Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
A UNA SETTIMANA DAL VOTO PREVALE LA CONVENIENZA: GLI ODIATORI FANNO I MODERATI, LA SINISTRA SI FINGE UNITA, I RAZZISTI SBRODOLANO PER LA VISIBILITA’ ACQUISITA, GLI ANTAGONISTI EVITANO LE MANGANELLATE… MA E’ SOLO STATO UN RINVIO
Alla fine potrebbe essere questa la giornata di chiusura della campagna elettorale.
Di certo, è stata la giornata che, nonostante le condizioni meteo sfavorevoli, ha visto in piazza i leader di centrosinistra, nella manifestazione contro fascismi e razzismi a Roma. Un inedito in questa corsa al voto.
Ma da Milano a Palermo, passando appunto per la capitale, le piazze hanno registrato un’Italia in fermento, che si agita tra sedicente anti-fascismo e sedicenti nuovi fascismi a una settimana del voto.
Ma senza l’apocalisse annunciata alla vigilia, se si eccettuano i tafferugli di Milano. Nella piazza di Roma, anche solo un fischio avrebbe cambiato i connotati a questa campagna elettorale, che invece risulta tutto sommato invariata.
E allora, che fotografia è quella che ci arriva da queste piazze?
E’ una foto dalla quale tutti escono senza graffi, perchè alla fine non ci sono stati scontri (se si eccettua Milano), vuoi per il dispositivo messo in campo dal Viminale, vuoi per il ‘generale inverno’, vuoi anche per il fatto che poi alla fine ognuno è sceso in piazza per i fatti suoi.
Matteo Salvini a Milano ha abbandonato le ruspe, sfoggiando rosario e vangelo pur di acchiappare qualche voto per andare al governo. Al suo fianco il moderatissimo Stefano Parisi di Forza Italia, comparsa di circostanza.
Quanto alla sinistra, le sue diversissime componenti non si sono nemmeno sfiorate, pur camminando fianco a fianco, quasi ignorandosi.
E’ accaduto alla manifestazione ‘Mai più fascismi’ promossa dalla Cgil, Anpi, Arci, Pd, Leu a Roma. Per non parlare del corteo a sè stante dei Cobas contro le politiche sull’immigrazione e contro il Jobs Act, sempre nella capitale: lì è finita che hanno cacciato quelli di Potere al Popolo perchè volevano la testa del corteo.
Ecco, alla manifestazione ‘Mai più fascismi’ nessuno è stato cacciato, nè fischiato.
Ma il corteo ha sfilato a compartimenti stagno. I leader di Leu e Pd si sono accuratamente evitati per non cadere in imbarazzo. Persino Renzi e Gentiloni sono rimasti insieme nel backstage di piazza del Popolo per il tempo di un abbraccio e due baci.
E così alla testa della manifestazione vedi Pietro Grasso, Pierluigi Bersani, Laura Boldrini di Leu, Susanna Camusso e Maurizio Landini della Cgil e anche Maurizio Martina del Pd, l’unico Dem a fare da trait d’union con le altre organizzazioni in piazza, attivo anche al tavolo che ha preparato il corteo nei giorni scorsi.
Intorno, gli iscritti Anpi instancabili a cantare ‘Bella ciao’: ma è un canto senza gioia, preoccupato, infastidito per una manifestazione che di comune ha solo un manifesto ‘Mai più fascismi, mai più razzismi’ sottoscritto da 23 organizzazioni, che non è affatto poco, anzi. Ma il cuore, in comune, non c’è.
A un certo punto in testa arriva anche Walter Veltroni: anche lui ha seguito bene l’organizzazione di questo corteo tramite uno dei suoi, Walter Verini, anche lui al tavolo preparatorio.
In fondo al corteo, lo spezzone del Pd, riconoscibile dalle pettorine arancioni indossate dai militanti. In questo arancione si sono posizionati il ministro Andrea Orlando, Matteo Orfini, Gianni Cuperlo: loro si sono fatti il percorso dall’inizio, da piazza della Repubblica a piazza del Popolo. Matteo Renzi no.
Il segretario Pd aveva timore dei fischi, suggeriscono fonti Dem. Potevano verificarsi, ti dicono gli organizzatori, malgrado il corposo servizio d’ordine della Cgil.
