Luglio 10th, 2018 Riccardo Fucile
“LA POLITICA ECONOMICA DEVE TENDERE AL CALO DEL DEBITO PER RIDURRE LA PRESSIONE FISCALE, ALTRIMENTI DERIVA SUDAMERICANA”
Le crisi sono costate alle banche “circa 12 miliardi per i salvataggi e per nuovi fondi europei e nazionali di garanzia”, ma la tenuta del sistema è stata garantita da “addirittura 70 miliardi di aumenti di capitale e ancor più colossali cntinui prudenziali accantonamenti”: in occasione dell’Assemblea Annuale, il presidente dell’Abi Antonio Patuelli rivendica i risultati ottenuti, a cominciare dal forte calo delle sofferenze, che, “al netto degli accantonamenti, sono ridotte a circa 50 miliardi rispetto al picco del 2015”, e dei crediti deteriorati netti, 135 miliardi rispetto ai 200 di giugno 2015.
Mette in guardia dai rischi “strategici” dell’Italia dal non partecipare maggiormente all’Ue, scelta che potrebbe porci nei “gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani”.
E chiede anche gli strumenti perchè in futuro banche e risparmiatori non debbano sopportare un peso così gravoso: “L’Unione Bancaria deve consentire ai sistemi nazionali di garanzia dei depositi di poter effettuare interventi preventivi per le banche in crisi, per evitare danni maggiori”.
E anche una maggiore razionalizzazione dei costi per gli interventi: “Chiediamo che le norme dispongano che ciascuna banca debba contribuire ai Fondi di garanzia di cui può teoricamente usufruire e non ad altri”.
Sì all’Europa e all’Unione bancaria con regole uguali per tutti. Patuelli, da sempre deciso sostenitore dell’Unione Europea e dell’Unione bancaria, sottolinea come in questo momento occorra “una nuova spinta per un’Unione bancaria con regole identiche, con Testi unici di diritto bancario, finanziario, fallimentare e penale dell’economia e con coerenza fra regole contabili e prudenziali.
Occorre superare le contraddizioni a cui sono soggette le banche che debbono operare come banche d’Europa, con la Vigilanza unica, e contemporaneamente come banche con ancora nazionali e diversi diritti bancari, finanziari, fallimentari, penali dell’economia e soggette alla concorrenza dei diritti tributari”.
L’Unione passa anche per la semplice applicazione di regole di buon senso, osserva Patuelli: “L’Europa vince tutta insieme come quando riduce gli assorbimenti patrimoniali a fronte dei prestiti a diverse categorie di imprese e realizza i bonifici istantanei che consentono, in massimi dieci secondi, di trasferire denaro tracciato nell’area unica dei pagamenti in Euro”.
Meglio prevenire che correggere. Ma l’Unione bancaria deve anche permettere alle banche in ciascun Paese di agire in maniera razionale, e tempestiva, per evitare i costi esorbitanti sostenuti nelle ultime crisi. “Le crisi bancarie si sono sviluppate in Italia più tardi rispetto al resto dell’Occidente e sono state affrontate, il più delle volte, con le nuove regole dell’Unione Bancaria nata il 4 Novembre 2014, purtroppo senza norme transitorie”.
I risultati sono stati vissuti sulla pelle dei risparmiatori, per il futuro occorre agire in un altro modo: “Chiediamo che le norme dispongano che ciascuna banca debba contribuire ai Fondi di garanzia di cui può teoricamente usufruire e non ad altri”.
Rischio Argentina? “La scelta strategica deve essere di partecipare maggiormente all’Unione Europea impegnando di più l’Italia nelle responsabilità comuni, anche con un portafoglio economico nella prossima Commissione Europea. – sostiene Patuelli – Altrimenti l’economia italiana potrebbe finire nei gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani. In questa primavera, in Argentina, il tasso di sconto ha perfino raggiunto il 40%. Con la lira italiana, negli anni Ottanta, il tasso di sconto fu anche del 19%”.
