Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO UN MERCATO DELLE VACCHE DURATO GIORNI, I CENTRISTI OTTENGONO 30 COLLEGI… RISSA SUL LAZIO, LA MELONI A SALVINI: “IN LOMBARDIA HAI DECISO TU, NEL LAZIO DEVI SMETTERLA DI FARE CASINO CON PIROZZI”
A metà pomeriggio il Grande Venditore annuncia che il mercato si è chiuso: “Tutte le forze del centrodestra, nelle sue componenti storiche hanno firmato il programma di governo che cambierà l’Italia”.
Compresa la cosiddetta “quarta gamba” di Noi con L’Italia che, dodici ore prima, aveva minacciato la rottura nel salotto di palazzo Grazioli.
Perchè, alla fine di un lungo mercanteggiamento, si è trovato un accordo, nel Gran Bazar del centrodestra: una ventina di collegi a carico della coalizione, a cui aggiungerne una decina solo a carico di Forza Italia.
Sorridente Silvio Berlusconi, dà la notizia, nel suo video su facebook, registrato a palazzo Grazioli, dove sono tornati ad attovagliarsi, come un tempo, tutti quelli che lo volevano seppellire, politicamente parlando, s’intende.
Arcore, palazzo Grazioli, con le foto di Meloni e Salvini e Fitto che esce infuriato la sera prima perchè “con tredici posti andiamo da soli”.
Sembra la cronaca di amarcord scenografico. Poi il video dell’ex premier che annuncia il programma comune, appena firmato, come se fosse il candidato per palazzo Chigi: quattro paginette di titoli, dall’azzeramento della Fornero alle pensioni per le mamme, a un piano Marshall per l’Africa.
È l’illusione ottica di una coalizione consapevole che non andrà mai al governo con questa legge elettorale (per questo promette l’irrealizzabile come sulla Fornero), ma fa finta di dare una parvenza politica al mercato dei posti.
“Tredici”, “quaranta o rompiamo”, “trenta”, “si chiude a trenta” con la quarta gamba. In nottata è intervenuto anche Gianni Letta per far ragionare un po’ tutti:
“Dobbiamo trovare un accordo, altrimenti perdiamo parecchi collegi del Sud, soprattutto in Sicilia e Puglia. Conviene a tutti”.
E poi Gasparri, Tajani, tutti impegnati a trovare una quadra di numeri. Col passare delle ore Fitto e Cesa abbassano le pretese, Berlusconi concede posti, anche di tasca sua, perchè in fondo conviene a tutti. Salvini ci sta: “Io arrivo a quota x, gli altri se li carica Silvio”.
Alla fine tra quelli che Silvio “si carica” ci sarà anche Sandra Lonardo, lady Mastella. Qualche tempo fa, disse in un’intervista: “La politica è solo amarezze, ora produco panettoni”.
A marzo sarà candidata in Campania in quota Forza Italia, perchè nel Gran Bazar è entrato anche Clemente Mastella, col suo pacchetto di voti.
E anche a testa alta, con la chiusura dei suoi guai giudiziari.
In Sicilia un pacchetto di posti sono per Saverio Romano, tornato stabilmente nel centrodestra, dopo la sua fase verdiniana.
Alle elezioni regionali, la sua lista di “cuffariani”, portò a Musumeci un non irrilevante 7 per cento.
In Puglia, Raffaele Fitto, che ruppe con Berlusconi in nome di un centrodestra democratico, ha ancora un radicamento pesante, di almeno 150mila voti.
Dei 21 almeno cinque sono i suoi. Sempre in Puglia dovrebbe essere candidato Gaetano Quagliariello, il cui movimento Idea ha raccolto amministratori un po’ ovunque.
Nel Lazio c’è, Cesa, il vero azionista di maggioranza che alla quarta gamba ha portato il simbolo dell’Udc.
Trovato l’accordo sui posti, cruciale per i collegi del sud, arriva la firma sul programma, e non viceversa. E arriva anche lo giubilo per “l’unità ritrovata”, che contagia anche Salvini: “Berlusconi? Lo vedrei vede ministro degli Esteri” dice a Otto e Mezzo, ricambiando la cortesia al Cavaliere che il giorno prima lo vedeva bene al Viminale. Evviva.
E intanto prosegue l’infinita vicenda del candidato del Lazio, diventata ormai una rissa.
Giovedì sera, a palazzo Grazioli, sono volate parole grosse, tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, il quale continua a sostenere Sergio Pirozzi.
Il senso, detto in modo sobrio: “Sulla Lombardia hai deciso tu. Sul Lazio, la devi smettere di fare casini con Pirozzi”.
Per l’ennesima volta, il Cavaliere ha preso tempo chiedendo di affidare tutto a un sondaggio. Perchè la questione non è irrilevante.
Col Sindaco di Amatrice in campo, qualunque candidato di centrodestra perde. Fosse solo un danno regionale sarebbe sostenibile ma il problema, in un giorno di election day, è l’effetto sui collegi: “Ne rischiamo venti, venticinque”, spiega chi se ne intende di numeri.
Pare che parecchi candidati hanno fatto sapere che, in queste condizioni, non hanno intenzione di correre. “Con Pirozzi si vince”, “no, è sopravvalutato”: ci fosse qualcuno che parla anche di idee, programmi, politica, in questo Gran Bazar che tra qualche giorno chiuderà anche nel Lazio.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO CHE LE CAZZATE DI SALVINI SUI “NONNI CHE POSSONO GIRARE E SPENDERE”… AL MASSIMO POSSONO SEDERSI CON LE PEZZE AL CULO NEL GIARDINETTO DAVANTI A CASA
Circa venti miliardi l’anno da trovare di qui al 2030. 
