Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOSORCIO, ECCO I DETTAGLI
La settimana scorsa le norme del sedicente “decreto digintà ” sono state rinviate perchè prive di
bollinatura e coperture. Ora è arrivata la versione definitiva che certifica un netto ridimensionamento degli obiettivi rispetto agli annunci iniziali.
Per tutta la campagna elettorale e anche in tempi molto recenti infatti Di Maio aveva annunciato cancellazioni varie di norme come redditometro, spesometro e split payment (peraltro già oggetto di provvedimenti analoghi prima dello scioglimento delle Camere: il più era già fatto).
Il Decreto Dignità prevede invece soltanto uno slittamento della scadenza dello spesometro al 28 febbraio (dal 30 settembre), lo stop dello Split Payment solo per i professionisti e una serie di ritocchi al redditometro.
Il motivo della retromarcia sullo split payment è semplice. La norma, allargata a tutte le società pubbliche con la manovra correttiva di aprile 2017, a novembre ha fatto crescere l’Iva di circa 10 miliardi.
Tutte le imprese, piccole e grandi, ne chiedono la cancellazione perchè rappresenta un’anticipazione di cassa e crea problemi di liquidità . Il governo ha, invece, preferito garantire tempi rapidi nei rimborsi piuttosto che abolirlo. L’eliminazione costerebbe comunque.
Ecco perchè è uscito dalla lista.
Anche il redditometro è uno strumento ormai in disuso sul quale non si comprendeva l’urgenza di intervento. In ogni caso il pacchetto fiscale adesso si può tranquillamente definire “light”.
Lo stop alla pubblicità del gioco d’azzardo… con eccezioni!
Anche lo stop alla pubblicità del gioco d’azzardo presenta significative variazioni rispetto a come era stata presentata. Intanto vengono “salvati” tutti i contratti in essere e quindi non ci sarà alcuna sospensione immediata per questo tipo di pubblicità , come si immaginava vista l’urgenza di muoversi attraverso decreto.
In secondo luogo dal divieto di pubblicità sono escluse le lotterie a estrazione in differita, come la Lotteria Italia.
In più, lo stop non vale anche per “i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli”.
In pratica lo Stato Biscazziere (con tutti i suoi introiti) è salvo.
Per quanto riguarda i contratti, salta la misura che impediva contratti di somministrazione a tempo indeterminato.
Si prevede comunque che nel caso di somministrazione a tempo determinato valgano le stesse regole degli altri contratti con scadenza.
Quindi, per tutti i tempi determinati non si potranno avere più di 4 proroghe, con un limite di durata massima comunque non superiore a 36 mesi.
Le nuove norme valgono anche nei casi di rinnovo dei contratti attualmente in corso. In caso di rinnovo, e per i contratti oltre 12 mesi, tornano le causali: temporanee e oggettive o per esigenze sostitutive; connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria; per picchi e attività stagionali.
A ogni rinnovo i contratti avranno un costo contributivo dello 0,5% in più rispetto all’1,4% che già è a carico del datore di lavoro e che finanzia la Naspi. Anche le regole sui rider sono state rinviate visti i rischi legislativi insiti all’interno di un impianto contraddittorio.
La stretta sulla delocalizzazione non c’e’
Tutto confermato invece quello che riguarda le norme sulla delocalizzazione. Le nuove regole fanno scattare multe da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto per le imprese che delocalizzano “entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata”.
Una prima versione indicava un arco temporale di 10 anni.
La stretta resta sia per chi lascia l’Italia per un Paese extraeuropeo si per chi trasferisce l’attività , anche in parte, in uno dei Paesi dell’Unione. Il beneficio, inoltre, andrà restituito con gli interessi maggiorati fino a 5 punti percentuali.
Dato che nessuno entro 5 anni viene in Italia per andarsene la norma non ineressa nessuno.
Rispetto ai quattro punti fondamentali indicati da Di Maio il 14 giugno scorso, non ci sono eliminazione di spesometro, redditometro e split payment mentre gli studi di settore erano di fatto già aboliti; cadono le norme sui rider; crescono le tasse sui contratti precari e c’è una piccola stretta su quelli a termine mentre lo stop alla pubblicità del gioco d’azzardo vale per tutti tranne che per lo Stato.
La montagna ha partorito il toposorcio.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SECONDO I RAZZISTI “SENZA LE ONG NON CI SARANNO PIU’ PARTENZE E MORTI”: DA QUANDO LE HANNO CACCIATE ILLECITAMENTE SONO CENTINAIA I MORTI IN MARE IN BALIA DEI CRIMINALI LIBICI CHE L’ITALIA FINANZIA
E’ il terzo naufragio in tre giorni.