Lo spread: gli aumenti pesano. Le banche italiane “proseguono i grandi sforzi e progressi” per la ripresa e l’opera di riduzione dei crediti deteriorati, passati in due anni da 200 a 135 miliardi ma “ogni aumento dello spread impatta su Stato, banche, imprese e famiglie rallentando la ripresa”, afferma Patuelli.
No a norme Ue sui titoli di Stato. Patuelli torna a chiedere che la Ue eviti l’imposizione “di un assorbimento patrimoniale sulle banche per il possesso di titoli pubblici che sono riserve di liquidità bancaria”. Lo afferma il presidente Abi Antonio Patuelli all’assemblea dell’associazione rilevando come “i conflitti fra gli Stati in questi campi metterebbero in difficoltà gli stati che hanno più debiti”. Patuelli ha inoltre sottolineato come i “numeri dei ‘tettì dei crediti deteriorati debbono essere motivati in modo trasparente” e non “debbono soffocare la ripresa”
L’Italia: razionalizzazione e innovazione. Patuelli rivendica anche il successo di un consistente piano di riduzione dei costi e degli sportelli: “A dicembre 2017 l’Italia ha visto ridurre a circa 27 mila il numero di sportelli bancari, con tendenza a ulteriori diminuzioni, mentre crescono, con varie denominazioni, gli uffici finanziari. I canali distributivi sono sempre più concorrenti per le libere e responsabili scelte di risparmiatori e investitori”. A questo, sottolinea, si è giutni in accordo con i sindacati, di cui si apprezzano “rispetto reciproco e costruttività “, nel comune obiettivo di definire “insieme i percorsi delle ristrutturazioni basati sempre su scelte volontarie, rifiutando l’indifferenza sociale”.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2018 Riccardo Fucile
BITONCI DICHIARA 131.885 EURO, LA MELONI 98.421 EURO, DI BATTISTA 113.471, CINQUE VOLTE IL REDDITO MEDIO DEGLI ITALIANI: DEVOLVETE AI POVERI LA DIFFERENZA, IPOCRITI!
Le magliette rosse chiamate a raccolta da don Luigi Ciotti di Libera hanno tormentato il riposo di
molti deputati, senatori ed ex parlamentari che se la sono presa con i radical chic col Rolex e l’attico a New York che pontificano sulla povertà dei migranti, sull’apertura dei porti e sull’accoglienza.
La maggior parte dei manifestanti non ha nè un Rolex nè un attico a New York (e di sicuro non li ha il promotore dell’iniziativa), ma per i politici di Lega, MoVimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia le “magliette rosse” sono tutti comunisti col Rolex.
Obiettivi preferiti delle critiche Gad Lerner (colpevole del reato di Rolex) e Roberto Saviano (colpevole del crimine di attico a New York).
Il senatore della Lega Stefano Borghesi ha imbracciato Twitter per stigmatizzare chi veste firmato e al polso ha un orologio da qualche migliaio di euro: la tipica vita del radical chic, chiosa, che predica bene e razzola male.
Naturalmente non c’è alcun nesso tra l’avere un orologio costoso e difendere i diritti dei migranti, uno su tutti quello di non morire annegati in mare da bambini o di non essere picchiati o violentate nei centri di detenzione in Libia.
Poi per curiosità si va a guardare l’ultima dichiarazione dei redditi di Borghesi e si scopre che, come quasi tutti i deputati (la scorsa legislatura venne eletto alla Camera), ha dichiarato un reddito complessivo di 100 mila euro (96 mila euro di imponibile). Niente male rispetto ai 70 mila euro di imponibile dichiarati nel 2013, al suo arrivo a Montecitorio.
L’ex sindaco di Padova e di Cittadella, già senatore della Repubblica e ora sottosegretario al Ministero dell’Economia Massimo Bitonci (anche lui della Lega) ha proposto di schedare tutti i partecipanti alla manifestazione delle magliette rosse di Padova inviando i loro nominativi al ministro dell’Interno Salvini in modo da trasferire i migranti ospitati nei centri d’accoglienza della zona direttamente a casa dei buonisti #RadicalChic.
