Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI NAPOLI E’ INTERVENUTA PRIMA CHE FOSSERO DIFFUSI I VIDEO DELL’INCHIESTA DI FANPAGE… “HANNO PILOTATO UN APPALTO SULLO SMALTIMENTO RIFIUTI”… ATTESA PER I VIDEO CHE FANPAGE PUBBLICHERA’ NELLE PROSSIME ORE
Le ipotesi di reato, al momento, sono corruzione, corruzione aggravata e finanziamento illecito dei partiti; lo scenario è quello di affari nel grande business dello smaltimento dei rifiuti all’ombra del Vesuvio, inseriti in un complesso meccanismo, quello che riguarda le aziende pubbliche, in questo caso la Sma Campania, società della Regione Campania impegnata nelle bonifiche ambientali.
L’inchiesta giudiziaria che scuote Napoli a pochi giorni dalle Elezioni Politiche coinvolge ad oggi una decina di persone tra le quali candidati al Parlamento in vari schieramenti.
Sono gli esiti di una complessa video inchiesta giornalistica condotta nell’arco di circa 6 mesi da giornalisti di Fanpage.it e che il quotidiano diretto da Francesco Piccinini pubblicherà nelle prossime ore.
«Accordi corruttivi diretti al controllo illecito degli appalti pubblici nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti in Campania»: così in una nota la Procura di Napoli guidata da Giovanni Melillo descrive la vicenda sotto la lente di investigazione.
Giovedì 15 febbraio 2018 è iniziata, dunque, la fase operativa: agenti dello Sco, Servizio centrale operativo anticrimine della Polizia di Stato, su impulso di magistrati della Dda e della sezione Reati contro la pubblica amministrazione con l’aggiunto Giuseppe Borrelli, i sostituti Celeste Carrano, Henry John Woodcock, Ilaria Sasso del Verme, Ivana Fulco e Sergio Amato, hanno disposto perquisizioni e acquisizioni atti nei confronti di numerose persone.
Sequestrati telefoni e acquisiti hard disk del computer.
«Le attività di indagine ancora in corso sono state rese necessarie e indifferibili — prosegue la nota — dalla rilevata gravità del rischio di dispersione probatoria collegato alla annunciata diffusione di notizie e immagini in grado di pregiudicare gravemente le investigazioni sulle gravi ipotesi delittuose fin qui individuate».
L’indagine, le perquisizioni e le acquisizioni atti riguardano ad ora il consigliere regionale e candidato alla Camera di Fratelli d’Italia Luciano Passariello, Agostino Chiatto, uomo di fiducia di Passariello e dipendente della Sma Campania, il consigliere delegato della stessa società in house, Lorenzo Di Domenico il cui computer è stato visionato dagli investigatori, gli imprenditori Nunzio Perrella, Rosario Esposito, Antonio Infantino e il commercialista Carmine Damiano.
Gli inquirenti indagano i sette perchè ritengono che Di Domenico, in concorso con Passariello, Chiatto e Damiano (quest’ultimo in qualità di intermediario) abbiano lavorato «per disporre l’affidamento di un appalto di smaltimento fanghi provenienti da cinque diversi depositi di stoccaggio Sma a società riconducibili alla cordata Perrella-Esposito-Infantino».
Ciò, secondo l’accusa facendosi promettere «dai medesimi imprenditori somme di denaro calcolate in percentuale sulla scorta dei guadagni ottenuti a seguito dell’evocato affidamento».
INDAGATI ANCHE IL DIRETTORE E IL GIORNALISTA DI FANPAGE COME “ATTO DOVUTO”
Con l’accusa di «induzione alla corruzione» Francesco Piccinini, il direttore di Fanpage.it e il giornalista Sacha Biazzo, videoreporter autore dell’inchiesta, sono indagati dalla procura di Napoli a seguito del loro lavoro.
«Tutto questo è assurdo, abbiamo messo a repentaglio la nostra incolumità per questa inchiesta e ora ci ritroviamo indagati» dichiara il direttore responsabile del quotidiano edito da Ciaopeople. «Abbiamo messo una telecamera addosso a un ex boss dei rifiuti mandandolo in giro per l’Italia a incontrare industriali e politici per prendere accordi in cambio di tangenti. Noi — sottolinea il direttore di Fanpage.it in un colloquio con l’agenzia di stampa Adnkronos — abbiamo fatto questo nell’ambito di un’inchiesta giornalistica. È chiaro che non abbiamo smaltito rifiuti nè preso soldi».
PASSARIELLO ERA TRA GLI “IMPRSENTABILI” DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA
Luciano Passariello non è nuovo alle inchieste giudiziarie a suo carico imbastite in prossimità di una scadenza elettorale. Il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, candidato alla Camera dei deputati quale capolista nel collegio plurinominale di Napoli città , fu infatti inserito nella famigerata lista degli impresentabili: stilata dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosi Bindi, nell’immediata vigilia del voto per le Regionali del 2015.
Allora, Passariello, risultava rinviato a giudizio dalla procura di Nola per impiego di denaro e varie utilità di illecita provenienza, condotta aggravata dall’abuso dei poteri derivanti dalla sua pubblica funzione. L’incartamento fu poi trasferito dal tribunale nolano a quello di Roma per competenza, dove la magistratura capitolina decretò l’assoluzione del consigliere regionale del partito di Giorgia Meloni
Oggi, a meno di tre settimane dalla consultazione democratico-elettorale per eleggere il nuovo Parlamento italiano, l’ex consigliere comunale a Napoli per il centrodestra finisce di nuovo sotto la lente d’ingrandimento della magistratura locale per un’inchiesta sulla gestione del ciclo dei rifiuti in Campania. Di nuovo accusato, politicamente, d’essere un impresentabile. Attualmente siede come membro in diverse commissioni speciali del Consiglio regionale quali, tra le altre, la seconda (Anticamorra e beni confiscati) e la terza (Terra dei fuochi-bonifiche-ecomafie).