Come dire un’intera manovra finanziaria, o due volte il costo del bonus 80 euro.
E pensioni più basse dal 20% fino al 50%-
È l’impatto che avrebbe lo smantellamento della riforma delle pensioni varata a fine 2011 dal governo Monti.
Cavallo di battaglia del leader leghista Matteo Salvini, stando a quanto annunciato da Renato Brunetta la proposta di cancellare quella che è passata alle cronache come legge Fornero è stata recepita anche dagli alleati del centrodestra, nonostante Silvio Berlusconi si dicesse convinto che occorre salvaguardarne alcune parti.
Ma l’ha sposata in toto pure il candidato premier M5S Luigi Di Maio, secondo cui “chi ha fatto 41 anni di lavoro deve andare in pensione” senza altri requisiti.
Promesse che, a meno di non compensare la maggior spesa con aumenti di tasse o corposi tagli, rischiano di far deragliare il debito pubblico.
Non solo: potrebbero trasformarsi in una beffa per i pensionati, che vedrebbero alleggerirsi di molto l’assegno visto che in un sistema a ripartizione come il nostro sono i contributi di chi lavora a pagare le prestazioni previdenziali.
“Prima si va in pensione”, avverte Guido Ascari, docente di Economia all’università di Oxford, “più basso sarà il tasso di sostituzione“.
Cioè il rapporto tra la pensione e l’ultimo stipendio incassato. “Per questo è logico che l’età sia agganciata all’aspettativa di vita: si vuole garantire il più possibile una pensione adeguata“.
La demografia è impietosa: stando all’ultimo studio Ocse sul tema, Pensions at a glance 2017, l’Italia è seconda su 35 Paesi (dietro il Giappone) per percentuale di cittadini over 65 ogni 100 persone in età da lavoro.
Oggi il rapporto, noto come “indice di dipendenza” visto che i pensionati vengono di fatto “mantenuti” da chi produce, è del 38% contro una media Ocse del 27,9%. E nel 2050 è destinato a salire intorno al 70 per cento.
Se attualmente gli italiani in pensione sono poco più di 16 milioni, la Ragioneria generale dello Stato in un rapporto dello scorso giugno ha calcolato che nel 2050 saranno 17,8 milioni.
E la spesa pensionistica, stando alle previsioni macroeconomiche utilizzate dalla Commissione europea per analizzare la sostenibilità delle finanze pubbliche, salirà al 17% del pil dal 15,5% attuale: 337,2 miliardi contro circa 270.
Nel frattempo i lavoratori saranno diminuiti dagli attuali 23 milioni a soli 21,6 milioni su una popolazione totale ridotta a 59,1 milioni di persone.
Visto che la nostra previdenza pubblica è basata su un sistema a ripartizione, la crescita dei pensionati rispetto agli attivi tende naturalmente a ridurre l’ammontare del trattamento pensionistico.
In vista di questa evoluzione verso un Paese di anziani, già a partire dagli anni ’90 il sistema pensionistico pubblico è stato radicalmente ripensato: nel 1992 il governo Amato ha alzato di 5 anni l’età pensionabile (a 65 per gli uomini e 60 per le donne) e portato da 15 a 20 anni la contribuzione minima per l’assegno di anzianità , oltre a costituire un sistema di previdenza complementare.
Nel 1995 la riforma Dini ha introdotto il metodo contributivo, cioè il calcolo della pensione sulla base dei contributi versati e non dell’ultima retribuzione.
Nel 1997 Prodi ha inasprito i requisiti per la pensione di anzianità (quella che si poteva chiedere dopo aver totalizzato 20 anni di contributi) e tra 2004 e 2005 il governo Berlusconi ha stabilito che già dal 2008 sarebbero stati necessari almeno 35 anni di contribuzione e 60 di età per lasciare il lavoro.
Nel dicembre 2007 il secondo governo Prodi (all’Economia c’era Tommaso Padoa Schioppa) ha eliminato lo “scalone”, cioè appunto l’innalzamento da 57 a 60 anni dell’età anagrafica richiesta, introducendo un sistema di quote costituite dalla somma di età e anni lavorati. Nell’agosto 2009 il governo Berlusconi ha deciso che dal 2015 l’età di pensionamento avrebbe dovuto essere periodicamente adeguata all’incremento dell’aspettativa di vita.
Il decreto legge 201/2011, “la Fornero” appunto, ha esteso e anticipato l’entrata in vigore del meccanismo di adeguamento.
Così oggi per andare in pensione occorre avere un minimo di 20 anni di contributi versati e un’età di 66 anni e 7 mesi, ma dal 2019 si potrà lasciare il lavoro solo dopo averne compiuti 67.
Escluse dall’incremento solo le 15 categorie esentate a valle del negoziato tra governo e sindacati.
Le pensioni di anzianità invece sono state abolite, sostituendole con la “pensione anticipata” che quest’anno si può chiedere se si sono totalizzati 42 anni e 10 mesi di contributi e si hanno almeno 63 anni e 7 mesi di età . I requisiti, anche in questo caso, vengono aggiornati ogni due anni per effetto dell’aumento della vita attesa.
Negli anni sono state poi aperte alcune “uscite di emergenza”. Oltre agli otto interventi di salvaguardia per gli esodati (stando ai dati Inps sono state accettate ad oggi oltre 140mila richieste), dall’anno scorso i disoccupati con almeno 30 anni di contributi versati, i caregiver di parenti con handicap e i lavoratori che hanno fatto attività gravose e pagato i contributi per 36 anni possono chiedere l’anticipo pensionistico gratuito (Ape social). Nelle prossime settimane, con un ritardo di quasi un anno rispetto alla tabella di marcia, è attesa poi la partenza di quello a pagamento (Ape volontaria) a cui si potrà accedere indebitandosi con una banca
La situazione attuale deriva dunque da una lunga serie di riforme e abolire solo la legge del 2011 non eliminerebbe l’aspetto più contestato, cioè il requisito dell’età che ogni due anni viene ritoccato all’insù per star dietro all’aumento della vita media.
