Destra di Popolo.net

INTERVISTA A MICHELE SANTORO: “IL CAV. E’ COME ME, UNA SPECIE DI VECCHIO SAGGIO CON L’ARIA DI CHI SI CHIEDE “CHE DEVO FARE?”

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

“TEMO CHI VERRA’ DOPO, QUANDO GRILLO AVRA’ FALLITO”

“Ancora ci parlo col mondo dei Cinque stelle, anche se in maniera critica”, dice Michele Santoro. “Ma ogni volta succede una cosa incredibile. Incivile. Vieni sommerso da centinaia di ‘vaffa’. Anche minacciosi. Personalmente me ne frego, figurati. Sono vecchio del mestiere. E ho le spalle larghe. Ma vedo attorno a me una specie di conformismo, da parte di giornalisti, scrittori, registi, musicisti… si spaventano. Prevale un principio di prudenza. Pensano ai loro dischi, ai loro libri, alle vendite… Un po’ dicono: ma chi me lo fa fare di criticare? Meglio stare zitti. Non voglio fare nomi, ma ne conosco a decine. E questo è un problema. Enorme. Se non discutiamo più, se non si può nemmeno criticare, siamo messi male. Davvero male”.
Il vicesindaco di Roma, Daniele Frongia, un paio di giorni fa ha twittato una foto di Santoro, presa nel corso della sua nuova trasmissione, che si chiama “M”.
Un fotogramma tratto della puntata della settimana scorsa, che era intitolata “la banda degli onesti”, ed era dedicata a Virginia Raggi. “’M’ come Munch”, ha scritto Frongia. Un urlo. Con minore fantasia decine di militanti del Movimento cinque stelle hanno scritto, invece: “M come merda”.
Dicono che Santoro ha sostituito Berlusconi con i grillini. Il Movimento cinque stelle è il tuo nemico?
“Ma no. Ho parlato della Raggi, della sua esperienza amministrativa. E penso questo: penso semplicemente che in Italia c’è un problema di classe dirigente. E il problema non riguarda solo l’inadeguatezza della Raggi, che semmai un po’ corre il rischio dell’effetto Spelacchio, ovvero d’ingenerare simpatia, per manifesta incapacità . Il problema più grave secondo me è questo: che c’è di fronte alla Raggi? Dov’è il sindaco ombra? Dov’è l’alternativa? E poi c’è un’altra cosa che mi preoccupa del M5s. A Roma c’è un’emergenza rifiuti conclamata. E il sindaco appartiene a un partito che è capeggiato da Beppe Grillo, cioè dal guru del riciclo e dell’ambientalismo, uno che ha fatto spettacoli anche molto remunerativi su questo tema. Ti aspetteresti un impegno dei militanti sul territorio. Ti aspetteresti di vedere in giro per la città  ‘le guardie rosse’ del grillismo, i ‘gruppi di sostegno di Savonarola’, insomma militanti impegnati a sensibilizzare i romani sul tema. Un impegno ventre a terra. Una rivoluzione culturale. E invece niente. E questo è preoccupante. Significa che il M5s non è in grado di mobilitare la sua gente. E’ un blog”.
E’ tutto virtuale.
“Vedi solo una città  sempre un po’ più triste e un po’ più sporca. Con un sentimento diffuso di rassegnazione che pervade tutti”.
E questo può deprimere. Ma perchè ti preoccupa?
“Mi preoccupa quello che succederà  quando le speranze che i Cinque stelle hanno alimentato saranno definitivamente deluse. Quando questo avverrà , poi che succede? Chi verrà  dopo di loro? Oggi i sondaggi dicono che gli italiani vogliono l’uomo forte. Esprimono sfiducia nei confronti della democrazia. E mi preoccupa, tutt’intorno a questo disastro, l’assenza di alternative. Mi preoccupa il collasso della sinistra. Guarda Repubblica. Guarda Eugenio Scalfari che litiga con Carlo De Benedetti. In quel modo tremendo”.
C’è la fine della sinistra in quel litigio?
“E’ un mondo che rovina su se stesso. Che si sfinisce a pesci in faccia. E’ la fine di Repubblica. E quello, tienine conto, è sempre stato anche il mio pubblico”.
Ma De Benedetti e Scalfari, dice Santoro, i due grandi vecchi, “sono dei fondatori. Hanno scommesso, hanno comprato, hanno svalutato, hanno creato, hanno fatto e disfatto, hanno vissuto”.
E insomma sono due monumenti. Ingombranti, come tutti i monumenti. Che litigano perchè sono ancora vitali.
“I più giovani lì sono i due vecchi”, dice Santoro. “Ma intorno cosa c’è? Nel giornalismo di sinistra? In quel mondo, e in quel giornale, che ha rappresentato tantissimo in questo paese? Regna un’idea di galleggiamento. E’ come se sopravvivere in queste circostanze di vuoto, in questa assenza di coraggio, di talento e di fantasia, sia diventato un elemento di professionalità . E’ tremendo”.
E torna Berlusconi, il tuo vecchio nemico.
“Il Cavaliere è stato molto abile a fare un gioco per lui inusuale: aspettare che gli altri sbagliassero. Anche le sue interviste sono apparse molto ragionevoli. Da uno che ha la testa sulle spalle. Ha detto cose sagge. Anche se ora, piano piano, stanno venendo fuori i suoi limiti”.
Che fai lo rivaluti? E’ una notizia.
“Ma figuriamoci se lo rivaluto. Ovviamente no”.
Però è in atto un fenomeno quasi revisionistico nei confronti di Berlusconi. Persino Bill Emmott, il direttore dell’Economist che disse “unfit to lead Italy”, adesso celebra il Cavaliere come l’unica speranza. L’unico sensato in un mondo di scombiccherati della politica.
“C’è la ricerca del meno peggio. Una specie di gioco di società  nel quale lui s’infila, perchè è sempre bravo a fiutare l’aria. Ma è impensabile per chiunque, anche per lui, fare il capo politico a ottantatrè anni”.
Però lo rimpiangi, da un certo punto di vista.
“Penso che negli anni del berlusconismo imperante eravamo finalmente una società  nella quale esistevano due grandi partiti a confronto. In una logica dell’alternanza. Il problema è che entrato in crisi Berlusconi questo magma non si è solidificato. L’opposizione non ha partorito un’idea di governo che ci portasse a diventare una democrazia compiuta. Così la crisi dell’opposizione, e la crisi di Berlusconi, ci hanno portato dove siamo”.
E dove siamo oggi?
“Nel momento più basso forse mai raggiunto dalla classe dirigente. Tutti cercano le soluzioni nel senso comune. Un po’ come in tivù. La sinistra sa solo criticare Renzi. Renzi ha perso smalto. Berlusconi è come me, cioè una specie di vecchio saggio che si aggira sulla scena con l’aria di chi si chiede: ‘Che devo fare?’”.
E poi c’è il Movimento 5 stelle.
“Grillo e Casaleggio hanno avuto una grande intuizione, hanno capito che il crollo di Berlusconi era anche il crollo di chi si opponeva a Berlusconi. E hanno capito che la battaglia politica si faceva più rapida. E andava combattuta in rete. Seguendo i dati emotivi dell’ultimo momento. La Casaleggio Associati è questo: è un termometro degli umori della rete. Non vedo come possa farsi governo. Ma è così”.
Voterai?
“Non saprei chi votare. Avrei sognato, dopo tanti discorsi sul valore di quelli che avevano votato ‘Sì’ al referendum, che ci fosse un tentativo di mettere insieme quel 40 per cento. Ma non c’è stato niente. Nessuna campagna d’ascolto. E adesso nessuno gioca per vincere, ma per ‘risistemarsi’ dopo le elezioni. Per cosa lottano adesso i partiti? Per fare un governo della Prima Repubblica. Ma senza Craxi, senza Moro, senza De Mita. Ci ritroviamo Di Maio , Salvini, e questo Renzi… l’ultimo Renzi. Non so se funziona”.
