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PER LA MELONI LA FRANCIA RESPONSABILE DI AVER BOMBARDATO LA LIBIA DI GHEDDAFI, MA ECCO LA PROVA CHE LEI AVEVA VOTATO FAVORE DELL’INTERVENTO ANCHE DELL’ITALIA

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

I TABULATI PARLAMENTARI SBUGIARDANO CLAMOROSAMENTE LA MELONI: VOTO’ A FAVORE DELLA MOZIONE CICCHITTO-REGUZZONI CHE CHIEDEVA L’INTERVENTO MILITARE ITALIANO ACCANTO AI FRANCESI

Qualche giorno fa Giorgia Meloni, che sta vivendo un periodo di arbitrario oscuramento a causa dell’interventismo del ministro Salvini sulle questioni a lei care, ha deciso che era cosa buona e giusta andare all’attacco del presidente francese Emmanuel Macron.
La Francia dice che l’Italia è “irresponsabile”? Allora la Meloni ci butta il carico da undici: «Irresponsabile semmai è chi nel 2011 è andato a bombardare la Libia per interessi economici».
Vale a dire la Francia (poco importa per lei che Macron non fosse presidente all’epoca).
La leader di Fratelli d’Italia lo aveva detto già  un mese fa durante una conferenza stampa alla Camera. Lo ha ribadito il 16 luglio a “Liguria D’Autore” a Montemarcello.
Dal palco della rassegna è tornata a punzecchiare la Francia, colpevole a suo dire di aver voluto l’intervento militare ONU in Libia unicamente per salvaguardare i propri interessi economici.
Sono in molti nel centrodestra a prendersela con i francesi additandoli come colpevoli della caduta di Gheddafi e quindi della crisi migratoria successiva.
Altri invece preferiscono dare la colpa a “Re Giorgio” Napolitano, quasi che sia stato l’allora Presidente della Repubblica a volere — da solo — che l’Italia appoggiasse l’intervento in Libia.
La storia però ci racconta un’altra versione dei fatti.
Quella andata in scena alla Camera il 24 luglio 2011 (al governo c’erano ancora Berlusconi, la Meloni e la Lega) quando l’Aula approvò la mozione presentata dal deputato del Fabrizio Cicchitto (Popolo della Libertà ) e Marco Reguzzoni (Lega Nord).
Mozione nella quale si affermava che «la partecipazione dell’Italia all’intervento internazionale non poteva mancare» in ragione della «reciproca fedeltà  e fondamentale comunanza di principi che lega l’Italia ai nostri alleati storici impegnati sullo stesso fronte, dal rispetto che essa nutre nei confronti dei consessi multilaterali di cui fa parte, dalle particolari condizioni geografiche, storiche, economiche e politiche che vedono un primario interesse del nostro Paese nel tutelare la stabilità  dell’area mediterranea».
Nella mozione leggiamo che il primo punto a favore della risoluzione ONU che sanciva la liceità  di un intervento militare per deporre Gheddafi c’era la constatazione del fatto che l’Italia «riceve il 25 per cento del petrolio e il 14 per cento del gas naturale di cui ha bisogno dalla Libia».
Si chiedeva quindi al governo di adoperarsi nelle opportune sedi internazionali affinchè venissero riattivati quanto prima, non appena le circostanze e le decisioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU lo avessero reso possibile «gli accordi bilaterali, in particolare quelli in materia energetica, stipulati dall’Italia con la Libia».
Insomma anche all’Italia premeva mantenere i rapporti economici con la Libia.
Quando l’Italia appoggiò l’intervento militare per difendere i propri interessi economici (e Meloni votò sì)

Non solo. Si chiedeva anche l’attuazione di un embargo sulle esportazioni di armi (proprio quello che ora Salvini giudica inutile) e si impegnava il governo a «ottenere dai partners europei e dalla Commissione un apporto di mezzi, anche finanziari, per condividere l’onere della gestione degli sbarchi di immigrati» nonchè «ad attivarsi nelle sedi proprie affinchè l’Europa si doti al più presto di un «sistema unico di asilo», che fin da subito preveda un sistema di burden sharing teso a redistribuire la presenza degli immigrati tra i paesi membri e fornisca una maggiore assistenza nelle operazioni di riconoscimento e identificazione di coloro che si dirigono verso le coste italiane». Insomma già  nel 2011 si parlava di una modifica del sistema di asilo.
La mozione Cicchitto fu la prima ad essere votata quel giorno.
Giorgia Meloni, che oggi se la prende con chi andò a bombardare la Libia per difendere i propri interessi economici votò a favore.

