Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’ULTIMA MINACCIA A BERLUSCONI: “LA LOMBARDIA E’ NOSTRA, O FONTANA O SALTA L’ALLEANZA”… GIORGETTI NON NE PUO’ PIU’… L’ULTIMA VOCE CHE GIRA: ISABELLA VOTINO NELLE LISTE DI FORZA ITALIA E IL FANCAZZISTA SCLERA
L’entità della posta in gioco è pari all’entità della minaccia. Già recapitata ad Arcore dagli
ambasciatori di Matteo Salvini: “Il nostro candidato in Lombardia è Fontana. O Berlusconi ci sta, oppure mettiamo in conto di rompere su tutti i collegi uninominali. Fontana non è, e non sarai mai, in discussione.”.
Lombardia o morte. Che equivarrebbe a una catastrofe elettorale per il centrodestra dato come vincente.
Un clamoroso rovesciamento dello scenario. Minaccia reale che fa slittare di qualche giorno il tavolo sulle candidature, stabilito nel vertice di domenica.
Uno sconfortato Giancarlo Giorgetti, il colonnello leghista che tiene i contatti con Arcore, si è sfogato con qualche compagno di partito: “È un disastro. Si rischia davvero di andare da soli”.
Perchè Berlusconi, per ora, tiene il punto. Pompato dall’ala lombarda del suo partito ma anche da alcuni mondi imprenditoriali che si sono messi in moto: “Questo Fontana non funziona”.
Ad Arcore la partita è nient’affatto chiusa. Il Cavaliere ha commissionato un sondaggio ad Alessandra Ghisleri per vedere quale candidato è più competitivo con Giorgio Gori tra Fontana e la Gelmini. Il responso arriverà tra domani e giovedì al massimo. Una mossa che, se possibile, ha contribuito ad avvelenare ancora di più il clima: “Chissenefrega del sondaggio. La Lombardia non si molla per nulla al mondo. O così o rompiamo” dicono a via Bellerio.
Il quartier generale leghista pare una trincea. Perchè attorno alla Lombardia stanno già esplodendo tutte le contraddizioni di un’alleanza costruita annusando il bottino dei voti ma senza sciogliere il nodo politico del grande ritorno allo schema dell’alleanza con Berlusconi, padre padrone del centrodestra.
A nulla sono valse le rassicurazioni del Cavaliere su Maroni che non sarà mai indicato come premier in caso di vittoria e dello stesso Maroni che non ambisce a ruoli o incarichi, ma solo a cambiare vita.
La convinzione granitica di Salvini è che il complotto alla sue spalle ci sia stato, secondo lo schema consolidato di Berlusconi che seduce i colonnelli per indebolire il leader. Prima la voci su Zaia, poi sulla candidatura di Bossi — costringendo Salvini a candidarlo — ora la complicità con Maroni che ha informato il Cavaliere ancor prima del segretario del suo partito.
Il leader della Lega è inquieto, nervoso, spiazzato da Berlusconi che, dicono i suoi, “si comporta come se fosse il padrone del centrodestra”.
Ma, in definitiva, spiazzato da sè medesimo e dalla leggerezza con cui si è approcciato al nuovo (vecchio) registro dell’alleanza col Cavaliere, che non conosce cambi di spartito rispetto al già visto: è bastato varcare i cancelli di Arcore, dopo mesi di proclami baldanzosi, di esuberanza giovanilista e scorribande lepeniste per avere la sensazione di una perdita del controllo della situazione.
Ad avvelenare il clima anche le voci di una candidatura nelle liste di Forza Italia di Isabella Votino, storica portavoce di Maroni, sin dai tempi in cui era capogruppo della Lega, poi al Viminale, poi alla segretaria del partito e in ultimo al Pirellone.
L’ipotesi al momento è che venga candidata in Lombardia, almeno così riferisce più di una fonte vicina al dossier liste.
Poi, si come succede in questi casi, ciò che è certo oggi potrebbe diventare incerto domani, ma il solo fatto che circoli è indicativa del clima che si respira attorno alla scelta di Maroni. Ed è indicativo anche che una sua candidatura nella Lega non rientri neanche nella casella delle varie ed eventuali.
Sia come sia la grande tensione attorno alla Lombardia ha già indebolito il leader della Lega.
