Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO UNO ENTRA CON SEI RIGHE SCRITTE DA ROCCO CASALINO E NE ESCE CON ALTRE QUINDICI DETTATE DAL QUIRINALE LA DICE LUNGA SUL LIVELLO AUTONOMO DEL PREMIER
Il professore alla fine ha superato l’esame di Sergio Mattarella. Ma il capo dello Stato, prima, gli ha
corretto il compito. Qualche errore “segnato” in blu, qualcun altro più “grave” sottolineato in rosso.
Giuseppe Conte ha ricevuto l’incarico di formare il governo però il discorso con il quale si era presentato al Quirinale è stato rivisto e riscritto in alcuni passaggi quasi “sotto dettatura” insieme al presidente della Repubblica.
Uno sopra tutti gli altri: “le difficoltà dell’economia” e “il pareggio di bilancio sancito in Costituzione”, secondo i vincoli europei.
Per non far saltare il banco dei conti pubblici con ricette senza coperture finanziarie. Ovvero Mattarella mette le mani avanti rispetto a ministri dell’Economia lanciati sulla strada del deficit, alla Paolo Savona, che la Lega soprattutto vuole a tutti i costi nel governo e che rischia di scatenare un nuovo braccio di ferro. Il premier incaricato, nel suo discorso, ha fatto propria l’indicazione e nel colloquio sui conti rassicura e promette attenzione massima.
Così il testo con il quale era salito alle cinque e mezzo del pomeriggio è diventato qualcos’altro quando, alle sette e mezzo, il giurista si è presentato nella Loggia d’Onore per accettare il mandato con riserva. Ecco spiegato il più lungo colloquio al Quirinale nella storia degli incaricati premier, quasi due ore.
“Incontro molto cordiale”, fa sapere il Colle, servito anche “per conoscersi e parlare della situazione” del paese. Ma dedicato in buona parte a rimettere a posto alcune questioni e circoscrivere un perimetro all’interno del quale dovrà muoversi il premier designato.
Come la faccenda dei poteri del premier, che ha rischiato di far naufragare la triangolazione Quirinale-M5S-Lega, ovvero “il ruolo che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio” come ha ricordato con fermezza il capo dello Stato a Conte. Che infatti ne ha espressamente parlato poi davanti ai giornalisti. Come sul capitolo economia, con “la necessità di garantire agli italiani sicurezza finanziaria e all’Italia la fiducia dei mercati”.
I primi segnali dell’avvento giallo-verde, con lo spread che torna a salire, infatti a Mattarella sono apparsi preoccupanti.
Ecco perciò “la necessità di rispettare i principi della Costituzione, compreso l’articolo 81 sui vincoli di bilancio”.
Pareggio fra entrate e uscite, e la copertura delle nuove leggi: i nuovi provvedimenti previsti dal governo nascente dovranno garantire entrambi. Il premier assicura che così sarà . Il testo con il quale si è presentato viene sistemato anche su questi passaggi nello Studio alla Vetrata. Negli avverbi e nella scelta dei verbi.
Come salta fuori anche un piccolo lapsus di Conte, che parla di impegnare a fondo il suo governo “per tutelare” gli interessi nazionali, e poi subito si corregge con un “per riflettere”.
Ma il principio che l’Italia non sarà fuori dagli accordi Ue e da quelli globali viene sancito e ribadito.
Il premier, del resto, ha lasciato nero su bianco alcuni principi-chiave concordati con Di Maio e Salvini. Il governo del cambiamento che in Parlamento porterà “il contratto” fra 5Stelle e Lega, così come “l’avvocato del popolo” restano bandiere irrinunciabili.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
IL QUIRINALE ACCETTA PREMIER UN SOGGETTO CHE IN ALTRI PAESI NON SAREBBE PIU’ USCITO DI CASA DALLA VERGOGNA… STRADA IN DISCESA SUI MINISTRI, INCLUSO SAVONA
L’esame, severo e scrupoloso, annunciato alla vigilia, densa di imbarazzi sul curriculum professionale e di dubbi su quello politico, si è risolto senza tanti problemi con l’incarico pieno affidato al Professor Conte.
L'”avvocato del popolo”, di fronte al capo dello Stato, non ha dovuto sostenere l’improba fatica di dare spiegazioni e chiarimenti sul suo rigore morale.