E che gli interessi economici italiani fossero in cima alla lista delle preoccupazioni lo dimostra l’intervento del leghista Reguzzoni:   «Quali sono questi motivi di preoccupazione? Sono fondamentalmente quattro: gli equilibri internazionali, il rischio profughi e l’emergenza umanitaria che si possono venire a creare, l’aumento del numero dei clandestini e le questioni dell’energia e del petrolio».
Anche Cicchitto ribadì che uno dei punti a favore dell’Intervento «consiste nel tutelare anche gli interessi economici dell’Italia. Se lo fa la Francia non capisco perchè non dobbiamo farlo noi».
Insomma la Francia è andata in Libia a bombardare per difendere i suoi interessi economici, come dice la Meloni. Il punto è che anche l’intervento italiano fu deciso in base alla difesa degli interessi economici nazionali.
L’unica differenza era che probabilmente i francesi alle elementari avevano studiato meglio la geografia, intuendo che avrebbero potuto salvaguardare i propri interessi senza farsi carico dell’arrivo dei migranti.
Lo stesso giorno l’onorevole Meloni votò contro alla proposta di risoluzione avanzata dal deputato Radicale Matteo Mecacci che avrebbe impegnato il governo a «mettere in atto tutte le misure necessarie al fine di fornire assistenza a tutti coloro che fuggono via mare verso l’Italia coordinando coi partner europei eventuali distribuzioni straordinarie anche in altri Stati membri dell’Unione europea in deroga alla Convenzione di Dublino del 1990».
La seconda mozione, che ottenne il voto favorevole della Meloni, era quella presentata dall’onorevole Franceschini (Partito Democratico) che impegnava il governo alla concessione di basi militare per l’intervento in Libia.

(da “NextQuotidiano”)

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CONTRATTI PIU’ CARI PER CHI ASSUME BADANTI E COLF: MA NON ERANO LEGA E M5S CHE SI RIEMPIVANO LA BOCCA DI “AIUTI ALLE FAMIGLIE”?

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

IL DECRETO DIGNITA’ EQUIPARA UNA FAMIGLIA CHE HA UN ANZIANO DA ASSISTERE A UNA AZIENDA: LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI

Gli aumenti contributivi previsti dal decreto dignità  per i rinnovi dei contratti a termine potrebbero pesare sulle famiglie che si affidano alle cure di badanti, babysitter e colf fino a 160 euro in più l’anno.
È il calcolo di Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico citato oggi dal Corriere della Sera
L’associazione chiede per questo di escludere il comparto dalla norma che prevede un aumento dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
L’associazione ha chiesto che la disposizione si applichi solo a chi fruisce anche di agevolazioni e non a chi assume domestici.
Il Corriere racconta che quando in passato ci sono stati incentivi per i contratti stabili, ad esempio con il Jobs act ma anche adesso per le assunzioni degli under 35, il lavoro domestico è sempre stato escluso.
E quindi le famiglie, a differenza delle imprese, non hanno avuto sconti sui contributi da pagare.
Adesso che si vuole rendere meno vantaggioso l’utilizzo dei contratti a termine, le famiglie vengono considerate imprese a tutti gli effetti.
E sono quindi chiamate a fare la loro parte pagando qualcosa in più.
Una mossa in contraddizione con il contratto di governo firmato da Lega e Movimento 5 Stelle che, sia pure in termini generici, parla di «agevolazioni» per le baby sitter e provvedimenti per aiutare le famiglie con anziani a carico che hanno in casa colf e badanti.