Politicamente, innanzitutto, in questo centrodestra in cui il primo attore resta sempre Berlusconi, che negli ultimi giorni ha riportato tutti ad Arcore, come faceva con Fini e Bossi già 24 anni fa, li ha accolti col simbolo “Berlusconi presidente”, ha mostrato la sua capacità di seduzione su un pezzo della Lega. E l’elenco potrebbe continuare.
Ma anche sulla Lombardia. Perchè la trattativa non si chiude solo con le minacce di una rottura politica nazionale. Ma anche pagando la moneta dei collegi sulle politiche.
C’è anche questo nello slittamento del tavolo nazionale: la richiesta di più seggi per Forza Italia oltre che un negoziato oneroso sulle poltrone lombarde.
L’esito del sondaggio della Ghisleri è scontato, perchè in termini di notorietà e popolarità la Gelmini è molto più forte di Attilio Fontana, persona poco conosciuta. E c’è da scommettere che, a quel punto, il Cavaliere che è abile negoziatore, dirà : “Avete combinato un casino, rischiamo col vostro candidato ma tutto questo ha un prezzo sui collegi lombardi”. Lombardia o morte.
La morte si evita, ma la vita costa.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
E CON L’ONESTA’ IL M5S STA FACENDO GIRARE L’ECONOMIA GRAZIE ALLE MARCHE DA BOLLO
Sappiamo già che deputati e senatori del M5S sono persone fantastiche, oneste e trasparenti. La stessa trasparenza e onesta è richiesta anche agli aspiranti candidati che in questi giorni stanno presentando domanda per partecipare alla grande lotteria dei click della Parlamentare a 5 Stelle.
Requisito fondamentale è la presentazione del Certificato Penale del Casellario giudiziario e quello dei carichi pendenti che servono a dimostrare che l’aspirante candidato (il candidabile) non ha procedimenti penali pendenti e che ha una fedina penale immacolata.
L’emozione di poter dimostrare al mondo (e non solo allo Staff della Casaleggio) di essere candidi e puri si è impossessata di moltissimi candidabili che hanno deciso di sfoggiare su Facebook la prova provata della loro onestà .
Cosa c’è di meglio di un partito che chiede ai suoi candidati di essere onesti?
La risposta dovrebbe essere: un partito che candida persone oneste e competenti.
Ma siamo in Italia e quindi va bene anche accontentarsi che siano persone senza precedenti penali pronte ad ubbidire ai diktat di Grillo e Casaleggio, magari accettando di sottoscrivere un contratto che prevede per gli eletti di sottostare ad obblighi incostituzionali e di pagare penali che non hanno alcun fondamento legale.
Sfilano su Facebook numerosi ed emozionatissimi i candidati orgogliosi di poter dimostrare la propria onestà . E non è chiaro se è perchè pensano che sia un valore aggiunto o se sia l’unica cosa che conta.
Del resto il programma è già stato deciso in Rete, all’eletto non sarà data alcuna libertà d’azione politica individuale (pena l’espulsione) e in nome del vecchio principio dell’uno vale uno un candidato incensurato vale quanto un altro.
Nonostante quindi tutte le regole e i non-statuti rimane un mistero il motivo in base al quale un attivista a 5 Stelle debba scegliere un candidabile piuttosto che un altro.
Anche perchè sono appena 15mila coloro che hanno deciso di presentare la propria candidatura per il prossimo Parlamento.
Alle primarie che hanno eletto Luigi Di Maio candidato premier i votanti sono stati 37.442 su 140mila iscritti certificati e Di Maio ottenne 30.936 preferenze.
Ci si rende conto così che più o meno un iscritto su 10 ci vuole provare, e se a votare saranno quelli che hanno votato alle Primarie il rischio è che non ci siano abbastanza click a disposizione per scegliere i futuri parlamentari pentastellati.
Tra i molti successi e meriti vantati dai parlamentari a 5 Stelle c’è quello di aver aiutato a rilanciare l’economia.
Eh no, non stiamo parlando del fatto che ci sono deputati e senatori che rivendicano con orgoglio di spendere mille euro al mese per fare la spesa al supermercato e per i pranzi (rendicontati al centesimo eh!) e al tempo stessi ci spiegano quanto è difficile vivere con tremila euro al mese.
I candidabili non sono ancora stati eletti ma in quanto 5 Stelle stanno già dando un importante contributo alla nostra economia.
