Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
STAMANE DAL PRESIDENTE MATTARELLA
Carlo Cottarelli sarà il presidente del Consiglio incaricato che porterà il paese al voto dopo il fallimento del tentativo di Giuseppe Conte.
Nato 64 anni fa a Cremona, Cottarelli, sposato e con due figli, è rimasto sconosciuto ai più fino a quando il governo di Enrico Letta, su iniziativa dell’allora ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, individuò nell’alto dirigente del Fondo monetario internazionale l’uomo giusto per l’incarico di commissario straordinario per la spending review, cioè il taglio della spesa pubblica, che era una delle priorità dell’esecutivo.
Cottarelli, a Washington dal 1988, aveva guidato per anni le missioni del Fondo in Italia.
Cottarelli entrò in servizio come commissario per la spending a ottobre del 2013, rinunciando come primo atto all’auto di servizio.
Pochi mesi dopo si trovò sotto un altro ministro, Pier Carlo Padoan, e un altro premier, Matteo Renzi. Il quale gli fece ritirare una delle sue proposte, ovvero il contributo straordinario del 15% per le pensioni sopra i 2500 euro.
Poi lasciò, visto lo scarso feeling con il governo in carica, con un bilancio in chiaroscuro: «Il mio piano prevedeva 34 miliardi di risparmi e 8-10 sono stati fatti, ma mi rendo conto che molte delle proposte sono difficili da realizzare».
Con il suo Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani Cottarelli aveva partecipato alla campagna elettorale e alla successiva crisi di governo, analizzando le proposte dei programmi dei partiti prima e quelle del contratto Lega-M5S poi, concludendo che non avevano coperture economiche.
Questo gli aveva alienato le simpatie dei grillini, che pure nel programma di governo avevano detto di voler riprendere la spending review dell’ex commissario e portarla alla massima efficacia per repertire coperture per il reddito di cittadinanza.
Sul contratto di governo tra Lega e 5 Stelle, Cottarelli ha concluso che avrebbe avuto costi compresi tra 108 e 125 miliardi mentre le coperture indicate non superavano i 550 milioni. Per questo, qualche giorno fa, aveva avvertito: è un programma che farà «arrabbiare i mercati». Non gli piaceva la cosiddetta «pace fiscale», perchè «è l’ennesimo condono». E non gli piaceva la flat tax perchè è «a favore dei più ricchi». La stessa tesi delle sinistre.
Ma Cottarelli è stato corteggiato prima del voto anche da Silvio Berlusconi, che gli ha offerto di fare il ministro, mentre il capo dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, aveva assicurato: «Useremo una parte del piano Cottarelli per tagliare gli sprechi».
Adesso, il tecnico che rispetta la politica, e che il 9 febbraio diceva «non so per chi votare» dovrà fare scelte decisive nel contesto di uno scontro istituzionale senza precedenti e sotto il rischio di una bufera sui mercati. (Corriere della Sera, 28 maggio 2018
Il ragionamento che ha portato Mattarella a scegliere Cottarelli per guidare il governo che riporterà il paese al voto parte da quanto accaduto negli ultimi giorni, quando l’impennata dello spread ha cominciato a prefigurare una situazione difficile per i conti pubblici e per il risparmio degli italiani, tutelato dalla Costituzione.
Il nome di Cottarelli, nelle intenzioni del Quirinale, deve servire per rasserenare i mercati mentre il paese affronterà la campagna elettorale più violenta della sua storia con l’Europa e l’euro al centro del dibattito.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
TRANQUILLI CHE L’ALTRA MACCHIETTA GRILLINA TORNERA’ PRESTO A BALLARE IL CAN CAN NEI TEATRINI ITALIANI
Di Battista parte ma poi ritorna. 
L’ex deputato 5 Stelle interviene sulla crisi istituzionale, apertasi dopo che sono fallite le trattative sulla formazione del governo guidato da Giuseppe Conte.