(da “NextQuotidiano”)

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“QUI NESSUNO E’ STRANIERO”: CARTELLONI DI BENVENUTO PER MIGRANTI ALL’INGRESSO DI ACQUAFORMOSA

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

L’IMMAGINE CHE RAFFIGURA DONNE DI DIVERSA CULTURA CHE SI TENGONO PER MANO: UNA LEZIONE DI CIVILTA’ DA UN PAESINO DEL COSENTINO

Sei cartelli all’ingresso del Paese con su scritto “Qui nessuno è straniero”, una scritta accompagnata dalla raffigurazione di quattro donne di diverse tradizioni culturali che si tengono per mano.
Sono i cartelli installati dall’amministrazione comunale all’ingresso del Paese di Acquaformosa, in provincia di Cosenza, un messaggio per ribadire che, in questa epoca di muri e fili spinati, qui tutti sono i benvenuti e nessuno è straniero.
Non è un comune qualsiasi, Acquaformosa. Arrampicato sulle montagne del Pollino, è diventato noto alle cronache nazionali grazie all’accoglienza di circa cento profughi che hanno salvato il paesino dall’inesorabile spopolamento causato dall’invecchiamento della popolazione.
Grazie all’arrivo dei migranti, e dei loro figli, la scuola del paese è rimasta aperta, le case vuote sono state affittate dall’associazione che gestisce l’accoglienza e abitate dai migranti, l’economia del borgo si è rimessa in moto.
Acquaformosa è famoso anche per le sue origini, che si perdono nella tradizione arbreshe, gli albanesi d’Italia, sbarcati qui nel 1.400 ma le cui tradizioni resistono intatte in tutto il paese, dove cartelli, piazze e vie portano scritte in doppia lingua. Anche i nuovi cartelloni all’ingresso del paese hanno la scritta sia in italiano che in albanese.
“I disegni dei cartelloni — ha spiegato il vicesindaco Giovanni Mannoccio, promotore dell’iniziativa — sono il frutto di un concorso tra le scuole di cinque paesi della zona, tutti di tradizione arbreshe, un progetto finanziato dal nostro comune e da Unar. Lo slogan ‘Qui nessuno è straniero’ vuole rivendicare il nostro ruolo nell’accoglienza dei migranti, vuole rappresentare un simbolo di resistenza rispetto alle nuove politiche del Governo. In questa estate, chiunque si sentirà  a disagio per le politiche di respingimento, potrà  venire da noi e trovare accoglienza e partecipazione”.

(da Globalist)

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MA QUANTO CI COSTA L’ENNESIMO SALVATAGGIO DI ALITALIA?

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

FINORA BUTTATI DALLA FINESTRA 7,7 MILIARDI, ORA M5S E LEGA VORREBBERO REGALARE ALTRI 4 MILIARDI DEI CONTRIBUENTI

Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha annunciato la volontà  del governo di avviare una ri-pubblicizzazione di Alitalia con il 51% in mano allo Stato e il restante 49% in mano a un partner privato.
Questo, avranno già  notato i più scaltri, significa che il socio privato dovrebbe entrare senza avere potere decisionale e lasciando le scelte industriali allo Stato.
E questo nonostante il salvataggio dell’ex-compagnia di bandiera sia già  costato ai contribuenti — fino al crac di maggio 2017 — circa 7,7 miliardi, 128,3 euro a testa ultracentenari e bebè compresi.
Il Belpaese sperava di aver chiuso i conti con la sanguisuga volante nel 2009, quando il governo aveva passato il cerino ai privati. Ettore Livini su Repubblica fa i conti del nuovo salvataggio:
I conti sono semplici: il prestito ponte da 900 milioni — soldi pubblici — rischia di andare in fumo, almeno in parte, La gestione commissariale (leggi la fiscalità  collettiva) ha accumulato 400 milioni di perdite. Qualche decina di milioni se n’è andata in ammortizzatori sociali. Non solo: il rilancio, tra rinnovo della licenza e gli investimenti necessari per provare a mettere in rotta i conti, «costerà  almeno 4 miliardi», calcola Andrea Giuricin dell’istituto Bruno Leoni.
Assecondare la voglia di aereo di stato di M5s e Lega — anche tenendo presente un 49% a carico di soci privati — potrebbe costare così ai contribuenti altri 3,5 miliardi,. Un “prelievo forzoso” di 58 euro a testa. E fino a quando non si riuscirà  a riportare in utile la società , obiettivo che ad oggi rimane una chimera, saranno costretti a coprire pro-quota le perdite della compagnia
A questo si aggiungono i soldi bruciati negli ultimi anni nell’era della gestione privata, circa 400 milioni ogni 12 mesi. Dal 1974 al 2007 il vettore ha perso ai valori attuali circa 7,5 miliardi.

