Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
SONO DEI NANI ALL’ULTIMO ATTO DI UNA CRISI DI SISTEMA
Troppo facile gettare la croce sui Di Maio, Salvini, Renzi, accusare i primi di non sapere che farsene della vittoria e il secondo, magari, di non saper perdere.
Ancora più facile illudersi che questo combinato disposto di impotenze derivi da una legge elettorale, per quanto sciagurata essa sia.
I nostri giovani rottamatori sono, alla fine, innocenti nani sulle spalle di una gigantesca crisi.
È vero che lo spettacolo di una inesauribile ripetizione di slogan, che copre impudicamente l’assenza di ogni programma di governo (magari si dessero i numeri invece che distribuire chiacchiere e promesse del tipo: riduciamo le tasse, aumentiamo le pensioni, reddito di cittadinanza, ecc.) è segno di un crollo qualitativo dei ceti dirigenti di questo Paese, ma forse che tale crollo è colpa di chi lo rappresenta nel teatrino attuale?
Il problema è che siamo giunti all’ultimo atto di una radicale crisi di sistema, iniziata nei tragici ’70 ed esplosa con la caduta del Muro e Tangentopoli.
Non parliamo, per carità , di seconde e terze Repubbliche! Le Repubbliche le fanno le Assemblee costituenti o i De Gaulle. Non si cambia Repubblica perchè si incasina qualche articolo della vecchia Costituzione o perchè collassano le vecchie forme della rappresentanza.
Una nuova Repubblica significa che un nuovo ordine costituzionale, formale e materiale, si è realizzato, non che il precedente ha cessato di funzionare.
Non ho una nuova macchina perchè l’usata è in malora. E da trent’anni da noi la nuda realtà è che è cresciuto semplicemente il disordine, lo smembramento della Repubblica.
Una classe politica formata per il 90 per cento dalle seconde e terze file dei vecchi partiti, sopravvissute a Tangentopoli, aggrappate al proprio impotente potere, insieme a un apparato burocratico-ministeriale pachidermico, alimentato da un’irrefrenabile inflazione legislativa, hanno gestito il disordine, rifondato nulla.
Al più, hanno affrontato qualche emergenza. Ed è inevitabile che una crisi di sistema cui si provvede occasionalmente con interventi-tampone non può, alla lunga, che aggravarsi fino ad apparire insuperabile.
Guardiamo bene: tutti gli “ordini” si sono disciolti.
Potevano piacere o meno, ma “ordini” lo erano: sindacati, partiti, corporazioni e “corpi intermedi” della cosiddetta società civile.
Nessuno è stato capace di trasformarsi di fronte al mutare del contesto (salto tecnologico, nuove forme del lavoro, equilibri economici internazionali), ma solo di disgregarsi. Alcuni hanno fatto di questo processo la loro bandiera: lotta a ogni “ordine” e tutti liberi e individui sull’universale non-luogo della Rete. Meglio, forse, questo obbedire alla corrente che coalizioni-confusione (Ulivi e Centro-destre) o partiti mai nati, succubi di mitologie pan-lideristiche.
Il risultato non muta, e potrebbe essere spiegato in termini fisici: l’energia si disperde, si degrada, il disordine aumenta, rendendo sempre più difficile qualsiasi previsione. Possiamo consolarci pensando che questo sembra essere il destino dell’intero universo, tuttavia noi, animaletti del finito, passiamo la nostra esistenza scovando di continuo nicchie di resistenza a questa legge cosmica.
Credo che il presidente Mattarella dovrebbe ricordarlo ai nostri giovani leoni, anzi: dovrebbe imporre loro di ricordarselo e agire di conseguenza.
Il Paese deve marciare ormai a ritmi forzati verso una fase costituente. Se si andrà in tempi più o meno rapidi a nuove elezioni, queste dovranno essere esplicitamente orientate a tale fine: elezioni per un Parlamento in cui ci si impegni a realizzare un nuovo ordine repubblicano, attraverso un confronto che almeno assomigli a quello che ebbe luogo nel ’46.
Vi è da dare spessore e concretezza, alla luce dei rapporti sociali e delle culture di oggi, alla parte ordinatrice o programmatica della nostra Carta; occorre decidere finalmente se la struttura del nostro ordinamento deve essere seriamente federalistica o meno – se sì, allora va ridisegnato l’intero impianto delle Regioni, delle Autonomie locali e il loro rapporto con le amministrazioni centrali e il Parlamento; altrettanto occorre operare la scelta: pensiamo che una democrazia realmente partecipata possa realizzarsi attraverso la dissoluzione della forma-partito, o esattamente il contrario? Sono decisioni di ordine culturale, strategico.
Nessun superamento della crisi è ipotizzabile, se queste domande restano senza risposta.
E ancora: sembra funzionare la attuale balance of powers ? A me non pare affatto: la cosiddetta centralità del Parlamento “invade” sfere che dovrebbero restare autonome e organismi chiamati a controllare il suo operato (vedi Consiglio superiore della Magistratura e Corte costituzionale).