Il giorno successivo alla richiesta di impeachment nei confronti del presidente Mattarella, Di Battista riversa su Facebook il suo rammarico: “Potete crederci o meno ma avevo altri piani per la mia vita. Non ho mai pensato di ricandidarmi prima di l’altro ieri”, ha scritto in un post su Facebook.
“Al contrario pensavo di poter fare “politica” attiva ma fuori dalla istituzioni: studiando, scrivendo, suggerendo idee e proposte. Poi, ancora una volta, alcuni ipocriti che hanno l’arroganza di sentirsi gli unici in diritto di gestire le nostre vite mi hanno fatto cambiare idea. Partirò domani, ma tornerò non appena ci dovesse essere bisogno di me”.
Ecco un altro salvatore della Patria che minaccia il suo ritorno.
L’esponente M5s aggiunge: “Ieri ho parlato con Luigi e gli ho detto tutto questo. Vado a lavorare, torno, per intenderci, a fare il lavoro che facevo prima di entrare in parlamento”
Quale non è dato sapere, visto il reddito che denunciava.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
PER CHI NON L’AVESSE ANCORA CAPITO: LEGA E M5S PUNTANO A PRENDERE I VOTI A DESTRA E SINISTRA E POI SI DIVIDONO LE POLTRONE ALLA FACCIA DEI COGLIONI CHE CREDONO ALLA RIDUZIONE DELLE TASSE E AL REDDITO DI CITTADINANZA… CON REGIA E APPOGGI DI CHI HA INTERESSE A DISGREGARE L’EUROPA
È Matteo Salvini a dirlo apertamente, mentre il MoVimento 5 Stelle ufficialmente ancora ci pensa anche se qualche deputato già considera la possibilità .
Nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica il leader della Lega sostiene che sarà difficile tornare in campo con il centrodestra perchè Silvio Berlusconi non gli ha fornito appoggio contro Mattarella
Salvini dice che il contratto di governo contiene “buone basi” per lavorare insieme e accusa Berlusconi di aver parlato “come la Merkel”, mettendo le basi per una rottura del centrodestra che vedrebbe a questo punto Fratelli d’Italia in mezzo, indecisa se schierarsi alle elezioni con i grillini dopo aver rifiutato di entrare nel governo o rimanere fuori accodandosi con il “vecchio” Berlusconi pur chiedendo l’impeachment per il presidente della Repubblica.
Voto in autunno. Sarà ancora lei il leader di centrodestra?
«Ho letto con grande rammarico le parole di Silvio Berlusconi, che anzichè difendere il suo alleato ha parlato di altro (no impeachment, difesa di Mattarella, ndr). Sembrava di sentir parlare la Merkel, ma di questo avremo modo di parlare».
Intanto ci dica se al voto a questo punto intende presentarsi con la nuova alleanza Lega-M5S.
«In questo momento voglio solo ringraziare, oltre ai professori Conte e Savona, anche Luigi Di Maio e il M5S. Non ci conoscevamo, partivamo da posizioni distanti. Ma abbiamo lavorato bene in queste settimane, c’è stata intesa».
Le richiedo: Sarete dunque insieme, a caccia del 100% dei collegi?
«Oggi dico solo una cosa. Il contratto sottoscritto insieme non sarà carta straccia. Sono state poste buone basi per lavorare insieme».
L’alleanza esplicita con la Lega avrebbe il pregio di restituire a tutti il vero volto del MoVimento 5 Stelle, che raccoglie voti di sinistra pur alleandosi con la destra salviniana.
E consentirebbe di chiarificare il quadro politico in quella che potrebbe essere la Battaglia contro l’Europa più cruenta ed esplicita che si combatterebbe in una elezione dal tempo del referendum in Grecia: durante il ballottaggio con Macron, Marine Le Pen aveva in più occasioni smussato le sue posizioni antieuropee per riuscire a convincere più elettori a votarla, finendo però rovinosamente sconfitta.