(da “NextQuotidiano”)

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ASSUNTA MONTANARINO, SALVATORE BARCA E LA “SEGRETARIOPOLI” GRILLINA

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

MENTRE “IL GIORNALE” CHIEDE IL CURRICULUM DELLA CONTERRANEA DI DI MAIO, “IL MATTINO” RIVELA UN LEGAME SENTIMENTALE DELLA STESSA CON IL SEGRETARIO PARTICOLARE DI DI MAIO CHE URTA CONTRO LA LOTTA AL “FAMILISMO” DEL M5S

Il Giornale torna a dedicare la prima pagina ad Assunta Montanino.
Il quotidiano racconta del rapporto tra Assunta Montanino e Salvatore Barca, consigliere di Di Maio:
In attesa di conoscere, nel rispetto di quel principio di trasparenza, cavallo di battaglia della propaganda grillina, il curriculum, spunterebbe-secondo quanto scrive Pino Neri sul Mattino — un presunto legame sentimentale con Salvatore Barca, braccio destro del ministro dello Sviluppo economico e Lavoro Di Maio e originario di Volla, località  a pochi chilometri da Pomigliano.
Secondo quanto racconta il Mattino — «Salvatore e Assunta convivono a Roma, la città  dove si sarebbero conosciuti: lei come stagista alla Camera dei Deputati, lui come capo della segreteria dell’ex vicepresidente di Montecitorio Di aio».
Poi il rapporto si sarebbe consolidato nel tempo, fino a diventare una relazione. Circostanza non smentita dai diretti interessati. Nulla di male, sia chiaro.
Tante coppie condividono politica, lavoro e amore, ma certo la circostanza stona con le passate battaglie grilline contro il familismo.
Altre conferme sul presunto legame nato nei saloni di Montecitorio arrivano dai grillini campani: «Ho conosciuto Assia all’evento Italia a 5 Stelle, mi è stata presentata da Barca come compagna» — racconta un attivista della provincia napoletana.
Ma il Giornale punta il dito oggi anche sul segretario del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, Daniele Longo, che era collaboratore di Giulia Di Vita prima che quest’ultima finisse nella storia delle firme false: a quel punto Longo è approdato da Bonafede che l’ha portato a via Arenula.
Il percorso universitario di Longo è stato piuttosto lungo. Si è iscritto a Giurisprudenza a Palermo nel 2002, a 19 anni, e dopo quattro anni passati nell’ateneo siciliano (e uno all’estero, a Vilnius, per l’Erasmus), Longo ha cambiato sede. E marcia. Iscrivendosi a Bologna e laureandosi tra 2007 e 2011, portandosi finalmente a casa — dopo nove anni — il «pezzo di carta», con la votazione di 103/110.
Da allora, dopo un annetto di pratica legale, è iniziato anche l’avvicinamento di Longo al M5s, e dopo le elezioni della scorsa legislatura anche i corsi e le summer school per collaboratori parlamentari, tra cui quello alla Link Campus
Il tutto mentre lavorava in commissione Affari Sociali, meritandosi persino, nel 2014, una «dedica» speciale da parte della Di Vita, che scrisse un post sul suo blog per elogiare Longo, definito il suo «alter ego»: «Non è del Movimento 5 Stelle, è un palermitano emigrato, come tanti, un ragazzo che ha passato gran parte della sua vita a studiare e faticare per costruirsi un futuro che altri gli hanno distrutto».
C’è altro? Sì.
Il Giornale ricorda anche tutte le polemiche del M5S contro le chiamate di amici e parenti nella PA all’epoca del governo Renzi: «Siamo stanchi di vedere nominare amici e parenti dei politici con incarichi di alta dirigenza nella Pubblica Amministrazione». Quindi l’attacco a Renzi, allora al governo: «Renzi non è stato da meno, nominando a Palazzo Chigi il capo dei vigili di Firenze». All’epoca il M5S chiedeva anche l’abolizione dello spoils system.