LA MELONI: “SPERO CHE SI CONCLUDA IN UN NULLA DI FATTO”
La leader di Fratelli d’Italia ha commentato in diretta a Piazzapulita su La7 la vicenda legata all’indagine condotta dalla Procura di Napoli in cui sarebbe coinvolto Luciano Passariello, candidato alle prossime Politiche: “Spero che tutto si concluda in un nulla di fatto”.
“Se si dovesse scoprire la colpevolezza di Luciano Passariello non ho alcun problema a prendere le successive determinazioni”. Questo il commento di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, sull’indagine per traffico di rifiuti e voto di scambio, condotta dalla Procura di Napoli in seguito ad una inchiesta video di Fanpage.it, che verrà pubblicata nelle prossime ore.
Meloni è intervenuta nel corso di Piazzapulita, trasmissione di La7 condotta da Corrado Formigli e di cui era ospite insieme a Massimo Giletti e a Marco Damilano, direttore de L’Espresso.
Proprio Damilano ha chiesto alla leader di destra se avesse intenzione di espellere dal partito Luciano Passariello, consigliere regionale in Campania e candidato alla Camera di Fratelli d’Italia alle prossime elezioni politiche, in programma il 4 marzo. “Ho saputo solo poche ore fa che è indagato — ha risposto Meloni -. Ora bisogna verificare che effettivamente sbagli. Tutte le candidature di Fratelli d’Italia vengono valutate da una commissione di garanzia e Passariello era candidabile”.
IL SINDACATO DEI GIORNALISTI: “LESO IL DIRITTO DI CRONACA”
Fnsi e Sugc: «Mettere i giornalisti sotto inchiesta e perquisire una redazione non possono essere considerati ‘un atto dovuto’, soprattutto perchè sono in gioco la libertà di informare e la tutela delle fonti dei cronisti, la cui segretezza non può essere messa in alcun modo a repentaglio».
Solidarietà ai giornalisti di Fanpage.it dalla Federazione nazionale della Stampa e dal Sindacato unitario giornalisti Campania. La Fnsi guidata da Raffaele Lorusso e il Sugc, segretario Claudio Silvestri, in una nota congiunta ricordano che la redazione di Fanpage.it è stata perquisita e due giornalisti risultano indagati per corruzione e traffico di rifiuti. Questo perchè «i colleghi sono stati protagonisti di una inchiesta nella quale sono riusciti a documentare il traffico di rifiuti illeciti e i collegamenti tra camorra e politica grazie ai quali lo smaltimento delle sostanze tossiche avveniva senza alcun controllo provocando disastri ambientali».
La Procura era stata informata già dal direttore, Francesco Piccinini, di quanto era stato documentato, spiegano la Federazione nazionale stampa italiana e il Sindacato unitario giornalisti Campania. «Mettere i giornalisti sotto inchiesta e perquisire una redazione non possono essere considerati ‘un atto dovuto’, soprattutto perchè sono in gioco la libertà di informare e la tutela delle fonti dei cronisti, la cui segretezza non può essere messa in alcun modo a repentaglio».
Sindacato unitario dei giornalisti della Campania e Federazione nazionale della Stampa italiana esprimono solidarietà ai colleghi di cui «difenderanno in ogni sede il diritto di fare il loro lavoro nell’interesse dei cittadini ad essere informati».
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
“PROGRAMMI ELETTORALI? SI SOMIGLIANO TUTTI”… “LA SOCIETA’ FUTURA SARA’ FONDATA SULL’INTEGRAZIONE, SOLO I VECCHI NON LO CAPISCONO. IL MONDO STA CAMBIANDO E QUA PARLIAMO ANCORA DI BLOCCARE”
“Gli immigrati? In Svizzera li fanno amministratori delegati, qui gli spariamo”. 
Beppe Grillo torna in televisione, intervistato in esclusiva per “Kronos-il tempo della scelta”, programma che andrà in onda venerdì 16 alle 21.20 su Rai2.
E parla di immigrazione, accennando anche all’attentato di Macerata contro i neri. “Lì, a Ginevra, hanno una penetrazione del 40 per cento, non ci fanno più caso! Vedi gente di tutti i colori. Il mondo sta cambiando alla velocità della luce e noi parliamo ancora di bloccare, di fare. Dobbiamo controllare i flussi e renderci conto”.
E ancora: “Lì il presidente della più grande multinazionale del mondo, la Novartis, credo sia indiano o pakistano; il più grande banchiere della seconda banca d’Europa, Credit Suisse, è senegalese. Ormai la società futura, quella di mio nipote e di tuo figlio, sarà una città meticcia, c’è già un milione di ragazzi nati da matrimoni misti di Erasmus”.
Grillo affronta naturalmente anche il tema elezioni: “I programmi si somigliano tutti, prendono per il culo anche noi perchè più o meno abbiamo tutti gli stessi programmi, no? Tutti: destra e sinistra. Però, la gente deve capire che è una guerra di sopravvivenza: istinto di conservazione contro la ragione e contro il futuro. Cioè, l’istinto di conservazione di un mondo che sta sparendo”.
“Se gli anziani come me si rendessero conto che il gesto da fare non è rivolto verso le loro pensioni, ma verso i loro nipoti, i loro figli, la generazione futura, allora potremmo cambiare”, continua Grillo.