Come? Ce lo spiega Dario Stipa Carotenuto, attivista napoletano che lavora all’ufficio comunicazione M5S in Parlamento e che a quanto pare si è anche lui iscritto dai candidabili (vedi alle volte la meritocrazia).
I concorrenti delle Parlamentarie, fa sapere, hanno versato nelle casse dello Stato circa un milione di euro: «Se tutti i partiti facessero come noi in poche tornate elettorali avremmo risanato i conti pubblici del Paese senza nuove tasse. Altro che 0,02€ a sacchetto. Regalateci un sogno e ne paghiamo pure 50!».
Il post è dichiaratamente autoironico, ma davvero c’è chi ha calcolato che i 17mila candidati (bisogna tenere infatti conto di quelli che si sono candidati alle Regionali e alle Comunali) hanno versato in marche da bollo per i documenti necessari a poter partecipare alle cliccarie circa 45 euro a testa.
Soldi che sono finiti nelle casse statali (certo gli uffici hanno dovuto lavorare di più e la marca da bollo serve per pagare un servizio, non è una donazione).
E nessuno ha ancora detto grazie a questi fantastici candidabili che ancora non sono in Parlamento e già stanno salvando il Paese con la loro certificazione d’onestà ?
E allora diciamoglielo: grazie di cuore!
A riveder le stelle marche da bollo!
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
CI SALVERANNO GLI ABITUALI EVASORI FISCALI TRAMUTATI IN CITTADINI REDENTI
E meno male che Silvio c’è! 
E meno male che non è più quello di una volta, un simpaticissimo e fantasmagorico costruttore di realtà virtuali.
Stamane, intervistato da Massimo Giannini a Radio Capital, a proposito delle coperture finanziarie ai suoi multimiliardari tagli di tasse e agli altrettanti multimiliardari aumenti di spese, prima fra tutte quella pensionistica, l’ex cavaliere ora solo presidente (sic!), se l’è cavata col ritornello che ritira fuori oramai da un quarto di secolo senza che gli intervistatori, stremati e compassionevoli, abbiano nemmeno tentato una replica.
Dunque: il mostruoso taglio delle tasse trasformerà gli odierni evasori in esemplari cittadini, e in giro ci sarà perciò una gran massa di gente che avrà il portafoglio gonfio, si presume delle tasse risparmiate, e renderà disponibile una montagna di soldi oggi reclusa nelle casse dello Stato sprecone o — in alternativa — nei caveau delle banche svizzere. Quei soldi dei cittadini redenti e di tutti noialtri finanzieranno i consumi che finanzieranno l’Iva che finanzierà altri investimenti che finanzieranno l’occupazione che finanzierà la crescita che al Rosatellum Silvio comprò.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
NOI MADRE ROMANE NON ABBIAMO BISOGNO DI TROVATE DI MARKETING MA DI ASILI COMUNALI, DI RETTE PIU’ BASSE, DI NON VEDERE PENALIZZATE CHI DI NOI HA UN LAVORO PRECARIO
Cara Virginia, sindaca mia,
tu che hai deciso di far rivivere il nostro sfortunato albero di Natale Spelacchio facendolo diventare una “casetta per mamme”, per favore: sii seria.
Tu che sei mamma e dovresti conoscere tutte le difficoltà che le madri romane incontrano ogni giorno, pensi davvero che la singola casetta ricavata da Spelacchio, pur munita di “fasciatoio e poltrona per l’allattamento”, possa rappresentare il “simbolo di un’economia circolare sempre più necessaria per il futuro di Roma e delle nuove generazioni”?
Suvvia, Virginia, parliamoci da mamma a mamma.
Parliamo degli asili nido comunali che non bastano per tutti, parliamo delle rette che arrivano a costare metà di uno stipendio.
Parliamo della regola assurda per cui, se sei un lavoratore atipico o un disoccupato, hai meno punti ai fini della graduatoria rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato. Eccerto, perchè se sei disoccupato mica vorrai perdere tempo a cercare un lavoro o formarti, puoi tranquillamente stare dietro a tuo figlio!
E poi lo sanno tutti che il lavoro senza orari delle partite Iva è una leggenda, no?