(da “NextQuotidiano”)

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CONTESTATA DAI NO TAP LA GRILLINA BARBARA LEZZI, MINISTRA PER IL SUD

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

ALL’UNIVERSITA’ DI LECCE SCOPPIA LA PROTESTA: “HAI TRADITO LE PROMESSE ELETTORALI, VERGOGNATI”

Un folto gruppo di attivisti no Tap, che si oppongono all’ approdo nel Salento del gasdotto, ha contestato la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, durante un dibattito all’Università , accusandola di avere disatteso alle promesse fatte durante la campagna elettorale di bloccare la realizzazione del gasdotto.
A conclusione dell’intervento della ministra nel campus urbano di UniSalento il gruppo di attivisti presenti in aula ha manifestato ad alta voce contro la ministra del M5S.
“Melendugno e il Salento ti ringraziano Barbara – hanno gridato esibendo uno striscione -. Sei peggio della Bellanova. Vergognati”.
La breve protesta è poi continuata all’esterno quando la ministra in auto ha lasciato l’università  col figlioletto scortata dalle forze dell’ordine.

(da “Huffingtonpost”)

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DI MAIO PARLA DELL’ILVA ALL’AULA VUOTA: I GRILLINI SONO SCAPPATI A CASA

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

ACCUSAVANO GLI ALTRI DI LATITANZA E ASSENZE IN PARLAMENTO, SONO FINITI COME GLI ALTRI

Certo a Roma fa caldo, ma non come in un altoforno. Eppure i giovani deputati grillini, forgiati alla ferrea scuola di Casaleggio, non resistono: è venerdì, bisogna tornare a casa, portare le camicie alla mamma, far vedere la macchina dal meccanico di fiducia, pagare qualche bolletta, andare al mare dove hanno lasciato i compagni del bar.
Così i banchi di Montecitorio sono deserti: un paio di Cinque stelle bivaccano annoiati, mentre il loro ministro e leader Luigi Di Maio, interviene sui destini dell’Ilva, una delle vicende industriali più delicate del paese con problemi occupazionali e ambientali che meriterebbero ben altra attenzione.
Soprattutto da parte di chi ha sempre messo nel mirino la classe politica — insieme alla Lega ugualmente assente – accusandola di latitanza e aveva promesso di aprire il Parlamento come una scatola di sardine.
Se il mega apriscatole fosse usato in queste ore, sotto ci si troverebbe il nulla.
Un nulla sul quale potrebbe franare la Repubblica.

(da agenzie)

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INTERVISTA A ROBERTO SAVIANO: “CHI DISSENTE SARA’ PERSEGUITATO, REAGIAMO INSIEME”

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

“COLORO CHE NON NE POSSONO PIU’ DELLE MENZOGNE PERENNI DEVONO SMENTIRLE OVUNQUE: RITROVIAMO L’ORGOGLIO”… E’ QUELLO CHE ANCHE NOI FACCIAMO DA TEMPO