Ne dà annuncio l’Agenzia delle Nazioni unite in Libia su Twitter
Un nuovo naufragio di migranti, stavolta con 114 dispersi, è stato segnalato dall’Unhcr al largo delle coste libiche.
“Un altro triste giorno in mare: oggi 276 rifugiati e migranti sono stati fatti sbarcare a Tripoli, inclusi 16 sopravvissuti di un’imbarcazione che portava 130 persone, delle quali 114 sono ancora disperse in mare”, riferisce un tweet della sezione libica dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Anche un rappresentante dell’Unhcr, contattato dall’Ansa, conferma che si tratta di un nuovo naufragio.
Il tutto nel nuovo quadro creato dalla chiusura dei porti italiani e dal più complessivo alzarsi dei ponti levatoi di tutta la «fortezza Europa»
Le cifre complessive delle vittime invecchiano ormai di ora in ora: l’Oim, l’Agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione, dall’inizio dell’anno al 27 giugno scorso aveva contato la morte di 653 migranti su questo tratto del Mediterraneo che nel complesso, calcolando anche i settori ovest ed est, ha inghiottito nel 2018 quasi mille disperati.
E crolla miseramente la tesi che senza le Ong che fanno da “attrazione” le partenze si sarebbero azzerate: ora che tutti sanno che le Ong sono state cacciate dai “liberatori europei” continuano le partenze e sono solo aumentati i morti assassinati dai governi europei che finanziano ancora i criminali libici.
(da agenzie)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI SENZA DIGNITA’: “IL PROBLEMA NON SONO CHI FA CRESCERE IL PAESE” … E ALLORA PERCHE’ TI SEI OPPOSTO ALLO IUS SOLI?
“Bravissime, mi piacerebbe incontrarle e abbracciarle. Come tutti hanno capito il problema è la
presenza di centinaia di migliaia di immigrati clandestini che non scappano dalla guerra e la guerra ce la portano in casa, non certo ragazze e ragazzi che, a prescindere dal colore della pelle, contribuiscono a far crescere il nostro Paese.Applausi ragazze!!!”.
Così in un post su Facebook Matteo Salvini si complimenta con Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot, che hanno vinto la 4×400 ai Giochi del Mediterraneo.
Tutto vero, peccato che quando si trattava di essere dalla parte di uno ius soli che era uno ius cultuae il ministro di Polizia si sia opposto con tutte le forze.
Si sarebbe trattato di dare la cittadinanza a bambini che erano nati qui con una istruzione italiana, una famiglia integrata con casa e lavoro sicuri.
Ragazzi a cui è stato impedito di rappresentare nello sport il nostro Paese, pur essendo orgogliosi di portare il tricolore.
Cosa è se non razzismo allora?
(da Globalist)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SCATTATO L’ESODO CONTRO LA MELONI: “FANNO STRADA SOLO GLI YESMAN SENZA MERITO”… MA MOLTI CERCANO CASA E POLTRONA NELLA LEGA
Tanto tuonò che piovve. Dopo gli annunci dei giorni scorsi, in Fratelli d’Italia scatta davvero l’esodo contro Giorgia Meloni.
Ad annunciare il suo addio è per primo Fabrizio Santori, ex consigliere regionale nel Lazio , seguito a ruota da altri sei eletti nei municipi.
« I sani rapporti fiduciari, l’attenzione alla comunità che si rappresenta, la valorizzazione del Merito, le regole chiare, i contenuti dell’offerta politica e le scelte fatte in queste settimane sono per me elementi imprescindibili per poter lavorare quotidianamente con entusiasmo, passione e concretezza. Insieme a tanti, consiglieri e no, abbiamo ritenuto che tali elementi fossero venuti meno da diversi mesi a questa parte», scrive Santori su Facebook ricordando per l’ennesima volta di aver preso 8500 preferenze al Consiglio Regionale del Lazio alle ultime elezioni. Subito dopo il suo annuncio i consiglieri Emiliano Corsi e Giusy Guadagno del Municipio V, Daniele Catalano del Municipio XI, Giovanni Picone, Marco Giudici e Francesca Grosseto del Municipio XII si accodano dando il via alla transumanza e alla frantumazione di Fratelli d’Italia.