C’è Paolo Gentiloni.
“Che è intelligente. Ma che farà ? C’è bisogno di una riforma fiscale, di una riforma della giustizia e di una redistribuzione della ricchezza. Cose che non si possono fare con governi compositi. Non in questa situazione. Vedrete che alla fine arriverà  chi saprà  interpretare una novità  vera. E c’è da capire se questa crisi non ci riporta molto indietro, agli anni in cui è nato il fascismo”.
Addirittura. Esageri.
“Non vedo in nessun altro paese una crisi dei partiti così forte, come in Italia. Negli Stati Uniti c’è Trump, ma ci sono anche il Partito repubblicano e il Partito democratico con i quali deve fare i conti. Venerdì i repubblicani, in Parlamento, non gli hanno approvato il bilancio. E questo vale anche per l’Inghilterra, per la Germania dove malgrado le difficoltà  il sistema ha ancora due grandi partiti cristiano-democratico e socialdemocratico. Nemmeno il caso della Francia è assimilabile all’Italia. Siamo in una situazione vissuta con beata incoscienza. E che presenta un secondo elemento inquietante: la crisi dell’industria culturale. Il cinema, l’informazione, l’editoria libraria…”.
Secondo l’Istat, sei italiani su dieci non hanno letto nemmeno un libro nel 2016.
“E l’informazione televisiva è un disastro. Abbiamo circa quaranta trasmissioni che campano sugli ospiti. E non abbiamo ospiti interessanti. Fare trasmissioni che non abbiano l’aspetto di una tavola apparecchiata apposta per i politici è diventata una impresa impossibile. I compromessi da ingoiare per avere ospiti i leader che fanno più ascolto sono infiniti. Bisogna fornire in anticipo l’elenco delle domande, concordare l’orario di registrazione, la posizione in scaletta e fornire rassicurazioni sull’andamento della serata che non deve contenere sorprese e imprevisti”.
Anche prima c’erano “trattative”, pretese, scambi. Non sono nati oggi.
“E’ vero. Ma il politico si doveva comunque sottoporre al rito previsto dalla trasmissione. Ora stabiliscono tutto loro. Scelgono il giornalista con cui confrontarsi, decidono l’orario, intervengono sugli ospiti, sui servizi… Immagina cosa succede   QQuando, per preparare una trasmissione, le redazioni parlano con l’addetto alla comunicazione del M5s, che stabilisce chi mandare in onda. L’ospite alla fine determina lo share. E se vuoi Di Maio o Di Battista devi sottostare a certe richieste. Lo stesso vale per D’Alema. Anche per Renzi. I contenitori sono soggetti a questo tipo di ricatto”.
Cosa ti piace in tivù?
“Il gruppo di lavoro di ‘Gomorra’. Nell’informazione penso che ci siano cose interessanti dentro ‘Nemo’. Poi c’è Riccardo Iacona. C’è ‘Report’”. Le Iene? “Fanno sensazione. Io non so se andare a intervistare Giuliano Amato sui campi di tennis, e alludere a intrighi da circolo sportivo intorno a Mps, possa servire a far capire agli spettatori le ragioni del possibile suicidio di David Rossi”.
Non hai citato niente di La7. La7 è la tivù grillina?
“Urbano Cairo grillino mi sembra troppo. E’ una esagerazione. Diciamo che La7 è certamente una televisione molto aperta al M5s, e anche agli oppositori di Renzi a sinistra. E questo però ha una motivazione. Il talk vive di opposizione, tolti Vespa e Fazio che sono istituzionali. Questo porta a enfatizzare più le cose che non funzionano, rispetto a quelle che vanno bene. Quindi, nella dinamica del presente, l’ascesa di Di Maio e il partito di Bersani sono materia su cui fare delle trasmissioni. Ed è naturale che finisci con i grillini”.
Dei quali non si parla male, quasi mai.
“Anche perchè se lo fai non vengono più da te”.
Tu e Vespa siete ancora i più bravi. T’infastidisce se lo dico?
“Penso che lui abbia vinto, e io ho perso. Anche i contenitori che erano nati con il mio format si sono culturalmente vespizzati”.
Vespa non ha eredi. E nemmeno tu.
“Oggi in tivù vedrai un film su Libero Grassi, dove si deve citare il mio ruolo. Dalle mie trasmissioni sono esplosi casi come la trattativa stato-mafia, De Magistris, il caso di Bella… Io mi chiedo: oggi da quali trasmissioni è venuto fuori un tema che ha condizionato il dibattito politico? E’ evidente che sia in crisi il ruolo dei mediatori culturali. Quelli che un tempo ti aiutavano a capire la realtà ”
La trattativa stato-mafia, giudiziariamente, è finita in nulla. Un flop.
“La verità  storica e quella giudiziaria possono anche non coincidere. Però credo sia stato un errore far diventare la trattativa un processo, in mancanza di prove solide”.
Napolitano, Scalfaro, Mancino, Berlusconi stragista… un processo alla storia d’Italia. “C’è stato il tentativo di costruire un quadro estremamente organico. La smania di arrivare in cima. E lavorando così, senza prove, può anche finire che non arresti Al Capone per evasione fiscale”.
Un pasticcio.
“Lo diceva anche Falcone che questo tipo di processi non si fanno. Sarebbe stato meglio cercare di acchiappare quelli che si potevano acchiappare. Anzichè inseguire un’evanescente cupola politica. Di cose strane però ne sono successe in quella vicenda. A cominciare dalla mancata perquisizione del covo di Riina”.
La trattativa è stata il propellente per la fulminea, e piuttosto caduca, carriera politica di Antonio Ingroia.
“Io mi pongo un altro problema: c’è forse qualcosa che non va nell’incapacità  del nostro sistema giudiziario di arrivare a delle conclusioni”.
C’è molto che non va.
“Il ruolo della giustizia non è quello di stabilire una verità  quasi religiosa. Ma di fare giustizia in tempi ragionevoli, all’interno dello stesso momento storico in cui i fatti a processo si sono compiuti. Affinchè se ne possa trarre qualche vantaggio, anche sociale, da quel giudizio. Non diciott’anni dopo, quando non frega più a nessuno. Quando persino i protagonisti di quella vicenda non sono più sulla scena. O sono addirittura morti”.
E Santoro si descrive come un pendolo, sospeso tra pessimismo e fiducia.
“Faccio i conti con la crisi della tivù generalista, con prodotti destinati a un pubblico sempre più limitato”, dice. “Ma percorro anche strade nuove. Quindi sono ottimista. Penso che scavando dentro sentieri nuovi si possano acchiappare anche gli spettatori che si sono abituati alla tivù frammentata, al flusso delle chiacchiere. Ma mancano i soggetti di mercato, gli editori che scommettono. Tutti si arrangiano”.
Molti giornalisti cambiano mestiere, passano alla politica.
“Se non riesci nelle professioni, passi alla politica. Come i magistrati che citavi prima. Abbandoni un segmento in crisi. E la politica diventa un riciclo di risorse”.
Tu ti sei candidato una volta.
“E basta più”.

