Destra di Popolo.net

TUMORI E DISOCCUPAZIONE ALLE STELLE? NO IL PROBLEMA DI LODI SONO I CALZINI DI LANA

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

VA IN SCENA :L’OPERAZIONE “SALVINI CI SALVA DAI CALZINI”… I VIGILI IN POSA COME LA DDA QUANDO ARRESTA UN MAFIOSO

È quando il gioco si fa duro che i duri cominciano a giocare.
È l’immagine di sè che la giunta di destra di Lodi, guidata dalla sindaca leghista Sara Casanova, vuole dare.
I problemi della città , capoluogo di provincia praticamente solo sulla carta, ma nel solco della tradizione centro satellite che gravita su Milano, non sono l’alta incidenza — la più alta della Lombardia — di tumori o la disoccupazione.
Come il traffico era il vero problema di Palermo nel film Johnny Stecchino, a Lodi il problema vero è il decoro.
E chi rende la città  brutta, sporca e cattiva se non i venditori di fiori e di cianfrusaglie varie, quasi sempre persone immigrate?
Così la sindaca, che ha trattenuto per sè la delega alla sicurezza, e la polizia locale hanno fatto partire l’operazione decoro e Daspo (l’obbligo di allontanamento dal territorio comunale) di cui si era avuta una prima avvisaglia con la comparsa sui (pochi) cestini portarifiuti presenti in città  di un adesivo con la scritta “Fa no el vuncion”, per invitare ad usarli nel modo giusto.
Notoriamente gli immigrati che arrivano dal Niger, la prima cosa che portano con sè durante la traversata del Mediterraneo è il dizionario Lodigiano-Italiano.
Anche se la scritta, bisogna ammetterlo, ha un sottofondo di democraticità : se è scritto in dialetto, evidentemente a mettere sacchi interi immondizia nei cestini sono i nativi.
Ma torniamo all’operazione decoro.
Il primo blitz (i giornali locali hanno titolato così, si suppone usando il suggerimento del comunicato stampa diffuso da Comune e polizia locale) è scattato nel parcheggio dell’ospedale e lungo il cosiddetto Passeggio.
Il parcheggio dell’ospedale in via Massena è stato oggetto di un nuovo intervento da parte degli agenti della Polizia locale impegnati nell’azione di contrasto al commercio abusivo.
L’operazione più recente, condotta venerdì mattina ha portato al sequestro di un borsone contenente calze, cinture, ombrelli e accendini. La merce è sta abbandonata da un venditore abusivo che, alla vista degli agenti, si è dato alla fuga.
Un ulteriore segnale del giro di vite avviato in materia dall’amministrazione comunale.
Già  due giorni prima le pattuglie anti degrado volute dall’amministrazione comunale erano intervenute in viale IV Novembre: in quell’occasione era stato fermato un senegalese senza l’autorizzazione al commercio ambulante che era stato multato per 3mila euro.
Nei giorni ancora precedenti gli agenti della polizia locale avevano intercettato un venditore di fiori in centro storico e un altro senegalese in città  bassa, anche il quel caso costretto ad abbandonare la merce nella fuga.
Tra la merce sequestrata, di cui sono state pubblicate le foto (il set allestito con gli agenti in pettorina e sul tavolo il materiale sequestrato era lo stesso di quando altrove arrestano un latitante di ‘ndrangheta), a colpire chi scrive sono stati dei calzini in lana.
Uguali, forse dello stesso stock, che qualche sera prima un amico, leghista della prima ora, incontrato al bar, aveva mostrato vantandosi della qualità  e del prezzo praticatogli dal venditore senegalese che era fuori dal bar.
I calzini devono essere una vera fissazione per li 007 anti degrado.
Nel giorno di San Valentino gli 007 hanno sì “lavorato sodo contro i venditori abusivi di fiori che sono spuntati in molti angoli della città  ma non l’hanno passata liscia”
In occasione dell’ultima conferenza stampa il comandante della polizia locale ha infatti chiosato, come riporta sempre Il Giorno:
“Possiamo arginare il fenomeno contando sul fatto che si ‘sparga la voce’ dei controlli. Specie in zona Ospedale, abbiamo sequestrato anche tantissimi calzini”.
Operazione “Salvini ci salva dai calzini”.

(da “NextQuotidiano”)

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“CARO FABER”, LA LETTERA CHE DON GALLO DEDICO’ A FABRIZIO DE ANDRE’ A POCHI GIORNI DALLA SUA MORTE

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

GENOVA HA UNITO I LORO DESTINI NELL’ATTENZIONE PER GLI ULTIMI

La loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per sempre nell’attenzione verso gli ultimi e gli emarginati.
Don Gallo, il prete di strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per l’impegno verso le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei dimenticati e Fabrizio De Andrè, hanno condiviso tra le vie di Genova il racconto del mondo.
Lo hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L’uno attraverso il Vangelo, l’altro attraverso la musica.
Ai tempi dei liceo, Faber era l’alunno del cugino di Don Gallo, Giacomino Piana, che insegnava religione. Don Gallo invece si era insediato come viceparroco nella chiesa della Madonna del Carmine, a una cinquantina di metri dalla famosa Via del Campo, divenuta poi celebre negli accordi di De Andrè.
Nel diciassettesimo anniversario della morte di Faber, questa lettera scritta da Don Gallo racconta, parola dopo parola, l’essenza dell’amico e cantautore italiano, ricordandone la profonda vicinanza verso l’umanità  intera e gli insegnamenti scaturiti dalla sua “antologia dell’amore”:

Caro Faber. Per Fabrizio De Andrè di don Andrea Gallo, Genova, 14 gennaio 1999
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità .
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città  di mare che è anche la tua.
Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà .
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità  di san Benedetto ha aperto una porta in città .
Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità  bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile.
In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perchè, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà  domani / l’amore ancora ci passerà  vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità  si sente parte.
Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie! Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie

E se credete ora
che tutto sia come prima
perchè avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.
Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo, prete da marciapiede.