Nel pomeriggio tocca a Francesco Figliomeni e Maurizio Politi, consiglieri di Roma Capitale, annunciare l’addio alla Meloni: «Da tempo abbiamo cercato di manifestare dentro il partito tutta la mancata condivisione nel posizionamento politico, nella gestione interna e nel non aver mai realmente aperto a chi voleva condividere un pezzo di storia con noi. Siamo rammaricati di quella che è una scelta sofferta ma inevitabile».
Poi tocca a Giuseppe Scicchitano e Sandra Bertucci, consiglieri in municipio II, Flavia Cerquoni, consigliera in municipio VII e Fulvio Accorinti, consigliere in Municipio XIV, che “sottoscrivono quanto dichiarato da Iadicicco”, come da previsioni.
Ma perchè questo esodo di massa dal partito di Giorgia Meloni?
Per quanto riguarda Santori, i motivi della sua ostilità nei confronti della Meloni erano noti da tempo: “Non sono stato rieletto consigliere regionale del Lazio per altri motivi oltre la sconfitta del nostro candidato presidente: uno su tutti il tracollo di Fratelli d’Italia che elegge solo 3 consiglieri passando ad essere l’ultimo partito del centrodestra nella Regione Lazio, disperdendo in un mese un patrimonio costruito alle ultime elezioni con anni di presenza sul territorio”.
E ancora: “A proposito di affidabilità . In un partito è molto importante, così come nel lavoro, in un’organizzazione, in un qualsiasi gruppo umano, anche in famiglia. E’ un elemento primario ma i gattopardi della politica nostrana hanno estremizzato il concetto blindandosi nelle stanze dei bottoni con i più fedeli mentre nel frattempo calpestavano il lavoro di chi, con impegno e perseveranza, conquistava la stima della gente sul territorio. Ed è stato il trionfo degli yesman senza primarie nè scelte di merito ma solo scelte partitocratiche poi bocciate dai cittadini“.
Santori e gli altri se la prendono con i modesti risultati alle Regionali seguiti dai modestissimi risultati alle municipale del mese scorso: in entrambe le elezioni Fratelli d’Italia non è stata capace di ripetere l’exploit delle amministrative del 2016 a Roma, quando Giorgia Meloni, candidata sindaca, sfiorò l’approdo al ballottaggio nonostante la divisione del centrodestra. Ma non è questo l’unico elemento.
All’interno degli ex di Alleanza Nazionale c’è infatti l’impressione che Matteo Salvini possa in breve tempo portare a casa tutto il centodestra, con la Lega che potrebbe diventare il partito pigliatutto lasciando agli alleati Forza Italia e FdI le briciole.
Una sensazione confortata dai sondaggi, visto che prima di dedicarsi a cannibalizzare l’elettorato a 5 Stelle il Carroccio ha mangiato voti sia a FI che alla Meloni.
Ecco spiegate quindi non solo le attuali perplessità dei consiglieri sul progetto, ma anche le tante dichiarazioni di simpatia dei consiglieri di area santoriana nei confronti del Governo del Cambiamento.
C’è però un problema. La stessa Meloni, in nome dei buoni rapporti nella coalizione di centrodestra, ha ottenuto da Salvini il veto all’entrata dei fuoriusciti da Fratelli d’Italia nella Lega, che avrebbe bisogno di radicarsi sul territorio anche nella Capitale. Un veto che non può che avere valore temporaneo visto che la politica è la terra degli squali.
Ma che per adesso ha permesso a Giorgia di fermare il passaggio dei suoi ex consiglieri.
Fino a quando?
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
ANTONELLO CAPORALE HA SCRITTO “MATTEO SALVINI, IL MINISTRO DELLA PAURA”
“Salvini? Sa bene che il mercato della paura è floridissimo e quindi lo alimenta in ogni modo”. 
Sono le parole pronunciate a Omnibus (La7) da Antonello Caporale, giornalista de Il Fatto Quotidiano e autore del libro “Matteo Salvini. Il ministro della paura”, edito da Paper First.
Caporale analizza il linguaggio utilizzato dal leader della Lega e sottolinea: “La parola più utilizzata da Salvini, in riferimento a ogni tipo di problema, è un termine amichevole, confidenziale, quotidiano: schifo. Nel pieno della campagna referendaria del 4 dicembre 2016, Salvini, anzichè spiegare le ragioni del No alla riforma costituzionale, parlava dei migranti. Salvini fa leva sullo sconforto, sullo schifo. Mette i migranti ovunque. Ora sostituisce i terroni di 15 anni fa coi nuovi schiavi del Sud. Ieri a Pontida i meridionali sono stati accolti come Ascari“.