Definire con chiarezza la distinzione tra decisione politica e l’amministrazione delle funzioni e dei servizi la cui efficienza risulta decisiva per il benessere di un Paese, dalla scuola alla sanità alla giustizia, rappresenta la via maestra per uscire dal disordine attuale.
Il presidente Mattarella ha l’intelligenza e i poteri per orientare in questa direzione la fase che si apre. Che sarà “catastrofica” comunque, e cioè segnerà un radicale mutamento di stato: o verso la definitiva dissoluzione di ogni “ordine” e l’arrendersi alla decadenza del ruolo politico e culturale del nostro Paese, o davvero finalmente verso una nuova Repubblica.
Massimo Cacciari
(da “L’Espresso”)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
DUBBI SU CHI INDICARE COME PREMIER? CHIEDETE A TRAINI, SAREBBE L’IDEALE
Cambio di scena nella trattativa per il nuovo esecutivo. Il Quirinale non conferirà oggi l’incarico per il
“suo” governo neutrale.
Lega e M5s hanno chiesto al presidente della Repubblica altre 24 ore per trovare un accordo, dopo la riapertura di un canale di dialogo fra Salvini e Di Maio. I due leader si sarebbero anzi già incontrati oggi alla Camera.
Quale è la novità ? Silvio Berlusconi, inchiodato sulla linea del no al sostegno esterno dopo i veti imposti da Luigi Di Maio, starebbe prendendo comunque in considerazione l’idea di lasciar salpare l’esecutivo a due, senza il voto (per altro ininfluente) dei suoi 170 parlamentari.
Pressato com’è dai dirigenti perchè conceda una sorta di astensione o “critica benevola”, per usare una espressione cara al governatore forzista della Liguria Giovanni Toti.
“Ho parlato col presidente Berlusconi e penso si possa andare in quella direzione”, rivela l’ex direttore Mediaset a Radiouno.
È il pressing di una buona parte di Forza Italia alla Camera e al Senato del resto a spingere in quella direzione, pur di evitare le urne.
Il Cavaliere non è ancora convinto del tutto, tiene ben presente l’opzione del voto contrario, assieme a quella dell’astensione. “Non mi vogliono, ne va della mia dignità ” continua a ripetere.
Ma da giorni figure a lui molto vicine come Fedele Confalonieri – che lo ha fatto anche poche ore fa parlando all’Università Cattolica di Piacenza – gli suggeriscono di far partire comunque la barca Lega-M5S anche senza spingerla.
Evitando di trasformarsi nel capro espiatorio dello psicodramma del primo voto della storia in piena estate.
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
CHIESTE ALTRE 24 ORE PER TRATTARE IL TRADIMENTO DEL PROPRIO ELETTORATO
All’ultimo minuto utile la trattativa sembra essersi riaperta. Ed è per questo che al Quirinale sono arrivati messaggi informali dagli ambasciatori dei leader del centrodestra per chiedere “ancora un po’ di tempo”.
E una certa tolleranza rispetto al termine ultimo delle 17.00, ora in cui se non dovessero arrivare novità , Sergio Mattarella sarebbe pronto a calare il suo asso conferendo l’incarico per il governo di tregua.
Nella lunga notte di Arcore, senza alcun entusiasmo, Silvio Berlusconi ha ragionato, con più convinzione, sullo schema che porta a “non impedire” la nascita del governo Lega-M5s, pur di togliersi dalla gola il coltello delle elezioni anticipate, a luglio o settembre.
L’ipotesi, attorno a cui si ragiona, al momento e in ore in cui tutto cambia repentinamente, è quello caro a Gianni Letta, il principe della diplomazia berlusconiana.
E non è il classico “appoggio esterno”, perchè l’appoggio esterno presuppone il voto di fiducia. Però Forza Italia non si metterà neanche all’opposizione dura e pura, cosa che ormai non fa da tempo con nessun governo, perchè questo significherebbe la rottura totale dell’alleanza con la Lega nei territori e nelle regioni del Nord.
Per spiegare questa sorta di “separazione consensuale” qualcuno, nella cerchia ristretta del Cav, evoca il cosiddetto modello Monti o Letta, quando cioè Silvio Berlusconi sostenne quei governi e la Lega rimase all’opposizione senza che si compromettesse l’asse di ferro nelle regioni del Nord.
In questa trattativa, ancora in corso perchè davvero si svolge sul terreno della fantasia politica più sfrenata, ai limiti del “pasticcio” per i contrari, il via libera al governo M5s-Lega si realizzerebbe o con un voto di astensione o, più probabilmente, con un voto contrario di Forza Italia, che renderebbe plastico che quello che sta nascendo è un governo senza Berlusconi.
Si spiegano così le parole dolci di Luigi Di Maio verso il Cavaliere. Parigi, si diceva una volta, val bene una messa.
Ecco perchè l’impresentabile che fu è diventato “il meno responsabile di questa impasse” e “su di lui non ci sono veti”.