E allora Renzi si è presentato solo alla fine, entrando direttamente nel retro-palco dove era già arrivato Gentiloni, il quale aveva già parlato con la presidente dell’Anpi Carla Nespolo, circondato dai suoi ministri: Pinotti, Finocchiaro, Fedeli, Martina. Con Renzi il saluto, poi l’uno entra, l’altro esce per non oscurarsi a vicenda davanti ai media, evidentemente.
L’immagine che ne risulta è di un centrosinistra che in piazza c’è, insieme a tantissimi manifestanti (100mila per gli organizzatori), ma, se si scava, il tutto sembra l’espletamento di una formalità dopo i fatti di Macerata.
Non trasmette l’energia di squadra: troppi sguardi in cagnesco tra formazioni che tra una settimana si giocano il futuro nelle urne. Semmai segnala un punto di partenza, lontanissimo dalla soluzione.
Come punti di partenza sono le altre piazze di oggi: quella di Milano, caricata dalla polizia, contro la manifestazione di Casapound, quella di Forza Nuova a Palermo. Fenomeni che promettono di non fermarsi con il voto del 4 marzo-
“Non abbiamo paura dei fascisti, ma degli indifferenti”, dal palco di Piazza del Popolo la presidente dell’Anpi la mette così-
Ecco, questo succede quando le etichette – fascismo, anti-fascismo – vengono usate senza una declinazione reale di politiche e contenuti.
Una superficialità che permette a sigle diverse di stare in piazza insieme senza compiere reali passi in avanti.
Una moda che permette alle formazioni dell’ultradestra di organizzarsi e cavalcare le tendenze sempre più razziste di una società in sofferenza. Da questo tritacarne pazzesco verrà fuori il responso delle urne del 4 marzo.
Il carico di tensione oggi non è esploso, è stato solo rinviato.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
FORSE 170.000 EURO A MORISI, IL “CASALEGGIO” LEGHISTA, NON SONO SUFFICIENTI A GARANTIRE LA SICUREZZA DEL SITO
Mentre Matteo Salvini a Milano manifestava su temi a lui cari quali la sicurezza, la sicurezza dei
suoi account facebook veniva messa a rischio dall’ennesimo hacking. Stavolta a essere colpita è stata la pagina Lega — Salvini premier e la firma è sempre la stessa: quella di Anonymous
Un paio di giorni fa un attacco hacker ai siti di Matteo Salvini aveva portato al leak di diversi giga di email, tra le quali anche alcune in cui si parlava della strategia politica della Lega alle prossime elezioni.
Oggi si è avuta l’intuizione che qualcosa non andasse per il verso giusto quando sono cominciati a comparire post “atipici”
Il faccione di Salvini sul volto di Ernesto Che Guevara qualche piccolo sospetto che qualcosa non andasse per il verso giusto lo forniva. Anche perchè le sue posizioni politiche Salvini le ha riviste spesso, ma fin qui non c’è ancora arrivato.
Finchè non è comparsa la firma che un po’ tutti si attendevano. Quella di Anonymous, che tornava anche a pubblicizzare il leak delle email di due giorni fa.
«La vostra politica è fallimentare sotto ogni punto di vista, avete rubato puntando su menzogne, e dimostrandovi peggiori di quelli che dovevate sostituire e per questo motivo abbiamo deciso di rendere pubbliche più di 70.000 email dei tuoi iscritti e non solo, anche email personali, un dump gentilmente preso dagli amici di #anonplus, perchè voi capiate che la sicurezza alla quale dovete fare attenzione non è solo sulle strade, ma anche in rete, e la guerra ora si combatte su fronti molto più subdoli», diceva la rivendicazione.
Dopo circa un’ora la pagina è tornata in possesso degli admin e i post sono stati rimossi.
Luca Morisi, il Casaleggio di Matteo Salvini già oggetto di attacchi da parte di Anonplus, spiegava qualche tempo fa che SistemaIntranet, la sua società che offre servizi a Salvini e alla Lega, era ricompensata con 170mila euro l’anno per “un’attività incessante di comunicazione creativa, grafica e multimediale”.
Forse sarebbe il caso di offrire qualcosa in più per la sicurezza informatica.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
ESPERIENZA, FEDINA PENALE, ETA’ E CULTURA GLI ELEMENTI ESAMINATI … IL CENTROSINISTRA ANNOVERA I POLITICI CON MAGGIORE ESPERIENZA
Eccolo, il Parlamento che verrà .