Il giornalista si sofferma sulla questione dei rom, altro cavallo di battaglia di Salvini. E aggiunge: “E’ giusto parlare del problema. Ma Salvini non dà soluzioni. E cosa dice, infatti, con crudeltà infinita nei suoi tweet? “Io ti porto la ruspa“. La parola ‘ruspa’ dà il senso di quello che immaginiamo. Addirittura per i bambini rom ha scritto che “serve la ruspetta“.
“Fa paura quello che Salvini dice nei suoi tweet” commenta Caporale
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
SONO UNA RISORSA DELL’ITALIA: SE SI CACCIASSERO VIA TUTTI, IL PIL TORNEREBBE AI LIVELLI DEL PRIMO DOPOGUERRA
Sfatiamo la propaganda dei razzisti, anche quelli che abbiamo al governo. Questi sono i dati: nero su bianco. Se tutti costoro tornassero a casa avremmo una voragine nei conti dello Stato
Si chiama propaganda. E questi sono i suoi effetti. D’altraparte anche Hitler diceva che bisogna “bombardare psicologicamente le masse” per ottenere buoni risultati.
Mentre la percezione nell’opinione pubblica italiana è che, su 60 milioni di abitanti, un terzo sia oramai costituito da stranieri, la realtà è che sono invece il 7% sul totale della popolazione
Lo ha detto il portavoce per l’area Mediterraneo dell’Oim, l’Organizzazione internazionale dell’Onu per le migrazioni, Flavio Di Giacomo, intervenendo a un convegno a Roma. La maggior parte dei migranti che vivono in Italia con un regolare permesso di soggiorno non è arrivata via mare.
In Italia ci sono 5 milioni di stranieri regolari che contribuiscono al 9% del Pil nazionale: “Se si cacciassero via tutti, il Pil italiano subirebbe un regresso pari a quello conosciuto al termine dell’ultima guerra mondiale”, ha chiosato Di Giacomo.
Si tratta, ha detto, di cinque milioni di persone che pagano i contributi previdenziali e non hanno ancora raggiunto l’età della pensione e che pagano molte più tasse – quantificabili nel bilancio dello stato in circa un miliardi di euro – rispetto ai servizi che ricevono.
Si tratta – ha concluso l’esponente dell’Oim – di una risorsa per un Paese che invecchia e che, si stima, fra 30 anni avrà un 23% di popolazione in età lavorativa in meno.
(da Globalist)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
2300 MILIARDI DI DEBITO PARI AL 132% DEL PIL IN COSTANTE AUMENTO
Non passa giorno che qualcuno, sia esso un politico al governo o un economista con la ricetta in mano,
dica la sua su come si può superare l’ostacolo del debito pubblico italiano, arrivato a oltrepassare i 2.300 miliardi di euro e il 132% del Pil (prodotto interno lordo).
Ma nessuno sembra avere il bandolo della matassa in mano, la ricetta giusta per rientrare nella normalità e mettere il paese al riparo dalle oscillazioni del suo indice di fiducia, lo spread.
Proprio domenica 1 luglio è arrivata l’ultima dichiarazione di Carlo Cottarelli, ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale e dunque parzialmente allineato alla dottrina liberista che ha permeato quell’istituzione: “E’ impossibile ridurre il rapporto tra debito e Pil — ha detto — attraverso manovre espansive. Non esistono precedenti in nessun paese”.
Ma poco più in là assistiamo alla visione opposta del sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri che insiste nel proporre una manovra espansiva da 70 miliardi che includa Flat tax, riforma della legge Fornero e Reddito di cittadinanza.
E se lo spread balzasse improvvisamente a 500 punti di fronte una prospettiva del genere Siri propone una soluzione inedita e per così dire ‘sovranista’: “Le famiglie italiane che hanno 5000 miliardi di liquidità tornino a riprendersi quelle quote del debito, pari a 780 miliardi, collocata presso investitori stranieri, che sono quelli che fanno girare la giostra dello spread”.
A parte che le cifre indicate da Siri non sono corrette in quanto la quota di debito pubblica detenuta da investitori esteri, secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia, ammonterebbe a circa 480 miliardi (e non a 780), la sua proposta in questi termini suona quantomeno generica e basata sul nulla.