Mi parli di “riuso, riciclo e recupero di materia” mentre le nostre strade sono intasate di immondizia, chè quasi ringrazio quando mio figlio ha il naso chiuso per il raffreddore e non può sentire il tanfo che si leva dai marciapiedi.
Quegli stessi marciapiedi che sono un percorso a ostacoli per le povere quattro ruote del passeggino, ormai scassato per le continue impennate e manovre d’emergenza.
Parliamo dei parchi giochi che cadono a pezzi, delle panchine sfasciate, delle altalene senza sedile, degli scivoli arrugginiti.
Parliamo dei consultori da potenziare, dei servizi che mancano a supporto delle donne e delle famiglie.
Stamattina il Corriere della Sera riportava i “numeri choc” dell’Istat: in Italia le donne senza figli tra i 18 e i 49 anni sono circa 5 milioni e mezzo, quasi la metà delle donne in questa fascia d’età .
Vuol dire che una donna su due in età fertile non è mamma.
Questo anche perchè la maternità , nella nostra società , mette paura: paura di rimanere isolate, di perdere il lavoro, di rimanere indietro.
È una questione serissima che merita di essere affrontata seriamente, a cominciare da quella che dovrebbe essere la “vetrina d’Italia”.
Scusami dunque se il fatto di dare “nuova vita” al povero Spelacchio, a cui pure ho voluto bene, non mi esalta particolarmente. Anzi.
Mi sembra una trovata di marketing di cui davvero non abbiamo bisogno, in questa campagna elettorale già abbastanza spelacchiata di suo.
È stato simpatico, gli abbiamo voluto bene, ma quando parliamo di mamme, per favore, prendiamo a modello alberi un po’ più sani, con radici profonde e rami in grado di guardare al futuro.
Giulia Belardelli
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
SEGGI A ELEZIONE GARANTITA PER NENCINI, BONELLI, DELLA VEDOVA, MESSINA, LORENZIN, CASINI, SANTAGATA E MAGI
Il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi metterà a disposizione degli alleati
soltanto otto collegi sicuri per garantire loro l’elezione.
Giovanna Casadio su Repubblica spiega che Insieme, Civici-Popolari e + Europa avranno un’offerta complessiva di dieci seggi, di cui otto sicuri, da spartirsi tra di loro in cambio dei voti che dovrebbero portare alla coalizione di centrosinistra.
Un’offerta impossibile da rifiutare perchè per tutti pare impossibile superare la soglia del 3% per presentarsi da soli:
Matteo Renzi che incontrerà oggi al Nazareno i segretari regionali discutere di nomi in lista, chiederà a Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche di essere accoglienti cedendo alcuni collegi sicuri agli “esterni” di Insieme, Civici-Popolari e, se ci saranno, Radicali di +Europa. In tutto 8 seggi certi. Più un altro paio quasi certi.
Francamente pochi per gli alleati che difficilmente arriveranno con le loro liste al 3% e quindi eleggono i parlamentari solo se “blindati” dal Pd nell’uninominale.
Però se i collegi (sicuri) sono magri, non sono possibili ulteriori sacrifici.
Dario Parrini, segretario della Toscana, nel suo ufficio tiene l’elenco dei tanti leader alleati che il partito ha fatto eleggere dalla regione negli anni: Marco Rizzo nel Mugello, Armando Cossutta a Vinci-Scandicci, Lamberto Dini a Firenze, Antonio Di Pietro sempre nel Mugello, Roberto Villetti a Sesto Fiorentino.
E ora? Il calcolo è un paio di nomi, massimo tre.
Al Nazareno fanno quelli di Riccardo Nencini (Insieme) che è di Firenze ma potrebbe andare anche nelle Marche; Angelo Bonelli (Insieme) se Nencini opta per le Marche; Benedetto Della Vedova (+Europa); Ignazio Messina (Idv-Civici).
In Emilia Romagna dovrebbero sbarcare Beatrice Lorenzin (Civici-Popolari) a Modena; Pierferdinando Casini a Bologna o Gianluca Galletti (non tutti e due insieme, avvertono gli emiliani); Laura Bianconi; Giulio Santagata (Insieme); Riccardo Magi (+Europa).
Per Emma Bonino prevista la candidatura a Torino o a Milano centro, perchè i Dem sono convinti che abbia seguito.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DI RENZI CHE PREOCCUPA BERLUSCONI
La proposta di abolizione del canone da parte di parte del Pd consente di formulare considerazioni ed elaborare scenari non solo politici sul sistema audiovisivo nazionale.