Un’operazione del genere, ovvero un governo che nasce con il via libera di Berlusconi, non si può fare con i veti, ma esaudendo la principale richiesta che arriva da Arcore, ovvero il riconoscimento che il Cavaliere è uno statista responsabile e non un appestato, a cui si chiedono i voti senza concedere l’onore.
Perchè è chiaro che, una volta che non si è impedita la nascita del governo, c’è una quotidianità da gestire. Formalmente, almeno così pare, il Cavaliere sarà all’opposizione, sostanzialmente sarà una opposizione le cui sfumature cambiano a seconda dei provvedimenti: se si dovesse fare la Flat Tax votebbe a favore, se si dovesse fare il reddito di cittadinanza contro.
Negli schemi di accordo ognuno perde e guadagna qualcosa.
C’è un motivo se fino a ieri Matteo Salvini spingeva per un appoggio esterno puro perchè “io posso presentarmi come il leader del centrodestra e non come quello solo della Lega”, ma è chiaro che il leader leghista ha un problema di forza contrattuale e il Cavaliere di dignità e ognuno deve farsi concavo e convesso. È chiaro che una soluzione del genere, che va oltre gli artifici politici e verbali della Prima Repubblica, va limata in tutti i dettagli e può saltare in ogni momento, perchè Forza Italia pare davvero un frullatore impazzito. Chi fa il premier?
Forza Italia? Non avrà formalmente ministri, ma è chiaro che un qualche uomo di fiducia nel governo lo vuole. Salvini e Di Maio formalmente staranno fuori.
E il programma? Ad Arcore i più spinti sulla linea governista hanno già in mente il comunicato da scrivere: ancora una volta Silvio Berlusconi ha dimostrato, senza fare alcun passo indietro, tutta la sua responsabilità favorendo la nascita di un governo…. Insomma, posto davanti al dilemma del diavolo tra una resa e l’estinzione alle elezioni, è al lavoro su una resa a metà per evitare l’estinzione.
Aspettando il primo barcone che sbarca a Lampedusa, quando Salvini urlerà alla cacciata degli immigrati e Di Maio dovrà farci i conti. E lui formalmente non sarà al governo… Chissà .
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL SUICIDIO POLITICO DI DI MAIO E DI BERLUSCONI: IL PRIMO FREGATO DALL’AMBIZIONE SFRENATA, IL SECONDO DALLE SUE AZIENDE DA TUTELARE, ENTRAMBI TRADITORI DEL PROPRIO ELETTORATO
E’ martedì pomeriggio, ieri, alla Camera alcuni leghisti parlano per conto di Giancarlo Giorgetti con un
paio di deputati del M5S: «Dite una buona parola su Berlusconi o almeno fate una dichiarazione in cui riconoscete la dignità di Forza Italia e dei milioni di elettori che l’hanno votata. Che vi costa? Avete già fatto tanto con il passo indietro di Di Maio. Un ultimo sforzo…».
Passano poche ore: Luigi Di Maio, questa mattina in Transatlantico: «Silvio Berlusconi? E’ meno responsabile di altri di questo stallo e del ritorno al voto”.
E “il nostro non è un veto contro di lui. Vogliamo fare un governo solo con la Lega, che preveda due forze politiche».
Esternazioni casuali? Non c’è nulla di casuale in queste ore.
I 5 Stelle hanno seguito il consiglio della Lega. Matteo Salvini sprizza ottimismo e si dice fiducioso. Qualcosa potrebbe accadere. Di certo, il Movimento ha abbassato i toni contro Berlusconi, e Di Maio prega che ad Alessandro Di Battista non venga voglia di fare un altro commento sull’ex Cavaliere.
Oggi non è più «il male assoluto», come Dibba lo ha liquidato, facendo franare quell’impossibile equilibrio sul quale si sta reggendo il negoziato con il centrodestra. Non è più il perno attorno al quale ruotava la trattativa Stato Mafia, piombata per la gioia sempre di Di Battista e degli altri grillini duri e puri nel pieno del tavolo di crisi. Oggi Berlusconi è «meno irresponsabile» degli altri, e il veto che ha pesato come un macigno su di lui per oltre 60 giorni non c’è più.
A sentire la Lega, forse ora un governo è davvero possibile. Forse ora davvero Berlusconi potrà fare quel comunicato che ieri leghisti e 5 Stelle si aspettavano. L’annuncio di un «passo indietro generazionale» «per il bene dell’Italia» e «per dare una possibilità ai giovani…».
Forse…
(da “La Stampa”)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
CON I SOLDI DELL’EUROPA FINANZIA IL 3,2% DEL PIL, POI PENALIZZA L’INDUSTRIA ITALIANA E IL GENERO INCASSA 65 MILIONI PER METTERE DEI LAMPIONI
Fubini, il vicedirettore ad personam del Corriere della Sera racconta interessanti peculiarità che ruotano attorno alla prestigiosa figura di Viktor Orbà n:
Da quando è tornato al potere nel 2010 il debito pubblico è sceso e il Paese è cresciuto, ma dietro la relativa stabilità ungherese si muove però qualcosa che interessa direttamente noi italiani in quanto finanziatori del bilancio europeo.