Il lungo colloquio col capo dello Stato è servito soprattutto, oltre che a conoscersi, a mettere a punto quel comunicato, letto alla Vetrata, dove anche a un osservatore inesperto non sfuggirebbero le due mani, con cui è stato scritto, evidentemente diverse anche nello stile.
La prima parte, cara al Quirinale, di fedeltà europeista e di “conferma della collocazione internazionale dell’Italia”.
La seconda, preparata dallo staff pentastellato prima della sua salita al Colle, sul “governo del cambiamento”, “l’avvocato del popolo”, il “rispetto del contratto”.
Due parti, due penne che, per ora, non fanno una sintesi, lasciando nell’ambiguità quelle questioni sostanziali che, nelle scorse settimane, il capo dello Stato aveva sollevato nei suoi discorsi pubblici a Fiesole e Dogliani.
Perchè, alla Vetrata, non viene chiarito cosa si intenda per difesa dell'”interesse nazionale” proprio in relazione al prossimo negoziato europeo o, per dirne un’altra, quali siano le “alleanze opportune”, sempre in Europa, per realizzarlo.
La verità è che il capo dello Stato, rispetto agli auspici delle scorse settimane, si è trovato a confrontarsi con la durezza di una trattativa di tipo nuovo, lontana da quell’antica grammatica e da quel desueto galateo istituzionale di cui Mattarella è sapiente interprete.
Parliamoci chiaro: il capo dello Stato è stato posto di fronte a un bivio, col rude linguaggio della forza e con le maniere brusche che caratterizzano questa nuova epoca di linguaggi estremi.
Ecco il bivio: o questo assetto proposto dai partiti o il ritorno al voto, con Salvini, Di Battista, e gli altri pronti a scaricare sul Quirinale la responsabilità di non aver fatto nascere un governo.
È questo il senso delle dichiarazioni del leader della Lega, o l’invito alla mobilitazione del pasionario pentastellato, fatto uscire ad arte di buon mattino mentre il capo dello Stato era riunito con i suoi consiglieri, per ragionare sul che fare.
Riunione che si svolta in una situazione oggettivamente tesa, con la stampa di mezzo mondo che ha accolto la vicenda del curriculum di conte come un’Italica barzelletta, Piazza Affari che apre come la peggiore d’Europa, lo spread oltre 190.
Che cosa avrebbe potuto fare Mattarella? È questa la domanda al centro delle riflessioni odierne.
Avrebbe potuto far valere le sue prerogative, e dire al paese, esternando dubbi e perplessità fatti filtrare nelle scorse settimane: in questi settanta giorni ho favorito, con rispetto e pazienza, che si sviluppasse il dibattito tra le forse politiche, esplorando ogni soluzione possibile e favorendo ogni intesa possibile, ma mi è stato indicato un nome inaccettabile non per i pettegolezzi, ma perchè è un profilo che non corrisponde a quanto richiesto dalla Costituzione perchè la Costituzione richiede non un esecutore di un contratto extraparlamentare, ma un responsabile, sulla base di un programma votato dal Parlamento, del governo, della sua maggioranza, della collegialità dei ministri; l’ho spiegato alle forze politiche, nell’intento di fare un governo forte agli occhi dell’Italia e del mondo, ma non mi hanno ascoltato e dunque propongo un altro nome. Anche rivolgendosi allo stesso perimetro Lega-Cinque Stelle, consapevole del rischio che avrebbero potuto bocciarlo, ma scaricando la responsabilità sulle forze politiche.
Oppure, come avvenuto, poteva far prevale la convinzione che, comunque, era meglio far nascere un governo perchè il ritorno al voto sarebbe una iattura e non risolverebbe nulla.
È chiaro che ha prevalso questo ragionamento accompagnato dalla fiducia di un metodo, diciamo così, “maieutico”: la convinzione cioè che il processo di istituzionalizzazione dell’anti-establishment possa produrre una maturazione, nell’approccio con l’Europa e sul tema dei conti pubblici, rispetto all’euforia del contratto.
E che di questa maturazione possa essere garante il professor Conte, una volta avvolto dalla “responsabilità ” quirinalizia. Un po’ come oggi, quando è arrivato con sei righe scritte da Rocco Casalino e uscito con una quindicina di righe scritte dallo staff del Quirinale ossequiose delle istituzioni e rispettose della fedeltà europeista.
