LE PROMESSE DEL CONTRATTO GIALLOVERDE SONO UN MIRAGGIO
DOPO MESI DI ANNUNCI UN FLOP CON IL “DECRETO DIGNITA'”
Promesse da spaccare le montagne ma fatti pochi.
Nell’imminenza del primo Consiglio dei ministri che prevede all’ordine del giorno un decreto battezzato con enfasi “dignità ” il giudizio più ricorrente, stando alle bozze, è che si tratti di un esordio piuttosto di basso profilo.
Se poi si prendono le promesse elettorali e il contratto di governo che prevedeva interventi – da tutti giudicati impraticabili – per circa 100 miliardi a colpi di flat tax, smontaggio Fornero e reddito di cittadinanza, il confronto è a dir poco deludente.
Eppure negli ultimi mesi i moniti sulla difficoltà a trovare le coperture in una situazione dove le finanze pubbliche sono costantemente critiche non sono mancati: a cominciare da quelli di Carlo Cottarelli.
Nessuno ha ascoltato: da parte dei gialloverdi non sono giunte retromarce o ripensamenti e così si è arrivati al decreto dignità .
In evoluzione ora dopo ora, che come spiega Marco Leonardi, ex consigliere economico del governo Gentiloni, contiene una serie di misure dove la “toppa è peggiore del buco”.
Quello che doveva essere lo smontaggio del jobs act, con connessa lotta al precariato, a prima vista non centra gli obiettivi e spesso si risolve in aumenti del costo del lavoro, in irrigidimenti e possibili incrementi del contenzioso.
Ad esempio, la norma che impone l’introduzione di cause specifiche per il contratto (le “causali”) dopo i primi 12 mesi, anche per i contratti in essere da una parte non considera che la maggior parte dei contratti ha durata più breve, dall’altra non tiene conto che ora aumenterà il contenzioso perchè i tempi per i ricorsi salgono da 120 a 270 giorni.
I voucher non ritornano, come aveva chiesto la Lega, i riders o “fattorini in bicicletta” continueranno a correre a loro rischio e pericolo sulle strade, lo staff leasing non viene eliminato come previsto dalle prime bozze.
Inoltre i tecnici segnalano che sul lavoro somministrato c’è un vero e proprio errore: nel tentativo di contenerlo invece di porre un limite specifico alle aziende che usano questi lavoratori si è posto un limite alle agenzie che, per la verità , hanno come unico scopo di quello di “somministrare” i lavoratori.
Sul piano fiscale la montagna ha partorito il topolino.
Grazie all’azione del ministro dell’Economia Tria che ha fatto valere l’importanza delle coperture molte misure sono state espunte. Il patto fiscale, che pure doveva essere tra le prime azioni del governo, non è riuscito nemmeno a fare un passo verso l’articolato così come la cosiddetta flat tax per le micro imprese è rimandata al torrido agosto.
Restano una serie di piccoli rinvii che cambiano poco o nulla nella sostanza nonostante le promesse di “abolizione” del vicepremier grillino Di Maio.
Il redditometro non viene abolito ma la palla passa all’Istat e alle associazioni dei consumatori con lo scopo di un futuro decreto.
Lo spesometro, cioè la comunicazione delle fatture all’Agenzia delle entrate, non viene abolito ma viene solo rinviata la scadenza delle comunicazioni dal 30 settembre al 28 febbraio del prossimo anno.
Lo split payment, che consente alla pubblica amministrazione di trattenere l’Iva dei fornitori per tagliare l’erba sotto i piedi all’evasione, non viene abolito ma vengono esentati solo i professionisti.
Spiega Enrico Zanetti, già sottosegretario all’Economia e su posizioni assai critiche contro la complicazione e il peso del sistema fiscale italiano: “Definire tutto questo un bluff, dopo mesi di annunci, è una cortesia”.
(da agenzie)
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