SENZA TETTI ALLA PUBBLICITA’ LA RAI INCASSEREBBE 1 MILIARDO IN PIU’ E MEDIASET UN TERZO IN MENO
LA PROPOSTA DI RENZI CHE PREOCCUPA BERLUSCONI
La proposta di abolizione del canone da parte di parte del Pd consente di formulare considerazioni ed elaborare scenari non solo politici sul sistema audiovisivo nazionale.
La questione politica riguarda i rapporti con Silvio Berlusconi ancora magna pars del centro destra e di Mediaset.
La questione politica
Il messaggio appare chiaro, l’affollamento del 4% settimanale per la Rai non è più un intoccabile tabù. A dire il vero è proprio Mediaset che ha posto l’argomento sul tavolo della politica, con la pretesa che l’affollamento al 4% settimanale venisse calcolato su ciascuna singola rete e non sull’insieme delle tre generaliste.
Non si tratta di quisquiglie: la differenza tra l’uno e l’altro modo di calcolarlo vale tra i settanta e i cento milioni di euro in più o in meno di risorse raccolte dalla Rai sul mercato pubblicitario
Interventi politici in Commissione di Vigilanza Rai, accompagnati da un esposto Mediaset all’Autorità per le Comunicazioni, hanno chiesto di fatto un abbattimento delle risorse a disposizione del servizio pubblico.
Ma se il 4% calcolato come lo è da oltre un ventennio, mai modificato nemmeno dai governi Berlusconi, non è più condiviso, allora si riapre il dossier affollamenti pubblicitari e si può chiedere per la Rai un affollamento diverso.
Prospettarlo come pari a quello degli editori privati è proposta che allarma molto Mediaset e indebolisce Forza Italia davanti agli elettori — perchè fa venire allo scoperto la mai risolta questione del conflitto d’interessi — e agli alleati, perchè rischia di trasformare la forza delle reti televisive in debolezza politica.
In sintesi il Pd propone l’abolizione di una tassa “odiosa” da 90 euro, mentre Forza Italia è costretta a proporne il mantenimento.
L’alternativa di privatizzare la Rai sarebbe per Mediaset ancora peggio di un affollamento ridefinito e negoziabile: il Biscione potrebbe ritrovarsi con un concorrente più vero, indifferente ai ventennali accordi politici di duopolio che hanno sinora regolato il sistema televisivo italiano.
La questione industriale
Se l’abolizione del canone fosse una fiscalizzazione, si tratterebbe di una partita di giro pari a circa 1,7 miliardi l’anno (Matteo Renzi ne mette già in conto 1,5 per un periodo di transizione) con pro e contro chiari e già sperimentati all’estero.
A favore c’è il fatto che la fiscalità , a differenza del canone, è progressiva: le famiglie con aliquota superiore alla media e quelle che non pagano attualmente il canone perchè non hanno televisore, pagherebbero circa 45 euro all’anno in più, quelle più povere mediamente 45 euro in meno.
Contro c’è la riduzione di autonomia dell’azienda, sottoposta dal Governo al condizionamento annuale della legge di bilancio, che può aumentarne o ridurne il finanziamento.
L’Olanda è passata di recente dal canone alla fiscalità generale e ancora si discute se il servizio pubblico sia diventato più o meno indipendente.
Ma la situazione attuale in Italia non è molto diversa, la legge di bilancio appena approvata ha infatti stabilito che l’entità del canone sia fissata dal governo ogni anno, nonostante vi fosse un emendamento che ne chiedeva la certezza per cinque anni e nonostante che il nuovo contratto di servizio sarà valido per cinque anni.
Se si trattasse invece di una vera abolizione del canone, compensata con un aumento degli spazi pubblicitari vendibili dal servizio pubblico, il tema si farebbe più interessante. Oggi la Rai ha ascolti superiori a quelli di Mediaset, con un pubblico leggermente più anziano.
In questo inizio di stagione (15 settembre — 6 gennaio) Rai ha prodotto uno share medio (fascia commerciale tra le sette del mattino e mezzanotte) del 37,3% con Mediaset al 32,2 percento; in prima serata Rai ha il 37,8% del pubblico totale e Mediaset il 32,5 percento. L’età media dei pubblici dell’insieme delle reti Rai è di 60 anni nel giorno medio e di 58 anni in prima serata, con Mediaset rispettivamente a 54 e 52 anni.