E conclude: “Magari ci metteremo 10 anni, 20 anni, ma il seme lo mettiamo adesso”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
CIFRE ANOMALE PER GLI ELETTORI CHE VOGLIONO CONTROLLARE I LORO ELETTI SUL SITO UFFICIALE GRILLINO TIRENDICONTO.IT
C’è chi spende duemila euro al mese di affitto a Roma, chi ad agosto (a Camere chiuse) ha pagato settemila euro d’albergo, chi in cinque anni ha speso più di 150mila euro in consulenze non meglio precisate.
Tutte spese lecite e, seppur quasi mai dettagliate, di facile accesso a chiunque fosse interessato.
Assunto che il Movimento 5 Stelle è l’unico partito a rendicontare pubblicamente le spese dei suoi parlamentari, lo scandalo dei “rimborsi” ha acceso un faro proprio sulle modalità con cui queste spese vengono comunicate agli elettori, in nome della trasparenza, e soprattutto sottoposte a controlli.
Perchè non ci sono solo le mele marce, gli otto parlamentari che non hanno versato, come si erano impegnati a fare, metà del loro stipendio nel fondo per il microcredito. Spulciando il sito TiRendiconto.it che il Movimento 5 Stelle ha messo a disposizione degli elettori per tenere sotto osservazione le entrate e le uscite dei loro eletti, emergono infatti diverse anomalie nella gestione della diaria e diverse discrepanze da parlamentare a parlamentare.
Anomalie dovute anche alla mancanza di una vera trasparenza nelle voci di spesa di molti parlamentari che, sotto la dicitura “varie”, non si sa bene cosa vadano poi a contabilizzare.
Per dire, una che non sembra badare a spese è Marta Grande: la più giovane deputata eletta dai grillini (entrata in Parlamento a soli 25 anni)e oggi candidata come capolista nel collegio Lazio 2 per la Camera ha speso in media il doppio rispetto ad Alessandro Di Battista per abbonamenti e ricariche telefoniche: quasi 15mila euro.
La spesa media di un parlamentare M5S è di 120 euro al mese, la giovane deputata la supera per più del doppio.
Ma Grande guida anche la classifica delle spese per l’alloggio tra i parlamentari M5S: circa duemila euro al mese per affitto e utenze a Roma, a spanne 500 euro in più rispetto alla media di tutto il gruppo parlamentare M5S.
Ad agosto del 2016 l’anomalia più grossa: ben settemila euro in alloggio, nell’unico mese dell’anno in cui la Camera dei Deputati è chiusa.
Settemila euro non di canone d’affitto ma di albergo a Roma. La ragione di questa impennata non è specificata nelle tabelle della rendicontazione, ma va registrata. Contattata da Repubblica ha risposto di non aver intenzione di trattare l’argomento.
Guardando solo alle spese per canone mensile, come emerge dalle tabelle di MaQuantoSpendi.it, a svettare è il deputato sardo Nicola Bianchi, tra i non ricandidati alle elezioni del 4 marzo. Per lui un canone medio di 1950 euro.
C’è chi invece ha fatto spending review, come Roberto Cotti: fino al 2015 ha pagato per il canone mensile 2200 euro al mese, poi dal 2016 è sceso a un prezzo più consono: 1600 euro.
Tra coloro che hanno pagato di più in affitti ci sono poi Davide Crippa, Barbara Lezzi, Daniele Del Grosso. Come detto, la spesa media del gruppo si aggira intorno ai 1500 euro, una cifra più che adeguata per una città come Roma.
Per quanto riguarda le spese di vitto, a guidare la classifica è Mattia Fantinati. Da inizio legislatura le spese per pranzi e cene hanno raggiunto la cifra di 50mila euro.
Se per tutto il 2017 la spesa oscilla dai 250 ai 700 euro, negli anni precedenti ha toccato punte ben più alte: a gennaio 2014 più di mille euro, ad aprile quasi 1600, ad agosto circa tremila euro.
Ancora: a marzo 2015 circa 1700 euro, nello stesso mese dell’anno successivo cifra grossomodo identica.
La spesa media di un parlamentare del gruppo 5 Stelle per il vitto è di circa 577 euro. Oltre a Fantinati, tra chi a tavola non ha risparmiato (rispetto ai colleghi del suo gruppo) ci sono Silvia Chimienti, Danilo Toninelli, Michele Giarrusso e Matteo Dall’Osso.
C’è poi il senatore Luigi Gaetti che, ha ammesso a Repubblica, alla voce “varie” ha infilato le spese per la sua pensione privata da medico: “Lo staff è al corrente di tutto”. Altro caso anomalo riguarda invece il pagamento di consulenze da parte del deputato Lello Ciampolillo, ricandidato come capolista nel collegio Puglia 1 per il Senato.
La spesa media si aggira intorno ai 450 euro al mese per ogni parlamentare M5S, quella di Ciampolillo è di gran lunga superiore.
Per dire, da marzo 2014 a dicembre 2015 ha sempre speso in consulenze varie duemila euro al mese.
E si tratta del dato più basso perchè nei mesi precedenti o successivi al periodo succitato, la somma pagata per consulenze è molto più alta: da gennaio 2016 a luglio è di quattromila euro. Da agosto dello stesso anno passa a cinquemila e va a crescere e a gennaio 2017 tocca la cifra di 6200 euro per poi iniziare di nuovo a scendere: da febbraio a maggio circa quattromila euro al mese, da giugno a luglio circa 4800 euro. A settembre 4600 euro, a ottobre circa 5200.
Lo stesso Ciampolillo guida la classifica dei parlamentari per la spesa in taxi. La spesa del parlamentare medio M5S è di 180 euro, lui ne spende 516 per un totale da inizio legislatura che supera i 22mila euro.