L’alleanza con la Lega in chiave elettorale sulla base del contratto di governo è “una conseguenza del tutto naturale” secondo Carlo Sibilia, deputato campano che è tra i pochi a parlare sui giornali dopo il no di Mattarella a Conte.
Di patto con la Lega per i collegi parla anche il retroscena di Federico Capurso sulla Stampa:
E allora bisogna correre subito ai ripari, ben consapevoli che la prossima campagna non potrà essere più giocata contro quello che fino a ieri era l’alleato di governo, e altrettanto consapevoli che un pezzo dei delusi di sinistra che avevano trovato casa nel M5S e che hanno vissuto con disagio l’asse con i leghisti, se ne andranno. Una volta che ti abitui al compromesso non puoi più farne a meno. È l’odore del potere. I 5 Stelle sono pronti, e ne hanno già parlato con i leghisti, a firmare un patto di non belligeranza per le prossime elezioni.
Di Maio lo ha sintetizzato ai suoi collaboratori: «Loro conquistano tutti i collegi uninominali del Nord, noi quelli del Sud e ci prendiamo l’Italia».
Nelle ore più difficili, quando Salvini ha chiesto a Di Maio lealtà nel sostegno granitico a Paolo Savona, l’argomento è stato sfiorato.
Le regole pentastellate vietano le coalizioni e i leghisti non sembrano propensi a rinunciare al centrodestra.
L’accordo allora prevede uno schema semplice: tracciare una linea che va da Roma all’Adriatico e dividersi i collegi uninominali.
E su quelli a rischio fare desistenza per agevolare la vittoria del M5S o della Lega.
La strategia servirà anche ad arginare un’altra paura che circola nel MoVimento 5 Stelle: quella di finire mangiati dalla Lega a livello elettorale visto l’estremizzarsi delle posizioni politiche delle due forze.
Già la scelta di allearsi con Salvini aveva alienato al MoVimento le simpatie di buona parte di quell’opinione pubblica “di sinistra” che aveva scambiato il M5S per un nuovo partito leninista.
Una desistenza con i leghisti potrebbe però definitivamente fargli salutare il voto di quel 6% della base che aveva detto no al contratto con Salvini anche su Rousseau.
Anche secondo Claudio Tito su Repubblica l’asse Lega-M5S, conseguenza dell’OPA di Salvini sul MoVimento, è prossimo venturo:
L’ultima capriola, però, potrebbe essere fatta nelle prossime settimane. L’asse populista è pronto a diventare un unico soggetto politico. La sovrapposizione parziale ma consistente dei due elettorati spinge verso una coalizione, non solo di governo ma elettorale. M5S e Lega potrebbero diventare un partito unico. O una alleanza stabile che stabilizzi il fronte sovranista e antieuropeo. Se allora la “corsa” tra Di Maio e Di Battista è già iniziata, lo è anche la voglia di Salvini di “salvinizzare” definitivamente il Movimento
La partita delle prossime elezioni si preannuncia così decisiva non solo per l’Italia ma per l’intera Europa. Si voterà sull’euro e sulle posizioni politiche che oggi dovranno diventare chiare e semplici anche per i grillini e i leghisti, che adesso dovranno gettare la maschera e dire esplicitamente se vogliono rimanere nella moneta unica e non cavarsela con piani ambigui che presuppongono tentativi di far saltare i tavoli per essere buttati fuori.
Passata la buriana, magari con la rinuncia all’impeachment o con una sconfitta politica e giudiziaria, la lunga campagna elettorale farà raffreddare i bollenti spiriti di oggi e ragionare su quello che stava accadendo e quello che potrebbe accadere a breve. O almeno, questo è quello che spera il Quirinale.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO GRILLO SOSTENEVA CHE LA CREDIBILITA’ INTERNAZIONALE VALE PIU’ DI UN GOVERNO DEMOCRATICAMENTE ELETTO
È un Luigi Di Maio davvero arrabbiato quello che ieri sera è comparso su Facebook per dare la sua
versione dei fatti su ciò che era accaduto poco prima al Quirinale. L’avvocato del Popolo Giuseppe Conte aveva appena rimesso il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. «Quello che è successo è incredibile» dice Di Maio che in sei anni in Parlamento non ha mai visto una cosa del genere. Eppure nel 2014 — quando il Capo Politico del M5S era già in Parlamento — Napolitano aveva chiesto di sostituire Nicola Gratteri, magistrato designato da Renzi alla Giustizia, con Andrea Orlando.