(da “La Repubblica”)

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IL CENTRODESTRA SI SPACCA GIA’ SUL 3%: BERLUSCONI LO VUOLE RISPETTARE, SALVINI PREFERISCE LA BANCAROTTA

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

IL CIRCO BARNUM DEL CENTRODESTRA CHE NON E’ D’ACCORDO SU NULLA, SALVO CHE SUL “UNITI SI VINCE”

La regola del limite del 3% del rapporto deficit/Pil divide ancora Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Il leader del Carroccio, intervistato da Agorà  sui Rai Tre, ha dichiarato: «La regola del 3 per cento? Sarebbe bello rispettarla, se danneggia però le imprese e le famiglie italiane sarà  rimessa in discussione».
Salvini ha dichiarato che per lui qualunque regolamento che danneggi gli italiani «non esiste». E tra i provvedimenti da rivedere mette anche la Bolkestein e la direttiva Banche.
La netta posizione di Salvini smentisce quella recentemente assunta da Berlusconi.
Roberto Giachetti del Pd su twitter ha scritto: «Berlusconi rassicura l’Europa sul rispetto del 3% e Salvini subito lo smentisce. Fintamente uniti si può vincere, ma non governare. #inganni».
Critiche alle dichiarazioni del segretario leghista sono arrivate anche da Piercamillo Falasca, promotore di + Europa con Emma Bonino: «Traducendo in linguaggio semplice (la dichiarazione di Salvini, ndr): un eventuale governo a trazione leghista proverà  blandamente a far quadrare i conti pubblici, ma se non ci riuscirà , aumenterà  deficit e debito pubblico».
Per Falasca la Lega è pronta a far saltare i parametri europei di finanza pubblica, trascinando l’Italia in una nuova spirale di debito e alti interessi «come quella che abbiamo vissuto nel 2011».
La posizione leghista «è la ricetta migliore per portare rapidamente il Paese alla bancarotta».

(da “il Secolo XIX”)

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I TROPPI MISTERI DEL CONCORDATO ATAC