Se si volesse veramente ‘balcanizzare’ il debito pubblico italiano, cioè metterlo tutto nei portafogli dei residenti, imitando la situazione presente in Giappone, occorrerebbe mettere a punto un piano pluriennale in cui si stimola l’investimento dei privati cittadini, con risparmio a disposizione, ad acquistare ulteriori emissioni di titoli di Stato.
A cui dovrà essere assegnato un rendimento maggiore o un beneficio fiscale.
Ma come si fa, dopo anni e anni di emissioni aperte sul mercato, a escludere di punto in bianco dagli acquisti gli investitori istituzionali esteri?
Il problema dei politici oggi al governo è che continuano a invadere il dibattito pubblico con proposte non ponderate, destinate ad acchiappare il consenso momentaneo della gente ma senza basi concrete per la loro realizzazione.
Sarà forse anche per questa mancanza di soluzioni pragmatiche che al recente vertice europeo di Bruxelles sul tema del debito pubblico italiano si è preferito buttar la palla più in là .
Il premier Conte non ha assecondato la proposta franco-tedesca nella parte in cui voleva un rafforzamento del fondo Esm sul modello del Fondo Monetario internazionale e dunque la questione è stata rimandata a un prossimo vertice da tenere a dicembre 2018
Ma che il problema del debito pubblico sia stringente lo conferma anche il recente intervento della Corte dei Conti, il cui presidente Angelo Buscema nella relazione sul rendiconto generale dello Stato è stato molto chiaro: “Un eccessivo livello di debito limita la capacità progettuale di medio e lungo periodo con riflessi sui tassi d’interesse e sulla complessiva stabilità finanziaria del paese: in definitiva sulle sue potenzialità di crescita”.
Buscema avverte la necessità di agire in qualche modo: “Dopo la lunga crisi conosciuta dal nostro paese, la tutela della finanza pubblica si identifica in buona parte con l’esigenza di ricondurre il debito su un sentiero di sicura sostenibilità e di recuperare la crescita in termini di Pil”.
Ma anche gli economisti non hanno le idee molto chiare, a giudicare dal livello delle polemiche delle scorse settimane sempre tema di debito pubblico. Per far capire meglio ai lettori di cosa si sta parlando ecco una sintesi delle varie posizioni in campo
Cominciamo prendendo spunto da una appassionata intervista rilasciata qualche giorno fa dall’economista Michele Boldrin al giornale online Linkiesta nella quale invita a concentrare l’attenzione sulla capacità dell’Italia a servire il proprio debito pubblico lasciando perdere il suo valore assoluto, che può addirittura risultare fuorviante.
Se vi fosse crescita sostenuta in Italia — è la tesi di Boldrin insieme a un nutrito schieramento di economisti della scuola liberista che anni fa avevano sostenuto il movimento ‘Fare per fermare il declino’ — nessuno si preoccuperebbe dell’alto livello assoluto del debito pubblico. “Se io ho tanto debito e ti prometto che farò reddito futuro, e quindi gettito fiscale — dice Boldrin — divento credibile”.
Su questo punto credo che tutti possono essere d’accordo, è piuttosto sul come si possa produrre reddito aggiuntivo e quindi gettito fiscale in presenza di un debito così elevato che le teorie divergono e, dico io, dove le fondamenta liberiste vengono incrinate dalla dura realtà del caso italiano.
Boldrin getta infatti ‘alle ortiche’ le proposte che hanno contrassegnato la recente accesa campagna elettorale, cioè la Flat tax e il reddito di cittadinanza, quali elementi di una politica economica che può portare crescita nel breve periodo.
Constatando, giustamente, che “ridurre le aliquote crea comunque una riduzione del gettito. Non c’è maniera di discutere di riduzione complessiva del carico fiscale in Italia se non si discute di riduzione della spesa, perchè altrimenti l’unico effetto che hai è che crei un buco di bilancio di 2-3 punti percentuali e lo rendi strutturale”.
Ecco che il cerchio comincia a stringersi.
Per produrre più crescita in Italia (dato l’alto livello del debito pubblico) secondo i teorici delle riforme e del rigore occorre prima di tutto tagliare la spesa pubblica, il grande moloch dell’economia italiana.
Con una controindicazione: se tagliando le spese si tolgono soldi dalle tasche dei cittadini, siano essi pensionati, dipendenti pubblici o fruitori di servizi sanitari, i consumi si contraggono e difficilmente si produrrà una maggiore crescita.
Ecco perchè in molti suggeriscono di concentrare i tagli solo sugli sprechi, come sostiene da anni il professore bocconiano Francesco Giavazzi. “Comincino a tagliar la spesa per davvero, dai forestali alle pensioni”, tuona Boldrin.