«Questa non è una democrazia libera», attacca Luigi Di Maio per difendere la scelta di indicare Paolo Savona come Ministro dell’Economia.
Non sfuggirà innanzitutto un dettaglio fondamentale: non solo non è il popolo a “scegliere” i ministri ma il popolo non ha votato Savona.
Per il semplice fatto che il nome di Savona non era mai stato fatto nè dalla Lega nè dal MoVimento 5 Stelle.
Nonostante i tentativi di Di Maio di far credere che Giuseppe Conte fosse invece stato votato da 11 milioni di italiani (perchè era nella lista dei ministri presentata sul Blog) anche il nome del premier incaricato è il risultato di una decisione presa dai partiti (e non dal popolo quindi) dopo le elezioni.
Ma nel momento della rabbia e dell’indignazione la narrazione pentastellata arriva al punto di negare sè stessa.
Quattro giorni fa, uscendo da Montecitorio Luigi Di Maio parlando proprio di Savona ha detto: «Una persona valida che ci può dare una mano nell’ottenere risultati a livello nazionale e internazionale per realizzare le nostre riforme. Ma i ministri li sceglie il Presidente della Repubblica di concerto e su proposta con il premier incaricato Conte quindi sarà la loro interlocuzione a creare la squadra di governo».
Un concetto che aveva espresso anche il giorno prima quando ai giornalisti aveva detto che «sui ministri non c’è nessuna discussione in atto perchè i ministri gli sceglie il Presidente della Repubblica».
Anche Di Maio sapeva che Mattarella poteva fare quello che ha fatto, perchè il citatissimo articolo 92 della Costituzione dice che «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». Quello del Presidente della Repubblica non è un veto, nè ha fatto qualcosa di incostituzionale o inconsueto.
Secondo Di Maio (quello di ieri) Mattarella avrebbe dovuto dire di sè perchè le due forze politiche che formano la maggioranza rappresentano «circa il 60% del consenso popolare» (anche se in realtà Lega e M5S hanno il 50%).
Ma ci sono già diversi tre precedenti che dimostrano che Mattarella poteva fare quello che ha fatt0. Oltre al già citato caso del 2014 ci sono altri due esempi. È successo nel 1994 quando Scalfaro bocciò la proposta di Berlusconi di mettere il suo avvocato (Cesare Previti) al Ministero della Giustizia. Nel 2001 Berlusconi indicò Roberto Maroni come Ministro dell’Interno ma Ciampi gli preferì un altro leghista Roberto Castelli.
Secondo Di Maio Savona — un economista di livello che è stato ministro durante il governo tecnico presieduto da Carlo Azeglio Ciampi — è stato bocciato perchè tanti anni fa ha detto di essere contro l’euro. Ma non è vero. Perchè fra qualche giorno uscirà l’autobiografia di Savona dove il ministro dell’Economia voluto dai Di Maio e Salvini paragona la Germania di Angela Merkel a quella nazista.
La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l’idea di imporla militarmente. Per tre volte l’Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica, con la Triplice alleanza del 1882, il Patto d’acciaio del 1939 e l’ Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?
Nel libro, che uscirà tra qualche giorno, si legge anche che secondo Savona «Battere i pugni sul tavolo non serve a niente. Bisogna preparare un piano B per uscire dall’euro se fossimo costretti, volenti o nolenti, a farlo».