(da “Huffingtonpost”)

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SONDAGGI, SCUDERIA DI BURLESQUE PRIMA, MA NON BASTA PER GUIDARE LA FEDERAZIONE IPPICA

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

FAN IDOLE RALLENTA ANCORA, IL VECCHIO VARENNE DICE ANCORA LA SUA, IGOR BRICK E’ IL PRIMO A TAGLIARE IL TRAGUARDO

A due settimane dalle elezioni e due giorni dopo l’inizio del divieto di diffusione dei sondaggi, è arrivato il momento delle corse ippiche clandestine.
Ne dà  notizia Rightnation.it, uno dei principali organi di informazione in fatto di gare ippiche di questo genere.
Primo appuntamento stagionale per le scuderie impegnate nel Grand Prix National 2018. Si corre in un prestigioso impianto milanese, l’Ippodromo de L’Oreal, nel quale da anni le principali scuderie del Paese si battono per la conquista dei sacchi di biada necessari alla propria sopravvivenza.
Le regole del GP costringono i cavalli a fare squadra, ma la competizione è forte anche all’interno degli stessi team.
In quella che fu la Maison Libertè è palpabile la tensione tra Varenne e Groom de Bootz: entrambi vogliono dimostrare di essere il puledro più in forma nelle corsie destre della pista. In ballo non ci sono solo onore e gloria, ma anche l’ipoteca sulla Presidenza della Federazione Ippica, nel caso in cui le scuderie azzurre riuscissero a prevalere sulle altre.
Fin dall’inizio della corsa, dunque, Burlesque e Mathieu de le Sauvegarder frustano i loro cavalli per conquistare, se non la testa della gara, almeno la supremazia casalinga. Alla fine la spunta Varenne con un ottimo 17,9″, davanti a un Groom de Bootz che conferma il 12,3″ della scorsa settimana.
Nella loro scia, Gran Pastèque spinge Frères Tricòlor (4,6″) per cercare almeno di contenere il distacco dai due battistrada.
Nous avec l’Italie et le Bouclier Croisè segue da lontano e chiude in 1,6″.
Presi insieme, Varenne e Groom de Bootz non sembrano avere rivali.
Sul piano delle prestazioni individuali, però, i due cavalli soffrono l’apparente superiorità  di Fan Idòle e di Igor Brick.
Sul traguardo, infatti, arriva primo proprio il puledro montato da Louis le Subjonctif in 27,6″, con quattro lunghezze abbondanti sull’ormai acerrimo rivale, in netto calo rispetto alle performance dell’ultimo Gran Prix corso nello stesso ippodromo e ormai lontanissimo dallo stato di grazia raggiunto al GP europeo del 2013.
Poco più di quattro anni, nello strabiliante mondo dell’ippica, sembrano un secolo abbondante.
Ma se Igor Brick è costretto a correre da solo, intorno a Fan Idòle gareggiano cavalli amici, che almeno in teoria dovrebbero contribuire a racimolare qualche sacco di biada in più per la scuderia.
Fan Plus Europe (1,6″), Fan Populaire (1,2″) e Fan Ensemble (0,8″) deludono però le attese.
E neppure tutti insieme i quattro puledri di Fan Faròn riescono a raggiungere il risultato ottenuto da Igor Brick.
Ai fantini che ormai si affidano alla calma serafica di Fan Grand Aimable, avrebbero fatto parecchio comodo i sacchi di biada di Libertè à‰galitè (5,0″), che però ha scelto l’avventura in solitaria e non è mai riuscito a dare fastidio alla testa della corsa. Ancora più indietro, si segnalano le discrete prestazioni di Pouvoir au Peuple (2,7″) e Maison Ezra (1,5″).
Ricapitolando: sul podio della prova individuale ci vanno Igor Brick (27,6″), Fan Idòle (24,0″) e Varenne (17,9″).
Ma l’astruso regolamento della gara assegna la vittoria proprio al team di scuderie guidato (in contumacia) da Burlesque, che mette insieme un risultato complessivo di 36,0″ e stacca nettamente gli avversari.
Probabilmente, nella gara ufficiale del 4 marzo, questo non sarebbe un tempo sufficiente per conquistare la Presidenza della Federazione Ippica. Ma, come si dice negli Ippodromi… meglio non vincere arrivando primi, piuttosto che perdere arrivando secondi.
ORDINE D’ARRIVO
Varenne 17,9″ (+0,8)
Groom de Bootz 12,3″ (=)
Frères Tricolòr 4,6″ (+0,2)
Nous avec l’Italie 1,2″ (-0,4)
>> Totale Scuderie Burlesque 36,0″ (+0,6)
>> Igor Brick 27,6″ (-0,5)
Fan Idòle 23,6″ (-0,4)
Fan Plus Europe 1,6″ (-0,1)
Fan Populaire 1,2″ (=)
Fan Ensemble 0,2″ (+0,6)
>> Totale Scuderie Fan Faròn 27,1″ (+0,1)
>> Libertè à‰galitè 5,0″ (-0,7)
>> Pouvoir au Peuple 2,7″ (+0,3)
>> Maison Ezra 1,5″ (+0,4)