Sembra facile, ma solo a parole. Il problema è che ci hanno provato in molti negli anni passati tra coloro che si sono avvicendati al governo, ma nessuno vi è riuscito.
Dal professor Cottarelli al suo successore dottor Gutgeld nessuno, per ragioni diverse, ha centrato l’obbiettivo.
Gutgeld ha anzi sostenuto che in Italia non si può pensare di ridurre seriamente la spesa pubblica senza licenziare i dipendenti pubblici e tagliare le pensioni. Due provvedimenti molto impopolari che nessun governo ha sinora voluto mettere in agenda.
Tuttavia il taglio della spesa pubblica non è l’unica strada per risolvere il problema del debito.
Secondo un altro gruppo di economisti (Giovanni Dosi, Marco Leonardi, Tommaso Nannicini, Andrea Roventini) che recentemente hanno scritto una lettera a otto mani al Corriere della Sera, bisogna avere il coraggio di dire che “l’austerità ha fallito, non solo in Italia ma in tutta l’area euro, e che la quasi stagnazione rende il peso del debito insostenibile nel lungo periodo in diversi paesi del’area euro”.
Abbattuto il muro del rigorismo resta da dire quali sono le ricette per uscire dalla morsa.
Tra le possibilità , secondo i quattro economisti ‘innovatori’, ci sarebbe l’utilizzazione del “Fondo Salva Stati come veicolo per l’assicurazione dei debiti nazionali con l’obbiettivo di far convergere le curve dei rendimenti dei titoli di Stato di tutti i paesi e reinvestire i proventi derivanti dai premi di assicurazione nei paesi che li hanno pagati”.
Di questa proposta ha scritto anche l’economista della Consob Marcello Minenna sulle nostre pagine e un suo intervento al riguardo è stata pubblicato dal Financial Times Alphaville e commentato da KPV O’Sullivan dell’University of Cambridge. L’obbiettivo sarebbe quello di giungere a una progressiva mutualizzazione dei rischi sovrani tra i paesi che aderiscono all’euro, archiviando il dossier spread e passando a un debito pubblico federale dell’area euro
Un discorso, questo, che purtroppo non riesce a entrare nell’orecchio dei governanti tedeschi e che è avversato apertamente dai principali circoli economici di Germania. “Queste proposte hanno una caratteristica in comune — scrive l’economista della Bocconi Roberto Perotti su Repubblica di martedì 26 giugno — sono un modo per prendere una quantità gigantesca di soldi al contribuente tedesco e passarli a quello italiano. Perchè mai il primo dovrebbe aderire?”.
A meno che Conte e Tria non fossero così abili da riuscire a portare al tavolo delle trattative i tedeschi per poi riuscire a convincerli che la mutualizzazione dei rischi sovrani è nell’interesse di tutti, la prospettiva al momento appare un po’ utopistica.
Un terzo gruppo di osservatori, riuniti nei mesi scorsi sotto le insegne della fondazione ResPublica (che vede nelle sue fila anche l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti), ritiene invece che non sia sufficiente, anche qualora vi si riesca, far fronte alla montagna del debito pubblico solo con una maggiore crescita del Pil.
E propone una ricetta che si potrebbe definire ‘del buon padre di famiglia’: quando hai troppi debiti, non c’è verso, li devi ridurre vendendo qualcosa.
Dunque l’Italia dovrebbe dare una spallata al debito pubblico riducendolo drasticamente, di almeno 300 miliardi. La manovra permetterebbe di innescare un circolo virtuoso dato che l’abbassamento dello spread conseguente al taglio andrebbe a determinare una minor spesa per interessi sul debito liberando risorse che possono, adesso sì, essere reinvestite nella crescita o in misure socialmente utili (reddito di cittadinanza?) con l’obbiettivo di rilanciare i consumi.
Domanda retorica che si porranno in molti: e come si fa ad abbattere il debito pubblico di 300 miliardi?
I banchieri ed economisti di ResPublica hanno individuato una serie di beni dello Stato che potrebbero essere dismessi attraverso procedure finanziarie lineari volte ad attrarre quei risparmi degli italiani che sono ingenti (gli attivi dei privati sono nell’ordine dei 5000 miliardi senza gli immobili) ma che negli ultimi anni hanno preso la via dell’estero per mancanza di buone occasioni di investimento.