Ipotizziamo comunque di voler fare tabula rasa rispetto ai nuovi requisiti in nome del principio, enunciato dal leader del Carroccio, che “andare in pensione dopo 41 anni è un sacrosanto diritto“.
Principio condiviso da Di Maio, che il 10 gennaio ha inserito di diritto la Fornero tra le “400 leggi da abolire” per sostituirla con la regola che “si va in pensione dopo 41 anni di lavoro a dispetto dell’età ”.
Se a quel punto tutti scegliessero la pensione anticipata, che cosa succederebbe? Risponde, anche in questo caso, il rapporto della Ragioneria sulle “tendenze di lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” aggiornato al 2017: da un lato assisteremmo al “significativo peggioramento del rapporto fra spesa pensionistica e pil”, anche perchè nei prossimi anni molti nuovi pensionati godranno ancora di assegni calcolati con il metodo retributivo.
L’effetto positivo della Fornero è stimato in 1,4 punti di pil nel 2020, pari a quasi 24 miliardi. Poi è previsto in diminuzione allo 0,8% del pil intorno al 2030 — 13,6 miliardi circa — e in seguito decrescerà fino ad annullarsi nel 2045. Nel prossimo decennio i risparmi medi ammontano quindi a circa 20 miliardi l’anno.
Cancellando la legge, quelle risorse andrebbero recuperate attraverso tasse o tagli.
L’altro aspetto riguarda i redditi dei pensionati. In base alle simulazioni dell’Ispettorato generale per la spesa sociale il risultato sarebbe “un abbattimento crescente nel tempo dei tassi di sostituzione fino a raggiungere, alla fine del periodo di previsione (2070, ndr), 12,8 punti percentuali per un lavoratore dipendente e 10 punti percentuali per un lavoratore autonomo, con conseguente peggioramento anche dell’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche”.
Il tasso di sostituzione lordo, che oggi per i dipendenti privati in pensione di vecchiaia è del 71%, scenderebbe in base alle simulazioni della Ragioneria al 67% nel 2030, al 53% nel 2040 e crollerebbe sotto il 50% dal 2060.
Vale a dire che chi ha un salario lordo di 1500 euro al mese ne riceverebbe dall’Inps 795 se andasse in pensione tra 20 anni e meno di 750 se avesse iniziato a lavorare da poco e contasse quindi di mettersi a riposo tra quarant’anni.
Con le norme attuali l’assegno sarebbe invece, rispettivamente, di 894 e di 910,5 euro. Con la “quota 41” proposta da Lega e M5S, gli importi risulterebbero quindi ridotti di più del 12% per chi va in pensione del 2040, di oltre il 21% per chi lascia il lavoro nel 2060.
I sessantenni potrebbero sì “fare i nonni, girare e spendere“, come auspica Salvini, ma al netto di un’eventuale pensione integrativa di soldi in tasca ne avrebbero ben pochi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
GLI ANALISTI ECONOMICI PREOCCUPATI PER LE PROMESSE FOLLI DEI PARTITI CHE FAREBBERO ARRIVARE IL DEBITO A CIFRE STRATOSFERICHE
Un parlamento “sospeso“, cioè senza che nessuna coalizione riesca ad ottenere la maggioranza.
E dunque alla fine un governo a larghe intese da Forza Italia al Pd. Oppure la vittoria del centrodestra. Che, però, probabilmente non riuscirebbe a governare vista l’eterogenea composizione della coalizione.
L’arrivo del Movimento 5 stelle a Palazzo Chigi o di un’inedita maggioranza “anti-establishment“, con la Lega cioè che dà il suo appoggio esterno?
È “il peggior scenario per i partner europei e per i mercati finanziari”.
Ed è altamente improbabile, anche grazie alla nuova legge elettorale.
Una norma, il Rosatellum, che è stata fortemente voluta dal Pd. Ma che curiosamente penalizza lo stesso Pd, mentre garantisce le fortune del centrodestra.
È questo il risultato dei due report sul voto italiano commissionati per i potenziali investitori e condotti dagli analisti di Credit Suisse e di Citigroup.
Rapporti che si fanno segnalare sul fronte economico soprattutto per due concetti: anche con la vittoria del M5s un possibile aumento dei tassi avrebbe scarso impatto per gli investitori stranieri. Mentre le proposte fatte fino a questo momento dai leader di tutti i partiti farebbero comunque aumentare il debito pubblico.
“Le elezioni generali del 4 marzo in Italia sono viste da alcuni investitori come il rischio più rilevante in Europa quest’anno, dato il supporto relativamente alto ai partiti anti-establishment e anche alla luce del debito pubblico costantemente elevato“, è l’incipit del lavoro dei ricercatori dell’istituto elvetico.
Un’analisi che gira soprattutto intorno a un interrogativo: le forze anti-establishment — cioè il M5s — possono davvero imporsi? E se lo faranno, dovremmo prepararci all’Italexit o a una sorta di default del debito dopo il voto?
Risposta: “È improbabile che i partiti anti-sistema dominino la scena politica post-elezioni, e c’è una probabilità molto piccola di Italexit o di inadempimento del debito, anche se” i pentastellati riuscissero “effettivamente di formare un governo”.