(da “il Fatto Quotidiano”)

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“DE LUCA ICONA DI UN POTERE SFACCIATO, HA FALLITO SU ECOBALLE, SANITA’ E BAGNOLI”

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

INTERVISTA A DEMARCO, STORICO EX DIRETTORE DEL ‘CORRIERE DEL MEZZOGIORNO’: “UN SISTEMA DI POTERE PEGGIORE DI QUELLO DI BASSOLINO”

“Il sistema De Luca è peggiore di quello di Bassolino”. Marco Demarco, storico ex direttore del Corriere del Mezzogiorno fino al 2015 e profondo conoscitore delle dinamiche del Sud Italia, non ha dubbi. “Il potere di De Luca è sempre stato tollerato perchè l’efficienza prevaleva nel giudizio sul verticismo e sul cesarismo. Ma senza risultati non regge più”.
Dunque questo “sistema-De Luca” ha travalicato Salerno? Quanto è radicato?
Le foto con i figli ai lati sono l’emblema di questo sistema. Basterebbe questo, senza considerare che uno è imputato per bancarotta fraudolenta, l’altro è indagato per corruzione. Raramente un sistema di potere ha una foto, un’immagine in cui riconoscersi. Questo è talmente evidente e sfacciato che ha addirittura un’icona. Di tutte le famiglie che nel meridione hanno perpetrato il potere, nessuna ha avuto tre componenti contemporaneamente sulla scena pubblica. Penso ai Gava, per esempio. Antonio si affermò solo quando Silvio smise di essere ministro. A un’ascesa corrispondeva una contemporanea discesa.
Viene in mente l’aggettivo “napoleonico” attribuito al periodo di Bassolino. Vede analogie?
C’è un evidente punto in comune. Vale a dire quello per cui, in un sistema di fatto presidenziale come è quello che vige nelle Regioni, è mancata una classe politica forte alla prova dei fatti. Il potere diretto ha fallito alla prova dell’emergenza rifiuti, che dieci anni fa ha sostanzialmente chiuso l’epoca Bassolino. Oggi siamo punto e a capo. L’unico passo avanti, paradossalmente, è stato quello dell’inceneritore di Acerra, per il quale nel 2009 Silvio Berlusconi mobilitò l’esercito. Senza quello oggi saremmo sommersi. Dopo, il nulla più assoluto. E dire che ogni giorno paghiamo 120mila euro di multa all’Ue per il ciclo rifiuti.
Stringiamo il quadro. Roberto De Luca è finito nella bufera per il video di Fanpage in cui si occupa di ecoballe e a nome del quale un suo intermediario e socio sembrerebbe proporre una “quota” da riservare alla politica.
Ci sono due fatti clamorosi. Innanzitutto De Luca jr., senza averne competenza alcuna, accetta di intavolare una trattativa. Per una cosa che riguarda esclusivamente la Regione e sulla quale, come ha detto lo stesso Vincenzo, c’è un rigido controllo dell’Anac. Ha fatto sedere i suoi interlocutori nel suo ufficio, ma doveva dire “Prego, si accomodi negli uffici regionali, qui non ce ne occupiamo”.
E il secondo?
La difesa dell’avvocato, che dice che lo ha fatto come libero professionista. Ma scusa, tu da libero professionista ti occupi di una questione i cui cordoni della borsa sono nelle mani di tuo padre? Siamo ai limiti del conflitto d’interesse.
Pensa che le dimissioni siano una mossa tattica, come sostenuto da molti, o un reale passo indietro?
Sicuramente è stata ben studiata. Tenendo presente che è solo una dichiarazione di dimissioni, bisogna considerare che è la prima volta che si assiste a un passo indietro da parte di un esponente della famiglia De Luca, anche se forse solo momentanea. Oggi Vincenzo, in un video, dice che è in corso una guerra tra camorristi e gente per bene. Ma se è così, perchè far dimettere il figlio?
Che spiegazione si è dato?
Evidentemente le pressioni politiche sono state molto forti. Ma, da sola, senza le necessarie spiegazioni, credo che non basterà  ad alleggerire il quadro.
Il sistema De Luca vacilla?
È impressionante vedere come tra il consigliere delegato di Sma Campania e Roberto, nessuno dei due ponga all’interlocutore la domanda su come verranno smaltiti i rifiuti. È una questione che non interessa, e questo riguarda la concezione di etica pubblica. Il potere di De Luca è sempre stato tollerato perchè l’efficienza prevaleva nel giudizio sul verticismo e sul cesarismo. Ma senza risultati non regge più.
E in Regione ha fallito?
Sì, su tre aspetti cruciali. Le ecoballe sono state smaltite solo all’1%. Bagnoli, dopo tre anni di commissariamento, è ancora così com’è. E la sanità  è rimasta dove era, tra le peggiori in Italia.
Renzi sembra aver stipulato una sorta di patto di desistenza. Un appoggio alla sua leadership in cambio di carta bianca.
Renzi ha sempre saputo che De Luca era un problema. Ma ha anche capito che portava più voti di quanti ne avrebbe sottratti un eventuale tentativo di contrastarlo. La lampadina si è accesa con il referendum costituzionale, quando in Campania il Sì è andato al di sotto della media nazionale. Ma al momento il segretario nazionale non ha la forza per un’azione decisa.
Insomma, dieci anni dopo la Campania si ritrova al punto di partenza?
Peggio. Con De Luca la società  si è ulteriormente richiusa. Già  ai tempi di Bassolino lo era, ma ora è peggio, totalmente in preda a un sistema familistico che ha occupato il potere ed è in costante guerra con quello di Napoli, unica realtà  dove non è riuscito a penetrare. Ma il modello De Luca è decisamente peggio di quello Napoleonico del suo illustre predecessore.