Questo è il pensiero del Ministro dell’Economia oggi non qualche anno fa. Cosa sarebbe successo in Europa (e sui mercati finanziari) quando il libro del Ministro sarebbe andato nelle librerie?
La posizione del nostro Paese sarebbe stata quantomeno imbarazzante. E quel punto le promesse del “contratto di governo” di cambiare i trattati e le regole europee sarebbero andate a farsi benedire.
Perchè quello che Di Maio non dice è che per farlo occorre trattare e trovare un accordo con quei paesi e quelle istituzioni europee che nella sua autobiografia Savona attacca duramente.
Chi sostiene che Savona aveva cambiato idea sull’euro lo fa citando il comunicato inviato da Savona al sito Scenarieconomici.it dove il professore avrebbe secondo alcuni abiurato alle sue tesi noeuro.
Tesi che per Antonio Maria Rinaldi, vicino al professor Savona e uno degli animatori di scenarieconomici.it, sarebbero solo “un’elaborazione accademica”.
Ma in quella dichiarazione Savona non ha abiurato nulla, non ha negato di pensare ad un piano B per l’uscita dall’euro che dovrebbe — a suo dire — avvenire in segreto. Alla faccia della democrazia e della tutela dei risparmi degli italiani.
Anche perchè se Savona avesse davvero abiurato allora dovrebbe mandare al macero tutte le copie della sua autobiografia.
E la spiegazione che le idee di Savona siano innocue perchè sarebbero semplicemente una “discussione a livello accademico” lascia il tempo che trova perchè quando l’ideatore di quelle tesi assume un incarico di governo quelle idee vengono giudicate diversamente.
Il punto non è un nome, continua Di Maio, «il punto è un modo di intendere l’Italia, sovrana oppure no e per noi l’Italia è sovrana perchè la sovranità appartiene al popolo».
Sovranità che però il popolo esercita come è scritto nella Carta fondamentale, quella difesa dai pentastellati nel dicembre 2016, nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ieri Mattarella aveva proposto a Conte di nominare il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, al posto di Savona all’Economia.
Ma Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno rifiutato. Il motivo? Segnare un punto e dimostrare di non voler cedere ai diktat oppure continuare la campagna elettorale
Per Luigi Di Maio la bocciatura di Savona è la dimostrazione che non siamo liberi e sovrani perchè c’è qualcun altro che decide per noi. Che sia la Germania, la BCE o i mercati finanziari.
Intanto bisogna fare i complimenti al Capo Politico del M5S che ha scoperto che un Paese con duemila miliardi di debito pubblico ha la necessità di stare sul mercato. Curiosamente Di Maio è la stessa persona che ha proposto nel suo programma elettorale di finanziare il suo progetto di riforme facendo altro debito.
Quindi sì, è vero che i mercati decidono per noi, ma fanno lo stesso per altri Paesi.
E cosa ancora più interessante gli stessi cittadini italiani — che detengono il debito pubblico dello Stato — fanno parte di quei mercati. La conseguenza è che i “mercati” non sono qualcosa di completamente estraneo
Si dirà a questo punto che il M5S è sempre stato contro la dittatura della finanza internazionale e contro qualsiasi forma di “colpo di Stato” del Presidente della Repubblica.
Ma non è vero: perchè nel 2011 quando c’era Berlusconi al Governo e lo spread colpiva i nostri titoli di Stato il Capo Politico del MoVimento 5 Stelle chiedeva a Giorgio Napolitano di intervenire per impedire il default.
Beppe Grillo spiegava che a causa dello spread «i titoli di Stato richiedono un interesse sempre più alto per essere venduti sui mercati. Interesse che non saremo in grado di pagare senza aumentare le tasse, già molto elevate, tagliare la spesa sociale falcidiata da anni e avviare nuove privatizzazioni».
Per Grillo la situazione sui mercati finanziari era la prova che «Il Governo è squalificato, ha perso ogni credibilità internazionale, non è in grado di affrontare la crisi».