La questione politica riguarda i rapporti con Silvio Berlusconi ancora magna pars del centro destra e di Mediaset.
La questione politica
Il messaggio appare chiaro, l’affollamento del 4% settimanale per la Rai non è più un intoccabile tabù. A dire il vero è proprio Mediaset che ha posto l’argomento sul tavolo della politica, con la pretesa che l’affollamento al 4% settimanale venisse calcolato su ciascuna singola rete e non sull’insieme delle tre generaliste.
Non si tratta di quisquiglie: la differenza tra l’uno e l’altro modo di calcolarlo vale tra i settanta e i cento milioni di euro in più o in meno di risorse raccolte dalla Rai sul mercato pubblicitario
Interventi politici in Commissione di Vigilanza Rai, accompagnati da un esposto Mediaset all’Autorità per le Comunicazioni, hanno chiesto di fatto un abbattimento delle risorse a disposizione del servizio pubblico.
Ma se il 4% calcolato come lo è da oltre un ventennio, mai modificato nemmeno dai governi Berlusconi, non è più condiviso, allora si riapre il dossier affollamenti pubblicitari e si può chiedere per la Rai un affollamento diverso.
Prospettarlo come pari a quello degli editori privati è proposta che allarma molto Mediaset e indebolisce Forza Italia davanti agli elettori — perchè fa venire allo scoperto la mai risolta questione del conflitto d’interessi — e agli alleati, perchè rischia di trasformare la forza delle reti televisive in debolezza politica.
In sintesi il Pd propone l’abolizione di una tassa “odiosa” da 90 euro, mentre Forza Italia è costretta a proporne il mantenimento.
L’alternativa di privatizzare la Rai sarebbe per Mediaset ancora peggio di un affollamento ridefinito e negoziabile: il Biscione potrebbe ritrovarsi con un concorrente più vero, indifferente ai ventennali accordi politici di duopolio che hanno sinora regolato il sistema televisivo italiano.
La questione industriale
Se l’abolizione del canone fosse una fiscalizzazione, si tratterebbe di una partita di giro pari a circa 1,7 miliardi l’anno (Matteo Renzi ne mette già in conto 1,5 per un periodo di transizione) con pro e contro chiari e già sperimentati all’estero.
A favore c’è il fatto che la fiscalità , a differenza del canone, è progressiva: le famiglie con aliquota superiore alla media e quelle che non pagano attualmente il canone perchè non hanno televisore, pagherebbero circa 45 euro all’anno in più, quelle più povere mediamente 45 euro in meno.
Contro c’è la riduzione di autonomia dell’azienda, sottoposta dal Governo al condizionamento annuale della legge di bilancio, che può aumentarne o ridurne il finanziamento.
L’Olanda è passata di recente dal canone alla fiscalità generale e ancora si discute se il servizio pubblico sia diventato più o meno indipendente.
Ma la situazione attuale in Italia non è molto diversa, la legge di bilancio appena approvata ha infatti stabilito che l’entità del canone sia fissata dal governo ogni anno, nonostante vi fosse un emendamento che ne chiedeva la certezza per cinque anni e nonostante che il nuovo contratto di servizio sarà valido per cinque anni.
Se si trattasse invece di una vera abolizione del canone, compensata con un aumento degli spazi pubblicitari vendibili dal servizio pubblico, il tema si farebbe più interessante. Oggi la Rai ha ascolti superiori a quelli di Mediaset, con un pubblico leggermente più anziano.
In questo inizio di stagione (15 settembre — 6 gennaio) Rai ha prodotto uno share medio (fascia commerciale tra le sette del mattino e mezzanotte) del 37,3% con Mediaset al 32,2 percento; in prima serata Rai ha il 37,8% del pubblico totale e Mediaset il 32,5 percento. L’età media dei pubblici dell’insieme delle reti Rai è di 60 anni nel giorno medio e di 58 anni in prima serata, con Mediaset rispettivamente a 54 e 52 anni.
Entrambi gli editori declinano però su più canali i propri segmenti di pubblico, inclusi quelli dedicati a bambini (senza pubblicità per Rai) e ragazzi.