Noi versiamo molto più di quanto riceviamo, l’Ungheria l’opposto.
Nel 2016 Budapest ha ricevuto trasferimenti netti da Bruxelles per 3,5 miliardi di euro, il 3,2% del Pil.
Niente di male, solo solidarietà a un Paese fragile e poco importa se quest’ultimo la nega all’Italia sui rifugiati.
Ma cosa fa Orbà¡n di quei fondi? Nel suo villaggio di 1.600 anime, Felcsut, ora sorge uno stadio da 3.800 posti. Lo ha costruito un amico d’infanzia del premier, Lorinc Meszaros, passato in pochi anni da operaio a un patrimonio da 73 milioni di euro.
Nel frattempo il genero di Orbà¡n ha strappato un contratto da 65 milioni per mettere dei lampioni, sempre con fondi Ue.
Si stima che i cinque amici di sempre del premier abbiano rastrellato dal 2010 contratti per 2 miliardi.
La democrazia illiberale di Orbà¡n è anche una cleptocrazia mantenuta con i nostri soldi.
Quanto agli investimenti esteri, la ricetta è semplice: sconti fiscali ai gruppi tedeschi concorrenti di quelli italiani.
In Ungheria sui profitti del 2015 Bosch ha versato il 3,6%, Mercedes l’1,6% e Audi zero.
Hanno compensato il buco di bilancio le famiglie e i lavoratori ungheresi, con Iva e contributi da record. È intrigante che in Italia ci sia chi ammira questo modello economico.
Ma certo un vantaggio lo presenta: con amici come Orbà¡n, chi ha bisogno di nemici?
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
SI PROFILA UN TICKET CON SALVATORE ROSSI, DIRETTORE GENERALE DI BANKITALIA
Elisabetta Belloni, 60 anni, è il nome caldo per la presidenza del Consiglio del governo “neutrale” di
Sergio Mattarella. La Belloni è attualmente segretario generale della Farnesina, ovvero è il capo amministrativo dei diplomatici italiani, oltre che docente alla Luiss.
Ha lavorato al ministero degli Esteri e ha una grande esperienza diplomatica nelle cancellerie europee.
Ma quello di Belloni è un ticket, secondo la presidenza della Repubblica.
Al ministero dell’Economia potrebbe invece andare Salvatore Rossi, 69 anni, direttore generale della Banca d’Italia nell’era di Ignazio Visco, che non a caso veniva considerato un altro papabile per Palazzo Chigi ma probabilmente hanno pesato alla fine il rapporto istituzionale di Bankitalia, la difficoltà nella scelta di un nuovo governatore e i rapporti non idilliaci con le forze politiche.
Salvatore Rossi, che ha fatto parte del comitato dei saggi istituito da Napolitano nel 2013, si occuperebbe dei conti pubblici e varerebbe la finanziaria portando così serenamente al voto il paese a dicembre.
La Belloni avrebbe sorpassato nelle preferenze Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale, che avrebbe rifiutato l’ipotesi di andare a Palazzo Chigi prospettatale da Mattarella. Anche per le scarse prospettive di durata del governo “neutrale”.
Altri nomi circolati in queste ore, che potrebbero far parte del governo, sono quelli di Francesco Paolo Tronca, già commissario straordinario a Roma, Carlo Cottarelli, Lucrezia Reichlin, Anna Maria Tarantola e Enzo Moavero Milanesi.
Particolarmente accreditato continua ad essere anche il nome del presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, mentre diminuirebbero le chances dell’economista Luigi Zingales, considerato troppo vicino ai Cinquestelle e quindi poco compatibile per un governo definito neutro.
Le certezze sono poche: il premier deve avere una standing internazionale ed essere riconosciuto in Europa (il Consiglio europeo di fine giugno viene considerato cruciale); nella squadra ci devono essere competenze di gestione economica visto che l’obiettivo è scongiurare l’aumento dell’Iva grazie all’approvazione della Legge di Bilancio 2019; i componenti dell’esecutivo non devono essere politici, anche perchè il presidente gli chiederà di non essere candidati alle prossime elezioni; i profili devono essere inattaccabili dal punto di vista etico e giudiziario. Non poco, quindi.
Paletti che presuppongono una decisione difficile anche da parte di chi dovesse essere chiamato dal Colle. Si tratta infatti di un Governo a vita limitata e, probabilmente, limitatissima se i partiti lo bocceranno sul nascere. Insomma, la prospettiva eutanasica non invoglia certo a partecipare.
E in ogni caso secondo i giornali Mattarella potrebbe sciogliere le riserve e comunicare il nome che ha scelto già oggi pomeriggio alle 17.
Avrebbe potuto muoversi subito, ma a quanto pare il Quirinale sta dando l’ultima possibilità a Lega e MoVimento 5 Stelle di formare una maggioranza politica convincendo Forza Italia all’appoggio esterno. Ieri pomeriggio avevano cominciato a circolare voci sulla possibilità di un passo indietro di Berlusconi, subito smentite da un comunicato firmato dal Cavaliere in cui si diceva indisponibile.