Con una settimana d’anticipo sul verdetto delle urne, L’Espresso racconta pregi e difetti di deputati e senatori che si preparano a sbarcare a Roma. L’inchiesta assegna un voto a oltre 300 candidati, un campione rappresentativo delle due camere, scelto tra i rappresentanti dei quattro principali schieramenti (Centrodestra, Centrosinistra, Cinque Stelle, Liberi e Uguali) in 85 collegi.
Si va da zero a dieci, come a scuola. E il dato finale, quello che riassume la valutazione complessiva dei candidati, non è granchè esaltante: il voto medio non supera il cinque e mezzo.
Il rating si basa sul curriculum degli aspiranti parlamentari: livello d’istruzione, eventuali incidenti giudiziari, il numero di anni trascorsi nelle istituzioni, i rapporti con il proprio collegio elettorale e, infine, la popolarità nei principali social network. Sommando i risultati dei singoli candidati si scopre che l’alleanza di centrosinistra ottiene il punteggio più elevato, mentre il nuovo partito guidato da Pietro Grasso è l’ultimo della classe.
Questione di decimali, comunque: si va dal 5,86 per i candidati che sostengono Matteo Renzi al 5,35 di quelli targati Leu.
In mezzo troviamo i Cinque Stelle, che arrivano a 5,43, poco sopra il centrodestra, che non va oltre 5,38.
La coalizione di centrodestra si merita di gran lunga il voto più basso alla voce indagati e condannati.
Nel campione esaminato da L’Espresso, il 17 per cento dei candidati nel nome del pregiudicato (e quindi incandidabile) Silvio Berlusconi, risultano coinvolti in procedimenti penali oppure hanno già subìto sentenze sfavorevoli in primo o in secondo grado di giudizio
Nella categoria istruzione sono i Cinque Stelle a guidare la classifica.
Criticato da più parti per aver traghettato in Parlamento una pletora di giovani inesperti e impreparati, questa volta il movimento fondato da Beppe Grillo ha fatto il pieno di professori universitari: negli 85 collegi uninominali esaminati da L’Espresso oltre un quarto dei candidati scelti da Luigi Di Maio e dalla Casaleggio associati possono vantare un titolo accademico superiore alla laurea (dottorato di ricerca, phd) oppure insegnano all’università .
I candidati più esperti, cioè quelli con il maggior numero di legislature alle spalle, vanno invece cercati nelle fila del Centrosinistra.
Negli 85 collegi uninominali analizzati da L’Espresso solo il 17 per cento dei nomi proposti dal Pd e dai suoi alleati è un esordiente assoluto.
Cioè non ha mai fatto politica in Parlamento a Roma oppure a Bruxelles, nemmeno in un consiglio regionale o comunale. La quota dei candidati alla loro prima esperienza nelle istituzioni sale di molto tra i Cinque Stelle, addirittura al 76 per cento.
(da “L’Espresso”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
IL METODO DI CALCOLO PRODUCE L’EFFETTO DI SOTTOSTIMARE IL FENOMENO
Non vi è dubbio che il fenomeno della disoccupazione eserciti un ruolo determinante nella
dinamica sociale e nella percezione che di questa si ha.
In Italia, il dato pubblicato da Istat, relativo allo scorso mese di settembre, segnala un tasso di disoccupazione pari all’11,1% delle forze di lavoro.
Un miglioramento rispetto a dodici mesi prima, quando tale parametro si attestava all’11,8%.
In valori assoluti, si è passati da 3.045.000 persone in cerca di lavoro alla fine del terzo trimestre del 2016, a 2.891.000 disoccupati nella stessa data del 2017.
Tuttavia, se inquadriamo la questione nel contesto più generale e confrontiamo la posizione dell’Italia con la media dell’area euro e con le altre tre grandi economie dell’unione monetaria, emerge come il nostro Paese resti pur sempre, subito dopo la Spagna, quello con il più elevato tasso di disoccupazione.
Come già argomentato su Economia e Politica, occorre anche considerare la metodologia di rilevazione dei numeri esposti nel grafico precedente.
Sono classificate come occupate le persone, di età superiore ai 15 anni, le quali, nel corso della settimana di riferimento, abbiano lavorato almeno un’ora.
Può sembrare curioso, ma tale è la definizione assunta a livello internazionale.