Poco importa che quelle persone paghino le tasse anche affinchè lo Stato si faccia carico dell’accoglienza. Con quelle stesse tasse viene anche pagato lo stipendio del sottosegretario che nel 2014, quando era senatore, aveva dichiarato un reddito imponibile pari a 131.855 euro.
Giorgia Meloni dice no al Rolex ma si alla borsa Vuitton
Ma ad aver sfruttato maggiormente la storia dei radical chic con le magliette rosse è stata Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha costruito sulla battaglia contro i radical chic la comunicazione politica di diversi giorni, con cambi d’abito, magliette rosse, azzurre, orologi e appelli a pensare prima agli italiani.
La Meloni ha proposto di indossare una maglietta azzurra per i 5 milioni di italiani sotto la soglia di povertà . Chissà magari un giorno vorrà ospitarne a casa un paio. Ma nessuno glielo chiederà .
Perchè il doppio standard non si applica ai sovranisti. Loro possono accusare i buonisti di non voler accogliere i rifugiati a casa loro (incredibilmente c’è chi l’ha fatto); nessuno di loro però è in prima linea ad aiutare gli italiani poveri.
Anzi, la Meloni (che è alla quarta legislatura parlamentare) è stata fotografata spesso in Aula quando era ministra mentre sfoggiava una borsa di Louis Vuitton (che non costa meno del Rolex) salvo poi proporre un boicottaggio proprio verso la maison francese quando la Francia decise di imporre l’embargo su alcuni prodotti agricoli pugliesi a causa della Xylella.
All’ultima dichiarazione dei redditi disponibile sul sito della Camera (quella relativa all’anno 2017) la Meloni ha dichiarato un reddito imponibile pari a 98.421 euro.
Si dirà : non sono certo guadagni milionari (anche se in lire sarebbero poco meno di 190 milioni all’anno). Ed è vero, sicuramente non sono gli stipendi di un calciatore. Ma bisogna mettere le cose in prospettiva.
Nel 2017 il reddito medio degli italiani è stato pari a 20.940 euro, quasi cinque volte di meno quello dichiarato dai politici che oggi fanno la morale su un Rolex.
Il 45% degli italiani, durante lo stesso periodo in cui la Meloni ha guadagnato 98 mila euro ha dichiarato meno di 15 mila euro.
Alcuni di loro probabilmente erano in piazza con la maglietta rossa, ma senza Rolex. Dal momento che solo il 5,3% dei contribuenti ha dichiarato più di 50.000 euro è evidente che i politici sono tra i pochi privilegiati, proprio come i radical chic.
Giusto per mettere in prospettiva le cose, le persone che hanno dichiarato più di 300 mila euro sono state circa 35.000 (ovvero 0,1% del totale dei contribuenti)
Tutti i crimini dei buonisti secondo Di Battista
Nella rassegna di chi si oppone al pensiero unico buonista non poteva mancare l’ex deputato M5S Alessandro Di Battista attualmente impegnato in una lunga vacanza per ritemprarsi dalle fatiche (e dalle privazioni) della vita parlamentare. Il turista della democrazia, attualmente in Messico, fa un lungo elenco delle colpe delle magliette rosse. Tutti, nessuno escluso, sono colpevoli di aver approvato la decisione di Napolitano di bombardare la Libia (anche se la decisione fu del governo Berlusconi, con dentro la Lega) e che dopo hanno fatto soldi sui migranti.
L’elenco continua. Quelli con la maglietta rossa sono colpevoli di vestirsi elegantemente (non come il descamisados Dibba quando andava nei salotti buoni della TV) che con il mignolino alzato si scandalizzano ma che rimangono carnefici. Le magliette rosse organizzano festini tra lussuose mura domestiche (ad esempio la villa di Grillo che viene affittata a 15 mila euro a settimana?) addirittura alimentando il mercato della droga che — dalle parti dove è ora — è una delle ragioni della fuga della povera gente. Poco importa che magari non ci sia nessuno tra le magliette rosse a pippare bamba dalle chiappe di una stripper; Di Battista ha costruito il nemico perfetto.
Poi uno si ferma a riflettere e si ricorda che Di Battista è lo stesso che quello che voleva Gino Strada presidente della Repubblica, che magari ha votato contro il reato di clandestinità (ma Salvini dice che per i clandestini la pacchia è strafinita).