La trattativa, però, prosegue. Anche nei capannelli di Montecitorio, dove, racconta Repubblica, il panico da imminente ritorno al voto l’ha fatta da padrona.
Berlusconi che pure preferisce il voto in autunno, confida nella “riabilitazione” per via giudiziaria, attesa dal Tribunale di Milano e dalla Corte di Strasburgo per tentare una nuova “scalata” elettorale.
Proprio in questa ottica il governo neutrale con Elisabetta Belloni presidente del Consiglio potrebbe andare in parlamento, chiedere la fiducia, non ottenerla e rimanere in carica per gli affari correnti.
A quel punto, se non ci saranno richieste in tal senso da parte dei partiti, il presidente della Repubblica firmerà il decreto di scioglimento delle camere e indirà la prima data utile per il voto, che potrebbe essere il 22 luglio.
Si voterà sotto l’ombrellone, con tutti i rischi del caso.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
“NESSUN VETO SU DI LUI, E’ IL MENO RESPONSABILE DELL’IMPASSE, SOLO CHE PREFERIAMO DIALOGARE CON LA LEGA”… MENTRE L’ALTRO ATTORE DA AVANSPETTACOLO CONTINUA A INTERPRETARE LA PARTE DI “CHI CI PROVA FINO ALL’ULTIMO”
Matteo Salvini dice che proverà a formare un governo fino all’ultimo minuto. Mentre Luigi Di Maio usa parole “dolci” per Silvio Berlusconi.
Salvini, intervistato a Circo Massimo su Radio Capital, insiste nel tentativo di formare un governo in extremis. “Confermo che ci provo fino all’ultimo – dice -. Ma nessuna pressione, nessuna voglia di dare consigli a nessuno. Ieri non ho sentito Berlusconi”. E aggiunge: “La mia posizione di oggi è quella di due mesi fa: ci sono ancora due veti incrociati, non è cambiato niente”
E dimentica che lui ha fatto altrettanto ponendo un veto al Pd.
Da Di Maio arriva subito una risposta che fa intendere tra le righe che un appoggio esterno del partito di Berlusconi a un governo con la Lega potrebbe essere accettato dal Movimento 5 stelle: “Non è un veto su Berlusconi – spiega – è una volontà di dialogare con la Lega. Punto”.
“Noi – spiega ai cronisti in Transatlantico – vogliamo fare un governo che preveda due forze politiche e non quattro. Perchè lo abbiamo visto cosa succede quando si fanno i governi a quattro o a cinque forze politiche. Abbiamo detto: andiamo avanti insieme per un governo del cambiamento. Qual è il veto? Nessuno”.
“Stamattina c’è la nostra riunione per la raccolta fondi – spiega Di Maio – domani sono in partenza, siamo già in campagna elettorale. Se ci dovessero essere novità bisogna innanzitutto informare il Quirinale, perchè abbiamo già attentato troppo alla pazienza del Presidente della Repubblica, altrimenti si torna al voto”, ribadisce il capo politico dei 5 Stelle tornando sull’ipotesi di modificare “la legge Tremaglia, così andiamo alle urne prima senza attendere il 22 luglio”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
SONO ACCUSATI DI ESSERE I PRESTANOME DEI CLAN CONTINI E SARNO
A conclusione di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia il Centro Operativo della
Dia diretto dal vice questore Giuseppe Linares sta eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Napoli nei confronti di tre fratelli residenti in Posillipo, noti imprenditori nel settore della commercializzazione e distribuzione di giocattoli in ambito nazionale, con interessi anche nel settore delle agenzie di scommesse, della ristorazione e in un noto locale pubblico presso il quale vengono organizzate serate danzanti ed eventi musicali.
La misura cautelare riguarda anche le mogli di due degli imprenditori e un terzo indagato, ritenuto prestanome. Gli arrestati sono gravemente indiziati di intestazione fittizia di beni con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare le attività dei clan camorristici Contini e Sarno.
E’ in corso il sequestro di numerose attività commerciali, in particolare depositi e negozi per la commercializzazione e distribuzione di giocattoli (la New Toys) a Napoli, in provincia e nel casertano, un bar-ristorante in zona Chiaia, il “Sand-Sandwiches bar and more”, un’agenzia di scommesse in piazza Mercato, la Esplorabetting, e una nota discoteca nella zona di Coroglio, la “Club Partenopeo”.
Spiegano gli investigatori: “Si tratta di una delle più note di Napoli, teatro di eventi di risonanza nazionale, da ultimo la festa recentemente organizzata dal portiere della squadra del Napoli, Pepe Reina, in occasione del suo saluto alla società “.
L’ordinanza di custodia cautelare riguarda i fratelli Gabriele, Giuseppe e Francesco Esposito; Teresa Esposito moglie di Gabriele, Carmela Russo moglie di Giuseppe e Diego La Monica.