5 Stelle al governo? Meno del 5% di possibilità
Un’ipotesi, quella dei 5 Stelle a Palazzo Chigi, che per Credit Suisse ha meno del 5% di possibilità di concretizzarsi dopo il 4 marzo.
Il motivo? Lo stesso contenuto nei sondaggi più recenti: l’appeal dei pentastellati tra gli anziani. “I senatori — notano gli analisti svizzeri — sono votati solo da cittadini con più di 25 anni: un handicap per il M5s. È quindi probabile che i seggi vinti dal M5s saranno inferiori all’effettivo sostegno che riceveranno dalla popolazione: se prendiamo gli ultimi sondaggi, per esempio, il M5s potrebbe avvicinarsi al 25% dei seggi pur essendo vicino al 30% dei voti”.
Le chance del partito guidato da Luigi Di Maio, tra l’altro, sono diminuite dopo l’approvazione del Rosatellum.
“Nel complesso, la probabilità di un governo guidato dal M5s — probabilmente il risultato meno favorevole al mercato — è diminuita ulteriormente con la nuova legge elettorale”. Anche per Citigroup il movimento fondato da Beppe Grillo è un po “penalizzato dal Rosatellum” e rappresenta il “peggior scenario per i partner europei e per i mercati finanziari”.
Credit Suisse, invece, ipotizza anche l’arrivo dei pentastellati al governo in coalizione con altri partiti. Un’opzione duplice. La prima vede i 5 Stelle fare parte di una “coalizione delle sinistre“, insieme al Pd e a Liberi e Uguali.
“In questo caso — annotano gli analisti — Matteo Renzi dovrebbe dimettersi ma il Pd resterebbe comunque una garanzia per i mercati”.
Quale sarebbe risultato più disastroso? La seconda opzione: una “coalizione anti sistema” guidata dal M5s e con il sostegno della Lega. Netto il commento contenuto nel report: “Riteniamo che questo rimanga un evento di probabilità molto bassa: meno del 5%”.
Gentiloni e larghe intese rassicuranti per i mercati
Chi ha dunque più probabilità di svegliarsi vincitore la mattina del 5 marzo? Nessuno. Secondo l’istituto di credito elvetico, infatti, con la nuova legge elettorale è impossibile per tutti avere la maggioranza.
“L’unica coalizione che potrebbe aspirare a una maggioranza assoluta è la centrodestra“, si legge le rapporto. Ipotesi che viene quotata al 25%. È dato al 50%, invece, un parlamento “appeso“, e la “formazione di una grande coalizione trasversale” con il Pd, Forza Italia e gli altri partiti di centro.
In questo senso un “governo del Presidente“, potenzialmente sempre guidato da Paolo Gentiloni, sarebbe per Credit Suisse “un’opzione sufficientemente rassicurante per i mercati”.
“L’Italia — annota il rapporto — non sarebbe l’unico paese a vivere un periodo prolungato di incertezza politica: i Paesi Bassi, Spagna, Belgio e ora la Germania stanno avuto bisogno o hanno ancora bisogno di tempo di tempo per formare un governo, con poche conseguenze sul stabilità economica dei rispettivi paesi”.
Anche secondo Citigroup gli investitori tifano larghe intese. Ma per la società statunitense, è improbabile che si crei una grossa coalizione dopo le politiche.
“Secondo- ricorda il rapporto — le attuali intenzioni di voto, la coalizione potrebbe avere una maggioranza molto esigua di seggi”.
Citigroup: il centrodestra vince ma non governa
È per questo motivo che Citigroup punta, invece, sulla vittoria del centrodestra, capace di ottenre il 40% dei voti conquistando circa il 52% dei seggi.
“I sondaggi più recenti confermano ciò che pensavamo da tempo, l’ottuagenario Silvio Berlusconi (che tempo fa era famoso per essere stato definito dall’Economist come ‘non idoneo’ a guidare l’Italia) è tornato a essere il vero re dei leader politici italiani (e il più grande azionista di una possibile grande coalizione).
La domanda chiave da parte nostra è: I mercati sono pronti per un ritorno di Berlusconi?. La risposta potrebbe essere: no”, è la riflessione contenuta nel report della società americana.
Che anche se scommette sulla vittoria delle destre, profetizza una repentina crisi della maggioranza.
Il motivo? “Le differenze tra i leader di partito, le rispettive agende politiche (e la magra maggioranza) potrebbero impedire rapidamente alla coalizione di governare, per non parlare della spinta per le riforme che gli investitori finanziari si aspettano dall’Italia”, spiegano gli esperti.
Fortemenete colpiti dal fatto che il Pd abbia varato una legge elettorale a uso e consumo del centrodestra.
“L’ex premier Matteo Renzi — ipotizzano — potrebbe aver preferito essere più forte in un partito più piccolo che più debole in uno più grande. Potrebbe aver deciso di cambiare le leggi di conseguenza. Mentre Silvio Berlusconi è molto inclusivo e un maestro delle coalizioni, Matteo Renzi è stato divisivo (almeno fino ad ora). Ha alimentato diverse uscite dal Pd negli ultimi anni e non è stato in grado di creare coalizioni con partiti più piccoli”.
“Un aumento dei tassi avrebbe scarso impatto per gli investitori stranieri”
In ogni caso, comunque, gli analisti predicano tranquillità . Anche se anche in Italia si affermassero i partiti “anti establishment” e i tassi di interesse sul debito pubblico si impennassero, gli investitori internazionali non ne risentirebbero. Perchè solo il 25% dei titoli di Stato in circolazione è in mano loro, mentre tre quarti del totale sono nei portafogli delle famiglie italiane.
È questo, in soldoni, il ragionamento di Credit Suisse rispetto alle possibili conseguenze macroeconomiche del voto del 4 marzo.