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

I TECNICI HANNO MOLTI DUBBI SUI PROVVEDIMENTI DELL’AZIENDA…E NON SI TROVA NESSUNO CHE FIRMI GLI ATTI

Arriva oggi in Assemblea Capitolina la delibera inerente al piano economico e finanziario (PEF) di ATAC in relazione alla procedura di concordato preventivo in continuità .
Il consiglio comunale si riunirà  oggi, martedì 23 gennaio, con orario 19-23 e domani, mercoledì 24 gennaio, con orario 10-14.
Un piano che, in nome della #trasparenzaquannocepare, rimane un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma: «Materialmente ci sono stati consegnati nella riunione di oggi la delibera con le linee guida, e solo dopo ripetuta richiesta, i pareri degli uffici della ragioneria e del Segretariato sul documento approvato oggi dalla Giunta. Ma non il PEF, che è il documento più importante sui numeri e il piano con cui si intende salvare Atac, secretato per “motivi di riservatezza e opportunità ” come ci hanno riferito», ha fatto sapere ieri l’opposizione.
Il primo mistero del concordato ATAC, insomma, è il concordato stesso.
Il guaio è che, grazie alle indiscrezioni pubblicate oggi dai giornali romani, non è mica l’unico.
Il secondo mistero lo fa notare Giovanna Vitale su Repubblica Roma di oggi:   la “Relazione per procedura concordataria” inviata a novembre in Campidoglio da Paolo Simioni, attuale presidente e dg di ATAC, spiega e afferma che il risanamento dell’azienda è cominciato già  nel 2010 e ha registrato un picco nel 2015 con l’apertura della Metro C, che ha incrementato i chilometri percorsi e dunque i ricavi.
Un percorso che in sette anni ha consentito alla muncipalizzata di ridurre «l’indebitamento verso le banche, nel quale si segnala in particolare un azzeramento della componente a breve termine»; di stabilizzare «il volume del debito commerciale verso fornitori»; di mantenere sempre «in positivo» il margine operativo lordo (MOL).
Ma se ATAC è all’interno di un percorso di risanamento da sette anni, perchè la sindaca Virginia Raggi, l’assessora ai trasporti Linda Meleo e il presidente della commissione mobilità  Enrico Stefà no sostengono da anni ormai l’esatto contrario, parlando di disastro ereditato dalle amministrazioni precedenti?
E non è tutto.   La situazione sarebbe potuta essere addirittura migliore, incalza Simioni, «se fossero state realizzate, anche in parte, le dismissioni degli immobili non strumentali stabilite dalla delibera 39 del 2011». Rimaste invece sulla carta non solo per le giunte Alemanno e Marino, ma pure per quella 5 Stelle.
Ora, attenzione.
Chi parlò per l’ultima volta prima di lasciare l’azienda di dismissione degli immobili come soluzione per trovare liquidità ? La risposta è semplice: Marco Rettighieri, il DG che alla fine ha lasciato sbattendo la porta.
Nella sua conferenza stampa d’addio Rettighieri aveva detto proprio questo: «Per avere liquidità , bastava sbloccare il piano di dismissione degli immobili non strumentali». Un’operazione che avrebbe potuto portare nelle casse dell’azienda fino a «160 milioni di euro», come si leggeva nella relazione del 24 giugno 2016: Solo attraverso l’alienazione di cinque immobili dismessi, prevista dal piano industriale 2015-2019, sarebbero arrivati 98,2 milioni, secondo gli ex manager.
Ma la giunta M5S all’epoca bloccò tutto.
Ecco quindi che c’è un ulteriore elemento di (ri)valutazione del management che se ne è andato dopo essere arrivato rapidamente ai ferri corti con la classe dirigente a 5 Stelle del Campidoglio.
E nella relazione si dice anche che se non si è arrivati ad approvare un piano industriale votato al rilancio di ATAC è a causa dei troppi cambi al vertice dell’azienda. Un’attività  a cui anche i 5 Stelle, volenti o nolenti, non sono stati estranei.
A margine della vicenda c’è anche un curioso aneddoto raccontato oggi da Simone Canettieri sul Messaggero.
A causa di una doppia malattia ieri mancava il dirigente del segretariato che firmasse materialmente la delibera di Atac (e che ne seguisse l’iter in Aula), fondamentale per presentare la richiesta di concordato venerdì prossimo al Tribunale.
Serviva il timbro tecnico e burocratico del Campidoglio sul Piano economico finanziario della municipalizzata dei trasporti. A parte le malattie, però, nella bozza finale del provvedimento è spuntata una clausola anomala: la giunta potrà  cambiare il piano concordatario in corso d’opera, «sollecitando l’Atac ad effettuare tutte le migliorie opportune».
E questo a causa di un motivo ben preciso:
Per i tecnici l’operazione-concordato è un rischio per i conti del Comune. La Ragioneria annota che «determinerà  un disavanzo di amministrazione», perchè il maxi-credito che il Campidoglio vanta nei confronti della sua controllata verrà  pagato in vent’anni, solo a partire dal 2026.
Insomma, ci saranno «consistenti riflessi diretti e indiretti sul bilancio e sul patrimonio di Roma Capitale» e «l’amministrazione potrebbe essere chiamata a sostenere maggiori oneri». Tanto che all’Atac il Segretariato detta una condizione: rinunciare al contenzioso nei confronti del Comune, «al fine di contenere l’esborso finanziario» di Palazzo Senatorio.
L’aumento della produttività  suggerito nel piano (da 37 a 39 ore di lavoro settimanali come prevede il contratto di categoria) è considerato insufficiente a riportare l’azienda in bonis. E non solo:
I dipartimenti del Comune annotano «particolare perplessità » sulla scelta di ripagare i creditori non solo con una quota del 31% cash, ma anche con obbligazioni a media e lunga scadenza (per coprire rispettivamente il 30% e il 39% del restante credito). Titoli che verrebbero pagati dopo il 2022, quando sarebbe «intervenuta la cessazione della proroga biennale appena concessa» del contratto di servizio. Ecco perchè emergono dubbi «sotto il profilo della percorribilità  tecnica e della sostenibilità  economica».
Ce n’è abbastanza, insomma, per capire che ci sarà  ancora molto da discutere.
E da chiarire.

(da “NextQuotidiano”)

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IL VOTO LGBT TRASVERSALE, PUO’ CONTARE IL 6% DI CONSENSI

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

SONDAGGIO EUROMEDIA: MONDO OMOSESSUALE PUO’ ESSERE DETERMINANTE PER L’ESITO FINALE, SI DICHIARA TALE IL 13% DEGLI ITALIANI

Il voto degli omosessuali è sempre più trasversale.
“Nell’elettorato italiano c’è un bacino molto sensibile al voto gay e che è disposto a votare chi inserisce nei propri programmi proposte contro l’omofobia e a favore dei diritti degli omosessuali”.
Il dato, consegnato dal portavoce del Gay Center, Fabrizio Marrazzo, emerge dal sondaggio realizzato da Euromedia Research e presentato stamane alla Camera dei deputati.
Dati alla mano, il 61,5 per cento degli italiani è favorevole alla legge contro l’omofobia e, a destra, il partito di Giorgia Meloni è quello con gli elettori più gay friendly.
Il nord est del Paese risulta il territorio più favorevole ai diritti LGBT mentre il 27,3 per cento degli italiani vede con interesse la nascita di una Lista Gay e – sottolinea il report consegnato da Gay Center – “il 6,2 per cento, ad oggi la voterebbe, senza che sia mai stata fatta alcuna proposta in tal senso”.
Il 12,8 per cento degli elettori si è dichiarata gay, lesbica e bisessuale, mentre il 3,2 per cento degli eterosessuali voterebbe una lista gay: “quindi – ha sottolineato Marrazzo – il 16 per cento degli italiani è un elettore fortemente sensibile ai diritti dei gay”.
Ma, alle urne, quali percentuali potrebbe raggiungere una lista gay in una coalizione?
“Arriverebbe – prosegue il report – sino al 4 per cento con M5S che trova la convergenza di elettori provenienti da tutti gli schieramenti, al 3 per cento con il Pd, al 2,1 per cento con LeU e all’1,9 per cento con il centrodestra, all’1,6 per cento se fuori da ogni coalizione. In particolare, il 14,4 per cento dei giovani under 25 voterebbe una lista gay”.
“Dallo studio emerge, che il voto gay può essere determinante – ha ribadito Marrazzo – ma nel sondaggio Euromedia Research emerge anche la trasversalità  delle battaglie storiche del movimento LGBT italiano, andando in controtendenza con l’opinione che a destra non ci sia un voto gay friendly”.
Erano stati annunciati “risultati sorprendenti sui partiti di destra e sugli astenuti alle scorse elezioni” e Marrazzo aveva puntualizzato: “Non è vero che l’elettorato di centrodestra sia ostile ai gay”.
Concetti ribaditi nella conferenza stampa. “A volte, alcuni slogan o prese di posizione appaiono dettate più dal conformismo ideologico che da reali analisi delle tendenze elettorali”.