I fratelli Esposito, noti imprenditori nel settore della commercializzazione e distribuzione dei giocattoli, sono legati da rapporti di parentela con i fratelli Bruno, Mario e Vincenzo Palazzo, quest’ultimo reggente del clan Sarno in zona piazza Mercato, ma hanno anche rapporti con Ettore Bosti, reggente del clan Contini.
“I fratelli Esposito — spiegano ancora gli investigatori – grazie al loro elevato tenore di vita, frequentavano assiduamente calciatori della squadra del Napoli, nonchè soggetti legati alla criminalità organizzata, con i quali non solo condividevano il tempo libero organizzando scommesse su partite di calcio, viaggi e serate nei più noti locali di Napoli venendo in contatto anche con gente del mondo dello spettacolo, ma dalla cui amicizia traevano anche benefici”.
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2018 Riccardo Fucile
SI MOLTIPLICANO I COMITATI PER SPOSTARE GLI STABILIMENTI PERICOLOSI… IN AUMENTO GLI INCIDENTI NELLO STOCCAGGIO DEI RIFIUTI, POCHI I CONTROLLI
L’appuntamento è all’uscita dell’autostrada di Ravenna, sormontata da due grandi cisterne che ricordano la vocazione industriale dell’area.
Da una parte la città della tomba di Dante, dall’altra, sul Canale Candiano, il porto e il petrolchimico. Andrea, 54 anni, ricorda l’incidente in cui, a dicembre, ha perso la vita un amico e collega, in una fabbrica nella vicina Faenza.
«Stava lavorando – racconta – per conto di una ditta esterna su un cestello sospeso, attaccato a una gru: il braccio meccanico ha ceduto, lui è morto a 45 anni, il ragazzo dell’alternanza scuola-lavoro insieme a lui, 18, è rimasto gravemente ferito».
Questo per sottolineare che «il problema più grave, per la sicurezza, è il circuito degli appalti e dei subappalti, dei lavoratori che lavorano in contesti che non conoscono bene, spesso senza l’adeguata preparazione. Quando sei al lavoro, è a queste persone che guardi con ansia e con preoccupazione».
La minaccia degli impianti
Obiettivo puntato su Ravenna perchè, secondo le classifiche dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, è questa città di 170 mila abitanti in Romagna che detiene il record di fabbriche a rischio di incidente rilevante in tutta Italia. Ravenna simbolo dell’Italia che convive con impianti necessari quanto minacciosi. L’Italia, dove ancora troppo spesso si muore sul posto di lavoro, com’è accaduto a Lorenzo Mazzoni e Nunzio Viola per un’esplosione in un serbatoio nel porto industriale di Livorno alla fine di marzo.
Nel giorno di Pasqua, in seguito alla deflagrazione di un serbatoio-essiccatoio di farine alimentari per animali, altri due morti a Treviglio nel bergamasco. Si chiamavano Giuseppe Legnani e Giambattista Gatti.
A Ravenna, ci illustra Davide Gentilini dell’ufficio studi Cgil, «ci sono undici maxi serbatoi di sostanze a rischio che, se ci fosse un grave incidente, sarebbero potenzialmente catastrofici non solo per i lavoratori, ma per l’intera comunità ». Questa la premessa: «La realtà , però, è che si tratta di impianti super controllati, con prescrizioni severissime, e il pericolo è realmente sotto controllo».
Morale, anche per lui: «Il problema, semmai, sono le ditte esterne: l’ultimo incidente grave ha coinvolto un operaio che ha tagliato un tubo nel quale scorreva un materiale esplosivo». Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra, offre una visione realistica della situazione: «Da quello che stiamo vedendo, gli impianti ad alto rischio sono quelli che poi danno in casi rari gravi problemi, dovendo sottostare a rigidissimi controlli. Invece gli impianti potenzialmente meno pericolosi, quelli in “autorizzazione semplificata”, come per esempio lo stoccaggio dei rifiuti, rischiano di essere i più pericolosi perchè o mal gestiti o subendo comunque controlli molto più radi: è paradossale ma è così. Faccio un esempio: i quattro morti di Adria nel 2014 sono stati vittime di un incidente in un impianto di stoccaggio di fanghi: non particolarmente pericoloso, ma se non vengono prese precauzioni lo diventa».
Qui si arriva al punto più importante. La chiave di volta della situazione della sicurezza in Italia: «Siamo facendo – ammette Bratti – una riflessione, la modalità di verifica e di controllo va registrata. Noi teniamo sotto controllo in maniera molto precisa gli impianti potenzialmente molto pericolosi, ma quelli che lo sono di meno si tende a controllarli di rado e spesso le situazioni più drammatiche accadono qui». Interrogativo conseguente: c’è personale a sufficienza?
«È una situazione articolata. È vero che in alcuni casi il personale può essere carente, ma spesso gli organismi di controllo non sono organizzati in maniera da ottimizzare le verifiche. Se tutti andiamo a controllare 3 volte in un anno lo stesso impianto e un altro non viene verificato per dieci, bisogna riorganizzarsi».