L’impatto, nota il rapporto, si farebbe sentire ovviamente sulla zavorra che già grava sui conti pubblici, quel debito/pil che ha superato il 130% piazzando la Penisola tra i Paesi messi peggio al mondo.
Ma “andrebbe a beneficio degli investitori italiani”, che detengono una grande quantità di Btp e Cct e ne ricevono i relativi rendimenti. Questo, argomenta l’istituto, “implica un ridotto rischio di default, perchè significa che il problema del debito italiano è più di redistribuzione domestica della ricchezza che una questione di posizione finanziaria complessiva del Paese”.
In concreto? “Il Movimento 5 Stelle, se al governo, potrebbe chiedere di ripudiare il debito — come suggerito in passato — ma le conseguenze del default ricadrebbero in primo luogo sui risparmiatori italiani e questo sarebbe politicamente insostenibile oltre che economicamente discutibile”.
Il quiz Citigroup: “Le proposte dei partiti si somigliano tutte. E tutte aumentano il debito”
Più pessimista Citigroup, che ricorda come l’Italia sia “difficilmente definibile un Paese riformato e — ancora peggio — rischia di aver perso l’eccellente opportunità offerta da Mario Draghi attraverso la Bce”.
E lancia un allarme: “Se la comunità finanziaria è preoccupata soprattutto dall’M5S per le sue posizioni anti establishment, crediamo che molti avrebbero difficoltà a capire chi propone quale delle seguenti promesse economiche”.
In pratica: mentre i mercati hanno paura di una vittoria pentastellata, le altre forze politiche fanno promesse molto simili.
E senza mai spiegare da dove prenderanno i soldi.
Segue una lista di 11 annunci arrivati nelle ultime settimane dai leader dei diversi schieramenti: dall’abolizione della riforma Fornero alla cancellazione del Jobs Act, dal reddito di cittadinanza a quello di dignità , dalla flat tax al 15 o al 23% fino al referendum sull’euro.
“Risposte alla fine del report”, promette la didascalia. “Nessuno dei leader che hanno fatto queste proposte suggerisce come finanziarle, ma l’ovvia risposta è che i politici italiani stanno tutti implicitamente facendo campagna per tornare al finanziamento del deficit corrente con il debito pubblico”, al di là dei piani teorici messi a punto per ridurlo. “Una soluzione che difficilmente sarebbe accolta con favore dai partner Ue e dagli investitori — specialmente alla vigilia della fine dell’incarico di Mario Draghi alla Bce”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
SARANNO QUESTI ELEMENTI AD AVER “COLPITO” GIULIA BONGIORNO PER ASSICURARSI UNA POLTRONA IN PARLAMENTO
“C’è una sosia della Boldrini qui sul palco”, disse indicando una bambola gonfiabile,
“non so se sia già stata esibita”.
È improbabile che tra i “nitidi pensieri” che l’avvocato Giulia Bongiorno ha detto di apprezzare del suo neoleader Matteo Salvini ci sia anche questo, espresso a luglio 2016 durante la festa della Lega a Soncino.
Di certo però la decisione dell’ex legale di Giulio Andreotti con un passato in politica accanto a Gianfranco Fini sta facendo discutere.
Perchè l’impegno della Bongiorno nella difesa delle donne è ben noto, essendo dal 2007 alla guida della Onlus Doppia Difesa insieme alla conduttrice Michelle Hunziker.
E la sua adesione al progetto leghista stona, e non poco, con diverse dichiarazioni fatte dal leader del Carroccio.
Le discutibili uscite di Salvini all’indirizzo delle donne, e in particolare della presidente uscente della Camera, hanno rappresentato – e abbassato – spesso il livello del dibattito pubblico.
Basti pensare al recente caso di Firenze, dove due turiste americane avevano denunciato a settembre di essere state stuprate da due carabinieri. Vicenda che ha fatto scalpore e su cui la magistratura sta ancora cercando di far luce.
Tuttavia la posizione assunta a caldo da Salvini fu subito a difesa dei militari: “Se due di questi carabinieri a Firenze, in divisa e in servizio, hanno fatto sesso con due ragazze, anche se loro erano d’accordo, hanno fatto un errore enorme e dovrebbero immediatamente lasciare il lavoro e la divisa. Se poi si trattasse di stupro – aggiungeva Salvini – dovrebbero essere trattati come tutti gli altri infami che mettono le mani addosso a donne o bambini”.
Alla fine del suo post su Facebook arrivava però la sua opinione su tutta la vicenda: “Permettetemi però, fino a prova contraria, di avere dei dubbi che si sia trattato di uno ‘stupro’, e di ritenere tutta la vicenda molto ma molto strana. Sono l’unico a pensarla così?”, chiese quasi a voler aizzare i suoi follower a fare commenti poco edificanti.
Polemica che arrivò a distanza di qualche giorno dalla dichiarazione offensiva di un esponente di Noi con Salvini su Facebook in relazione allo stupro avvenuto l’estate scorsa sulla spiaggia di Rimini, vittima una donna polacca. “Ma alla Boldrini e alle donne del Pd, quando dovrà succedere?”, scrisse Saverio Siorini, che di lì a poco sarebbe andato incontro all’espulsione dal movimento, misura considerata dalle deputate dell’Intergruppo per le donne “insufficiente”.
Tornando al leader della Lega, di certo non piacque al mondo femminile anche il suo attacco alla marcia delle donne con cortei in tutto il mondo a gennaio di un anno fa per protestare contro il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in più occasioni accusato di sessismo: “Che tristezza”, disse Salvini, “vedere queste cantanti multimiliardari che gridano al complotto mette una profonda tristezza. Mettessero a disposizione un po’ dei loro soldi per fare qualcosa. A sinistra se voti come piace a loro sei democratico, se non voti come piace a loro sei populista e razzista”.