(da agenzie)

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COSA E’ CAMBIATO NEL BLOG DI GRILLO DOPO L’ADDIO ALLA CASALEGGIO

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

NOVITA’ PRINCIPALI: ASSENZA DI COMMENTI, ELIMINATI TEMI POLITICI E SCOMPARSA DI TUTTI I VECCHI POST DI GRILLO, BUFALE COMPRESE

Come già  ampiamente annunciato nei giorni scorsi Beppe Grillo ha separato il suo blog dal sito del MoVimento 5 Stelle.
Il blog del comico genovese non sarà  quindi più l’house organ ufficiale del M5S. Ma al di là  di questo piccolo artificio non dobbiamo dimenticarci che Grillo resta il fondatore e soprattutto il Garante del 5 Stelle.
Ed in quanto Garante Beppe non è che sia privo di poteri o esautorato da qualsiasi carica. Il nuovo Blog di Grillo sarà  quindi il sito del Garante del M5S. E tanto altro ancora, come si è soliti promettere in questi casi.
L’indirizzo Web del sito di Grillo è sempre lo stesso, a cambiare sono i contenuti e, come noto, la gestione.
Non sarà  più la Casaleggio Associati ad occuparsi del blog che infatti non è più intestato ad Emanuele Bottaro, il fan di Grillo che registrò il dominio beppegrillo.it nel 2001.
Adesso il registrar del sito è la società  Beppegrillo S.r.l.s con sede in Genova, Piazza della Vittoria 7 int 2A il cui titolare è Beppe Grillo stesso.
La veste grafica del sito è curata dalla società  Happy Grafic di Roma il cui sito secondo Who.is è registrato a nome di Maurizio Monti.
Il nuovo sito ha una nuova impostazione mentre quella storica del blog è rimasta — salvo futuri restyling — al Blog delle Stelle, la pagina ufficiale del partito.
C’è ancora qualche problema di redirect, comprensibile in questa fase di transizione. Per qualche tempo questa mattina la pagina che rimanda alla presentazione del nuovo blog di Grillo restituiva un errore 404. Errore che è stato successivamente risolto.
A quanto pare a collaborare al Blog ci sarà  anche una ex attivista del M5S, Caterina Nina Monti (figlia di Maurizio Monti, storico autore di Patty Pravo) e già  autrice di questo inno contro la riforma della Costituzione voluta da Renzi e già  sul palco del raduno a 5 Stelle del 2014 al Circo Massimo.
Stando a quanto scriveva il Messaggero qualche giorno fa l blog di Beppe Grillo sarà  gestito anche da Tiziano Pincelli, marito di un’ex assistente di Roberta Lombardi candidatosi senza fortuna alle Regionali del Lazio proprio quest’anno.
Pincelli risulta infatti essere nell’organigramma di Happy Grafic e ha già  cominciato a lavorare per Grillo seguendo l’ex comico nella sua incursione a Barcellona alla fiera delle smart cities.
Alla fine del video Grillo lancia uno spezzone dalla spiaggia di Barceloneta registrato proprio in occasione della fiera delle smart cities.
Grillo spiega in un video come cambierà  il blog. Niente politica, o almeno questo è quello che vuole ora: «Inizia adesso un’avventura straordinaria di liberazione, di mente, di fantasia, di utopie, di sogni, di visioni. Io andrò in cerca di folli, di artisti, mi piace avere dei punti di vista, ma di idee, perchè io sono stufo delle opinioni, sono stufo delle opinioni. Sì d’accordo ognuno ha diritto alla propria opinione, ma ha diritto ai fatti».
E forse è per questo che il nuovo “blog” non ha più lo spazio per i commenti. Commenti ai quali Grillo non ha mai risposto nel corso degli anni. Di fatto in questo modo però il blog non è più tale.
In certi passaggi del video di presentazione Grillo dice di essere stufo della politica. Ad esempio quando dice «se non capite allora il problema è vostro. Allora ripeto, come ho già  detto, allora qui non è un problema di eleggere delle persone a governare questo paese, allora il problema è eleggere un altro popolo».
Oppure quando nel finale ribadisce che «non è che posso dirvi quello che potrò fare, beccatevi quello che vi faccio e basta, è tutto in più che potete avere e non dovete essere tutti sulle mie spalle, io non posso essere assolutamente il vostro referente per il vostro futuro, createvelo il vostro futuro».
Quante volte in questi anni Grillo ha ripetuto di voler fare un passo di lato, di voler lasciar crescere il MoVimento.
Sarà  la volta buona? Impossibile dirlo con certezza.
Il Garante del M5S ha voglia di guardare al futuro, ma il presente del suo nuovo blog è un tuffo nel passato. A quello “pre M5S” quando Grillo scovava in giro per l’Internet perle come quella del cellulare che cuoce il cervello come un uovo alla coque o la miracolosa biowashball.
Purtroppo quei vecchi post non sono più raggiungibili dal sito. L’unica alternativa è ricorrere a servizi come Wayback Machine per poter leggere di quando Grillo spiegava che la Biowashball era stata boicottata dai poteri forti e dalla grande distribuzione.
Ed è per questo che Grillo dice che il futuro si progetta con la gomma e la matita accanto. La prima è per cancellare gli scivoloni del passato la seconda va ciucciata bene prima di mettere la croce sulla scheda elettorale.