Di conseguenza, per essere classificati tra i disoccupati, occorre rispettare tutte le seguenti quattro condizioni:
1. avere un’età compresa tra i 15 e i 74 anni;
2. non essere occupati secondo la definizione prima specificata;
3. essere disponibili ad accettare un’offerta di lavoro nell’arco delle prossime due settimane;
4. aver attivamente cercato un’occupazione nelle quattro settimane precedenti quella di riferimento.
Sorge il dubbio che la struttura della rilevazione, soprattutto nel nuovo ambiente creatosi dopo la doppia recessione cui sono state soggette le economi europee tenda a sottostimare l’effettiva diffusione della disoccupazione.
D’altra parte, la condizione di sofferenza in cui si trovano le classi disagiate in Italia appare confermata da diversi indicatori, non ultimo dei quali la ripresa di apprezzabili flussi migratori verso l’estero: le iscrizioni all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, registrate nel 2016 per solo espatrio, sono aumentate del 15,4% rispetto all’anno precedente, un incremento che ha interessato tutte le regioni ad esclusione del Friuli Venezia Giulia (nel 2016 si sono iscritte all’Aire per espatrio oltre 124 mila persone, ossia, in rapporto alla popolazione italiana, 2 ogni mille abitanti).
Che vi sia qualcosa di non convincente nei dati sulla disoccupazione è ormai così evidente che la stessa Banca Centrale Europea ha ritenuto opportuno affrontare la questione con un’analisi ad hoc condotta sui dati del quarto trimestre del 2016.
Nel ricalcolare una misura più efficace per rilevare la stagnazione del mercato del lavoro nei Paesi europei, la Bce ha preso in considerazione, oltre ai disoccupati normalmente rilevati dalle indagini, anche altre due categorie di persone: chi è senza lavoro, anche se non rispetta i requisiti 3 e 4 della definizione di disoccupato (disoccupati scoraggiati, in precedenza classificati tra la popolazione inattiva), e chi è occupato part time, ma desidererebbe lavorare più ore di quelle attualmente assegnategli (part time sottoccupati, persone incluse tra gli occupati). Le conclusioni cui è giunto l’istituto di Francoforte sono piuttosto significative: all’interno dell’area euro, l’incidenza della disoccupazione e della sottoccupazione si attesta al 18% della forza lavoro, ossia circa il doppio di quanto rilevato sulla base degli indicatori ordinari.
Nello stesso studio si afferma che tuttora il mercato del lavoro europeo offre, con l’importante eccezione della Germania, poche opportunità ai lavoratori.
Come è noto, da diversi mesi sulla stampa si sottolinea il miglioramento della congiuntura economica sia in Europa, che in Italia.
Pertanto può essere opportuno verificare se tale miglioramento abbia manifestato effetti significativi anche nel mercato del lavoro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO SARA’ PURE UN FANIGUTTUN, MA I LEADER DEL CENTRODESTRA SENZA TITOLI SONO ALLA STESSA STREGUA
«Un bel musino da televisione»: Luigi Di Maio dovrebbe tenersi stretto l’unico «elogio» di Berlusconi: il signore sì che se ne intende, di tivù.
Quanto all’accusa d’essere un «faniguttùn», cioè uno sfaccendato, si consoli: a destra è in buona compagnia.
Sono settimane che l’ex Cavaliere batte e ribatte: come può l’Italia finire nelle mani di uno che «non si è mai laureato» e «non ha mai lavorato un giorno in vita sua»?
L’ha ripetuto anche da Lilli Gruber: il candidato grillino «è senza scuola e senza mestiere. Ha sicuramente imparato a fare politica, è un ragazzino sveglio, ha un bel musino da televisione, però ha una inconsistenza interiore che è assoluta».
Ora, che Di Maio dopo il liceo classico si sia iscritto a Ingegneria e poi a Legge senza arrivare al «pezzo di carta» («sto scrivendo la tesi», disse nel 2014 per precisare più avanti «non mi sono laureato perchè come vicepresidente alla Camera non avrei mai approfittato del ruolo per andare a far gli esami») è vero.
Come è vero che non ha mai avuto un lavoro stabile e a volte faceva lo steward allo stadio San Paolo: «Non mi vergogno. Ero in tribuna autorità , accoglievo i Vip».
È vero anche che, nonostante tra i non laureati si trovino Benedetto Croce o Steve Jobs, Salvatore Quasimodo o Guglielmo Marconi (16 pergamene ad honorem!), ha sempre colpito il confronto tra la quota di laureati in vari Parlamenti occidentali e nel nostro.