Quanto alle spese per telefonate e abbonamenti, risulta in linea con la media del gruppo. Ma al telefono non è raggiungibile.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO IL CASO DI CATELLO VITIELLO, ESPULSI PIERO LANDI, CANDIDATO A LUCCA, E BRUNO AZZERBONI, CANDIDATO IN CALABRIA
Ci sono altri due candidati massoni tra gli M5s, dopo il caso Vitiello in Campania. 
Il primo lo ha scovato il sito del Foglio. Si tratta di Piero Landi, il cui nome, cognome e data di nascita corrispondono con quelli registrati negli elenchi del Grande Oriente d’Italia. Landi, nato il 7 aprile 1972, è candidato M5S nel collegio uninominale della Camera a Lucca e originario della Garfagnana e risulta iscritto alla loggia Francesco Burlamacchi, “in sonno” dallo scorso 5 febbraio.
Il secondo è Bruno Azzerboni, candidato all’uninominale in Calabria.
“Al momento della sottoscrittura della candidatura Azzerboni e Piero Landi non ci hanno informato, non hanno detto la verità . Per questa ragione non possono stare nel Movimento 5 Stelle e sempre per questo motivo sarà loro chiesto di rinunciare al seggio”, afferma il Movimento riservandosi il diritto di “agire nelle opportune sedi al fine di risarcire eventuali danni di immagine”.
Rinuncia del seggio già chiesta a Vitiello, che è avvocato e si è già mostrato riluttante.
E intanto si allarga il caso rimborsopoli, con le Iene che oggi hanno pubblicato la seconda puntata della loro inchiesta.
“Sarebbero 14 i parlamentari 5 stelle che hanno pubblicato dei bonifici che non sono mai arrivati a destinazione nel fondo per il microcredito”, scrivono sul loro sito in cui pubblicano la seconda puntata dell’inchiesta di Filippo Roma e di Marco Occhipinti. Una cifra che contraddice quanto riferito dal candidato premier Luigi Di Maio.
Lo stesso Di Maio aveva quantificato in otto – Ivan Della Valle, non ha restituito 270 mila euro, Girolamo Pisano (200 mila), Maurizio Buccarella (137 mila), Carlo Martelli (81 mila), Elisa Bulgarelli (43 mila), Andrea Cecconi (28 mila), Silvia Benedetti (23 mila) ed Emanuele Cozzolino (13 mila) – i “furbetti” della restituzione, tutti destinati all’espulsione.
“Noi avevamo pubblicato una lista più ampia” scrivono le Iene, “che comprendeva anche Massimiliano Bernini, Barbara Lezzi e Giulia Sarti”. E altri sono ancora senza nome perchè prima vorremmo incontrarli per chiedere conto”. Questi ultimi avrebbero escogitato un altro giochino originale per trattenere più soldi nelle loro tasche.
Secondo le Iene, in un video pubblicato su Fb, Maurizio Buccarella dichiarava di aver restituito più di 245.000 euro, informazione usata per promuoversi alle parlamentarie. E Barbara Lezzi, l’altra parlamentare incontrata nel corso della trasmissione durante un appuntamento elettorale in Puglia insieme a Luigi Di Maio, “secondo la nostra fonte ha dichiarato di aver fatto un versamento di 3500 euro, che non compare nel fondo del microcredito. La senatrice finalmente ci ha contattato ieri, ci ha detto di essere in regola con i bonifici e noi la incontreremo appena possibile”. Il candidato premier dei Cinque stelle sembra comunque volerla salvare.
Espulsioni? No, rinunce volontarie.
A chi è rimasto coinvolto, “ho chiesto l’impegno alla rinuncia a essere parlamentari con il M5S ma in ogni caso nel gruppo M5S non ci entrano. Possono chiedere al presidente della Corte di Appello di non accettare la proclamazione e questa è ovviamente discrezione del presidente della Corte e in ogni caso possono chiedersi di dimettersi il giorno dopo l’elezioni”, così dice durante la trasmissione di Mediaset il capo politico M5S Luigi Di Maio sottolineando il “rammarico” per chi, tra i parlamentari, ha mentito sui rimborsi.
Tuttavia, la strada delle dimissioni è sempre molto complessa, come dimostra il caso emblematico dell’ultima legislatura, quello di Giuseppe Vacciano: eletto anche lui con il Movimento 5 stelle e passato nel Misto a gennaio del 2015, ha visto respingere la sua richiesta di dimissioni per ben 5 volte ed è rimasto senatore fino all’ultimo giorno.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERSIONE DELLA GRILLINA: SAREBBE STATO L’EX FIDANZATO A CUI AVEVA AFFIDATO IL VERSAMENTO A ESSERSELI INTASCATI A SUA INSAPUTA
Il nome della deputata Giulia Sarti figurava nei giorni scorsi nell’elenco dei dieci parlamentari del M5S che avrebbero mentito sui bonifici di “restituzione” al fondo per il Microcredito.
Si è appreso successivamente che la Sarti — dalle cui restituzioni mancherebbero circa 20mila euro — non figurava tra l’elenco delle otto “mele marce” reso noto ieri da Luigi Di Maio.
La possibilità di un’espulsione della Sarti dal M5S (è capolista al collegio uninominale quindi personalmente scelta da Di Maio) sembra quindi al momento essere fuori discussione.
Anche perchè la deputata pentastellata ha spiegato inizialmente di essere stata truffata dalla persona cui affidava l’incarico di eseguire i bonifici.
Persona che la Sarti ha detto avrebbe subito denunciato.