Se la Rai avesse la stessa possibilità di affollamento pubblicitario delle reti private incasserebbe grosso modo quanto il principale concorrente, due miliardi l’anno.
Possiamo stimarne 1,7 perchè l’apertura di nuovi spazi ridurrebbe i prezzi di tutti.
La Rai però costa 500 milioni più di Mediaset, soprattutto a causa del costo del lavoro, in particolare dei giornalisti e dei funzionari amministrativi.
Per mantenere l’informazione locale e gli attuali livelli occupazionali basterebbe, quindi, una fiscalizzazione di poche centinaia di milioni. Ma quali sarebbero gli impatti sulla programmazione e sugli equilibri del sistema?
I telespettatori sono in grado di giudicare quanto i programmi della Rai siano diversi da quelli dei privati e giusto in questo periodo premiano viale Mazzini con ottimi ascolti su trasmissioni particolari ma ben studiate, come quella del ballerino Roberto Bolle e le Meraviglie di Alberto Angela.
Da qualche anno poi le fiction Rai sono apprezzate molto più di quelle Mediaset.
La fiction ci porta a ragionare di sistema audiovisivo nazionale; in Gran Bretagna, accanto alla Bbc finanziata solo da canone, esiste un altro servizio pubblico di proprietà statale, ma finanziato solo dalla pubblicità e con gli stessi affollamenti dei privati. Channel4 ha un obiettivo da contratto di servizio e lo raggiunge: finanziare la produzione audiovisiva indipendente di qualità .
Se la Rai ricavasse un miliardo di pubblicità più di oggi chi sarebbe penalizzato? Analizzando le sovrapposizioni tra i pubblici e i modelli utilizzati da centri media e concessionarie di pubblicità per valutare la sostituibilità fra i mezzi, si può prevedere una ridefinizione del marketing mix con una riduzione degli investimenti su Google e Facebook, anche alla luce del successo dell’applicazione Raiplay, la contrazione di circa un terzo degli investimenti su Mediaset e lievi conseguenze per il resto degli altri mezzi
Anche in questo caso si possono discutere i pro e i contro.
Il sistema di produzione audiovisiva nazionale avrebbe più risorse, le tv private investono infatti meno della Rai e gli over the top non investono quasi nulla nel nostro paese.
Per contro ci sarebbe qualche entrata in meno per Mediaset, rispetto agli equilibri attuali. Ma Mediaset sembra aver già trovato in Telecom chi è disposto a valorizzare molto i suoi prodotti.
In questi giorni l’Autorità per le comunicazioni ridiscute l’accordo di un quarto di secolo fa, quando si decise che l’affollamento settimanale della Rai al 4% andasse calcolato sulla media dei tre canali analogici allora esistenti.
Lo fa spinta dall’esposto Mediaset, ma non per questo necessariamente disposta ad accettarne la visione penalizzante per il servizio pubblico.
A breve dovrà decidere se applicare il 4% a ogni singolo canale o alla media dei 13 canali televisivi trasmessi dalla Rai.
Nel primo caso Google, Facebook e Mediaset ci guadagnerebbero, nel secondo ci perderebbero complessivamente circa 300 milioni. Scenderebbe quindi della stessa cifra il costo a carico del contribuente, sia che resti nella forma di canone, sia che venga trasferito nella fiscalità generale.
Giusto, sbagliato? Argomenti a favore o contro ve ne sono e alcuni li abbiamo analizzati. Il mondo cambia, muta e si trasforma, anche quello televisivo, e non poco, ma l’attuale sistema si fonda su una legge del 1990 detta Mammì. Legge molto contrastata, frutto di accordi poco condivisi, che provocò le dimissioni di quattro ministri, tra i quali l’allora ministro all’Istruzione Sergio Mattarella.
Da quel tempo, con successivi piccoli ritocchi pro-Mediaset dei ministri Gasparri e Romani, la Rai ha un terzo dei ricavi pubblicitari di Mediaset.
Gli altri due terzi, più spiccioli per altre missioni di pubblico interesse, devono essere corrisposte alla Rai dallo Stato, in modo da realizzare un duopolio perfetto. Rientra nella norma che oggi, alla luce delle trasformazioni avvenute e in avvenire, qualcuno nel centro-sinistra voglia ridiscutere questo equilibrio.