Sette anni fa Grillo diceva chiaramente che la credibilità internazionale era più importante di un governo democraticamente eletto (la coalizione di centrodestra aveva ottenuto nel 2008 il 47% dei consensi).
Oggi il Capo Politico del M5S invece vuole farci credere alla tesi del complotto internazionale avallato dal Presidente della Repubblica quando dice che il problema «è che le agenzie di rating in tutta Europa erano preoccupati da un uomo che andava a fare il ministro dell’Economia e che gli investitori erano preoccupati in tutta Europa».
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
TRA CRISI ISTITUZIONALE E CAOS: LA FOTOGRAFIA DEL NOSTRO PAESE
All’indomani del tentativo fallito di Lega e 5 Stelle di formare un nuovo governo e la presa di posizione del capo dello Stato, Sergio Mattarella, la crisi italiana finisce sui giornali di tutto il mondo.
“L’Italia è in tumulto”, titola il Wall Street Journal nella sua edizione online.
Quasi tutti i quotidiani stranieri mettono in evidenza la crisi istituzionale che si è aperta in Italia con 5 Stelle e Lega all’attacco del presidente della Repubblica.
Il Financial Times parla di “possibile crisi istituzionale” mentre il Washington Post titola “Italia nel caos” dopo il fallimento degli sforzi per formare “il primo governo populista d’Europa”.
Il New York Times prende atto che “i partiti populisti italiani, alla soglia del potere, falliscono nella formazione del governo”.”
Il Guardian agita lo spettro di “nuove elezioni” mentre si profila la richiesta di “impeachment” per Mattarella e il Telegraph rileva il fallimento dei tentativi di formare un nuovo governo a causa della “scelta di un economista fermamente anti-euro”.
Di “veto sul ministro euroscettico” che “fa saltare in aria la formazione del governo” parla lo spagnolo El Pais.
Il tedesco Spiegel punta sulla nomina dell’ “ex economista del Fmi” come “soluzione temporanea”.
Il fallimento della formazione Lega-5 Stelle per la composizione del governo italiano apre oggi anche i due principali giornali tedeschi, Frankfurter Allgemeine Zeitung e Sueddeutsche Zeitung, che danno la notizia in termini fattuali: “la formazione del governo è fallita, l’Italia verso le nove elezioni”.
In due colonnine dedicate alla “guerra di nervi a Roma”, la Sz mette invece a fuoco “i tempi drammatici” che sta affrontando il Paese, “forse i più drammatici da trenta anni”, scrive.
Riferendo che il presidente Sergio Mattarella viene accusato da alcuni addirittura di alto tradimento, per aver posto un veto politico sul ministro dell’economia Paolo Savona, il giornale di Monaco afferma: “Un conflitto del genere fra le istituzioni non si è mai avuto nella storia repubblicana, non così drammatico”.
Die Welt dedica a Roma un commento scritto chiaramente prima che l’esecutivo saltasse, dal titolo “Miseria italiana”, in cui si dà conto dei rischi di un governo che mantenesse le promesse del programma.
Nelle pagine di economia si legge: “L’Italia ha un piano segreto?”, un articolo su un presunto piano B per l’uscita dall’euro, di cui ha parlato nei giorni scorso l’economista Codogno al Sole 24 ore.
Handelsblatt online apre il dito facendo il tifo per il presidente della Repubblica e so schiera: “Il presidente italiano ha fatto bene: forza Mattarella!”
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
LE ANALISI SUI QUOTIDIANI ITALIANI: “NON HA DELUSO QUELLA MINORANZA DI ITALIANI CHE CREDONO ANCORA NELLA LEGALITA'”
Il giorno dopo il no più fragoroso della storia repubblicana, due giornali in particolare difendono la
scelta di Sergio Mattarella, che ha provocato il fallimento del governo Conte con il veto su Paolo Savona ministro dell’Economia. Il Corriere della Sera e La Stampa oggi spiegano le ragioni del presidente della Repubblica.