Subito si è pensato ad un suo collaboratore ma nelle ultime ore è emerso che il presunto responsabile è l’ex fidanzato. Secondo quanto ha dichiarato Giulia Sarti all’AGI l’uomo avrebbe truccato la contabilità dei rimborsi.
L’ANSA riferisce che la Sarti si sarebbe recata questa mattina in Questura a Rimini per denunciare il suo ex fidanzato e collaboratore Bogdan Andrea Tibusche.
La deputata lo ha accusato di aver sottratto alcune migliaia di euro in merito alla vicenda delle restituzioni “fantasma”.
Nella denuncia, di cui l’ANSA sostiene di essere in possesso, Sarti racconta di essere stata fidanzata con Bogdan “per circa 4 anni” e nonostante il rapporto fosse finito da circa un anno, “la nostra convivenza è continuata fino ad ora anche se non ci vediamo dallo scorso dicembre”.
L’uomo, consulente informatico, si “occupava, con il mio consenso della gestione della contabilità “, ha detto la Sarti. Incluse quindi le restituzioni al fondo del microcredito. “Martedì sera ho fatto un controllo puntuale e mi sono resa conto che non erano stati eseguiti alcuni bonifici al Mef”, si legge nella denuncia in cui Sarti sottolinea di aver provveduto il 14 febbraio a sanare la sua posizione versando “le somme dovute, pari a 23mila euro“.
Stando al sito Tirendiconto l’ultimo bonifico di “restituzione” effettuato dalla Sarti risale ad Ottobre 2017 per un importo di 2.080 euro, abbastanza in linea con la media delle restituzioni della deputata che nel della legislatura ha documentato bonifici che generalmente oscillano tra un minimo di 1.670 euro e importi maggiori, spesso tra i 2 mila e i 3 mila euro.
Ci sono alcune eccezioni, ad esempio a gennaio 2014 la Sarti ha effettuato un versamento pari a 10mila euro (in due diversi bonifici) mentre ad aprile 2016 uno da 4.850 euro.
Non è la prima volta che la Sarti finisce nei guai per problemi informatici.
Il caso più eclatante è stato il furto di email subito nel 2013. Il 24 aprile di quell’anno un gruppo di hacker (hackerdelpd.bitbucket.org) che si autodefiniva «vicino al Pd» (ma il tutto sembrò piuttosto un depistaggio) pubblicò online un link tramite il quale era accessibile tutta la corrispondenza mail della deputata emiliana: oltre 1 GB di dati. Un’intrusione nella privacy della Sarti commessa semplicemente grazie alla password dell’account (cosa che lascia supporre che l’hacker fosse qualcuno vicino alla deputata, ma non ci sono certezze).
Il risultato fu un atto parecchio ignobile perchè tutte le email sono state rubate e poi pubblicate, senza alcuna distinzione tra pubblico e privato. Non si è poi più saputo come è andata a finire la vicenda.
L’altra vicenda è quella del post su Facebook nel quale la Sarti prometteva di dare cinquemila euro al mese a tutti i pensionati.
Era il novembre del 2013 e i calcoli erano palesemente sbagliati. La Sarti però disse che quel post non era stato scritto da lei e che era stata — nuovamente — vittima di un hacker che le aveva rubato l’accesso al profilo.
La deputata spiegò che qualcuno le aveva rubato la password dell’account Facebook postando quel famoso stato sulle pensioni da 5.000 euro al mese per tutti rilevando che tutti questi attacchi significavano probabilmente che il suo lavoro di attivista e parlamentare “dava fastidio a qualcuno”.
Non è stato poi reso noto il nome del responsabile nè l’esito delle indagini.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA LOMBARDI NON LA RACCONTA GIUSTA, PUBBLICA UN DOCUMENTO DOVE NON COMPAIONO I DUE BONIFICI OGGETTO DI DUBBI
Roberta Lombardi, si sa, è “più forte delle fake news”. Ieri la candidata alla Presidenza della Regione
Lazio per il M5S ha “spiegato” che il fatto che sui bonifici caricati su TiRendiconto fossero stati sbianchettati il CRO e le date di esecuzione degli stessi era dovuto ad “un eccesso di zelo” di uno dei suoi collaboratori.
Per tutta risposta la Lombardi ha pubblicato ieri una foto del bonifico, con il CRO/TRN ma senza la data di esecuzione.
L’intenzione della deputata pentastellata era quella di stoppare “la farsa” di Repubblica e dei giornali — come Nextquotidiano — che le chiedevano maggiore trasparenza.
Qualche minuto fa la Lombardi è tornata sulla questione scrivendo un nuovo post sui suoi bonifici.
Per Lombardi Repubblica “si pone la domanda delle domande, fa lo scoop del secolo, e dice: ok, la Lombardi ha fatto i bonifici, il Cro c’è, ma in quale giorno esattamente ha fatto le sue donazioni al fondo per il Microcredito?”.
E non è una fake news, perchè le date la Lombardi continua a non mostrarle, non si sa se per calcolo elettorale o per eccesso di zelo.
La candidata del MoVimento 5 Stelle si concede di lasciarsi andare al sarcasmo: “La prossima forse sarà : da quale computer la Lombardi ha fatto le sue donazioni? E di che marca è il mouse con cui ha cliccato il “si’” al bonifico? Mistero…Non so se ridere o piangere. Roba da Pulitzer!”.
E senza dubbio non è “roba da Pulitzer” chiedere alla Lombardi di pubblicare la distinta di versamento per intero.