In pratica una sorta di nuovo mega programma di privatizzazioni ma indirizzato principalmente a cittadini e risparmiatori italiani.
Non c’è motivo per cui lo Stato non possa vendere agli italiani le sue partecipazioni in società quotate e non quotate, gli immobili posseduti dallo Stato o dagli enti territoriali, le concessioni, i crediti verso Equitalia o verso gli Stati esteri, o anche una parte dell’oro della Banca d’Italia. Il progetto è sicuramente ambizioso e proprio per questo richiederebbe una volontà politica molto forte e determinata nel portarlo a termine. Elemento che nei precedenti governi è mancato.
Ecco, questo è lo scenario entro il quale ci stiamo muovendo e si sta discutendo, anche molto animatamente, e nel quale sono coinvolti non solo gli economisti ma anche i banchieri (il ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha parlato spesso della necessità di ridurre il debito pubblico) e alla fine tutti i cittadini italiani perchè il debito grava su ognuno di noi e sulle prossime generazioni.
Ma gli spazi per agire, come visto, non sono ampi
(da “Business Insider”)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
DOPO MESI DI ANNUNCI UN FLOP CON IL “DECRETO DIGNITA'”
Promesse da spaccare le montagne ma fatti pochi.
Nell’imminenza del primo Consiglio dei ministri che prevede all’ordine del giorno un decreto battezzato con enfasi “dignità ” il giudizio più ricorrente, stando alle bozze, è che si tratti di un esordio piuttosto di basso profilo.
Se poi si prendono le promesse elettorali e il contratto di governo che prevedeva interventi – da tutti giudicati impraticabili – per circa 100 miliardi a colpi di flat tax, smontaggio Fornero e reddito di cittadinanza, il confronto è a dir poco deludente.
Eppure negli ultimi mesi i moniti sulla difficoltà a trovare le coperture in una situazione dove le finanze pubbliche sono costantemente critiche non sono mancati: a cominciare da quelli di Carlo Cottarelli.
Nessuno ha ascoltato: da parte dei gialloverdi non sono giunte retromarce o ripensamenti e così si è arrivati al decreto dignità .
In evoluzione ora dopo ora, che come spiega Marco Leonardi, ex consigliere economico del governo Gentiloni, contiene una serie di misure dove la “toppa è peggiore del buco”.
Quello che doveva essere lo smontaggio del jobs act, con connessa lotta al precariato, a prima vista non centra gli obiettivi e spesso si risolve in aumenti del costo del lavoro, in irrigidimenti e possibili incrementi del contenzioso.
Ad esempio, la norma che impone l’introduzione di cause specifiche per il contratto (le “causali”) dopo i primi 12 mesi, anche per i contratti in essere da una parte non considera che la maggior parte dei contratti ha durata più breve, dall’altra non tiene conto che ora aumenterà il contenzioso perchè i tempi per i ricorsi salgono da 120 a 270 giorni.
I voucher non ritornano, come aveva chiesto la Lega, i riders o “fattorini in bicicletta” continueranno a correre a loro rischio e pericolo sulle strade, lo staff leasing non viene eliminato come previsto dalle prime bozze.
Inoltre i tecnici segnalano che sul lavoro somministrato c’è un vero e proprio errore: nel tentativo di contenerlo invece di porre un limite specifico alle aziende che usano questi lavoratori si è posto un limite alle agenzie che, per la verità , hanno come unico scopo di quello di “somministrare” i lavoratori.
Sul piano fiscale la montagna ha partorito il topolino.
Grazie all’azione del ministro dell’Economia Tria che ha fatto valere l’importanza delle coperture molte misure sono state espunte. Il patto fiscale, che pure doveva essere tra le prime azioni del governo, non è riuscito nemmeno a fare un passo verso l’articolato così come la cosiddetta flat tax per le micro imprese è rimandata al torrido agosto.
Restano una serie di piccoli rinvii che cambiano poco o nulla nella sostanza nonostante le promesse di “abolizione” del vicepremier grillino Di Maio.
Il redditometro non viene abolito ma la palla passa all’Istat e alle associazioni dei consumatori con lo scopo di un futuro decreto.
Lo spesometro, cioè la comunicazione delle fatture all’Agenzia delle entrate, non viene abolito ma viene solo rinviata la scadenza delle comunicazioni dal 30 settembre al 28 febbraio del prossimo anno.
Lo split payment, che consente alla pubblica amministrazione di trattenere l’Iva dei fornitori per tagliare l’erba sotto i piedi all’evasione, non viene abolito ma vengono esentati solo i professionisti.