Salvini dice che la querela da ministro perchè le sue affermazioni sui legami tra la Lega e ‘ndrangheta danneggiano l’istituzione. È un motivo accettabile?
“Dei rapporti Lega-‘ndrangheta non parlo io ma la magistratura che ha dimostrato la presenza di ‘ndranghetisti ai comizi di Salvini; che Vincenzo Giuffrè, l’uomo come ha raccontato l’Espresso che ha determinato l’exploit di Salvini a Rosarno, è stato in società  con nomi dei clan Pesce e Bellocco. Ma di cosa stiamo parlando? Il tentativo di Salvini è uno solo: affermare con forza “il governo sono io””.
Il livello dello scontro si è alzato dopo la battutaccia del ministro sulla sua scorta. Lei l’ha definito ministro della malavita. Siete andati troppo sul personale?
“Ho sempre criticato e criticherò sempre le idee politiche di Salvini Chi ha interesse a metterla sul piano personale è lui. Sennò che senso avrebbe mettere baci, faccine, carezze, riferimenti all’essere padre come se stesse in una chat di whatsapp. Fa gesti autoritari poi cerca di condirli con il sorriso. Un modo di fare mellifluo che diventa ancora più violento e tenta di linciare sulla pubblica piazza dei social chi non la pensa come lui”.
L’uso della carta intestata del ministero è una mossa autoritaria?
“Serve a dire che il governo del cambiamento non tollera il dissenso e il dissenso sarà  oggetto di persecuzione”.
I toni si sono alzati un po’ troppo da tutte e due le parti?
“Il linguaggio di Salvini è di per sè una discesa agli inferi. Quando dice parlo da padre, ad esempio, lo fa con spietatezza e crudeltà  cercando di lavare la coscienza a tutti i suoi elettori e anche agli elettori 5S”.
Continuerà  a definirlo ministro della malavita?
“Assolutamente sì”.
Crede ci sia bisogno di una reazione collettiva contro il governo, contro la Lega?
“Una reazione collettiva non serve per difendere me. Saviano è la persona da colpire per educare tutti gli altri. Questo è un messaggio a tutti gli intellettuali che non stanno tra l’altro prendendo posizione con poche eccezioni. Se artisti, scrittori, intellettuali tacciono è perchè hanno paura dei picchetti social, delle allusioni sui loro beni, sulle loro proprietà . Ma oggi è sotto attacco lo stato di diritto. Prima i migranti, poi i rom, poi verrà  il turno della libertà  di espressione. Le libertà  sono cose che interessano solo le èlite: questo è messaggio che si vuol far passare. Al popolo che gliene importa? È quello che sta accadendo in Turchia con Erdogan. Può capitare anche da noi”.
Vede un’opposizione che reagisce o come dicono i sondaggi si avverte solo la sua assenza?
“Se è vero che il Pd ha invitato Luigi Di Maio, l’inventore della formula “taxi del mare”, penso che di sinistra riformista in questo paese possiamo parlare tranquillamente al passato. Bisogna ricostruire tempo e orgoglio, non battere in ritirata, boicottare le loro menzogne senza paura di essere accusati o di vedere la propria vita messa nelle mani degli haters. È un lavoro da fare lentamente senza scorciatoie. Il passato si è polverizzato ma non i valori per cui battersi. Ci vuole l’orgoglio non di vincere ma di convincere, recuperando tutte le forze che sono state messe ai margini dalla sinistra italiana. Chi non ne può più delle menzogne perenni deve smentirle dappertutto: a tavola, sui social, in ufficio, in autobus, in palestra. Si può ancora ricostruire qualcosa oltre il livore, contro il governo del risentimento che ha solo bisogno di bersagli”.
Come si spiega la sottomissione dei 5stelle alle politiche della Lega? C’è un tratto razzista anche in loro?
“I 5 stelle si sono piazzati al potere, lo hanno fatto le loro classi dirigenti, e non hanno alcuna intenzione di mollarlo. Anni per mostrarsi diversi dagli altri, giorni per diventare identici. Alleati di un’organizzazione politica che ha rubato, come dimostra l’inchiesta sui 49 milioni. Eppoi quando ascolto Toninelli tutta questa differenza con la Lega non la colgo”.

