!) da Iberia, compagnia messa in difficoltaÌ€ dalla concorrenza low cost (la Spagna eÌ€ l’unico altro grande paese europeo oltre all’Italia in cui metaÌ€ del mercato eÌ€ coperta dai vettori a basso prezzo). Il vettore spagnolo ha fondato nel 2006 una sua low cost, Clickair, che nel 2009 si è fuso con la low cost privata Vueling.
Nel 2016 hanno volato nei cieli spagnoli 195 milioni di passeggeri (contro i 130 milioni italiani), solo 18 milioni dei quali ha utilizzato Iberia, o la sua low cost locale Iberia Express, ma Vueling da sola ha trasportato quasi 23 milioni di passeggeri, più di tutta la nostra Alitalia.
Insieme, Iberia e Vueling hanno raccolto quasi 41 milioni di passeggeri, poco meno del doppio di Alitalia, con una quota di mercato complessiva del 21%, superiore a quel 17% raggiunto da Alitalia sul mercato italiano. In questo 21% predomina tuttavia la parte low cost, dato che Vueling e Iberia Express hanno assieme il 14%, mentre Iberia solo il 7%.
«La cosa piuÌ€ importante di tutte e senz’altro quella di maggior interesse per Alitalia eÌ€ che questi vettori hanno bilanci in utile e dimostrano come si possa guadagnare sia come low cost, sia come vettori tradizionali, purcheÌ posizionati sul segmento giusto del mercato», sottolinea Arrigo. Quindi una speranza c’è?
«Sì, a patto che si trovino partner di capitali seri, ma per carità : basta Capitani coraggiosi…», chiosa il Professore.
(da “Business Insider”)
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Novembre 27th, 2017 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI SOS MEDITERRANEE INCHIODA GENTILONI E MINNITI: “ASPETTATO 4 ORE PER SOCCORRERE BARCONE IN ATTESA DEI LIBICI CHE NON SONO MAI ARRIVATI”
La nave Aquarius di Sos Mèditerranèe sbarca a Catania questa mattina con le ultime 421 persone salvate nel Mediterraneo in questo weekend di rinnovate partenze dalla Libia e la Ong denuncia: “Noi costretti dalla Guardia costiera italiana ad osservare impotenti operazioni dei libici che riportano indietro le persone”.
L’accusa rilancia quanto avvenuto in questi giorni nel Mediterraneo quando le navi umanitarie ancora presenti, in più occasioni, nonostante avessero individuato gommoni in difficoltà e fossero state inviate sul posto, sono state poi fermate e ricevuto l’ordine di rimanere in stand by perchè, nonostante l’operazione fosse in acque internazionali, si è preferito dar priorità alle motovedette libiche anche se queste non erano ancora arrivate.
Proprio la nave Aquarius è rimasta in stand by per quattro ore in attesa di una motovedetta libica che poi non è mai arrivata. Mentre i migranti disperati chiedevano aiuto. Gli ultimi sbarcati in Italia possono considerarsi davvero miracolati. Sono 421 soccorsi dalla Aquarius appena arrivata al porto di Catania. Quasi tutti eritrei e somali, il 40 per cento donne.
Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi di Sos Mèditerranèe, racconta: “Abbiamo individuato il gommone che sapevamo, considerate le condizioni meteo e quelle dell’imbarcazione stessa, poteva rompersi e affondare da un momento all’altro. Siamo rimasti pronti ad intervenire con il nostro team e il nostro equipaggiamento professionale. Durante le quattro ore di stand by le condizioni meteo sono peggiorate aumentando cosi il rischio di naufragio”.
E Sophie Beau, cofondatrice e vicepresidente di Sos Mèditerranèe international, accusa: “Questo drammatico avvenimento è stato estremamente duro per i nostri team, costretti ad osservare impotenti operazioni che rimandano in Libia persone che fuggono quello che i sopravvissuti descrivono come un vero inferno e che noi non abbiamo mai cessato di denunciare dall’inizio della nostra missione. Sos Mèditerranèe non può accettare di vedere essere umani morire in mare nè di vederli ripartire verso la Libia quando la loro imbarcazione è intercettata dalla Guardia costiera libica. Nonostante le condizioni attuali particolarmente difficili in alto mare il nostro dovere è di restare presenti per soccorrere coloro che cercano di fuggire l’orrore dei campi libici, per proteggerli e per continuare a testimoniare la realtà vissuta da questi uomini, donne e bambini in cerca di protezione”.
(da agenzie)
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