Spiega Enrico Zanetti, già sottosegretario all’Economia e su posizioni assai critiche contro la complicazione e il peso del sistema fiscale italiano: “Definire tutto questo un bluff, dopo mesi di annunci, è una cortesia”.
(da agenzie)
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Luglio 2nd, 2018 Riccardo Fucile
NEL SUO PROGRAMMA LOTTA ALLA CORRUZIONE. LIBERTA’ DI IMPRESA, DI ASSOCIAZIONE, DI RELIGIONE E DIRITTI CIVILI
Il Messico volta pagina. Lo fa consegnando la presidenza con oltre il 50% dei voti ad Andres Manuel
Lopez Obrador, e quasi cancellando il Pri, il partito che aveva governato il Paese per tutto il secolo scorso.
Ma le prime parole del nuovo capo dello Stato, nonostante la sua reputazione di populista, sono state dedicate alla riconciliazione nazionale e al rispetto delle leggi. Anche il presidente americano Trump si è subito congratulato, scrivendo via Twitter di essere determinato a lavorare con lui.
La vittoria di AMLO, come lo chiamano i suoi sostenitori, è apparsa evidente subito dopo la chiusura dei seggi.
I sondaggi della vigilia lo davano avanti di 20 o 30 punti sui due rivali più accreditati, Ricardo Anaya del Pan e Josè Meade del Pri, ma in altre due occasioni precedenti era accaduto lo stesso, 2006 e 2012, e alla fine Obrador era stato sconfitto, forse dai brogli.
Stavolta però le previsioni si sono confermate anche nel segreto dell’urna, e AMLO ha più che doppiato gli avversari, prendendo il 51,6%, contro il 24,8% di Anaya e il 14,8% di Meade.
Una valanga che produce una svolta storica, non solo perchè consegna la presidenza al candidato anti establishment, ma anche perchè rivoluziona l’intero panorama politico messicano.
Verso le undici della sera Obrador si è presentato nel suo quartier generale all’hotel Hilton del centro storico, per pronunciare le prime parole da presidente eletto, e ha scelto la via della moderazione.
Come messaggio iniziale, ha invitato il paese alla riconciliazione: «La patria viene prima di tutto».
«Il nuovo progetto della nazione punterà a stabilire una democrazia autentica, ma non vogliamo costruire una dittatura nè aperta, nè coperta. I cambiamenti saranno profondi, ma avverranno nel rispetto dell’ordine legale stabilito. Ci sarà libertà di impresa, di espressione, di associazione e di religione. Si garantiranno tutte le libertà individuali e sociali, così come i diritti civili e politici consacrati nella nostra costituzione».
Sul piano economico, ha promesso che «il nuovo governo manterrà la disciplina finanziaria e fiscale. Si riconosceranno gli impegni presi con le imprese, le banche nazionali e straniere».
Però «i contratti del settore energetico saranno rivisti, per prevenire atti di corruzione e illegalità ». Ha garantito che «non attueremo il programma in maniera arbitraria, nè ci saranno confische o espropriazioni di beni».
Il nuovo presidente, oltre a ribadire l’impegno contro la corruzione, ha spiegato che affronterà alla radice le emergenze della violenza e del narcotraffico: «Entrambe sono un prodotto della povertà , e quindi cercheremo di superarle prima di tutto creando condizioni di vita migliori per tutti i cittadini».
Però continuerà anche la lotta sul piano dell’ordine pubblico, e a questo scopo convocherà una conferenza per chiedere l’aiuto di tutte le autorità internazionali e i paesi che hanno esperienza nel combattere il crimine organizzato.
Anche le migrazioni dipendono dalla povertà , e quindi lui cercherà di gestirle «garantendo una qualità della vita che permetta a tutti di vivere dove sono nati e cresciuti, così che coloro che decideranno di emigrare lo faranno per il loro piacere, e non per necessità ».
Quindi ha teso la mano anche agli Stati Uniti: «Vogliamo sviluppare con loro un rapporto di collaborazione, nell’interesse di tutti, basato sul rispetto reciproco».
Trump ha notato questa frase, e nel suo tweet di congratulazioni ha risposto così: «C’è molto da fare che beneficerà tanto gli Stati Uniti, quanto il Messico».
Anche il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Bolton, ha invitato all’ottimismo: «Stiamo già comunicando col nuovo presidente. Quando i due leader si incontreranno, sarete sorpresi dai risultati».
(da agenzie)
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