(da “NextQuotidiano”)

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IL CENTRODESTRA OFFRE AL MILANESE PARISI DI FARE IL CANDIDATO GOVERNATORE PERDENTE NEL LAZIO

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

DOPO RAMPELLI OGGI TOCCA AL LEADER DI ENERGIE PER L’ITALIA… E PIROZZI SE LA RIDE

Sarebbe Stefano Parisi il nome su cui il centrodestra vuole puntare per le elezioni regionali in Lazio.
L’offerta per Parisi, già  candidato sindaco alle comunali di Milano – dove ha perso al ballottaggio contro Beppe Sala – e leader di “Energie per l’Italia”, sarebbe arrivata dopo una riunione da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega Nord.
La proposta, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Omniroma, che Parisi sta valutando in queste ore e che potrebbe essere ufficializzata nel pomeriggio dopo una riunione della direzione di “Energie per l’Italia”.
Nell’eventuale accordo sarebbero comprese anche le garanzie al suo movimento dal centrodestra per le elezioni politiche.
Resta da capire il senso dell’operazione di candidare a perdere un milanese nel Lazio visto che Pirozzi non si ritira in ogni caso.
Forse un modo per non intestare a nessuno la sconfitta e scariocarla su un esterno.

(da agenzie)

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M5S, LA RIVOLTA DEGLI ESCLUSI: “FAVORITE LE DONNE E CHI VA IN TV”

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

“CI HANNO VIETATO DI FARE CAMPAGNA ELETTORALE”

L’ultima speranza degli esclusi del proporzionale sono i collegi uninominali.
Per il M5S è la sfida più complicata di questa legge elettorale. Servono portatori di consensi, nomi di esterni che contano sul territorio, per compensare lo scarso radicamento del M5S.
Luigi Di Maio ha annullato tutti gli impegni per restare a Roma e definire le liste con il suo staff. Promette: «Ci saranno molte sorprese, molti nomi noti, persone che vengono dalle forze armate, dal mondo dell’università , dal mondo dell’imprenditoria, attori impegnati su temi sociali».
Il casting continua e in queste ore i grillini stanno provando a convincere i più riluttanti. Ma riempire oltre trecento caselle, tra Camera e Senato, non è così semplice. Anche perchè, secondo Di Maio, «molti hanno paura di associare la loro faccia a noi per non subire il trattamento riservato a Orietta Berti».
Per questo il leader è già  pronto a sfruttare i volti del M5S e chi è rimasto fuori dalle parlamentarie, sia tra gli eletti uscenti sia tra i candidati meno noti.
Finiranno a giocarsela nell’uninominale della loro regione, un modo per recuperare anche chi è rimasto tra le riserve a causa di una legge che prevede l’alternanza di genere.
Le new entry, infatti, saranno soprattutto donne, anche se in molti casi hanno preso meno dei candidati maschi finiti terzi nel listino bloccato e con poche chance di passare se il collegio non è favorevole al M5S.
Si capirà  di più quando finalmente usciranno le preferenze, tenute ancora sotto chiave assieme ai nomi di tutti i candidati. Francesco D’Uva, terzo in Sicilia, dovrebbe correre nel suo collegio uninominale. Lo stesso potrebbe fare in Abruzzo Daniele Del Grosso, in panchina dopo il voto online.
A pesare sulle scelte è stata sicuramente la fama conquistata dai parlamentari, soprattutto i big, tra i capilista anche grazie a presenze televisive insistite.
La tv ha aiutato anche le star prestate al M5S, Elio Lannutti, Gianluigi Paragone, il capitano Gregorio De Falco.
Un’accusa che dal M5S respingono, facendo notare che ai primi posti ci sono deputati e senatori che non erano ospiti fissi in tv ma sempre presenti sui territori, premiati dagli attivisti per aver lavorato meglio di altri.
È anche vero però che i parlamentari hanno avuto più possibilità  di organizzare eventi e di coltivare consenso. Cosa che non è stata permessa a tutti.
Se ne lamenta Alì Listì Maman, candidato a Palermo senza riuscire a sfondare: «C’era il divieto di campagna elettorale. Non abbiamo potuto fare comizi, incontri pubblici, costruire cordate».
Ora toccherà  a Di Maio decidere a chi dare un’altra opportunità .
Due saranno i criteri: competenza e notorietà , soprattutto a livello locale.
Il modello è Salvatore Caiata, il presidente del Potenza calcio, che, come La Stamp a aveva anticipato, ha detto sì ai grillini.
Logico che, avendo questa libertà  di scelta, Di Maio punterà  su personalità  più affini al suo stile e alle sue idee, non chi si è fatto conoscere per frasi imbarazzanti o posizioni politiche più radicali.
Difficile che ritroveremo in Parlamento il No Tav Marco Scibona, quarto nel listino e con un piede ormai fuori.
Ma anche il complottista dei microchip Paolo Bernini o Chiara Di Benedetto, vicina al gruppo dei palermitani travolti dallo scandalo firme false.
Potrebbero invece rispuntare all’uninominale i nomi di tre sconfitti alle primarie online: Pino Masciari, l’imprenditore che ha combattuto la ‘ndrangheta, Franco Fracassi, il giornalista autore assieme a Lannutti di un libro-denuncia su Mps e Daniele Raco, il comico di Zelig che si batte contro il gioco d’azzardo.
Un attore impegnato sui temi sociali, proprio come ha detto Di Maio.