(da “Huffingtonpost”)

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ALTRO CHE MILIONI DI FOLLOWER, I DATI UTENTI CHE SEGUONO I LEADER POLITICI SU TWITTER SONO TAROCCATI

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

STUDIO CNR R POLICOM: GLI ACCOUNT ATTIVI SONO DIECI VOLTE MENO DI QUELLI CHE APPAIONO

La politica si sa, guarda ai numeri: quelli dei sondaggi prima di tutto, ma in quest’epoca di politica fatta sui social non sono quelli gli unici numeri che contano. Così il numero di follower su Twitter diventa anche un mezzo di lotta politica.
E il segretario del Pd Matteo Renzi all’apparenza è quello che può sorridere più di tutti: ne ha 3,3 milioni, molti di più di Meloni, Salvini, Grasso e Bonino messi insieme.
Ma i numeri assoluti – quelli che tutti possono vedere aprendo semplicemente il social network – sono bugiardi. E di molto.
A differenza di molte analisi sulla presenza social che si trovano online, e che prendono in considerazione solo i numeri assoluti, pubblichiamo oggi uno studio realizzato dai ricercatori dell’Istituto di Informatica e telematica del Cnr di Pisa, coordinati da Maurizio Tesconi, che lavorano all’interno del gruppo di ricerca PoliCom.online, sui follower attivi, inattivi e fake dei leader politici e dei partiti su Twitter. Utenti inattivi sono quegli utenti che non hanno prodotto alcun tweet negli ultimi 90 giorni, oppure che hanno prodotto meno di 3 tweet nella loro vita.
Si scopre così che i numeri giganteschi dei follower di Renzi sono in realtà  molto più risicati: è sempre il primo, ma quei 3,3 milioni diventano 400mila, solo uno su otto. Sono solo gli utenti attivi che interagiscono con i post del candidato, lo retwittano, lo commentano, possono metterlo tra i preferiti, ovvero ne aumentano la diffusione.
Lo studio prende in esame sei leader politici e i rispettivi partiti: Renzi e il Pd, Di Maio e M5s, Bonino e +Europa, Grasso e Liberi e Uguali, Salvini e la Lega, Berlusconi e Forza Italia, Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.
Tutti i profili dei leader hanno una quota importante, quasi sempre maggioritaria, di utenti-follower che ormai sono inattivi.
E’ la normale vita dei social, nulla di scandaloso: gli utenti si iscrivono, seguono i leader politici e se poi abbandonano il social rimangono lì, come zombie, conteggiati nel totale ma spenti, muti. Inutili.
E infatti chi ha creato l’account da meno tempo ha meno utenti inattivi: sono gli account di Silvio Berlusconi, di Liberi e Uguali e di +Europa.
In ogni caso, la classifica non cambia, a cambiare sono le distanze relative.
C’è poi un terzo caso, quello degli utenti che non sono inattivi ma non sono nemmeno reali. Sono i fake, profili social fittizi creati al scopo di seguire altri account social.
Un sottoinsieme dei fake è quello dei bot, profili che automaticamente retwittano i contenuti i contenuti postati e cercano così di manipolare l’algoritmo che guida Twitter (al momento non sono disponibili i dati su questo tipo di attività ).
I dodici profili presi in considerazione hanno un numero di fake account tra i follower compreso tra il 3% (Renzi) e il 16% (Berlusconi).
Il dato interessante è che – in controtendenza con gli utenti inattivi – sono proprio gli account più recenti ad avere più fake follower.
Matteo Renzi ufficialmente ha 3.359.014 followers ma in realtà  sono attivi sol 402.291 (12%)
Silvio Berlusconi in teoria 23.030 followers, in realtà  solo 13.684 (59%)
Luigi Di Maio   ne avrebbe   276.496, in realtà  gli attivi sono 67.977 (25%)
Pietro Grasso      604.678 ma attivi solo      82.200 (14%)
Matteo Salvini 643.212 ma reali solo 100.544 (16%)
Giorgia Meloni 629.960 ma attivi solo 90.122 (14%)
Emma Bonino 154.210, ma reali 46.737 (30%)
Per capire chi tra i candidati alle prossime elezioni viene seguito da account fake, i ricercatori hanno messo a punto uno strumento che sfrutta tecniche avanzate di intelligenza   artificiale e individua in modo automatico se un account è fasullo.
Per fare questo analizza una serie di parametri, tra cui il numero di tweet prodotti e la frequenza con cui l’account segue nuovi utenti.
“I falsi profili – spiegano Serena Tardelli e Stefano Cresci che hanno messo a punto la tecnica – presentano alcune caratteristiche comuni: per esempio seguono molti account, ma in genere sono poco seguiti dagli utenti reali. Inoltre, spesso hanno un profilo poco curato, senza foto nè informazioni”.