Di certo a far discutere più di altre “provocazioni” è stata la bambola gonfiabile “sosia” di Laura Boldrini. Soprattutto perchè, investito dalle polemiche, non si scusò per quel paragone: “Ipocrita, buonista, razzista con gli italiani. Dimettiti!” con tanto di foto e sopra la scritta “#sgonfialaboldrini”, scrisse su twitter in risposta alla presidente della Camera. Foto e hashtag che sono diventate la copertina del profilo facebook di Salvini.
Alla Sky Salvini aggiunse: “Non chiedo scusa alla Boldrini, i problemi sono Salvini e una bambola? La Boldrini è indegna come politico e come presidente della Camera, e se si dimette domani fa solo un piacere al Paese”.
Parole che fecero piovere sul leader leghista uno scroscio di critiche, anche molto dure, per le sue esternazioni definite “oscene”.
Ma Boldrini non è stata l’unica donna oggetto di violenza verbale da parte di Salvini. Su tutte svetta sicuramente Elsa Fornero, madre della riforma delle pensioni che oggi il leader della Lega si propone di abolire qualora uscisse vincitore dalle elezioni del prossimo 4 marzo. Un abbraccio “a tutte le donne”, disse intervenendo l’8 marzo 2016 a Radio 24. A tutte tranne l’ex ministra del Lavoro del governo Monti: “Alla Fornero niente mimose, bisogna tirargliele addosso”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
CASINI CANDIDATO A BOLOGNA PER IL PD: RIUSCIRA’ LA DOTTA A REGGERE LA PORTATA RIVOLUZIONARIA DELL’EVENTO?
«Ho due figli, uno bello e uno intelligente», era solito dire il famoso rappresentante della corrente dorotea della Democrazia Cristiana sinistra extraparlamentare Antonio Bisaglia riferendosi a Pierferdinando Casini e Marco Follini.
Un giudizio sostanzialmente troppo severo perchè Follini alla fin fine non si è dimostrato tutta questa gran mente, se come cartina di tornasole dovessimo prendere la capacità di durare in politica.
La candidatura di Pierferdinando Casini a Bologna con il Partito Democratico invece dimostra che per lui il tempo è una bazzecola, un apostrofo rosa tra le parole dittatura e proletariato.
Per questo oggi non sorprende che Casini, lasciando indietro per un attimo i suoi studi sul materialismo storico di Labriola, scenda in campo per rappresentare le istanze del Sol dell’Avvenir in quel di Bologna.
Si tratta infatti della naturale conclusione di un percorso cristallino e sempre dalla parte dei lavoratori, delle loro necessità e dei loro bisogni.
Dopo la laurea in giurisprudenza diventa prima consigliere comunale e poi deputato proprio a Bologna, avvicinandosi al noto leader DC della sinistra Arnaldo Forlani, che lo inserirà nella direzione nazionale.
Nel 1993, quando leader del suo partito diventa il moderato Mino Martinazzoli, Pierferdinando Casini non accetta la svolta e propugna invece l’alleanza con veri comunisti come Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi finchè alla fine non lascia e forma il Centro Comunista Democratico (CCD), scegliendo però di lavorare per l’affermazione del socialismo al Parlamento Europeo perchè il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione!
Nel 2001, sulle orme di Nilde Iotti e dopo la vittoria della sua coalizione, diventa presidente della Camera e l’anno dopo contribuisce alla nascita dell’Unione dei Comunisti (UDC) che tuttavia entra in rotta di collisione con gli altri leader, nel frattempo diventati troppo moderati per i suoi gusti.
Nel 2008 decide di correre da solo alle elezioni: il successivo, modesto risultato gli consente comunque di diventare l’ago della bilancia della politica italiana e di continuare a spostarne coerentemente l’asse a sinistra.
E così ecco il suo appoggio al governo del professor Mario Monti, noto intellettuale di sinistra, mentre nel frattempo si sposa con e divorzia da Azzurra Caltagirone, figlia del noto imprenditore filantropo e amico del popolo Francesco Gaetano.
Il resto è cronaca. Casini appoggia il governo Letta, con l’obiettivo programmatico della socializzazione dei mezzi di produzione e accetta a malincuore, lui così restìo ad accettare poltrone, la presidenza della Commissione Esteri, della quale si pone alla guida con piglio deciso e attenzione ai problemi del proletariato internazionale.
Appoggia anche il governo Renzi, del quale apprezza il Marx Act per il miglioramento e la stabilizzazione delle condizioni dei lavoratori italiani.
Il suo fidato Gian Luca Galletti diventa ministro dell’Ambiente, venendo poi confermato nel governo di Paolo Gentiloni, già esponente del Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), gruppo maoista di cui era segretario regionale per il Lazio (questa è vera, ndr). Pierferdinando Casini lascia l’UDC e fonda i Comunisti per l’Italia e per l’Europa, diventando successivamente presidente della Commissione Banche, la cui conduzione ferma e decisa oltre che chiaramente a favore del popolo gli spalanca le porte della candidatura a Bologna.
Ora la parola passa alla Dotta: sarà in grado di reggere la portata rivoluzionaria di Casini o preferirà ritirarsi nell’individualismo borghese che l’ha funestata?
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
TESTIMONE DELL’OLOCAUSTO, HA SCRITTO ALCUNI LIBRI SULLA TRAGEDIA DEGLI EBREI
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato senatrice a vita la
dottoressa Liliana Segre per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni.
Segre commenta: “Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.