(da “La Stampa”)

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LAURA CASTELLI E LA MACCHINA DEL FANGO M5S COME STRUMENTO DI LOTTA POLITICA

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

ECCO L’ORDINANZA CHE SOLLECITA IL RINVIO A GIUDIZIO DELLA DEPUTATA

Un giudice deciderà  se Laura Castelli dovrà  andare a processo per diffamazione nei confronti di Lidia Lorena Roscareanu: ieri il giudice per le indagini preliminari Paola Boemio ha disposto infatti l’imputazione coatta per la deputata piemontese del MoVimento 5 Stelle per gli insulti e la presunta diffamazione nei confronti della ragazza che lavorava nel bar interno del Palazzo di Giustizia di Torino e che alle ultime elezioni si era candidata in una circoscrizione con il Partito Democratico.
Non sappiamo quindi se Laura Castelli andrà  a giudizio per diffamazione (questo è il reato ipotizzato nella denuncia-querela della ragazza)
Tuttavia, nell’ordinanza di Boemio è possibile farsi un’idea non certo del fatto che Laura Castelli sia colpevole o meno, ma del metodo di lotta politica spesso utilizzato dal MoVimento 5 Stelle (così come, è successo, da altri partiti nei confronti del M5S) che ritiene di poter “forzare” la realtà  (a sua volta non tanto commendevole) per costruire macchine del fango intorno a persone che, come nel caso della Roscaneanu, a ben vedere non c’entrano nulla.
Prima però è necessario un riassunto delle puntate precedenti.
Nel maggio 2016 l’onorevole Castelli pubblica su Facebook uno status con tre fotografie in cui si racconta di un’indagine della Guardia di Finanza sull’appalto del bar del tribunale assegnato dal Comune di Torino, proprietario dei locali, ad una società  veronese, la Service Companies SRL.
Una storia succosa per la lotta politica perchè coinvolge l’allora sindaco.
Ma la Castelli fa qualcosa in più rispetto alla — normale — propaganda politica: pubblica anche le foto del santino elettorale di Lidia Roscaneanu e una foto tagliata (dall’altra parte c’era un’altra candidata) in cui sono ritratti Roscaneanu e proprio Fassino.
Non contenta, nello status Castelli scrive: «Che legami ci sono tra i due? (Fassino e Roscaneanu, ndr) Fassino da (sic!) un appalto per il bar del tribunale di Torino a un’azienda fallita 3 volte, che si occupa di aree verdi, con un ribasso sospetto. LA PROCURA INDAGA. Fassino candida la barista nelle sue liste. Quanto meno inopportuno. Che ne dite?».
Il post fu commentato varie volte da utenti che non risparmiarono ingiurie e allusioni di carattere sessuale.
Nuova Società  racconta che «sotto quel post il popolo dei social, probabilmente dei filo-grillini, ci ha messo pochi secondi per insultare la ragazza, anche pesantemente: “Sei la badante di Fassino”, “sei l’amante di Fassino” fino a raggiungere espliciti e offensivi riferimenti sessuali.
Ed è evidente anche a un cieco che se la Castelli si fosse limitata a dire la sua sulla vicenda dell’indagine senza mettere in mezzo terzi, avrebbe raggiunto comunque il suo scopo (sottolineare l’esistenza di un’indagine che riguardava una scelta discutibile del Comune) evitando di tirare in ballo persone che non c’entravano nulla e di scatenare così gli insulti e le allusioni nei confronti della Roscaneanu.
“Mi ero candidata in una circoscrizione — raccontò a neXt Roscaneanu — perchè non c’erano altri rappresentanti della comunità  romena, che pure è assai numerosa in città . Mio fratello maggiore, in Romania, è molto attivo in un partito di ispirazione socialista e democratica, e io con quelle idee ci sono cresciuta. Ma dopo quel post non ho nemmeno presentato i documenti per entrare in lista. Non ne potevo più. A parte gli insulti sul web, dove mi davano dell”amante di Fassino’ se non peggio, persino i frequentatori del tribunale mi additavano. Ed ero una semplice cassiera”.
Lorena sottolinea che fu assunta a dicembre del 2015 e che si iscrisse al Pd solo il 31 marzo successivo.
Nella foto apparsa su internet, inoltre, compariva accanto a Fassino da sola, ma dall’immagine era stata tagliata la parte in cui c’era un’altra candidata. “Il bar ha chiuso da mesi — concluse — e ora sono disoccupata”.
Castelli da parte sua nell’unica dichiarazione pubblica che ritenne di rilasciare sulla vicenda disse due cose interessanti: “Non ho mai insultato nessuno e, come sempre, ho provveduto a cancellare i commenti che contenevano insulti“. “Non ho accusato nessuno, ma riportato dei fatti — sostenne la parlamentare pentastellata -. Ho fatto il mio lavoro, denunciando un appalto irregolare, quello relativo al bar interno del Palazzo di Giustizia, sul quale per altro mi risulta ci sia una indagine aperta. Spiace che quel post sia stato cancellato da Facebook, ma ribadisco di non avere insultato nessuno e sono sicura di non avere commesso reati”.
Insomma, da una parte per fortuna la Castelli fa sapere di aver cancellato gli insulti nei confronti della persona ritratta nella foto; dall’altra però fa anche sapere che alla fine il post non è stato cancellato da lei, ma da Facebook, evidentemente per le segnalazioni e gli insulti sessisti e razzisti nei confronti della ragazza.
Ma la cosa più interessante è che la difesa pubblica di Castelli è praticamente identica a quella che la deputata ha portato davanti alla giudice Bormio.
La quale però si è evidentemente resa conto che nella versione di Castelli qualcosa non quadra: «Questa notizia (quella dell’indagine sul bar, ndr), di sicuro interesse pubblico e sostanzialmente espressa in maniera continente, fa solo da cornice a quanto, a ben vedere, è la reale portata del post e che integra a pieno titolo il reato contestato: non la critica all’opportunità  politica della scelta di un determinato candidato consigliere, ma l’allusione, neppure troppo velata, all’esistenza di un legame intimo tra la Roscaneanu e Fassino».
E non finisce qui: «Il post, che esordisce con un eloquente ‘che legami ci sono tra i due?’ ed è accompagnato da una foto, manipolata ad arte, che ritrae i due protagonisti affiancati, abbracciati e sorridenti, è maliziosamente volto a sostenere l’esistenza di un rapporto sentimentale tra i due, violando pienamente tutti e tre i canoni della veridicità , dell’interesse pubblico e della continenza e spostando illecitamente quella che vuole sembrare una mera ed innocua critica politica sul piano personale, in maniera gratuita e senza che ciò nulla aggiunga di utile alla valutazione di inopportunità  politica nella scelta dell’aspirante consigliere comunale», dice la GIP.
E aggiunge che sono proprio le allusioni di Castelli ad aver scatenato gli insulti degli astanti nei confronti di Roscaneanu.
Ora, un giudice deciderà  se davvero Laura Castelli dovrà  andare a giudizio per diffamazione.
Ma sul piano politico si può in primo luogo notare a prima vista la differenza che l’onorevole scopre tra un avviso di garanzia inviato a una compagna di partito e un articolo di giornale che parla di un’inchiesta che tocca un avversario politico.
E in secondo luogo è impossibile non rendersi conto che questo è un metodo collaudato nel M5S (si può notare un caso con le sue similitudini in Lombardia): i “cittadini” che “stanno dalla parte dei cittadini” a volte di accusare (legittimamente) un amministratore in base a un’indagine (che però in questo caso non lo aveva coinvolto) preferiscono la character assassination di una cittadina fondata sulle foto pubblicate su Facebook, nonostante non ci sia nessuna prova di quest’ultima e nonostante di mezzo ci possa andare qualcuno che non c’entra niente, come nel caso di cui stiamo parlando.
Non è un metodo appannaggio del solo M5S, anzi: ma è un metodo che il M5S usa spesso per attaccare o per difendersi quando si ritiene attaccato.
Ed è un metodo sbagliato perchè nella furia torquemadista (come abbiamo visto, a protagonisti alterni) finisce per mettere in mezzo innocenti (il caso di Sonny Olumati ne è un altro cristallino esempio).
E una volta che cà pita, cosa succede nel MoVimento dove c’è chi ha il potere di escludere candidati anche in base a comportamenti ritenuti sconvenienti o scorretti? Succede che Laura Castelli, che non si è nemmeno scusata con Lidia Lorena Roscaneanu per l’accaduto, sarà  capolista in Piemonte.