(da “La Repubblica”)

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IL FATTORE C

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

C COME CALENDA: UN PO’ LIBERISTA E UN PO’ SOCIALISTA, TRA IMPRESE E LAVORATORI, LA CAMPAGNA ELETTORALE DI MAGGIOR SUCCESSO E’ DI CHI NON CORRE   … IL VERO EMERGENTE E’ LUI

Twitter è la sua arma preferita, che usa con costanza “trumpiana”.
Martella sui tasti con frequenza tale che sono sorti anche profili fake, fra cui un rivoluzionario sudamericano in rivolta contro gli oppressori, di cui è diventato subito un follower.
Virginia Raggi è il bersaglio preferito dei suoi strali sull’incapace gestione di Roma, Matteo Salvini l’oggetto degli apprezzamenti più coloriti – dalla “proposta più fessa” sui dazi al “cialtrone” con gli operai — Matteo Renzi il destinatario di odio e amore, Paolo Gentiloni ed Emma Bonino i “pilastri” da cui ripartire.
Nato capitalista liberista d’antan e cresciuto laburista, ha messo l’accento sul marcio che c’è fra gli imprenditori e difeso i diritti degli operai.
Ha chiuso con successo importanti tavoli di crisi — in ultimo Alcoa e Ideal Standard – mentre altri restano impantanati — Alitalia, Ilva ed Embraco su tutti.
È di fatto l’identikit del candidato premier uscito dalle Assisi Generali di Confindustria e sta ricevendo plausi dalle associazioni di categoria, datoriali e anche sindacali.
Tutto questo, in campagna elettorale, è il fattore C, inteso come Calenda.
Non ce ne voglia il ministro se prendiamo in prestito la celebre espressione che Edmondo Berselli regalò a Romano Prodi per indicare altro, ovvero l’importanza per il Professore del contributo di parti poco nobili – che tutti auspicano figuratamente sviluppate – nel proprio percorso professionale.
Non è candidato alle elezioni politiche, ma da ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda sta giocando una partita doppia in campagna elettorale, tra Gentiloni e Bonino — voterà  per il premier alla Camera, per la radicale al Senato, “fortunato di poterlo fare” — tra centralismo del Pd e contraddizione del renzismo, tra lotta e governo nella gestione dell’industria italiana, tra liberismo capitalistico e socialismo reale.
Negli ultimi mesi Calenda ha assunto posizioni rigorosamente istituzionali nella trattativa su Fincantieri con i francesi, nella discussione con Tim sull’evoluzione della infrastrutture di rete, nel salvataggio dell’Ilva — in durissima contrapposizione con Michele Emiliano — nella difesa del progetto Tap dalle proteste nei cantieri salentini sfociate in scontri, nello sviluppo del progetto Industria 4.0.
Calenda ha tuttavia anche assunto posizioni forti su molti temi che incrociavano i comportamenti degli imprenditori e i diritti dei lavoratori, dal “mai in Italia” sui futuribili braccialetti dei lavoratori Amazon alla battaglia per i 3 mila lavoratori dell’Aferpi di Piombino, dalla frecciata contro il “capitalismo fragile” che vende Italo-Ntv agli americani alla guerra annunciata contro la “gentaglia” di Embraco pronta a lasciare a casa 500 dipendenti nel torinese.
Una presenza costante, fattuale, talvolta ironica, in pieno stile anglosassone.
Le vicende degli ultimi mesi hanno avvicinato Calenda al mondo dei lavoratori, che fino ad ora lo ignorava.
Generale l’apprezzamento ricevuto per la chiusura della vertenza Ideal Standard, molto partecipata specie in Sardegna la parziale soluzione del caso dell’Alcoa di Portovesme, sostenuta dal sindacato la sua battaglia per Embraco.
Tre passaggi importanti per comprendere l’evoluzione della figura politica di Calenda, finora ritenuta elitaria.
Ha lavorato in azienda, poi la sua carriera si è sviluppata a braccetto con Luca Cordero di Montezemolo. Se oltre ad aver impatto dentro il Palazzo riuscirà  anche a spostare voti, potrebbe dirlo il 4 marzo.
Certo è che Carlo Calenda sembra l’uomo politico che più ha beneficiato della campagna elettorale.
E certamente è uno degli uomini ombra della teoria delle larghe intese, allontanato a parole, ma in fondo apprezzato da Pd e Forza Italia.
Il Fattore C potrebbe tornare, quindi, se il prevedibile stallo post-voto diventerà  realtà . Enrico Letta l’ha chiamato come ambasciatore a Bruxelles, poi Matteo Renzi l’ha voluto come ministro dello Sviluppo Economico.
Ha provato a candidarsi una volta, con Scelta Civica di Mario Monti, e ricorda spesso la batosta ricevuta alle urne.
Dal senatore a vita avrà  imparato più di qualche lezione. Prima fra tutte quella che in Italia per vincere l’importante è non candidarsi.

(da “Hufffingtonpost“)

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DEGRADO, ILLEGALITA’ E CONFLITTO SOCIALE: NON C’E’ SVILUPPO SENZA IL RILANCIO DELLE PERIFERIE

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

DA SCAMPIA A NAPOLI ALLE DIGHE A GENOVA FINO AL CORDIALE DI ROMA: IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE SULLE PERIFERIE