Scrive La Stampa:
Avevano creduto che Mattarella fosse «a disposizione», dimenticando di avere davanti un uomo cui la mafia ha ucciso il fratello. […] Il presunto attentato alla Costituzione, per cui adesso Di Maio e Meloni (ma non il più furbo Salvini) vorrebbero «impicciarlo», sul Colle provoca indifferenza. Facessero pure, è la risposta che si ottiene lassù.
Perchè tanto poi, perfino nel caso in cui il Parlamento a maggioranza assoluta mettesse il Presidente in stato di accusa, a giudicare sarebbe la stessa Corte costituzionale, in versione allargata, di cui Mattarella è stato fino a tre anni fa apprezzato membro. Alla Consulta gli darebbero una medaglia per aver difeso la suprema Carta. Probabilità che l’assalto riesca, pari a zero.
La messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica, annunciata ieri da Di Maio al telefono con Fabio Fazio, non lo preoccupa.
La sua, scrive Magri, è stata una scelta di coerenza:
Se dopo nuove elezioni una coalizione populista vincesse addirittura con l’80 per cento (secondo la profezia di Massimo D’Alema), Mattarella sarebbe ancora lì, a ribocciare il professor Savona. La sua capacità di resistenza troverebbe un limite qualora lo scontro raggiungesse livelli mai conosciuti finora. Nel frattempo colerà a picco nei sondaggi, lui stesso lo mette nel conto.
Se si fosse accontentato di «tagliare nastri», nessuno lo avrebbe messo nel mirino. Però intanto, come dicono persone a lui vicine, il Presidente è «sereno e in pace con se stesso. Per non avere deluso tante persone perbene che, magari in minoranza, credono nel rispetto delle regole».
Marzio Breda sul Corriere della Sera invece racconta il differente atteggiamento di Salvini e Di Maio e l’offerta di interim a Conte per lo spacchettamento del ministero che alla fine non è passato:
Comunque non c’era altra opzione, per Mattarella. Che non avrebbe potuto lasciare l’istituzione Presidenza della Repubblica colpita e, anzi,lesionata, nelle prerogative fissate dalla Carta costituzionale. Un’osservazione che fino all’ultimo ha girato,argomentandola, anche ai due partner dell’ormai disciolta maggioranza, che sono stati degli agnellini davanti a lui.
Nessun veto, capite? Piuttosto perchè irrigidirsi su Paolo Savona quando al suo posto vi ho proposto un interim a Conte o l’incarico pieno a un leghista di peso come Giorgetti? «Capiamo tutto, presidente, ma per come si è messa la cosa non possiamo togliere quel nome dalla casella dell’Economia», gli hanno risposto. Con garbo.
Salvo fare, subito dopo esser usciti dal Palazzo, «la faccia feroce», come dicono a Napoli, mentre si esibivano in piazze e tv fino a vagheggiare l’impeachment.
Nell’articolo si spiega anche perchè il comunicato stampa di Savona non ha convinto il presidente della Repubblica
Un momento spartiacque si era avuto all’ora di pranzo, quando il professore cagliaritano aveva fatto diffondere un chiarimento su quella che aveva definito «una scomposta polemica sulle mie idee». Documento ambiguo. Perchè si riparava dietro il «contratto» di Lega e 5 Stelle, senza entrare nei nodi di un programma economico insostenibile sul piano della disciplina di bilancio, attraverso investimenti extradeficit. E soprattutto reticente sul «piano» per far uscire l’Italia dall’euro predicato con insistenza da Savona.
Da qui la bocciatura.
E lo scoppio del vulnus più sanguinoso della storia repubblicana.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
OVVIE ECCEZIONI I MEGAFONI DI M5S E LEGA
Tutte le aperture dei quotidiani italiani in edicola sono dedicate alla crisi istituzionale, seguita alla rinuncia del presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte a formare un nuovo governo dopo che il presidente della Repubblica Mattarella si era opposto alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia per le sue posizioni contrarie all’euro.