In un paese dove i 5 Stelle aspirano ad andare al governo del Paese sarebbe un atto dovuto e non ci sarebbe alcuno scoop. Prendiamo atto però che la Lombardi quelle date non ce le vuole dire. E continuiamo a chiederle: “perchè?” senza fare alcuna dietrologia. Ci limitiamo di nuovo a guardare i fatti.
Ad esempio Lombardi pubblica la risposta, inviata dalla Ragioneria Generale dello Stato alla sua richiesta di acquisire l’elenco di tutti i versamenti effettuati dal marzo 2013 ad oggi.
La mail è stata inviata due giorni fa, il 13 febbraio e fa riferimento ai soli versamenti effettuati da Roberta Lombardi al Capo 18, capitolo 3696, del bilancio dello Stato nel periodo aprile 2013/febbraio 2018. Ovvero da quando Lombardi è entrata in Parlamento fino ad oggi.
Finalmente la prova definitiva che Lombardi non sta mentendo ai cittadini e che Repubblica è nel torto. Per dimostrare la sua onestà la Lombardi pubblica anche le due schermate con tutti i versamenti (e anche due screenshot di due bonifici eseguiti nel 2013 con il “benedetto” CRO in bella vista).
Ma il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.
Ed infatti basta scorrere alla fine dell’elenco per vedere che gli ultimi versamenti risalgono al novembre 2017 e riguardano rispettivamente i contributi volontari (ovvero le “restituzioni”) relativi ai mesi di maggio, giugno, luglio e settembre 2017.
Mancano però i due “famosi” bonifici relativi a ottobre e novembre 2017, proprio quelli oggetto delle contestazioni a Roberta Lombardi da parte dei giornali.
Questo significa che il documento pubblicato dalla Lombardi smentisce la Lombardi stessa dal momento che quei due bonifici (e mancherebbe anche dicembre 2017 visto che per ammissione della pentastellata vengono “rendicontati” i tre mesi precententi) non ci sono.
A margine facciamo notare che il totale ammonta a 139.283,71 euro mentre la Lombardi nel suo post si dice “fiera di aver donato 155 mila euro dei miei stipendi”. All’appello mancano quasi sedicimila euro, molto di più dei 3.800 euro che Lombardi ha versato con le restituzioni dei mesi di ottobre e novembre 2017.
Ora noi vogliamo credere che Lombardi abbia davvero fatto quei due bonifici e non abbiamo motivo di dubitarne.
Ma c’è una sola spiegazione logica che spieghi come mai non risultino nel documento pubblicato dalla stessa Lombardi su Facebook.
La spiegazione è che il 13 febbraio quei due versamenti non erano ancora entrati nelle casse dello Stato. Ed è questo il motivo per cui la Lombardi è ancora così reticente a pubblicare la data. Perchè si vedrebbe che ha effettuato i bonifici ben dopo che il caso “rimborsopoli” era esploso sui giornali.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
PREMIATA LA LOTTA DEI LAVORATORI DELLA FABBRICA DEL SULCIS, PRESERO PURE LE MANGANELLATE DALLO STATO ITALIANO
A quattro anni dalla chiusura degli impianti è stato firmato al ministero dello Sviluppo economico l’accordo per la cessione dello stabilimento ex Alcoa di Portovesme da Invitalia al gruppo svizzero Sider Alloys.
“Oggi non è una conclusione ma l’inizio di un processo e come ho detto chiaramente ai lavoratori, si festeggerà quando uscirà il primo lingotto di alluminio fino ad allora c’è solo da lavorare”, ha detto il ministro Carlo Calenda.
La cessione dello stabilimento di Portovesme è avvenuta in seguito a una doppia firma: la prima per il passaggio dagli americani e Invitalia e la seconda dall’Agenzia per l’attrazione degli investimenti a Sider Alloys.
“Per noi la vicenda Alcoa è simbolica, oltre che concreta, perchè la sua crisi nasce dall’idea che determinate produzioni in Occidente — e in particolare in Italia — non si potessero più fare”, ha spiegato Calenda sottolineando che si tratta di un concetto “che non condividiamo”, visto che l’Italia “è importatrice di alluminio e per noi è importante aver dato una prospettiva ad azienda e operai”.
La vertenza sindacale era stata aperta nel 2009, perchè Alcoa avrebbe voluto abbattere gli occupati a causa dei costi operativi (prezzo dell’energia, costo delle materie prime e obsolescenza degli impianti).
Tre anni più tardi il colosso statunitense aveva annunciato la chiusura all’interno di un piano di ristrutturazione globale dell’azienda.
Nel 2012 la fermata della produzione nello stabilimento sardo, dove si producevano 150mila tonnellate di alluminio e lavoravano 800 persone tra dipendenti diretti e indotto.
Dopo diverse trattative fallite, tra le quali quella con Glencore, il Mise ha proposto di mettere in campo Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, perchè facesse da filtro tra la multinazionale dell’alluminio e potenziali acquirenti dell’impianto.
La multinazionale Sider Alloys incontrò il governo per la prima volta nel 2016, manifestando il proprio interesse ad acquisire lo stabilimento.
Adesso la firma porterà al revamping degli impianti grazie a un piano di investimenti da circa 135 milioni di euro, integrato da un contributo a fondo perduto di 8 milioni di euro e un finanziamento da 84 milioni di euro che Sider Alloys rimborserà in 8 anni a un tasso agevolato.
In più, il gruppo svizzero ha garantito la costruzione di un nuovo impianto per le vergelle che costerà circa 10 milioni di euro e trovato un accordo con Enel per la fornitura dell’energia elettrica.
Il piano industriale verrà ora discusso con i sindacati, che hanno già chiesto un incontro ufficiale perchè “al momento siamo al buio”, dice la leader della Fiom-Cgil Francesca Re David.