(da “La Repubblica”)

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IL MINISTRO DELL’ECONOMIA TRIA GIA’ A RISCHIO DIMISSIONI

Luglio 20th, 2018 Riccardo Fucile

TIENE TESTA A DI MAIO E SALVINI E QUINDI “O SI ADEGUA O QUELLA E’ LA PORTA”…SONO GRADITI SOLO I SERVI

Il posto di Giovanni Tria al ministero dell’Economia è già  a rischio. Un paio di mesi scarsi e il governo Lega-M5S è già  ai ferri corti con il titolare di via XX Settembre che è stato scelto e nominato su proposta di Salvini e Di Maio in quella che potrebbe essere un’avvisaglia di quello che succederà  quando ci sarà  da discutere la Legge di Bilancio.
Stavolta la pietra dello scandalo sono le nomine pubbliche.
Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha infatti prima convocato e poi sconvocato un vertice con Tria, Di Maio e Salvini per parlare dei nomi per il consiglio di amministrazione e per la direzione di Cassa Depositi e Prestiti, che il ministro Toninelli vorrebbe utilizzare per ri-salvare Alitalia.
La Lega infatti ha fatto notare che il vertice convocato costituiva l’esatto contrario della procedura descritta dallo stesso Conte nell’intervista rilasciata a Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, che prevedeva prima la proposta di Tria e poi la mediazione di Conte con Di Maio e Salvini.
Qui si è compreso che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Le tensioni sono state negate da Salvini, che ha detto che per la Cassa i nomi dei vertici arriveranno il 24 luglio, ovvero il giorno in cui è stata rinviata per la terza volta la convocazione dell’assemblea degli azionisti.
Tommaso Ciriaco su Repubblica spiega che i veti chiarissimi: Dario Scannapieco, gradito a Tria, stimato dal Quirinale e Mario Draghi — così giurano dal Movimento e dalla Lega — non passa il vaglio di Salvini.
Lo stop alla “soluzione Palermo” (Fabrizio, che i gialloverdi vorrebbero al vertice), invece, diventa la ritorsione del Tesoro contro la guerriglia grillo-leghista.
«Tria sostiene sempre il contrario di quello che diciamo noi — si sfoga in Aula alla Camera Di Maio con i lombardi del Movimento, sostenendo quello che pubblicamente non può dire — O si allinea, o finiremo per dover chiedere un suo passo indietro»
«Giovanni Tria? Può anche andar via
Nei fatti il passo indietro viene già  chiesto in forma anonima: il tg di La7 riporta le parole di un sottosegretario M5S che preferisce rimanere anonimo, il quale fa sapere che o Tria si adegua o quella è la porta.
Per la CdP Salvini e Di Maio fanno sapere a Conte che se entro martedì il responsabile di via XX Settembre non accetta di trattare su un nome condiviso dalle due forze politiche oppure toccherà  al premier scegliere. Poi c’è il problema delle deleghe, che Tria non ha ancora assegnato a Laura Castelli la quale sarebbe furiosa, ma lei intanto ha già  deciso di farsi riconoscere alla Camera.
Tutti sono coscienti del fatto che CDP è solo l’ultimo episodio di un lungo e neanche tanto sotterraneo scontro tra il ministro del Lavoro, leader del primo partito della maggioranza, e l’economista, un tecnico scelto come ripiego dalla Lega dopo la bocciatura di Paolo Savona da parte del Colle.
Spiega La Stampa:
«O capisce che fa parte del governo del cambiamento oppure è meglio che si dimetta» si sfoga Di Maio con alcuni parlamentari tra il corridoio della Camera riservato al governo e l’aula. «Se pensa di terrorizzarci con lo spread non ha capito con chi ha a che fare. Non abbiamo paura di tornare al voto» spiega un deputato altrettanto spazientito: «Il problema con lui ormai è politico».
Il leader grillino dice di essere «stufo»: prima le dichiarazioni troppo prudenti sulle coperture del reddito di cittadinanza, poi i continui riferimenti al debito, le rassicurazioni all’Europa.
«Parla il linguaggio del passato, del sistema contro cui noi abbiamo vinto»: Di Maio sa poi che Tria non era tanto d’accordo ad approvare così rapidamente il decreto Dignità , avrebbe voluto aspettare, calcolare meglio gli effetti sull’occupazione.
Il caso della «manina» sulla relazione tecnica, le accuse lanciate alla Ragioneria prima dello scontro con il presidente dell’Inps , è stato l’ultimo round, prima di Cdp: i sospetti di Di Maio si sono concentrati subito su Tria, visto come troppo accomodante con i funzionari considerati vicini al suo predecessore Pier Carlo Padoan.

(da “NextQuotidiano”)

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