“Salta il Governo, corsa verso il voto” titola il Corriere della Sera, con l’editoriale del direttore Luciano Fontana dal titolo “Una sfida irresponsabile”.
Il quotidiano ipotizza le elezioni il 9 settembre prossimo, prima data utile dopo le ferie estive.
“Salta il Governo Salvini-Di Maio, il Quirinale sceglie Cottarelli” titola la Repubblica, con l’editoriale del direttore Mario Calabresi dal titolo “Un argine alle spallate” e il punto di Stefano Folli secondo cui “Nulla sarà più come prima”.
“C’è Cottarelli, furia M5S-Lega contro Mattarella” è il titolo della Stampa, con l’editorialista Marcello Sorgi che analizza il Paese ormai diretto verso le elezioni: “Quella deriva che il paese deve evitare”.
Critico nei confronti del Quirinale è Il Fatto Quotidiano, che compara Sergio Mattarella a Giorgio Napolitano aprendo il giornale con il titolo “Re Sergio fa saltare tutto”. Il direttore Marco Travaglio firma l’editoriale dal titolo “Cose da pazzi”.
Il Messaggero apre il giornale con il titolo “No di Mattarella, la crisi più grave”. “Si torna a votare. Ciaone Di Maio, arriva Cottarelli” titola Il Giornale con l’articolo di apertura affidato al direttore Alessandro Sallusti. Libero titola invece “Mattarella sfascia tutto”.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2018 Riccardo Fucile
“HO AGEVOLATO IN OGNI MODO LA NASCITA DEL GOVERNO, MA DEVO TUTELARE I RISPARMI DEGLI ITALIANI”
Dopo aver sperimentato, nei primi due mesi, senza esito, tutte le possibili soluzioni, si è manifestata
– com’è noto – una maggioranza parlamentare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, pur contrapposti alle elezioni, hanno raggiunto un’intesa, dopo un ampio lavoro programmatico.
Ne ho agevolato, in ogni modo, il tentativo di dar vita a un governo.
Ho atteso i tempi da loro richiesti per giungere a un accordo di programma e per farlo approvare dalle rispettive basi di militanti, pur consapevole che questo mi avrebbe attirato osservazioni critiche.
Ho accolto la proposta per l’incarico di Presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento. E ne ho accompagnato, con piena attenzione, il lavoro per formare il governo.
Nessuno può, dunque, sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento. Al contrario, ho accompagnato, con grande collaborazione, questo tentativo; com’ è del resto mio dovere in presenza di una maggioranza parlamentare; nel rispetto delle regole della Costituzione.
Avevo fatto presente, sia ai rappresentanti dei due partiti, sia al presidente incaricato, senza ricevere obiezioni, che, per alcuni ministeri, avrei esercitato un’attenzione particolarmente alta sulle scelte da compiere.
Questo pomeriggio il professor Conte – che apprezzo e che ringrazio – mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale.
In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, nè può subire, imposizioni.
Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia.
La designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.
Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma. Un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.
A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato – con rammarico – indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.
L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali.
Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.
Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando – prima dell’Unione Monetaria Europea – gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento.
È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri – che mi affida la Costituzione – essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani.
In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana. Mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull’Italia, apparsi su organi di stampa di un paese europeo.
L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione europea, e ne è protagonista.
Non faccio le affermazioni di questa sera a cuor leggero. Anche perchè ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.
Nel fare queste affermazioni antepongo, a qualunque altro aspetto, la difesa della Costituzione e dell’interesse della nostra comunità nazionale.
Quella dell’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perchè si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale.
Sono stato informato di richieste di forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. Si tratta di una decisione che mi riservo di prendere, doverosamente, sulla base di quanto avverrà in Parlamento.
Nelle prossime ore assumerò un’iniziativa.
(da agenzie)
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