Sider Alloys prevede di comprare l’allumina da Rusal, uno dei maggiori produttori mondiali, per tornare a produrre circa 150mila tonnellate di alluminio primario grazie al lavoro di 376 lavoratori diretti e altri 70 a contratto.
Con l’obiettivo di inserirne altri 50 nel caso in cui venisse riavviata la fabbrica degli snodi.
Calenda non ha escluso la possibilità di corroborare l’impegno degli svizzeri con la stessa Invitalia e con una quota della società riservata agli stessi operai.
L’obiettivo del governo “è quello di rimettere il Sulcis in condizione di fare il ciclo completo dell’alluminio” e in questo senso, “Invitalia sta avendo un ruolo sempre più importante, perciò ho chiesto loro di verificare una possibile partecipazione nell’azionariato della nuova società che gestirà l’impianto ex Alcoa per rafforzare e dare spalle al nuovo investitore”, ha spiegato il Calenda aggiungendo che ha chiesto anche “di pensare se è plausibile — d’accordo con l’investitore — avere una quota della società riservata ai lavoratori che hanno combattuto per tenere l’impianto aperto”.
La cessione è stata “resa possibile dalla tenacia dei lavoratori che oggi, come dal primo giorno della vertenza, presidiano lo stabilimento, deve dare la possibilità di rioccupazione a tutti i lavoratori, con tempi e modalità che saranno stabiliti dal confronto, che da settimane come Fiom stiamo sollecitando”, spiega la Fiom. “Rimane da affrontare il tema degli ammortizzatori sociali per l’area di crisi complessa, oramai in scadenza per oltre 500 lavoratori il prossimo giugno — notano i metalmeccanici della Cgil — e che ha bisogno di una continuità per accompagnare il processo di riavvio della produzione di alluminio nel Sulcis”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
TRUMP PARLA IN TV MA NON MENZIONA MAI LE ARMI… SPOPOLA IL TWEET DI UNA STUDENTESSA: “FOTTUTO PEZZO DI MERDA, NON SO COSA FARMENE DELLE TUE PREGHIERE, PENSA A FARE QUALCOSA CONTRO LA DIFFUSIONE DELLE ARMI”
Ieri Nikolas Cruz, il 19enne ex studente alla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, in
Florida (dalla quale era stato espulso perchè ritenuto pericoloso), ha compiuto una strage imbracciando un’arma semiautomatica AR-15, versione civile dell’M-16 usato dai soldati americani in Vietnam, l’arma preferita dagli stragisti Usa. Il ragazzo, formalmente incriminato per 17 omicidi premeditati, è membro di un gruppo suprematista bianco, la ‘Repubblic of Florida’, che punta a fare dello Stato una realtà abitata esclusivamente da bianchi.
Lo riferisce l’Agenzia americana Associated Press citando il leader di questa formazione, Jordan Jereb, aggiungendo che Cruz aveva partecipato ad esercitazioni paramilitari con l’uso di armi da fuoco come il fucile d’assalto AR-15.
In molti ora ricordano che una delle prime mosse di Donald Trump dopo l’insediamento alla Casa Bianca fu proprio cancellare una normativa voluta da Barack Obama per impedire ai malati mentali di entrare in possesso di un’arma. Così fu rimosso l’obbligo per la Social Security Administration di segnalare all’Fbi le persone che ricevono assistenza per la loro disabilità e che hanno problemi mentali. La norma interessava circa 75 mila persone con disordini mentali.
“Nel corso del mese incontrerò i governatori e gli attorney general: la sicurezza delle nostre scuole e dei ragazzi sarà la nostra priorità assoluta”, ha detto Trump nel messaggio di circa 6 minuti in cui non ha fatto riferimento alle armi e ad eventuali provvedimenti.
Prima dell’intervento in tv, subito dopo la strage, il presidente aveva inviato un tweet di condoglianze.
“Non so cosa farmene delle tue preghiere, fottuto pezzo di m., piuttosto fai qualcosa contro la diffusione delle armi, l’unica cosa che potrebbe fermare il ripetersi di queste stragi”
E’ stato il post di replica di una studentessa di nome Sarah.
E il suo commento è stato ritwittato da migliaia di americani. Sarah, è diventata così l’eroe in rete della protesta contro la retorica del presidente degli Stati Uniti.
E ora si apprende che Nikolas Cruz aveva acquistato legalmente il fucile automatico Ar-15 usato per la strage.
Lo riporta la Cnn citando fonti delle forze dell’ordine che spiegano che il giovane aveva acquistato lo scorso anno, passando quindi il “background check”, cioè i controlli dei precedenti penali ed eventuali altri problemi che i rivenditori d’armi sono tenuti a fare.
Nikolas Cruz aveva quindi acquistato la micidiale arma a 18 anni, età in cui negli Stati Uniti non si possono acquistare alcolici, vietati ai minori di 21 anni. Un divieto che ora vige in molti stati anche per le sigarette.
In passato il ragazzo si era sottoposto a cure psichiatriche ma da circa un anno non si recava più nelle clinica dove era in cura. Era stato espulso dalla scuola per atteggiamenti violenti e sui sui social media pubblicava foto di armi, di animali da lui uccisi. E video con diichiarazioni deliranti.
E, come è accaduto altre volte, dopo le tragedie si scoprono falle nel sistema delle forze di sicurezza che avrebbero potuto se valutate con accuratezza impedire il crimine. Cinque mesi fa, a settembre, all’Fbi arrivò la segnalazione che su YouTube Nikolas Cruz aveva postato un commento che oggi suona particolarmente agghiacciante: “Diventerò un killer di scuole professionista”.