(da “NextQuotidiano”)

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NON SIAMO RIUSCITI AD AFFOGARLI TUTTI: GLI SBARCHI A GENNAIO AUMENTATI DEL 15% RISPETTO A GENNAIO 2017

Gennaio 23rd, 2018 Riccardo Fucile

IL FALLIMENTO DI MINNITI: STABILI LE PARTENZE DALLA LIBIA, CRESCONO TUNISIA E TURCHIA, AUMENTANO I MORTI IN MARE

Dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia 2.749 migranti, il 14,88% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Lo dicono i dati del ministero dell’Interno. Ed è la prima volta che succede dal luglio scorso. Ma la novità  di questo gennaio brucia al Viminale.
Così i dati degli sbarchi vengono spacchettati: si sottolinea dunque che 2.195 sono quelli che provengono dalla Libia (l’anno scorso erano stati 2.226); i restanti 749 vengono perlopiù da Turchia e Tunisia.
È soprattutto su queste nuove rotte che si appunta l’attenzione del ministero dell’Interno. L’11 gennaio scorso, per dire, nel porto di Crotone è arrivato un barcone proveniente dalla Turchia con 264 migranti a bordo, di nazionalità  siriana, afghana, pakistana e irachena.
Il barcone è stato intercettato mentre era in navigazione nello Ionio e costretto a entrare in porto. Due giorni prima, un altro veliero era stato avvistato da un velivolo della Guardia di Finanza nello Ionio: a bordo hanno trovato due scafisti ucraini e 33 migranti di provenienza curda.
Pare che la barca li avesse presi a bordo in Grecia e avesse garantito un ingresso facile in Italia.
A riprova di come siano parzialmente cambiati i flussi, è cambiata anche la tavola delle nazionalità : in questi primi 22 giorni di sbarchi, al primo posto ci sono ora 257 pakistani («Per loro è facilissimo prendere un volo fino a Istanbul, poi si attiva la locale filiera dei trafficanti»), 232 tunisini (concentrati quasi tutti a Lampedusa) 192 libici e poi tutto il resto dell’Africa.
Visto il fenomeno con gli occhi del Viminale, si tratta ora di tamponare la falla. La polizia ha già  preso contatto con i colleghi della Turchia, chiedendo più attenzione. La Tunisia garantisce di avere fatto il possibile.
E poi c’è la solita Libia. A giudicare dai numeri, siamo tornati al periodo che precede la “Dottrina Minniti”.
«È la conferma che le migrazioni non si fermano con azioni di contenimento – dice Stefano Argenziano, Medici senza Frontiere – l’unica differenza emersa rispetto a un anno fa è che adesso si sa cosa accade nei campi di detenzione libici e che la gente continua a partire nonostante la capacità  di intervento delle Ong sia cambiata».
È un fatto però che le partenze dalla Libia hanno avuto un’impennata tra martedì e mercoledì della settimana scorsa, quando 1.671 persone sono state recuperate da navi militari e navi umanitarie, poi sbarcate nei porti siciliani di Catania, Palermo, Augusta, Pozzallo, Messina.
E peraltro nelle statistiche italiane non ci sono nemmeno i «salvataggi» della Guardia costiera libica, quelli fatti nelle acque territoriali della Libia.
Secondo i loro comunicati, almeno altri 1.393 migranti in queste prime tre settimane dell’anno sono stati recuperati e riportati indietro, negli infernali centri di detenzione. Salta agli occhi però che la stragrande maggioranza dei barconi sarebbe partita dal porticciolo libico di Gasr Garabulli, ossia Castelverde, a Est di Tripoli.
Proprio qui, a Gasr Garabulli, ha raccontato nei giorni scorsi il portavoce della Marina libica, l’ammiraglio Ayob Amr Ghasem, attualmente operano i trafficanti.
E siccome il governo Serraj ha avuto i suoi problemi nei giorni scorsi, con una guerra fratricida tra milizie che teoricamente dovrebbero stare dalla stessa parte, si è aperta una crepa nel meccanismo di contenimento da parte libica.
«Possiamo dire con certezza – dice intanto Gerard Canals, della spagnola ProActiva Open Arms – che questo inverno abbiamo fatto salvataggi in ognuna delle missioni di soccorso effettuata, e che i numeri di migranti a bordo di barconi e gommoni sono sempre gli stessi. L’unico problema è che ora viaggiano per più miglia, visto che noi dobbiamo stare lontani dalle acque libiche, e questo aumenta il rischio di naufragi».

(da “La Stampa”)

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