Questo metodo maieutico, è questo l’auspicio, dovrà trovare una prossima tappa nella discussione sui ministri, quando si parlerà della casella dell’Economia, dove restano immutate le perplessità del Colle su Paolo Savona.
O forse, come prevedono i muscolari negoziatori dei partiti, anche quel nome “passerà “: in fondo, il responsabile dell’equilibrio è il presidente del Consiglio incaricato. Gli è stato già riconosciuto oggi. Gli potrà essere riconosciuto anche domani.
E spetterà a lui essere avvocato del popolo e, al tempo stesso, avvocato delle ragioni del Quirinale rispetto ai firmatari del contratto e magari anche rispetto al futuro inquilino di via XX Settembre.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
IL CAPO DELL’IFO FUEST CHIEDE ALLA BCE DI VERIFICARE SE COMPRARE I BOND ITALIANI: “L’ITALIA RISCHIA DI DOVER LASCIARE L’EURO”… PERCHE’ PRESTARE ANCORA SOLDI A CHI MINACCIA DI NON RESTITUIRLI?
Nel contratto di governo della Lega e del Movimento 5 Stelle è contenuto un forte rischio per gli
italiani: il Paese potrebbe finire in una crisi del debito senza precedenti, che alla fine renderebbe di fatto inevitabile la sua uscita dall’euro.
L’allarme arriva da Clemens Fuest, presidente dell’istituto economico Ifo di Monaco, un osservatorio da sempre severo sul Sudeuropa, ritenuto punto di riferimento nel paese di Angela Merkel.
Ed è lo stesso economista ad aver chiesto alla Bce di “verificare se si possano ancora acquistare bond italiani”.
Se gli si fa notare che il governo non è ancora neppure stato nominato, la risposta è che i piani annunciati lasciano già prevedere che i titoli potrebbero non esser ripagati.
“Bisogna aspettare per vedere come il governo voglia concretizzare il suoi piani. Se il deficit statale salirà al 4-5%, il governo correrà un forte rischio. Sulle cui conseguenze si può solo speculare”, ha affermato Fuest in un’intervista all’ANSA, proponendo il suo scenario.
“Questo potrebbe infatti comportare un consistente aumento dei premi di rischio sui bond italiani. Anche le condizioni di rifinanziamento delle banche peggiorerebbero. Una situazione che probabilmente neutralizzerebbe gli impulsi congiunturali positivi della politica di bilancio espansiva. L’Italia a questo punto finirebbe in una crisi finanziaria a causa del forte aumento del debito statale – va avanti l’economista -. La fiducia nella stabilità dell’eurozona sui mercati finanziari si ridurrebbe. La Bce finirebbe sotto pressione politica affinchè compri più titoli di Stato italiani. Questa avrebbe però il problema che un’azione del genere contribuirebbe alla violazione dei trattati europei”.
Ecco perchè, la conclusione, “il governo rischia con il suo corso che l’Italia debba lasciare l’euro”.
Nonostante l’esecutivo non sia ancora in piedi, Fuest non ridimensiona l’allarme lanciato stamani alla Bce, e sul perchè di tanta fretta risponde: “Poichè il nuovo governo ha spiegato che non intende attenersi alle regole europee sulla solidità delle finanze statali, e vuole emettere una specie di valuta parallela (mini-bot), la Bce deve prevedere che il corso dei titoli cadrà e che magari addirittura i titoli non saranno ripagati. Le perdite dovrebbe assumerle la Banca d’Italia, ma non è chiaro se la Banca centrale italiana abbia a disposizione abbastanza capitale per questo. Se il governo in Italia ritratterà in modo credibile i suoi piani la Bce potrà riprendere gli acquisti”.
Fuest ritiene che in questa fase serva nettezza: “Gli altri Stati europei dovrebbero cercare il dialogo con il nuovo governo, ma chiarire che l’Italia potrà scegliere se vorrà rispettare le regole comuni, oppure lasciare l’euro”.
Sulle previsioni di spesa immaginate nel contratto del Paese che invoca il cambiamento, Fuest non vede margini: “L’Italia non ha spazio di manovra per nuovi debiti, perchè il debito pubblico è troppo alto”. Roma dovrebbe invece “ridurre le spese del consumo e alzare gli investimenti pubblici”.
