INCARICO SENZA TANTE CONDIZIONI, UNICO PALETTO LA COLLOCAZIONE EUROPEISTA, MATTARELLA AVREBBE FATTO MEGLIO A INDIRE NUOVE ELEZIONI E DARE AGLI ITALIANI UNA OCCASIONE PER RINSAVIRE
IL QUIRINALE ACCETTA PREMIER UN SOGGETTO CHE IN ALTRI PAESI NON SAREBBE PIU’ USCITO DI CASA DALLA VERGOGNA… STRADA IN DISCESA SUI MINISTRI, INCLUSO SAVONA
L’esame, severo e scrupoloso, annunciato alla vigilia, densa di imbarazzi sul curriculum professionale e di dubbi su quello politico, si è risolto senza tanti problemi con l’incarico pieno affidato al Professor Conte.
L'”avvocato del popolo”, di fronte al capo dello Stato, non ha dovuto sostenere l’improba fatica di dare spiegazioni e chiarimenti sul suo rigore morale.
Il lungo colloquio col capo dello Stato è servito soprattutto, oltre che a conoscersi, a mettere a punto quel comunicato, letto alla Vetrata, dove anche a un osservatore inesperto non sfuggirebbero le due mani, con cui è stato scritto, evidentemente diverse anche nello stile.
La prima parte, cara al Quirinale, di fedeltà europeista e di “conferma della collocazione internazionale dell’Italia”.
La seconda, preparata dallo staff pentastellato prima della sua salita al Colle, sul “governo del cambiamento”, “l’avvocato del popolo”, il “rispetto del contratto”.
Due parti, due penne che, per ora, non fanno una sintesi, lasciando nell’ambiguità quelle questioni sostanziali che, nelle scorse settimane, il capo dello Stato aveva sollevato nei suoi discorsi pubblici a Fiesole e Dogliani.
Perchè, alla Vetrata, non viene chiarito cosa si intenda per difesa dell'”interesse nazionale” proprio in relazione al prossimo negoziato europeo o, per dirne un’altra, quali siano le “alleanze opportune”, sempre in Europa, per realizzarlo.
La verità è che il capo dello Stato, rispetto agli auspici delle scorse settimane, si è trovato a confrontarsi con la durezza di una trattativa di tipo nuovo, lontana da quell’antica grammatica e da quel desueto galateo istituzionale di cui Mattarella è sapiente interprete.
Parliamoci chiaro: il capo dello Stato è stato posto di fronte a un bivio, col rude linguaggio della forza e con le maniere brusche che caratterizzano questa nuova epoca di linguaggi estremi.
Ecco il bivio: o questo assetto proposto dai partiti o il ritorno al voto, con Salvini, Di Battista, e gli altri pronti a scaricare sul Quirinale la responsabilità di non aver fatto nascere un governo.
È questo il senso delle dichiarazioni del leader della Lega, o l’invito alla mobilitazione del pasionario pentastellato, fatto uscire ad arte di buon mattino mentre il capo dello Stato era riunito con i suoi consiglieri, per ragionare sul che fare.
Riunione che si svolta in una situazione oggettivamente tesa, con la stampa di mezzo mondo che ha accolto la vicenda del curriculum di conte come un’Italica barzelletta, Piazza Affari che apre come la peggiore d’Europa, lo spread oltre 190.
Che cosa avrebbe potuto fare Mattarella? È questa la domanda al centro delle riflessioni odierne.
Avrebbe potuto far valere le sue prerogative, e dire al paese, esternando dubbi e perplessità fatti filtrare nelle scorse settimane: in questi settanta giorni ho favorito, con rispetto e pazienza, che si sviluppasse il dibattito tra le forse politiche, esplorando ogni soluzione possibile e favorendo ogni intesa possibile, ma mi è stato indicato un nome inaccettabile non per i pettegolezzi, ma perchè è un profilo che non corrisponde a quanto richiesto dalla Costituzione perchè la Costituzione richiede non un esecutore di un contratto extraparlamentare, ma un responsabile, sulla base di un programma votato dal Parlamento, del governo, della sua maggioranza, della collegialità dei ministri; l’ho spiegato alle forze politiche, nell’intento di fare un governo forte agli occhi dell’Italia e del mondo, ma non mi hanno ascoltato e dunque propongo un altro nome. Anche rivolgendosi allo stesso perimetro Lega-Cinque Stelle, consapevole del rischio che avrebbero potuto bocciarlo, ma scaricando la responsabilità sulle forze politiche.
Oppure, come avvenuto, poteva far prevale la convinzione che, comunque, era meglio far nascere un governo perchè il ritorno al voto sarebbe una iattura e non risolverebbe nulla.
È chiaro che ha prevalso questo ragionamento accompagnato dalla fiducia di un metodo, diciamo così, “maieutico”: la convinzione cioè che il processo di istituzionalizzazione dell’anti-establishment possa produrre una maturazione, nell’approccio con l’Europa e sul tema dei conti pubblici, rispetto all’euforia del contratto.
E che di questa maturazione possa essere garante il professor Conte, una volta avvolto dalla “responsabilità ” quirinalizia. Un po’ come oggi, quando è arrivato con sei righe scritte da Rocco Casalino e uscito con una quindicina di righe scritte dallo staff del Quirinale ossequiose delle istituzioni e rispettose della fedeltà europeista.
Questo metodo maieutico, è questo l’auspicio, dovrà trovare una prossima tappa nella discussione sui ministri, quando si parlerà della casella dell’Economia, dove restano immutate le perplessità del Colle su Paolo Savona.
O forse, come prevedono i muscolari negoziatori dei partiti, anche quel nome “passerà “: in fondo, il responsabile dell’equilibrio è il presidente del Consiglio incaricato. Gli è stato già riconosciuto oggi. Gli potrà essere riconosciuto anche domani.
E spetterà a lui essere avvocato del popolo e, al tempo stesso, avvocato delle ragioni del Quirinale rispetto ai firmatari del contratto e magari anche rispetto al futuro inquilino di via XX Settembre.
(da “Huffingtonpost”)
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