Quello che nel 2017 ha dichiarato un reddito pari 113.471 euro e che spendeva quasi duemila euro al mese tra pranzi e spesa al supermercato (ma si faceva fotografare mentre mangiava la focaccia seduto sui gradini del Palazzo).
Di Battista se la prende con i buonisti che non dicono nulla contro Israele (ma che ne sa lui?) e nel frattempo il suo partito sta al governo con uno che approva le azioni israeliane.
Già , è proprio quel Di Battista, quello che aveva promesso di abbandonare il MoVimento 5 Stelle se si fosse alleato con la Lega, a fare la morale agli altri.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 10th, 2018 Riccardo Fucile
IL VIMINALE AVEVA NEGATO L’ATTRACCO PERSINO ALLA NOSTRA GUARDIA COSTIERA: SALVINI VA INCRIMINATO, MATTARELLA SVEGLIATI O CI PENSERANNO GLI ITALIANI A USARE LA LEGITTIMA DIFESA CONTRO LA FOGNA RAZZISTA
Un presunta (e legittima) protesta da parte dei 66 migranti a bordo della Vos Thalassa sarebbe all’origine del trasferimento sulla nave Diciotti delle persone soccorse in mare dal cargo commerciale, a cui era stato negato dal Viminale l’approdo in Italia.
Questa la ricostruzione del ministero dei Trasporti, che spiega perchè la nave della Guardia costiera sia intervenuta stanotte.
Secondo quanto scritto anche su Twitter dal ministro Danilo Toninelli, i 67 “facinorosi” (tra loro 3 donne e 6 minori) si sarebbero “ammutinati” nei confronti dell’equipaggio della Vos Thalassa all’annuncio dell’arrivo della marina libica che li avrebbe riportati in Africa.
Protesta legittima perchè le convenzioni internazionali vietano i respingimenti in Libia e la Guardia costiera libica è collusa coi criminali come da inchiesta Onu e sentenze della magistratura di Palermo.
E va detto chiaro e tondo che chi voleva vietare persino alla nostra Guardia Costiera di attraccare il Italia è indegno di rivestire il ruolo di ministro e va incriminato in base alla legge vigente.
Pochi minuti prima dell’intervento del ministero dei Trasporti, Salvini aveva ribadito che, anche se ormai a bordo della nave della guardia costiera, i 66 migranti soccorsi ieri dalla nave Vos Thalassa non sarebbero comunque sbarcati in Italia.
“Accertate le buone condizioni di salute dell’equipaggio – continua la Guardia costiera – la nave Vos Thalassa ha potuto riprendere la navigazione per ritornare alle proprie ordinarie mansioni commerciali. Il personale della nave Diciotti ha già adottato le prime azioni volte al riconoscimento dei migranti e ad individuare i responsabili dei disordini a bordo”
“Avrebbe dovuto lasciarli alle motovedette libiche che erano state allertate” (i criminali amici di Salvini) la motivazione con la quale ieri sera il Viminale ha motivato la decisione di non concedere alla nave che svolge servizio di sorveglianza della piattaforma petrolifera Farwah l’approdo in un porto italiano.
Una decisione senza precedenti arrivata a pochi minuti di distanza dalla dichiarazione di Luigi Di Maio che ieri sera, intervistato da La7, aveva detto: “I nostri porti sono aperti. Stiamo autorizzando pescherecci, cargo e navi militari a salvare le persone in mare e a venire nei nostri porti. Le uniche a cui abbiamo detto no sono le Ong”.
Nella notte, la decisione di autorizzare il trasbordo dalla Vos Thalassa, una delle navi commerciali che spesso è stata chiamata a soccorrere migranti per la sua posizione di vicinanza alle acque Sar libiche, alla nave Diciotti della Guardia costiera. Questa mattina il Viminale aveva fatto sapere che i migranti non verranno sbarcati in Italia. Un annuncio che lascia perplessi visto che, per il diritto internazionale, i migranti sono ormai su suolo italiano e il loro respingimento è vietato.
(da agenzie)
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