Lo Zen a Palermo, Scampia a Napoli, Corviale a Roma, le Dighe a Genova.
Quartieri simbolo di quelle periferie nelle quali, da Nord a Sud, oggi, vive e lavora gran parte degli abitanti del nostro Paese.
Luoghi ai margini, da “rigenerare”, come da anni si fa in Europa.
Secondo la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città  e delle loro periferie, serve un grande progetto nazionale.
Si tratta di luoghi diversi per conformazione fisica e condizioni sociali, “ma egualmente interessati da fenomeni di degrado, marginalità , disagio sociale, insicurezza, da una minore dotazione di servizi”, la cui condizione “desta particolare allarme sociale” sul fronte “della sicurezza, dell’ordine pubblico, dell’integrazione della popolazione straniera”.
Nelle periferie si concentrano “diversi fenomeni di illegalità , a partire dall’insediamento dei clan della criminalità  organizzata”, “discariche, roghi di materiali tossici fino allo smaltimento illegale di rifiuti”, e oggi proprio le periferie rischiano di trasformarsi nel teatro delle guerre tra poveri, “di alimentare il conflitto sociale tra ceti deboli, fra italiani impoveriti e migranti senza collocazione”.
La Commissione, presieduta da Andrea Causin, deputato di Forza Italia, lancia l’allarme attraverso una relazione frutto di un anno di lavoro – dal 25 novembre 2016 al 14 dicembre 2017 – nella quale ha chiuso gli studi sul tema, gli esiti dei sopralluoghi nelle più note e popolose periferie del Paese e le proposte per intervenire su queste aree “come una vera e propria strategia nazionale”.
A partire dalla “questione abitativa che – scrive la Commissione – potrà  essere risolta dando maggiore impulso alle politiche residenziali pubbliche”.
Dai dati di Federcasa, risulta che oggi sono 650mila le famiglie in possesso dei requisiti che hanno presentato domanda per un alloggio pubblico.
Di contro, 49mila abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica – pari al 6,4 per cento dell’intero patrimonio – risultano occupate abusivamente.
E l’occupazione degli immobili “può servire da copertura ad attività  criminali come lo spaccio di stupefacenti o la ricettazione” si legge nel dossier presentato anche oggi dal vicepresidente, il deputato dem Roberto Morassut, insieme al suo libro “Le borgate e il dopoguerra” con gli ex sindaci di Roma, Walter Veltroni e Francesco Rutelli.
Il presupposto da cui si parte è che il rilancio delle periferie può imprimere grande impulso allo sviluppo delle città  e, insieme all’auspicio che il prossimo Parlamento mantenga alta l’attenzione sul tema istituendo in via permanente una Bicamerale per le città  e le periferie, la Commissione che ha lavorato per un anno, passando il testimone, indica alcune possibili strade da percorrere per affrontare la questione. Quattordici le città  metropolitane (Genova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania e Cagliari), messe sotto la lente. Roma detiene il primato delle periferie più popolate, seguita da Torino, Milano e Napoli.
In totale, nelle grandi città  italiane quindici milioni di persone abitano in aree periferiche “tradizionalmente intese”, caratterizzate anche da “famiglie disagiate e vulnerabili e giovani generazioni fuori dai circuiti attivi e occupazionali”. Ma – prosegue il report – se a questi su aggiungono i residenti in zone urbane a vario titolo in difficoltà , la popolazione interessata a interventi significativi in questo campo costituisce la maggior parte degli italiani”.
Di qui la necessità  di “mettere in cantiere un grande progetto nazionale” ispirato ai principi dell’Agenda urbana europea, sottoscritti anche dall’Italia, con il patto di Amsterdam, il 30 maggio 2016, tra i quali la tutela della qualità  della vita, della salute e della sicurezza dei cittadini, l’inclusione sociale, il sostegno all’accesso alla casa e all’abitare dignitoso e sicuro, lo sviluppo di reti per la mobilità  sostenibile.
Sul fronte delle occupazioni abusive, “la strategia da adottare è l’intervento immediato entro le quarantotto ore per evitare che il protrarsi dell’occupazione possa creare situazioni ingestibili”, scrive la Commissione.
Mentre per spegnere i roghi tossici ed eliminare “il pericoloso fenomeno particolarmente presente a Roma, Napoli, Torino e in parte anche a Milano”, l’indicazione è attivare “un più stringente controllo anche con l’esercito è la video sorveglianza) dei campi e dei luoghi in cui vengono appiccati.
“Oggi le periferie rappresentano l’effettiva natura delle grandi città  – si precisa nel dossier – soggette a fenomeni dirompenti come la longevità , la crisi del ceto medio urbano, il multiculturalismo, il disagio giovanile”.
Secondo le stime Eurostat, l’83 per cento degli abitanti residenti nelle città  metropolitane vive in periferia: nei territorio densamente urbanizzati del nostro Paese – è un altro dato contenuto nella relazione della bicamerale di inchiesta – oltre 17,4 milioni di residenti vive al di fuori dei centri storici e delle aree centrali”.