Dove in un passato non lontano fecero i ministri anche persone con la terza media.
Ma quando l’anziano leader della destra rinfaccia al candidato del M5S quei due «buchi» nel curriculum, facendone strumento di propaganda, dovrebbe ricordare che non solo ha accusato per anni vari alleati d’essere mestieranti dediti solo alla politica (vedi Bossi) ma che i suoi due principali appoggi di oggi hanno esattamente gli stessi «buchi».
Non è laureata, non ha mai avuto un lavoro stabile (baby sitter da Fiorello?) e ha una poltrona politica da quando aveva 22 anni (consigliera provinciale) Giorgia Meloni.
E non è laureato (14 anni fuori corso), non ha mai avuto un lavoro fisso (qualche mese in un fast food Burghy?) e ha una poltrona politica da quando aveva 20 anni (consigliere comunale) Matteo Salvini.
Della serie travi e pagliuzze…
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
SAREBBERO IL 30% DEGLI ISCRITTI, MA I TEMI DI GENERE NON HANNO SPAZIO SULLA RIVISTA DEL MOVIMENTO
La foto da guardare bene è a fianco, con le ragazze al corteo in memoria delle foibe che stanno
sull’attenti, senza saper bene dove mettere le mani: una stringe un libro, un’altra la borsa, tutte cercano la postura del soldato con risultati piuttosto goffi.
Le donne di CasaPound, fra i tanti modelli femminili che la destra ha coltivato senza adottarne fino in fondo nessuno, si sono prese il più militaresco: quello delle Ausiliarie, il Corpo militare della contessa Piera Gatteschi nato nel ’44 per gestire assistenza sanitaria, mense, servizi d’ufficio e magazzini della Rsi.
«Sì, sono loro l’esempio che scelgo» conferma Carlotta Chiaraluce, il volto più mediatico di Cpi, candidata e dirigente a Ostia.
Forse non poteva essere altrimenti. In un mondo dove prevale l’estetica della disciplina sarebbe difficile immaginare l’assertività materna di Donna Rachele, l’ardore tragico di Claretta, la naturale leadership di Evita, l’abilità salottiera di Donna Assunta, per non parlare del protagonismo da amazzoni della Meloni, della Santanchè, della Mussolini.
Quante sono, cosa pensano, perchè sono lì queste signorine e queste signore?
Secondo i dati forniti dal movimento sono donne il 30 per cento degli iscritti a Cpi (circa 6000 nel 2017, oggi il triplo, dicono fonti non ufficiali).
Partecipano a tutte le attività , salvo l’affissione di manifesti che è riservata agli uomini.
Questo perchè CasaPound, come si afferma nei documenti ufficiali, «nell’articolazione dei singoli ruoli da attribuire in base al genere» rifiuta «la confusione».
Ma c’è un No molto esplicito anche alla sottomissione: l’umiliazione della donna è definita un fattore «tipico del mondo contemporaneo, nei suoi due aspetti consumista e fondamentalista». La parola magica per indicare il rapporto ideale fra il mondo maschile e quello femminile è complementarietà , che pare resuscitata dai documenti della Nuova Destra degli Anni 70, e in particolare dalla rivista delle ragazze dei Campi Hobbit, Eowyn, peraltro inimmaginabili allineate in ranghi spartani (erano piuttosto scapigliate e casiniste, non molto diverse dalla loro controparte femminista).
Dunque, complementarietà .
Si cerca la declinazione di questo termine nelle questioni che oggi fanno discutere le donne – l’utero in affitto, le teorie gender, il giudizio sulla prostituzione, le quote – sulle pagine di Primato Nazionale, la rivista del movimento, ma non c’è quasi niente. Pochissime anche le firme al femminile: nell’edizione cartacea ha una rubrica Chiara Del Fiacco, i suoi ultimi articoli sono un elogio delle sapienze contadine e un’invettiva contro Oprah Winfrey e «l’isteria femminista» del sistema-Hollywood.
La sensazione è che questo ramo rosa sia cosa recente, ancora un germoglio appena nato, e che la linea del movimento non abbia ancora preso atto delle questioni che porta con sè e della necessità di elaborarle oltre l’istintiva contrapposizione frontale con tutto ciò che si apparenta alla sinistra. «Sono all’inizio, magari col tempo…», dice Annalisa Terranova, che alla destra femminile ha dedicato uno dei pochi saggi in circolazione, Camicette Nere.