Conclusione. «Ci vogliono maggiori sinergie tra vari enti: noi stessi, le Arpa, le Asl, la Forestale, i Noe. Negli ultimi tempi abbiamo sottoscritto un protocollo con i carabinieri, proprio per superare certe duplicazioni».
Proteste contro i siti
Ravenna è il secondo Comune, come estensione territoriale, di tutta Italia, subito dopo la Capitale. Porto e petrolchimico danno lavoro a decine di migliaia di persone. Non sono vicine alla città , sono distanti 7 chilometri dal centro e questo ha attenuato l’effetto di paura incombente.
Anche se i quartieri di servizio nati per gli operai si sono ormai saldati alla città e anche qui i comitati iniziano a parlare di delocalizzazione delle lavorazioni più pericolose. È una storia che inizia nel 1958, con lo stabilimento dell’Anic.
L’Eni di Enrico Mattei aveva deciso di fare qui la sua base per le spedizioni in Africa e Medio oriente dopo la scoperta di grandi giacimenti di metano, sponsor un leader politico della caratura di Benigno Zaccagnini. Poi è arrivata la crisi del petrolio degli anni 70, il tentativo di ripresa targato nel 1987 Raul Gardini-Ferruzzi-Montedison. E la sicurezza?
Racconta oggi il sindaco Michele De Pascale: «Ravenna ha avuto la strage della Mecnavi, l’incidente più grave della storia del porto. Tutti gli anni la ricordiamo con una cerimonia in piazza: per noi è un monito molto forte».
Era il 13 marzo 1987 a bordo della motonave Elisabetta Montanari: durante le operazioni di manutenzione straordinaria scoppiò un incendio nella stiva: le esalazioni causarono la morte di 13 operai: «Morirono in maniera tragica, lavorando in condizioni disumane, molti di loro in nero: da allora è cambiata la politica della sicurezza sul lavoro in città ».
C’era stato un altro precedente, lontano nel tempo. Questa è la storia del Paguro, una piattaforma dell’Agip al largo di Ravenna che il 29 settembre del 1965 si inabissò in una nuvola di fuoco dopo esser stata consumata per un giorno altissimo da fiamme alte decine di metri. Morirono in tre, ma questo è un disastro ormai dimenticato. Spiega il sindaco: «Si è lavorato moltissimo, con una serie di protocolli insieme alla prefettura che impegnano le imprese a livelli di sicurezza più alti di quelli previsti dalla legge. Ultimamente abbiamo autorizzato un nuovo impianto di Gnl, gas naturale liquefatto, e abbiamo avuto modo di saggiare lo scrupolo con cui le autorizzazioni vengono rilasciate senza la minima faciloneria». La realtà : «È tragico dirlo, siamo però nel campo della riduzione del rischio, di farlo tendere a zero, ma allo zero totale non si può arrivare».
A Genova la situazione è diversa. Genova non ha un porto, come Ravenna: Genova è un porto. Impianti, polemiche e paure si incrociano fra mare e monti, da decenni, nei quartieri del Ponente e della vallata interna, la Valpolcevera, che hanno pagato il prezzo più alto allo sviluppo industriale, fatto anche di attività inquinanti o potenzialmente inquinanti, e potenzialmente pericolose in mezzo alle case.
L’allerta in mezzo alle case
Le cronache di questa convivenza difficile hanno riempito pagine e racconti negli ultimi trent’anni, mentre il dibattito sulla necessità di allontanare dalle case almeno alcune delle attività considerate meno compatibili, come i depositi chimici costieri di Carmagnani e Superba, a Genova Multedo, si riapre ciclicamente ad ogni cambio di amministrazione comunale, senza che, però, finora nulla si sia mosso. Oggi nell’area della città metropolitana di Genova si contano ben 15 impianti a rischio di incidente rilevante, con differenti gradi di potenziale pericolosità , e 12 di questi sono nel comune capoluogo, tutti o quasi a distanza ravvicinata da abitazioni e da altre attività urbane. Si tratta per lo più di depositi di prodotti chimici e petroliferi, che arrivano a Genova via mare e ripartono con moto o ferrocisterne o in oleodotti che attraversano una parte della città , interrati o negli alvei di torrenti. Gli incidenti gravi appartengono al passato.
Nel 1981 l’esplosione della petroliera giapponese Hakuyou Maru nel porto petroli di Multedo provocò 6 morti e 12 feriti; nel 1987 furono 4, invece, le vittime dell’esplosione nel deposito petrolchimico della Carmagnani, sempre a Multedo, mentre nel 1991 l’esplosione della petroliera Haven, al largo del porto petroli, provocò 5 vittime.
Paura e danni ambientali, ma nessuna vittima, per il violento incendio esploso nella raffineria Iplom di Busalla (comune nell’entroterra di Genova) nel 2008. Poi, nell’aprile 2016, la rottura di un oleodotto della stessa Iplom, a Genova Fegino, provocò lo sversamento di 680 metri cubi di greggio nei torrenti e nel mare. Proprio a Fegino, a due anni dall’incidente, gli abitanti aspettano ancora un intervento di bonifica, che – per un intreccio di motivi e competenze – non si sa se arriverà .