(da “Business Insider”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL GRUPPO DA’ UN’IDENTITA’ A CHI CREDE DI NON AVERLA… NON APPARTENGONO SOLO A CLASSI DISAGIATE
Li vedi andare in giro in gruppo o, meglio, in branco. Sono arrabbiati, annoiati, aggressivi,
frustrati.
Fumano, bevono, usano droghe, hanno simboli attorno a cui saldano senso di appartenenza e identità : tatuaggi, giubbotti, musica, gruppi Facebook su cui pubblicano le loro imprese e raccattano like.
Se la prendono con altri coetanei e, in generale, con chi considerano più debole di loro.
Le baby gang italiane sono una realtà : ne fanno parte sei minorenni su cento.
Sono ragazzi, spesso ragazzini, che si uniscono attorno a pseudo-valori in una fase di vita in cui la regola è trasgredire, andare contro.
Hanno un leader, riti di iniziazione e un’organizzazione gerarchizzata. Arrivano dalle periferie e da famiglie assenti, non necessariamente svantaggiate.
Prendono a modello le pandillas sudamericane, che pure ormai sono in Italia, oppure si atteggiano a guappi e camorristi.
Quando entrano in azione seguono uno schema fisso: trovano un pretesto per agganciare la vittima, la minacciano. Passano in un attimo dall’aggressione verbale a quella fisica: pugni, calci, coltelli, umiliazioni. I loro passatempi preferiti hanno che fare con bullismo, furti ed estorsioni.
Sono cresciuti di pari passo con l’urbanizzazione rapida delle città ma, per caratteristiche, quelle italiane non sono vere bande.
Piuttosto si tratta di gruppetti dediti al teppismo collettivo: sono meno militarizzati e stabili nel tempo, le rivalità con gli altri non sono così forti, riti di affiliazione e percorsi di definizione identitaria sono meno consolidati. Più che per controllare il territorio, delinquono per trasgredire.
Molte teorie spiegano la nascita delle baby gang.
Secondo alcuni, si tratta di sottocultura che condivide regole e stili di vita.
Per altri, la scelta di aderire è tipica di chi appartiene a classi disagiate e reagisce in questo modo alla frustrazione nata dal senso di esclusione e dalla mancanza di opportunità .
Per altri ancora, si tratterebbe di una risposta di compensazione a inadeguatezza, incuria e a deprivazione affettiva, a modelli di riferimento negativi in un’epoca in cui mancanza di valori e indebolimento del mandato etico delle istituzioni (per esempio, famiglia e scuola).
Che contribuirebbe a spingere i ragazzi a soddisfare i desideri fuori dal contesto familiare, a prescindere dalle classi sociali di appartenenza.
Chi fa parte di una banda giovanile sceglie il gruppo perchè ha la sensazione di non farcela da solo.
Il gruppo rafforza, deresponsabilizza, aiuta ad adattarsi. Il gruppo annulla ripensamenti e contraddizioni, modifica opinioni attraverso punti di vista estremi, facilita stili operativi, decisioni irrazionali e comportamenti primitivi.
Il gruppo serve anche a non restare indietro, a non sentirsi emarginati. Il gruppo dà un’identità a chi crede di non averla.
In cambio offre riconoscibilità immediata: un pericoloso palliativo in cui si mescolano senso di appartenenza, voglia di apparire, bisogno di affermazione dell’identità e uso della violenza come strumento di comunicazione del disagio.
Corrado De Rosa (Psichiatra)
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
BLOCCATO DA 10 ANNI PER VOLONTA’ DELL’ULTIMO GOVERNO BERLUSCONI E CONFERMATO DAGLI ESECUTIVI SUCCESSIVI
Dopo quasi 10 anni di blocco contrattuale voluto dall’ultimo governo Berlusconi – e confermato dagli esecutivi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – i poliziotti e gli operatori delle forze dell’ordine italiani meritano qualcosa di più.
Vogliamo dirlo forte e chiaro a chi oggi, a Palazzo Chigi, punta a chiudere la trattativa in pochi giorni, dopo mesi di stallo, per portare a casa un “risultato” da utilizzare nella campagna elettorale già avviata.
Anche il sindacato vuol chiudere presto questa trattativa, ma senza essere messi alle strette.
A oggi la proposta governativa è quella di un aumento lordo medio mensile di poco più di 100 euro a cui occorre aggiungere gli incrementi parametrali frutto dell’ultima riforma interna dei ruoli e delle qualifiche, in attuazione della legge Madia.