Benn Bennight, 36 anni, video blogger dal Missisipi vide il messaggio e lo segnalò immediatamente all’Fbi.
Ma secondo la Cnn in realtà furono due le persone a contattare i federali, che “non condivisero l’informazione con la polizia locale”. Benning, in particolare, inviò una mail con l’immagine della schermata con la dichiarazione di Kruz a quella che riteneva fosse una mail per segnalare sospetti all’Fbi ma sbagliò indirizzo.
A quel punto contatò telefonicamente il Bureau ma apparentemente l’unico risultato fu l’eliminazione del post di Cruz.
Secondo Bennight, infatti, agenti dell’ufficio dell’Fbi in Mississippi lo contattarono e andarono nel suo ufficio per interrogarlo ma lui non fu in grado di dare alcuna informazioni non conoscendo l’autore del post. Da allora non venne più sentito fino ad ieri quando l’Fbi ieri – a strage compiuta – si rifece viva.
Da parte sua L’Fbi ha ammesso di aver ricevuto la segnalazione ma “non c’era in quel post (pubblicato su YouTube, ndr) alcuna altra informazione che indicasse quando e la località o la vera identità della persona che aveva scritto il messaggio”, ha dichiarato l’agente speciale responsabile dell’ufficio di Miami, Robert Lasky.
Non è invece ancora stato accertato quando i federali ricevettero la seconda segnalazione su Kruz.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 15th, 2018 Riccardo Fucile
TUTTO NASCE DA UN ESPOSTO DI UN ESPONENTE DEL CENTRODESTRA E DA UN’INCHIESTA DI FANPAGE… SEI MESI DI FILMATI CHE INCASTREREBBERO DIECI INDAGATI
Il consigliere regionale campano di Fratelli d’Italia, Luciano Passariello, candidato della coalizione di centro destra alla Camera nel collegio uninominale di Napoli-Ponticelli, è stato perquisito nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli che ipotizzerebbe reati di voto di scambio, traffico di rifiuti e corruzione.
Questa mattina gli agenti dello Sco e della Squadra Mobile sono entrati negli uffici del politico alla ricerca di carte e documentazione attinente alla Sma Campania, una società partecipata della Regione Campania che si occupa di riqualificazione ambientale e politiche di prevenzione degli incendi boschivi, che negli ultimi mesi è stata oggetto del ‘fuoco amico’ di numerosi esposti del capogruppo di Forza Italia Armando Cesaro.
Ed è proprio sulla Sma, già al centro di un’indagine per peculato riguardante rimborsi dubbi e presunte irregolarità nelle fatture, che si è concentrato stamane il lavoro degli inquirenti, che hanno perquisito gli uffici della società con contestuale notifica di alcuni avvisi di garanzia.
Sarebbero una decina gli indagati di un’inchiesta coordinata dal procuratore capo Giovanni Melillo, dall’aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti Ivana Fulco, Celestina Carrano, Sergio Amato, Ilaria Del Verme ed Henry John Woodcock.
Passariello, napoletano, 57 anni, siede in Consiglio regionale dal 2005, prima nelle fila di Forza Italia, poi in quelle del Pdl; alle ultime regionali si è candidato ed è stato rieletto nelle liste di Fratelli d’Italia.
Il partito di Giorgia Meloni lo ha candidato alle politiche a Napoli, sia in un collegio uninominale (Napoli 6) sia come capolista nel proporzionale.
Tutto sarebbe nato da un’inchiesta di Fanpage, la testata web napoletana che nel 2016 filmò le monetine regalate fuori ai seggi delle primarie Pd di Napoli.
Stavolta i giornalisti hanno recitato il ruolo degli ‘agenti provocatori’ e per sei mesi hanno contattato i vertici della Sma Campania per proporre ‘affari’ sullo smaltimento dei fanghi.
E così sono entrati in contatto — tra gli altri — con l’entourage del consigliere regionale Fdi Luciano Passariello, candidato del centrodestra alla Camera nel collegio uninominale di Napoli-Ponticelli, uno degli uomini più vicini a Giorgia Meloni a Napoli.
Il mese scorso il direttore di Fanpage, Francesco Piccinini, ha varcato la soglia della Procura per informare il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli dell’esistenza di questo materiale ‘esplosivo’: secondo indiscrezioni raccolte da ilfattoquotidiano.it, il sito web sarebbe in possesso di filmati dove personaggi gravitanti a vario titolo intorno alla società in house della Regione Campania, che si occupa di riqualificazione ambientale e prevenzione degli incendi boschivi, chiedevano la loro ‘quota’ per concludere ‘l’affare’ proposto dai giornalisti-finti imprenditori.
Fanpage — si legge in una loro nota — ha documentato una serie di attività che coinvolgono alcuni esponenti politici, quasi tutti candidati alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo, in vari schieramenti.
Quindi il nome di Passariello non sarebbe l’unico.
Il video reportage, acquisito dalla polizia che ha bussato in redazione, dovrebbe andare in rete nelle prossime ore. Ed è così che gli inquirenti hanno allargato un’indagine nata dagli esposti del capogruppo di Forza Italia in Regione Campania, Armando Cesaro, che fino a quel momento aveva ipotizzato accuse di peculato per liquidazioni di rimborsi di dubbia natura e fatture sospette.
Sco e Mobile hanno perquisito gli uffici della società Sma con contestuale notifica di alcuni avvisi di garanzia e perquisito gli uffici di alcuni esponenti politici, tra i quali Agostino Chiatto, componente della segreteria di Passariello, ‘comandato’ in Sma.
Gli inquirenti avrebbero aperto anche il computer di Lorenzo Di Domenico, amministratore delegato della Sma.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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