La neosenatrice prosegue ringraziando il Presidente della Repubblica: “Lo ringrazio per questo altissimo riconoscimento. La notizia mi ha colto completamente di sorpresa”.
Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere Ugo Zampetti provvederà alla consegna al Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, del decreto di nomina. Il Presidente della Repubblica ha informato telefonicamente la neosenatrice a vita della nomina.
“A nome di tutte le comunità ebraiche in Italia – afferma la presidente Ucei Noemi Di Segni -, esprimo la nostra commozione per la decisione del Presidente Mattarella” che “risponde esattamente alla profonda esigenza di assicurare che l’istituzione chiamata a legiferare abbia a Memoria quanto avvenuto nel passato e sappia in ogni atto associare al formalismo della legge anche l’intrinseca giustizia e rispondenza ai fondamentali principi etici, in un contesto sempre più preoccupante nel quale l’oblio rischia di divenire legge oltre che fenomeno sociale”.
Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre 1930 da Alberto Segre e Lucia Foligno. Persa la madre in tenera età , quando non aveva ancora compiuto un anno, ha vissuto unitamente al padre e ai nonni paterni. Vedova di Alfredo Belli Paci, sposato nel 1951, e madre di tre figli, attualmente risiede a Milano, in via Telesio Bernardino 16.
All’età di otto anni rimase vittima delle leggi razziali del fascismo, quando nel settembre del 1938 fu costretta ad abbandonare la scuola elementare, iniziando l’esperienza dolorosa e terribile della persecuzione.
Il 7 dicembre 1943, unitamente al padre e a due cugini, cercò invano, con l’aiuto di alcuni contrabbandieri, di riparare in Svizzera.
Venne tuttavia catturata dai gendarmi del Canton Ticino e rispedita in Italia dove, il giorno successivo, fu tratta in arresto a Selvetta di Viggiù.
Dopo sei giorni nel carcere di Varese venne trasferita dapprima a Como e alla fine a Milano-San Vittore, dove rimase detenuta per 40 giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata con il padre in Germania, partendo dal “Binario 21” della Stazione Centrale di Milano.
Raggiunto il campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz, fu internata nella sezione femminile. Non rivedrà mai più il padre, che morirà ad Auschwitz il 27 aprile 1944. Anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo il 18 maggio 1944, furono deportati ad Auschwitz, ove furono uccisi il giorno stesso del loro arrivo, il 30 giugno dello stesso anno.
Alla selezione, le venne imposto e tatuato sull’avambraccio il numero di matricola 75190.
Durante la sua permanenza nel capo di concentramento fu impiegata nei lavori forzati nella fabbrica di munizioni “Union”, di proprietà della Siemens, lavoro che svolse per circa un anno.
Il 27 gennaio 1945, sgomberato il campo di concentramento di Birkenau-Auschwitz per sfuggire all’avanzata dell’Armata Rossa, i nazisti trasferirono 56.000 prigionieri, tra cui anche Liliana Segre, a piedi, attraverso la Polonia, verso nord. La Segre, non ancora 15enne, fu condotta nel campo femminile di Ravensbruck e in seguito trasferita nel sotto campo di Malchow, nel nord della Germania. Fu liberata il 1 maggio 1945, unitamente agli altri prigionieri, dopo l’occupazione del campo di Malchow da parte dei russi. Tornò a Milano nell’agosto 1945.
Liliana Segre è una dei 25 sopravvissuti dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati nel campo di concentramento di Auschwitz.
Nel 1990, dopo 45 anni di silenzio si rese per la prima volta disponibile a partecipare ad alcuni incontri con gli studenti delle scuole di Milano, portando la sua testimonianza di ex deportata.
È insignita di diverse onorificenze. È Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana, conferitagli con motu proprio del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 29 novembre 2004.
E della Medaglia d’oro della riconoscenza della Provincia di Milano, assegnatagli nel 2005. Il 27 novembre 2008 ha ricevuto la Laurea honoris causa in Giurisprudenza dall’Università degli Studi di Trieste, mentre il 15 dicembre 2010 l’Università degli Studi di Verona le ha conferito la Laurea honoris causa in Scienze pedagogiche.
Ha scritto diversi libri, tra cui un libro intervista con Enrico Mentana “La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah” e “Fino a quando la mia stella brillerà “.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
AVEVA EMESSO UN’ORDINANZA DEMENZIALE PER INTERDIRE LA CITTA’ AI MIGRANTI SENZA CERTIFICATO MEDICO
Il sindaco di Alassio Enzo Canepa è stato condannato a quattromila euro di multa dal tribunale di Savona per l’ordinanza anti immigrati, che secondo l’accusa era da considerarsi discriminatoria.
Il sindaco alassino, che aveva ricevuto il decreto penale di condanna dal giudice per le indagini preliminari, si era opposto scegliendo la strada del processo.
Processo che si è celebrato stamane davanti al giudice Francesco Giannone.
Il pm aveva chiesto un mese di reclusione, il giudice che ha riconosciuto la colpevolezza dell’imputato ha tramutato la condanna in pena pecuniaria, riconoscendo l’atto come discriminatorio.
L’ordinanza era già stata annullata dal tribunale civile di Genova insieme a quella analoga emessa dal sindaco di Carcare Franco Bologna.
Il sindaco ha commentato: “lo rifarei”.
Ovviamente nessuno al Viminale ha pensato bene di commissariare un sindaco che emette ordinanze razziste in violazione della Costituzione che vieta discriminazioni di ogni genere.
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
“TUTTI SOLIDALI A PAROLE, POI VORREBBERO L’INVALIDO ALTO, BIONDO E CON GLI OCCHI AZZURRI”
Per i lavoratori disabili doveva essere una svolta. Ma la riforma entrata in vigore il primo gennaio si preannuncia un percorso a ostacoli.