C’è però da chiarire la questione del bonus 80 euro percepito per 2 anni dalle lavoratrici e dai lavoratori in divisa.
Un bonus che già da 2 mesi non è più presente nelle buste paga dei poliziotti e che rischia di annullare i “benefici” degli aumenti contrattuali.
La proposta che il Silp porta avanti da tempo è che per tutti, a partire dall’agente, gli aumenti non possano essere inferiori complessivamente, parametri compresi, a 100 euro netti. Altrimenti rischiamo di prenderci in giro.
L’altra partita importante è quella degli arretrati: il contratto in discussione è relativo al triennio 2016-2018.
Dopo aver perso 8 anni di mancati adeguamenti stipendiali, nessuno può pensare ad altri colpi di spugna.
Infine, ma non meno importante, il nodo delle cosiddette “accessorie” cioè degli straordinari, dei festivi, dei notturni e delle indennità legate in maniera precipua all’attività operativa di polizia.
Il noto emendamento alla legge di bilancio dell’on. Fiano, che stanzia 150 milioni per gli straordinari (50 per il 2018), è un giusto passo nella direzione da noi auspicata, ma rischia di non essere sufficiente.
A ogni buon conto, non siamo interessati solo alla parte economica del contratto, pur rilevante per poliziotti che hanno stipendi fermi da troppo tempo e che fanno fatica ad arrivare a fine mese.
Non possiamo, infatti, dimenticarci la necessità di adeguare la parte normativa del contratto. Chi veste una divisa è un lavoratore come gli altri e non può avere meno diritti, ad esempio, in materia di tutela legale, maternità , mobilità , legge 104 e quant’altro.
Bisogna ragionare, a nostro avviso, anche su istituti importanti come il part-time e le ferie solidali. Un ragionamento occorre farlo pure sulle forme di dissenso che gli agenti possono e debbono portare avanti per rivendicare i propri diritti, perchè l’impossibilità a scioperare in questi anni si è rivelata un boomerang rispetto ad altre categorie.
Infine, ma non meno importante, la questione pensionistica.
I poliziotti non sono dei privilegiati, questo deve essere chiaro rispetto ad una certa “narrazione” di comodo portata avanti da chi vuole definitivamente affossare il comparto sicurezza.
In molti Stati europei e negli Usa un agente operativo dopo 30 anni di volante può andare in pensione a prescindere dall’età .
Qui invece si punta a far restare in servizio i lavoratori in divisa oltre i 60 anni e soprattutto a non dare tutele ai più giovani: senza l’avvio immediato di forme adeguate di previdenza complementare, previste già dalla “controriforma” Dini e mai attuate, i poliziotti di oggi saranno i poveri di domani.
Su questi temi, sia chiaro, non faremo sconti. A nessun governo.
Daniele Tissone
Segretario generale sindacato di polizia Silp
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Gennaio 9th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO L’ANNUNCIO DELLA SEPARAZIONE DA ISABELLA RAUTI, IL NEO-LEGHISTA SEGUE LE ORME DI SALVINI E SI METTE CON UNA GIORNALISTA, EX MOGLIE DI ELIO VITO
“Stiamo insieme da tre mesi e condividiamo già molte passioni”. 
Gianni Alemanno è stato immortalato dal settimanale “Chi” in compagnia della sua nuova compagna.
Si tratta di Silvia Cirocchi, avvocato e giornalista, oggi a capo della comunicazione del Movimento Nazionale del quale Alemanno è il segretario nazionale ed è l’ex moglie del forzista Elio Vito.
Nel numero del settimanale l’ex sindaco di Roma parla per la prima volta della sua nuova storia d’amore, raccontando come tutto è nato.
“Ci siamo frequentati per lavoro e poi è nato l’amore”, ha spiegato alla rivista, “Lei è il mio futuro”.
Alemanno ha commentato anche il rapporto con Isabella Rauti, con la quale è stato sposato quasi 25 anni e ha un figlio, Manfredi: “Ci stiamo separando, ma la politica non c’entra, il nostro rapporto era esaurito”.
La coppia storica della destra italiana aveva recentemente annunciato la separazione, anche politica: “Io con Meloni, lui con Salvini”
(da agenzie)
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