Entrambi gli editori declinano però su più canali i propri segmenti di pubblico, inclusi quelli dedicati a bambini (senza pubblicità per Rai) e ragazzi.
Se la Rai avesse la stessa possibilità di affollamento pubblicitario delle reti private incasserebbe grosso modo quanto il principale concorrente, due miliardi l’anno.
Possiamo stimarne 1,7 perchè l’apertura di nuovi spazi ridurrebbe i prezzi di tutti.
La Rai però costa 500 milioni più di Mediaset, soprattutto a causa del costo del lavoro, in particolare dei giornalisti e dei funzionari amministrativi.
Per mantenere l’informazione locale e gli attuali livelli occupazionali basterebbe, quindi, una fiscalizzazione di poche centinaia di milioni. Ma quali sarebbero gli impatti sulla programmazione e sugli equilibri del sistema?
I telespettatori sono in grado di giudicare quanto i programmi della Rai siano diversi da quelli dei privati e giusto in questo periodo premiano viale Mazzini con ottimi ascolti su trasmissioni particolari ma ben studiate, come quella del ballerino Roberto Bolle e le Meraviglie di Alberto Angela.
Da qualche anno poi le fiction Rai sono apprezzate molto più di quelle Mediaset.
La fiction ci porta a ragionare di sistema audiovisivo nazionale; in Gran Bretagna, accanto alla Bbc finanziata solo da canone, esiste un altro servizio pubblico di proprietà statale, ma finanziato solo dalla pubblicità e con gli stessi affollamenti dei privati. Channel4 ha un obiettivo da contratto di servizio e lo raggiunge: finanziare la produzione audiovisiva indipendente di qualità .
Se la Rai ricavasse un miliardo di pubblicità più di oggi chi sarebbe penalizzato? Analizzando le sovrapposizioni tra i pubblici e i modelli utilizzati da centri media e concessionarie di pubblicità per valutare la sostituibilità fra i mezzi, si può prevedere una ridefinizione del marketing mix con una riduzione degli investimenti su Google e Facebook, anche alla luce del successo dell’applicazione Raiplay, la contrazione di circa un terzo degli investimenti su Mediaset e lievi conseguenze per il resto degli altri mezzi
Anche in questo caso si possono discutere i pro e i contro.
Il sistema di produzione audiovisiva nazionale avrebbe più risorse, le tv private investono infatti meno della Rai e gli over the top non investono quasi nulla nel nostro paese.
Per contro ci sarebbe qualche entrata in meno per Mediaset, rispetto agli equilibri attuali. Ma Mediaset sembra aver già trovato in Telecom chi è disposto a valorizzare molto i suoi prodotti.
In questi giorni l’Autorità per le comunicazioni ridiscute l’accordo di un quarto di secolo fa, quando si decise che l’affollamento settimanale della Rai al 4% andasse calcolato sulla media dei tre canali analogici allora esistenti.
Lo fa spinta dall’esposto Mediaset, ma non per questo necessariamente disposta ad accettarne la visione penalizzante per il servizio pubblico.
A breve dovrà decidere se applicare il 4% a ogni singolo canale o alla media dei 13 canali televisivi trasmessi dalla Rai.
Nel primo caso Google, Facebook e Mediaset ci guadagnerebbero, nel secondo ci perderebbero complessivamente circa 300 milioni. Scenderebbe quindi della stessa cifra il costo a carico del contribuente, sia che resti nella forma di canone, sia che venga trasferito nella fiscalità generale.
Giusto, sbagliato? Argomenti a favore o contro ve ne sono e alcuni li abbiamo analizzati. Il mondo cambia, muta e si trasforma, anche quello televisivo, e non poco, ma l’attuale sistema si fonda su una legge del 1990 detta Mammì. Legge molto contrastata, frutto di accordi poco condivisi, che provocò le dimissioni di quattro ministri, tra i quali l’allora ministro all’Istruzione Sergio Mattarella.
Da quel tempo, con successivi piccoli ritocchi pro-Mediaset dei ministri Gasparri e Romani, la Rai ha un terzo dei ricavi pubblicitari di Mediaset.
Gli altri due terzi, più spiccioli per altre missioni di pubblico interesse, devono essere corrisposte alla Rai dallo Stato, in modo da realizzare un duopolio perfetto. Rientra nella norma che oggi, alla luce delle trasformazioni avvenute e in avvenire, qualcuno nel centro-sinistra voglia ridiscutere questo equilibrio.
(da “Business Insider”)
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