Provocandolo su una riflessione sugli svantaggi che l’euro ha provocato al paese, reagisce: “In molti paesi si fanno dell’Ue e dell’euro capri espiatori dei demeriti delle politiche economiche nazionali.Tutti possiamo trarre vantaggio, invece, dalla moneta unica, se i soldi del budget vengono usati in modo intelligente: più investimenti comuni per infrastrutture, apparecchiature militari, ricerca e sviluppo. I problemi economici italiani sono in gran parte casalinghi, e devono essere risolti in Italia”.
“Se l’Italia esce dall’euro – avverte – si inaspriranno soltanto, anche se la svalutazione nel breve periodo promette un alleggerimento”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
“MOTIVI ESCLUSIVAMENTE PERSONALI”, MA NESSUNO CI CREDE… SE L’AVESSERO NOMINATO MINISTRO DELLA DIFESA LO AVREBBE FATTO LO STESSO?
“Mi sono dimesso da parlamentare. Me ne vado con grande dispiacere, come ho scritto nella lettera che dieci giorni fa ho inviato al presidente della Camera”.
Lo ha affermato il deputato di Fdi, Guido Crosetto.
«La mia decisione — ha precisato Crosetto — è dovuta a motivi personali e non di dissenso sulla linea politica. Mi dispiace perchè avrei voluto partecipare e impegnarmi in prima persona in questa fase politica che ritengo sarà molto interessante e importante per il Paese».
Crosetto ha annunciato le dimissioni anche sui Social.
«Oggi — ha scritto in un post su Facebook — ho annunciato di aver rassegnato, la scorsa settimana, le dimissioni da parlamentare. Al fine di evitare inesistenti interpretazioni politiche o retroscena fantasiosi, ribadisco che è una scelta dovuta a motivi esclusivamente personali».
Crosetto era stato candidato da Fratelli dì’Italia in Piemonte e in Lombardia e alla fine era risultato eletto nel collegio plurinominale Lombardia 3.
Nato a Cuneo nel 1963, dal 2014 è presidente dell’Aiad, la federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza.
In precedenza è stato coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, di cui è stato uno dei fondatori nel gennaio 2013.
Deputato dal 2001 al 2013 (Forza Italia, Pdl). Candidato e non eletto alle politiche 2013, alla presidenza della Regione Piemonte nel 2014 e alle Europee 2014. È stato sottosegretario alla Difesa nel quarto governo Berlusconi (2008-2011).
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
“SE AVESSE FATTO UNA SEMPLICE RICERCA IN BIBLIOTECA SAREBBE STATO SCORRETTO MENZIONARLA NEL CURRICULUM”
«L’università Sorbona non può confermare la presenza di Giuseppe Conte nel 2000», dice il
responsabile del servizio stampa dell’università Sorbonne-Paris I, Gwenael Cuny.
Dopo attente verifiche, non esistono tracce di corsi seguiti o di scambi con docenti.
Anche l’ipotesi che Conte abbia frequentato durante l’estate 2000 la biblioteca Cujas, specializzata in diritto, è indimostrabile perchè i registri delle entrate e delle uscite vengono conservati solo un anno, in base alla legge francese.
E poi il semplice fatto di frequentare una biblioteca non ha un’importanza accademica tale da prenderne nota, è irrilevante. «Possiamo solo confermare che durante l’estate 2000 la biblioteca Cujas era aperta», il che è un po’ poco.
Ma anche quando il professor Conte avesse effettivamente frequentato la biblioteca, non ci sarebbe ragione di menzionare la Sorbona nel curriculum.
«Per essere totalmente trasparenti – aggiunge Cuny – andare alla biblioteca d’estate non è un passaggio alla biblioteca Sorbona. E anche fare delle ricerche saltuarie non giustificherebbe di menzionare la Sorbona in un curriculum».
L’ipotesi che viene evocata apertamente è «curriculum gonfiato»
Conte ha anche sostenuto di essere membro della Association Henri Capitant des amis de la culture juridique franà§aise, ma non precisa che chiunque può aderire all’associazione, pagando.
Il prof infine, si qualifica come membro della Commissione cultura di Confindustria, ma in realtà il ruolo è cessato nel 2012.
Di sicuro tutto questo non sconvolgerà Luigi Di Maio che nel suo cv si dichiara «studente» nonostante abbia superato i trent’anni, età in cui o si passa alla categoria di studioso o è meglio definirsi ripetente.