Abitare in sicurezza, trasformare il degrado in decoro: questi gli indirizzi ai quali, secondo la Commisione, il nuovo Parlamento e il nuovo Governo dovranno orientare il proprio intervento sulle periferie, definite “le aree di un ‘nuovo confine’ con cui misurare l’efficacia della politica pubblica”.
Individuando “un punto di riferimento dell’amministrazione centrale cui imputare la guida del processo di intervento”, con “il compito di coordinare la politica per le città  e definire l’Agenda urbana nazionale” si legge ancora nella relazione. “È convinzione della Commissione che solo un punto centrale di coordinamento delle politiche, dotato di poteri, struttura amministrativa e risorse, possa efficacemente affrontare il tema delle periferie, della sicurezza e della rigenerazione urbana”.
Ma, pare di capire leggendo il dossier, i commissari, di convinzione, ne hanno anche un’altra: è necessario aggiornare le strategie di azione.
“In Italia gli strumenti tradizionali per la costruzione della città  pubblica – il piano regolatore generale secondo la legge n. 1150 del 1942, l’espropriazione per pubblica utilità , gli oneri di urbanizzazione – che pure hanno svolto un ruolo importante di promozione e miglioramento delle città , oggi sono insufficienti”.
E quindi occorre “una riforma legislativa per il governo del territorio, che chiuda l’epoca dell’espansione urbana” e inaugura quella “della trasformazione e della rigenerazione”.
Tra gli strumenti indicati figurano il contributo straordinario per il prelievo e la ridistribuzione della rendita fondiaria urbana, gli incentivi per il rinnovo edilizio, la cessione compensativa delle aree per il verde. Una riforma vera e propria, quella auspicata dalla Commissione, “che deve toccare anche aspetti di riforma della fiscalità  generale, fornendo un quadro di indirizzi di riferimento per gli enti regionali”.
Ancora, per contribuire a risolvere la grande questione dell’abusivismo edilizio – che si registra da Nord a Sud e non solo nelle periferie – vengono indicate una serie di misure, tra le quali l’acquisizione al patrimonio comunale degli immobili abusivi da demolire e l’adozione di un metodo ben strutturato per gestire le eventuali emergenze abitative e sociali delle famiglie che dimostrino di non avere altro immobile in cui abitare.
Per la Commissione è “urgente” che il Parlamento e il Governo che verranno ridefiniscano un programma per l’edilizia residenziale pubblica e sociale, “prevedendo – per cominciare – nuovi e regolari finanziamenti” e, tra le altre cose, che si definiscano una “nuova legge quadro” per fornire riferimenti certi e omogenei da Nord a Sud alle Aziende casa e una nuova fattispecie di reato “nei casi in cui dietro le occupazioni e le gestioni abusive di più immobili ci siano organizzazioni criminali”, come, fanno notare i commissari, “è emerso in molte situazioni” affrontate.
Per rispondere alla richiesta di un maggiore e più capillare controllo del territorio, che continua a levarsi dalle aree più lontane dei centri urbani, la Commissione, precisando che “è fondamentale” la presenza più massiccia delle forze dell’ordine, propone l’attivazione dei “patti di sicurezza”, accordi di collaborazione e solidarietà  tra enti locali e Stato.
Poi ci sono i campi Rom e coloro che nella relazione vengono definiti “invisibili”, ossia i clandestini che non ottengono lo status di rifugiato, circa il 10 per cento dei sei milioni dei residenti regolari.
Per entrambi i fenomeni – “che in alcune periferie assumono carattere di urgenza e pericolosità  allarmante”, si legge nel report – la Commissione ritiene necessario “porre alla base di ogni politica di sostegno e integrazione il ripristino della legalità “.
“La presenza di Rom e sinti abitanti nei campi e in situazioni di precarietà  (per metà  italiani, non più “nomadi”, per metà  minori) – prosegue il dossier – è potenziale fonte di conflitto sociale nelle periferie”: di qui l’indicazione ad attuare “La strategia nazionale di inclusione” di Rom, sinti e Camminanti (2012-2020) approvata dal Consiglio dei ministri nel febbraio di sei anni fa.
Più in generale, per rigenerare le periferie, la Commissione invita a puntare sul rafforzamento della scuola, l’ampliamento dei servizi educativi per l’infanzia e sul coinvolgimento dell’associazionismo diffuso, particolarmente nelle aree più lontane dal centro delle città .
Con l’obiettivo di stringere quello che viene definito “un patto sociale e civico”, in virtù del quale “favorire, nella concessione a prezzi agevolato o in uso gratuito di immobili, le associazioni di volontariato, in particolare quelle che partecipano ai progetti di rigenerazione delle aree periferiche e degradate”.
“Rigenerazione”, già . La strategia arriva dall’Europa ed è all’Europa che la Commissione di inchiesta invita a guardare il Parlamento e il Governo che si insedieranno dopo il voto del 4 marzo. Avvertendo: “L’insediamento periferico non adeguatamente presidiato con servizi pubblici funzionali o istituzionali, ha lasciato pericolosi vuoti soggetti al degrado ambientale, all’insediamento criminale, all’abusivismo e ai ricorrenti fenomeni di illegalità “.