«Qui non è cambiato niente – denuncia Antonella Marras, del Comitato di Borzoli Fegino – Quando piove tanto nel torrente riaffiorano tracce di idrocarburi e si sente anche la puzza… Rilanceremo al nuovo Parlamento la petizione, perchè la legge Seveso sia applicata anche agli oleodotti».
Trasferimento dei depositi
Ad accendere il dibattito in città , negli ultimi mesi, è soprattutto la questione del trasferimento dei depositi di Carmagnani e Superba da Multedo.
Il 7 aprile un migliaio di persone sono scese in piazza a Cornigliano, sempre nel ponente genovese, per protestare contro l’ipotesi di trasferimento in una parte delle aree ex Ilva, lasciate libere dalle acciaierie. «Basta servitù, Cornigliano vuole vivere», lo slogan simbolo della manifestazione.
Cornigliano è, infatti, un’ipotesi all’esame dei governi di centrodestra in Comune e Regione, anche se divide lo stesso centrodestra. «Penso che saremo la prima amministrazione a trovare una soluzione al trasferimento di Carmagnani e Superba» aveva detto ottimisticamente il sindaco Marco Bucci qualche mese fa. «Secondo me non verranno mai trasferite, perchè non c’è la volontà politica di farlo» il commento di Renato Cassini, da poco in pensione dopo aver lavorato vent’anni alla Carmagnani dove è stato anche delegato sindacale Cgil.
«Dopo l’incidente del 1987 ci sono stati cambiamenti enormi nell’ azienda – racconta – La soglia di rischio per i lavoratori e per chi sta intorno ai depositi si è abbassata moltissimo. Le paure dei cittadini non sono più giustificate, ma purtroppo è la politica che aizza la popolazione».
Ma quella di Cornigliano è solo l’ultima di una serie di ipotesi che si susseguono dall’inizio degli anni ’90, in nome della necessità – da tutti proclamata – di allontanare i depositi dall’abitato di Multedo, dove i cittadini, agguerriti e speranzosi allora in una riqualificazione, sono diventati via via più disincantati.
«Il ponente ad alto rischio ambientale è stato lasciato ai poteri forti», dice Antonio Bruno, ambientalista del ponente, ex consigliere comunale. Carmagnani e Superba, dove lavorano una novantina di persone, per ora aspettano, ventilando ogni tanto la possibilità di lasciare Genova se non avranno certezze sul loro futuro. Ma, dopo l’accantonamento della localizzazione che era stata ipotizzata dalle passate amministrazioni e che avevano condiviso, ribadiscono che è urgente decidere. «Devono restare a Genova, non possiamo perdere altri posti di lavoro – sostiene Ivano Bosco, segretario della Camera del Lavoro di Genova – La localizzazione va decisa dalle istituzioni, ma purtroppo si avverte la mancanza della politica». Che ad ogni cambio di amministrazione promette e divide, finora senza trovare soluzioni.
Il cloro senza le bonifiche
A Venezia, invece. le industrie e il porto non sono in città . Le vedi dall’altra parte del Ponte della Libertà . È una storia portuale e industriale che compie esattamente cent’anni e qui le distanze sono più brevi: un chilometro al massimo e in mezzo c’è il mare. Ma per capire che cosa vuol dire lavorare in un impianto a rischio, bisogna parlare con chi ha qualche anno di più. Antonio Rossi ne ha 65 e ricorda: «Un tempo era un incubo, si operava in situazioni pericolosissime e ogni giorno ti facevi il segno della croce sperando di tornare a casa».
Oggi molte cose sono cambiate: «I giovani non immaginano neanche cosa li ha preceduti. Ma sempre, quando si verificano situazioni di emergenza, la paura ti accompagna: il rischio zero non esiste».
La delocalizzazione a Venezia ha seguito altre logiche: «Alcune lavorazioni come quelle degli acetici e degli acetilenici – ci racconta Riccardo Colletti, segretario dei chimici della Cgil nel palazzotto a vetri di Mestre – sono state abbandonate perchè troppo pericolose. Quelle più recenti sono state collocate sempre più indietro rispetto al fronte del mare, sempre più lontane dalla città ». Rilancia sulle imprese di Marghera il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che non fa retromarcia e invece vuole premere sull’acceleratore: «Dopo gli anni della crisi, magari arrivassero ancora più aziende». Qual è stata la situazione negli ultimi anni?
«Abbiamo sempre avuto il problema delle bonifiche del ciclo del cloro, che è stato chiuso. Per il resto, c’è un’esperienza centenaria che ci mette al sicuro dagli incidenti. Noi dobbiamo aver paura del fai da te, delle imprese industriali improvvisate che non hanno aggiornato gli stabilimenti e li hanno spremuti, delle produzioni che ormai erano antistoriche. Quelle sono state eliminate, concentrare tutto in una zona super attrezzata come Marghera è una buona politica industriale».
La sua conclusione: «L’Italia deve credere di più in un’industria che dia ovviamente totale sicurezza».
(da “La Stampa”)
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