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
NEL CURRICULUM CONTE AVEVA SOSTENUTO DI AVER APERTO CON IL PROF. ALPA IL NUOVO STUDIO LEGALE… IN REALTA’ ERA UN SEMPLICE COLLABORATORE
Nel curriculum di Giuseppe Conte c’è ancora qualcosa che non torna.
Si tratta dello studio legale Alpa, uno dei più prestigiosi di Roma.
Il candidato premier del governo giallorosso, nota il Foglio, sostiene di “aver aperto dal 2002 con il prof. avvocato Guido Alpa un nuovo studio legale, ma lo studio lo smentisce e rimuove il nome di Conte dal sito.
Si legge infatti sul sito della Camera che pubblica il suo cv ufficiale: “Dal 2002 ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, al diritto societario e fallimentare”.
Ma, secondo quanto riferisce al Foglio lo studio legale Alpa, “questo non è uno studio di associati”.
Alpa ha avuto per molti anni come socio storico Tomaso Galletto (studio legale Alpa-Galletto), ma “nel 2012 i due partners dello Studio hanno deciso di porre fine alla associazione professionale e di proseguire l’attività singolarmente in reciproca autonomia”.
Conte, insomma, era un semplice collaboratore.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
E IL VIGILE: “SE VOLETE ANDARE AL MANICOMIO VI ACCOMPAGNO IO”
Pronti via e già si torna ai box. Giuseppe Conte, il supercandidato a premier di Di Maio e Salvini ha
subito bucato, colpa del suo curriculum, in cui sono contenute più balle che verità .
Un millantatore, insomma, dall’ego smisurato e incontrollato, dovrebbe prendere in mano il Paese.
Le battute si sprecano: Conte per un giorno, il falso Conte, il Conte non torna. E mezzo mondo giù a ridere – basta dare uno sguardo ai siti dei più importanti quotidiani europei e americani – di questi dilettanti allo sbaraglio che si atteggiano a statistiMani di falsari che stanno provocando grande imbarazzo anche al presidente della Repubblica
Un candidato premier (Giuseppe Conte) falsario, un candidato ministro del Lavoro (Di Maio) che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, un candidato ministro degli Interni (Salvini) che voleva abolire le prefetture (cioè se stesso), un ministro dell’Economia che non si trova, una candidata ministra delle Infrastrutture (la No Tav Laura Castelli) contraria alle grandi opere, un avvocato fallito (Alfonso Bonafede) candidato ministro della Giustizia.
Ma si può? Ma per quanto ancora deve continuare questa ridicola farsa? «
Siamo pronti», continuano a ripetere Di Maio e Salvini che ogni giorno di più assomigliano a Totò e Peppino nella memorabile scena in piazza Duomo a Milano nel film della Malafemmina: «Noio volevam… volevam savoir – chiedono a un esterrefatto vigile – dove dobbiamo andare per andare dove dobbiamo andare». Ricordate la risposta del vigile? «Se volete andare al manicomio vi accompagno io», frase che immaginiamo Mattarella ripeterebbe volentieri se solo il protocollo glielo permettesse.
Spettacolo puro.
(da “il Giornale”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO CHE UN PAIO DI CARTOLINE SMARRITE, GLI IMPORTI EVASI COPRONO 11 ANNI… MANCATI VERSAMENTI DI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI E DI MATERNITA’, IRPEF, IRAP, IVA, INAIL, CONTRAVVENZIONI DEL COMUNE DI ROMA
Nuovi dettagli emergono dalle carte dell’Agenzia delle Entrate su Giuseppe Conte. Dai documenti che Libero ha potuto vedere risultano due ipoteche da parte di Equitalia sull’appartamento di proprietà del presidente del Consiglio in pectore, 130 metri quadri coperti in via Giulia, nel cuore della Capitale.
Si tratta di due ipoteche relative a tasse non versate pari a 26mila euro del 2009 e 24mila nel 2011.
Molto più che un paio di cartoline smarrite, come ha dichiarato il commercialista di Conte, Gerardo Cimmino.
Un quadro non proprio edificante per il primo ministro del cambiamento firmato Di Maio-Salvini.
Gli importi evasi coprono infatti un periodo rilevante, ben 11 anni, che vanno dal 1997 al 2008.
Dagli estratti del ruolo risultano mancati versamenti dei contributi previdenziali e di maternità per oltre 8.600 euro, lungo un periodo che copre praticamente tutto il decennio.