Il paradosso è che il mondo marziale di CasaPound deve proprio alle sue ragazze il primo e più importante sdoganamento, quello della satira, con la mitica Vichi di Casa Pound interpretata da Caterina Guzzanti che strillava «Ah zzecche» alla platea di RaiTre, mentre il suo fidanzato Tullio si rifugiava spaventato su un albero.
Era simpatica, Vichi, e rese più umana un’area che all’epoca (era il 2012) ancora non si presentava alle elezioni, parlava di fascismo del Terzo Millennio e si situava su un crinale extra-parlamentare assai più accentuato di oggi.
Chissà se sono grati alla Guzzanti i militanti di Cpi, chissà se si rendono conto delle potenzialità del «recinto delle ragazze» oltre il ruolo di portabandiera e di furiere.
Flavia Perina
(da “La Stampa”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA NON SAREBBE IL RAZZISMO, MA I POMODORI CHE METTEREBBERO IN DIFFICOLTA’ L’AGRICOLTURA SICILIANA, PECCATO CHE NESSUNO L’ABBIA AVVISATO CHE E’ UNA BUFALA
Ieri quei cattivoni di Gianrico Carofiglio e Lilli Gruber hanno messo un po’ in mezzo il caro Alessandro Di Battista facendogli la solita domanda imbarazzante (per lui): lei è antifascista?
Ma il nostro prode eroe se l’è cavata con una grandiosa supercazzola delle sue, segnalando che mentre qui c’è gente che parla di sciocchezze come fascismo e antifascismo gli agricoltori che in Sicilia coltivano i pomodori pachino sono messi in difficoltà perchè si vendono i pomodori pachino del Camerun.
Ma come va la questione dei pomodori pachino e dell’infame Camerun?
A denunciarla, come sempre, è stato un 5 Stelle ovvero l’altrettanto prode Ignazio Corrao, oltre a un articolo del Fatto Quotidiano di una settimana fa.
“Settimana scorsa mi trovano in Sicilia e a Pachino, nella terra che ha dato il nome al famoso pomodoro datterino — ha scritto Corrao sul Blog delle Stelle — ho scoperto che ci sono supermercati che vendono i pomodori provenienti dal Camerun, eppure i produttori locali non riescono a stare sul mercato e a vendere i loro prodotti”.
Monica Rubino su Repubblica ha però precisato:
I documenti dell’Agenzia delle dogane raccontano una realtà diversa: dai dati risulta che i pomodori importati dal Camerun sono pari a zero. Dal Camerun compriamo banane per circa 6 milioni di euro, caffè per 3,7 milioni, ma nemmeno l’ombra di un ciliegino.
Il trattato a cui fa riferimento Corrao è del 2009 e serviva per facilitare l’importazione in Europa delle banane e per vendere al Camerun tecnologia. Quell’accordo è entrato in vigore nel 2014. Da allora a oggi non abbiamo importato neanche un pomodoro dal Paese africano.
“Basta con le false notizie sulla pelle degli agricoltori. L’Ispettorato repressione frodi del ministero ha rilevato che non ci sono state importazioni di pomodoro dal Camerun — spiega il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina — come certifica anche l’Agenzia delle dogane”.
Quanto ai supermercati di Pachino a cui fa riferimento l’europarlamentare pentastellato, il ministro chiarisce che “sono in corso verifiche sui punti vendita della zona per accertare eventuali violazioni sugli obblighi di indicazione dell’origine dell’ortofrutta”.
Con tutta probabilità a Pachino si è dunque trattato di un errore di etichettatura.
Come conferma anche lo stesso sindaco della cittadina siciliana, Roberto Bruno, che stigmatizza la strumentalizzazione politica della falsa notizia: “È vergognoso l’atteggiamento fare propaganda sulla pelle dei nostri agricoltori. Stiamo fronteggiando la crisi dei prezzi, che mette in difficoltà tante imprese del nostro territorio. Non servono bufale, ma serietà ”.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
A ZURIGO ITALIANO 38ENNE SPARA ALLA MOGLIE IN PIENO CENTRO, VIVEVANO IN SVIZZERA DA DIVERSI ANNI
E’ un italiano l’uomo, Danilo Nuzzo, di 38 anni, che ieri, in una strada del centro di Zurigo, ha
ucciso con colpi di pistola la moglie, Irene Rizzo, di 35 anni, e poi si è ucciso.