Le piccole aziende coinvolte nella nuova norma sono già in rivolta.
Quelle che impiegano almeno 15 dipendenti ora hanno l’obbligo (in cambio di sgravi) di assumere un lavoratore disabile, ma chi può sfugge.
La novità doveva scattare nel 2017 ma nonostante il rinvio molte aziende sono impreparate: alcune non conoscono la normativa e altre hanno annunciato che non la rispetteranno. Poche, dunque, quelle che hanno già le carte in regola.
Una legge sconosciuta
Per mettersi a norma c’è tempo fino ai primi giorni di marzo. Poi scatteranno le sanzioni: 153,20 euro per ogni giorno non lavorato dal disabile che doveva essere assunto. Pagare le multe costa più dell’assunzione, ma non basta a convincere gli imprenditori.
«In tanti hanno detto che preferiranno pagare le sanzioni», svela un impiegato dell’Ufficio provinciale del lavoro di Roma.
Le regole
Sono tutte contenute nel decreto legislativo 151 del 2015. La parola chiave della norma è il «collocamento mirato». L’azienda comunica i profili che cerca e gli uffici del lavoro si adoperano per trovare la persona più adatta.
Una logica per superare la chiamata obbligatoria del primo iscritto alla lista. «C’è molta resistenza — dice Alessandra Naddeo, dello sportello Anmil di Napoli — Ci è capitato che alcune aziende ci chiedessero profili assurdi, per esempio un interprete cinese-arabo, per poi dire che non c’è la persona adatta».
Aziende in rivolta
Sul collocamento mirato, che sembra incompatibile con l’obbligo, insistono anche gli imprenditori. «Le persone disabili hanno il diritto di essere inserite nel mondo del lavoro ma non è corretto scaricare tutto il peso sulle aziende – protesta Confindustria – Il collocamento obbligatorio, a prescindere dalla conoscenza delle capacità della persona disabile e delle mansioni disponibili in azienda, contraddice palesemente il principio del collocamento mirato che è il fulcro della legge».
«Dovremo individuare i profili più adatti da inserire nelle aziende – dice Luca Sanlorenzo, direttore generale dell’Api di Torino – Non dobbiamo trasformare un diritto, quello dei lavoratori disabili, in un onere a carico solo delle imprese».
La protesta dei disabili
I lavoratori esclusi sono moltissimi. Gianni Del Vescovo, 40enne di Latina, è costretto sulla sedia a rotelle dopo un incidente in moto.
Ha una laurea magistrale in ingegneria ambientale ma è disoccupato: «Sono costretto ad accettare lavori in nero per 400-500 euro. Purtroppo in Italia c’è da sconfiggere la logica per cui siamo un peso e non una risorsa».
La nuova legge, dunque, non basta. «Spesso, infatti, siamo costretti ad avviare le azioni legali – dice Gigi Petteni della segreteria nazionale Cisl – Il lavoro è la più alta forma di inclusione ma sarebbe bello che le aziende sentissero la loro responsabilità sociale più forte dell’obbligo di legge».
E questo sembra anche il sogno di chi ogni giorno fa i conti con la disabilità : «Per noi il lavoro è una conquista e per questo lo facciamo con più responsabilità – dice amareggiato Franco Bettoni, presidente dell’Anmil – Ma le aziende vorrebbero l’invalido alto, biondo, con gli occhi azzurri».
(da agenzie)
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Gennaio 19th, 2018 Riccardo Fucile
LA BONGIORNO SBULACCA: “AD ANDREOTTI LA MIA SCELTA SAREBBE PIACIUTA”… E MARONI REPLICA: “IO E BOSSI QUELLI COME ANDREOTTI LI ABBIAMO COMBATTUTI, E’ DAVVERO CAMBIATO IL MONDO”
Roberto Maroni si è talmente ritirato dalla politica che oggi ha ritenuto in un tweet di
rimarcare la sua distanza dal progetto di Lega nazionale portato avanti da Matteo Salvini.
L’antefatto è l’annuncio di Giulia Bongiorno candidata con il Carroccio e il fatto è l’intervista rilasciata dall’avvocata al Messaggero in cui l’ex difensore di Andreotti sostiene che “Siccome la Lega di Salvini, per prima cosa, ha il pragmatismo nella sua politica, credo che ad Andreotti la mia scelta sarebbe piaciuta”.
Maroni però era evidentemente in vena di litigare visto che su Twitter ha risposto: “È davvero cambiato il mondo: io e Bossi quelli come Andreotti li abbiamo sempre combattuti”.
Una bella frase che rimarca la sua differenza con Salvini e i suoi legami con il Nord che ha portato la Lega in Parlamento.
Ma non del tutto vera, visto che nel 2006, dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni, la Lega, votò, a partire dalla seconda votazione (nella prima scelse Calderoli) proprio il senatore Giulio Andreotti come presidente del Senato contro Franco Marini, candidato della maggioranza.
Al terzo scrutinio Marini battè Andreotti per sei voti (con cinque schede bianche e una nulla) e il giorno dopo La Padania, come ricorda Wikipedia, uscì con una foto del senatore a vita in prima pagina sormontata dal titolo mordace “Mio nonno in carriola. Meno male che doveva spaccare il centrosinistra…”.
Insomma, la Lega prima approvò la strategia di Berlusconi e poi si sfilò quando questa fallì.
E chi era direttore della Padania all’epoca?
Proprio Gianluigi Paragone, che dopo una carriera in RAI oggi si presenta alle elezioni con il MoVimento 5 Stelle.
Com’è piccolo il mondo, vero?
(da “NextQuotidiano”)
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