Più di mille euro di contravvenzioni non pagate al comune di Roma dal 2003 al 2005. Mancati versamenti Irpef, Irap, Iva, addizionali regionali e locali per un valore di 18mila euro tra il 2001 e il 2003 e ancora 17mila euro di omesse ritenute e Iva nel 2006 e mancato versamento Inail nel 2006 e 2007.
Conte ha estinto tutti gli addebiti nel novembre 2011, dopo l’arrivo della seconda ipoteca, quando a quel punto era chiaro che Equitalia faceva sul serio e rischiava seriamente che gli portasse via la casa.
A questo punto, l’ipoteca più grande, resta quella sulla credibilità di Giuseppe Conte
(da “Libero Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2018 Riccardo Fucile
TRA PADRE PIO E GREMBIULINI: AI DUE SFACCENDATI POSSONO GARANTIRE L’ACCESSO AI SALOTTI E ALLE CASSEFORTI BUONE
A quanto mi è dato di sapere, nell’attuale ricostruzione della lunga vita di relazione del professor Paolo
Savona — ad oggi ancora in corsa per una poltrona ministeriale in quota Matteo Salvini — resta tuttora aperto un piccolo buco nero, che va dal 1976 al 1980.
Infatti, questo quadriennio corrisponde al periodo in cui il noto personaggio ricoprì la carica di direttore generale della Confindustria; alla corte di Guido Carli, che se lo era portato dietro, provenendo da Bankitalia, quando venne chiamato a fungere da commissario, seppure con “greche presidenziali”, dell’organizzazione di rappresentanza industriale.
Dopo le mattane di chi lo aveva preceduto: quell’avvocato Gianni Agnelli afflitto da noia congenita e quindi portato a strappi pirotecnici — così, per vincere lo spleen — come l’accordo sul punto unico di contingenza con Luciano Lama, presupponendo scenari economici che non si sarebbero mai presentati.
Il robotico Carli fece il suo mestiere di normalizzatore al servizio dell’establishment e poi venne liquidato dai padroni.
E Savona? Lui cercò con le unghie e con i denti di mantenere la carica nel cubo nero di viale dell’Astronomia all’Eur, ma venne rapidamente messo alla porta.
Come premio di consolazione gli venne successivamente assicurata una cattedra in LUISS, Libera Università degli Studi Sociali “Guido Carli”.
E qui troviamo una prima simmetria con il percorso esistenziale dell’altro professore dell’ipotetica compagine ministeriale gialloverde con sfumature di nero: anche l’aspirante premier Giuseppe Conte (in versione “re travicello”) ha insegnato in un’altra istituzione universitaria la cui denominazione è aggettivata “libera”: la LUMSA, Libera universitas Maria Ss Assumpta.
L’una laica, l’altra clerical-papista, ma sempre istituti le cui strutture didattiche e la missione sottostante lasciano trapelare una coltivazione indefessa dei valori gerarchico/autoritario/tradizionalisti dei potentati in penombra di questa Italia del capitalismo relazionale e delle ragnatele ecclesiastiche.
Sedi che attirano come il miele questi personaggi provenienti dalle estreme periferie del Paese, intenzionati a far carriera mettendosi al servizio dei principi legge&ordine di lorsignori, in attesa di ricavarne benemerenze e premi adeguati a questa loro servitù volontaria.
Difatti i curricula, taroccati o meno, sia di Conte che di Savona parlano chiaramente di tali scelte di vita consacrate all’establishment: l’uno — magari — con il di più della devozione a Padre Pio, l’altro — probabilmente — l’antico sospetto di fratellanze massoniche che si porta appresso.
La capitale è zeppa di personaggi di tal fatta, dagli spicciafaccende ai sedicenti grand commis; sempre in carriera.
E questi dovrebbero rappresentare l’antitesi di quel mondo nuovo (rivoluzionario?) che i dioscuri dichiarano di voler promuovere.
Forse pensano di poterli utilizzare come chiavi d’accesso ad ambienti dove stentano a essere accolti; una sorta di “diletta guida Virgilio” nei gironi infernali del potere?
O forse si tratta soltanto del fascino che il parvenu subisce nella Roma generona; delle damazze di princisbecco scambiate per gentildonne a 24 carati?
(da “il Fatto Quiotidiano”)
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