Entrambi sono originari della provincia di Lecce, in Puglia: lui è di Supersano, lei di Ruffano. La notizia è pubblicata sulla edizione di Lecce de ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’.
La coppia, che ha due figli, viveva nella città svizzera da diversi anni. Tutto è avvenuto, per motivi non ancora accertati, sotto gli occhi dei passanti, intorno alle 14.30 nel quartiere Europaallee, a poche centinaia di metri dalla stazione centrale.
La donna era impiegata presso una filiale della banca Ubs. Ed è proprio davanti all’edificio che ospita l’istituto di credito che è avvenuto l’omicidio-suicidio.
La donna è morta davanti all’ingresso della banca. A pochi passi da lei, il marito si è tolto la vita dopo averla uccisa. Uno dei due – è detto nell’articolo del quotidiano – sarebbe morto sul colpo, l’altro in seguito alle gravi ferite riportate.
Sembra che l’uomo avesse trascorso gli ultimi giorni in paese e che proprio il giorno prima della tragedia fosse ripartito per la Svizzera.
In preda al terrore, i numerosi passanti sono fuggiti e hanno cercato di mettersi al riparo, temendo un attacco terroristico.
Il luogo della tragedia è stato subito raggiunto da auto e camionette della polizia ed è stato interdetto ai pedoni. Sull’accaduto indagano la procura e la polizia della città svizzera.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 24th, 2018 Riccardo Fucile
AVETE 87 ANNI, PREMIATO A VENEZIA E BERLINO PER I SUOI DOCUMENTARI
E’ morto stamattina all’ospedale di Orvieto Folco Quilici, l’ultimo dei grandi documentaristi italiani. Aveva 87 anni (ne avrebbe compiuti 88 il 9 aprile). I funerali si terranno mercoledì prossimo a Roma. Ferrarese, figlio del giornalista Nello Quilici e della pittrice Emma Buzzacchi, dopo aver iniziato un’attività di tipo cineamatoriale si è specializzato in riprese sottomarine diventando molto popolare anche al di fuori dei confini nazionali.
Scrittore, naturalista e divulgatore, uno dei più influenti pensatori al mondo (come riconobbe Forbes nel 2006) in tema di ambiente e culture, è ricordato per i suoi tanti film pluripremiati dedicati al rapporto tra uomo e mare. Nel 1971 uno dei suoi documentari della serie L’Italia vista dal cielo “Toscana” gli è valsa una candidatura agli Oscar. Con “Oceano” si era aggiudicato il Davide di Donatello.
Negli anni ’70 ha curato la rubrica “Geo” di Rai3, poi è stato conduttore per il canale MarcoPolo di un diario di viaggi e avventure, collaborava con serie televisive. E lavorava con storici, antropologi, archeologi. Per i tredici film della serie “Mediterraneo” e gli otto di “L’Uomo Europeo” Quilici ha avuto a fianco lo storico Fernand Braudel e l’antropologo Levi Strauss.
Ha viaggiato senza mai fermarsi per tutta la vita: dalle immersioni in Liguria alle Cinque Terre a Punta della Gatta riadattando una maschera antigas passando per le riprese di «Sesto Continente», il primo film al mondo in cui si offrivano documenti a colori sulla vita sotto la superficie del mare, fino ai tanti progetti realizzati.
“Tutta la vita ho viaggiato per dimenticare il mio inconscio – aveva detto in una intervista a Repubblica – Certo, non è la stessa cosa immergersi in una vasca da bagno e in un mare infestato dagli squali. Se l’ho fatto è stato esclusivamente per dare un’emozione a chi quelle cose le ha sempre sognate senza averle mai viste. Parlo degli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi ci interessa meno il meraviglioso, l’inedito, l’irraggiungibile. Pretendiamo però di salvare il pianeta. Comodamente seduti in poltrona!” .
“Se ne va una delle figure più importanti del giornalismo, del documentarismo e della cultura italiana. Un pioniere in tutti i progetti che ha avviato, sempre anni avanti rispetto agli altri, un italiano innamorato del proprio paese e un ferrarese innamorato della propria terra in cui era l’erede della grande tradizione giornalistica del padre Nello”. Così il ministro Dario Franceschini ricorda Folco Quilici. “Ci mancherà – sottolinea Franceschini – ma i suoi lavori resteranno per sempre come guida e insegnamento per le giovani generazioni”.
(da agenzie)
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