(da “Huffingtonpost”)

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MACRON STAR INTERNAZIONALE, PERDE QUALCHE CONSENSO IN PATRIA, MA LE SUE RIFORME PIACCIONO AL 70% DEI FRANCESI

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

AI FRANCESI NON PIACE TROPPO IL DECISIONISMO NAPOLEONICO MA APPREZZANO LE RIFORME DELLA FUNZIONE PUBBLICA E DELL’ISTRUZIONE E IL GOVERNO VA A GONFIE VELE

Da presidente “jupitèrien” a monarca assoluto? Mentre Macron continua a collezionare successi diplomatici al di fuori delle frontiere nazionali grazie ad un’intensa attività  diplomatica, i francesi non sembrano essere troppo soddisfatti del suo atteggiamento “napoleonico”.
Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal Journal de Dimanche, in quest’ultimo mese il capo dell’Eliseo ha perso sei punti nell’indice di gradimento, scendendo al 44%. Una flessione che, sebbene non rappresenti ancora un segnale d’allarme, dà  un’idea del difficile rapporto tra il presidente e l’elettorato francese.
Dall’inizio del suo mandato, l’immagine di Macron ha subito una serie di accelerazioni alternate a brusche frenate. Un andamento altal
Lo storico discorso pronunciato davanti alla piramide del Louvre la sera della vittoria alle elezioni, l’utilizzo della Reggia di Versailles per i summit internazionali: il presidente si è ben presto guadagnato un’immagine da “monarca”, accentrando su di sè tutta l’attenzione mediatica.
Il suo protagonismo, unito a quel retrogusto da Ancièn regime, lo hanno reso agli occhi dei cittadini un presidente distaccato dal mondo reale e, di conseguenza, dai veri problemi economici e sociali.
Nonostante il calo di consensi, il presidente continua dritto sulla sua strada, costringendo la sua maggioranza parlamentare a lavorare a pieni ritmi per realizzare tutte quelle riforme promesse in campagna elettorale.
Macron sta sfruttando a pieno una congiuntura interna che gli è particolarmente favorevole, con la destra che fatica a riconoscere il suo leader in Laurent Wauquiez e una sinistra frammentata in diversi partiti.
Dal lavoro alla scuola, passando per la sicurezza, immigrazione e settore pubblico: il governo avanza a grandi passi seguendo le direttive del suo leader, impaziente di portare a termine la prima fase del suo cantiere.
Paradossalmente, i sondaggi hanno mostrato un buon indice di gradimento nei confronti delle nuove leggi, come quella dell’istruzione (69%) o della funzione pubblica (76%).
In campagna elettorale Macron si definì come il futuro “presidente jupitèrien”, da Jupiter (Giove in italiano), il capo di tutti gli dei.
Una metafora mitologica che nel corso dei mesi ha cambiato gradualmente significato, fino a diventare “presidente monarca”.

(da agenzie)

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L’ITALIA A DUE VELOCITA’: A NAPOLI SI VIVE 4 ANNI IN MENO RISPETTO A FIRENZE E RIMINI

Febbraio 19th, 2018 Riccardo Fucile

A CASERTA E NAPOLI SPERANZA DI VITA DI 2 ANNI INFERIORE ALLA MEDIA NAZIONALE… CONTA ANCHE IL LIVELLO DI ISTRUZIONE

Un Paese ‘spezzato’, a due velocità .  
In Italia si vive più a lungo a seconda del luogo di residenza o del livello d’istruzione. E a farne le spese sono le regioni del Sud dove le persone hanno una speranza di vita più bassa e questo accase in particolare in Campania.
Se a Napoli l’aspettativa di vita è 80,6 anni a Rimini e a Firenze si arriva a 84. Fra gli italiani più longevi ci sono inoltre quelli più istruiti, mentre godono di peggiori condizioni di salute coloro che non raggiungono la laurea.
Disuguaglianze acuite anche dalle difficoltà  di accesso ai servizi sanitari che penalizzano la popolazione di livello sociale più basso con un impatto significativo sulla prevenzione sulla capacità  di diagnosticare rapidamente le patologie.   Nell’insieme dallo studio emerge che anche se il Servizio sanitario nazionale assicura nell’insieme la longevità  degli italiani, non c’è ancora equità  sociale e territoriale. L’allarme arriva dai dati dell’Osservatorio nazionale della salute nelle   regioni italiane, un progetto dell’Università  Cattolica, e ideato dal professor Walter Ricciardi.
DIFFERENZE TRA NORD E SUD
“Il Servizio sanitario nazionale oltre che tutelare la salute, nasce con l’obiettivo di superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese. Ma su questo fronte i dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche adottate. Sono troppe e troppo marcate le differenze regionali e sociali, sia per quanto riguarda l’aspettativa di vita sia per la presenza di malattie croniche”, commenta Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio.
I dati parlano chiaro: in Campania nel 2017 gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; nella Provincia Autonoma di Trento 81,6 gli uomini e 86,3 anni le donne. In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne.
Scendendo nel dettaglio territoriale, il dato sulla sopravvivenza mette in luce l’enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa che palesano uno svantaggio di sopravvivenza di 1,6 e 1,4 anni rispettivamente. Le Province più longeve sono quelle di Firenze, con 84,1 anni di aspettativa di vita, 1,3 anni in più della media nazionale, seguite da Monza e Treviso con poco più di un anno di vantaggio su un italiano medio
QUANTO CONTA L’ISTRUZIONE
Colpisce anche la minor aspettative di vita che hanno le persone meno istrute, perchè anche la laurea può fare la differenza. In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea. Tra tra le donne la differenza è minore, ma sempre significativa: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate.
LE CONDIZIONI DI SALUTE
Anche le condizioni di salute, legate alla presenza di cronicità , mettono in evidenza differenze sociali importanti. Fra i 25 e i 44 anni la prevalenza di persone con almeno una malattia cronica grave è del 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e del 3,2% tra i laureati. Questo divario aumenta con l’età , nella classe 45-64 anni, è il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati.
GLI ALTRI PAESI EUROPEI
Dai dati dell’Osservatorio nazionale della salute nelle   regioni italiane, emerge infine un confronto con alcuni altri Paesi dell’Unione Europea. Le disuguaglianze maggiori rispetto al livello di istruzione si riscontrano per i   sistemi sanitari di tipo mutualistico, dove si osserva che la quota di persone che sono in cattive condizioni di salute è di quasi 15 punti percentuali più elevata tra coloro che hanno titoli di studio più bassi.
Il nostro Paese è quello che ha il livello di disuguaglianza minore dopo la Svezia, avendo 6,6 punti percentuali di differenza tra i meno e i più istruiti.

(da agenzie)

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