Destra di Popolo.net

LA DENUNCIA DI OPEN ARMS E I CAZZARI RAZZISTI CHE ESULTANO ED INSULTANO PERCHE’ NON CAPISCONO UNA MAZZA DI DIRITTO

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA PER OMICIDIO COLPOSO E OMISSIONE DI SOCCORSO RIGUARDA OVVIAMENTE IN PRIMIS I COMANDANTI DEL MERCANTILE E DELLA MOTOVEDETTA LIBICA, MA RIGUARDA ANCHE “CHIUNQUE ABBIA RESPONSABILITA’ DIRETTE O INDIRETTE O SIA COINVOLTO A QUALUNQUE TITOLO NELL’EVENTO”, SARA’ IL MAGISTRATO A INDAGARE

Poveri razzistelli frustrati: se leggete i commenti al tweet di Proactiva Open Arms c’è la schiuma della fogna italica, feccia che andrebbe denunciata per gli insulti rivolti a chi sacrifica il proprio tempo per aiutare il prossimo, invece che seminare odio e fare il tifo per i criminali libici.
Peccato che le loro conoscenze di diritto siano pari alla loro umanità , ovvero prossima allo zero.

La precisazione di Open Arms
Veniamo ai fatti, ovvero il comunicato della Ong:
“Visto quanto riportato oggi su diversi organi di stampa, ci preme precisare che nessuna denuncia eÌ€ stata presentata nei confronti del Governo italiano né della sua Guardia Costiera”.
Open Arms precisa ancora che “in relazione ai fatti avvenuti durante l’intervento di salvataggio compiuto il 17 luglio 2018, il direttore e fondatore di Proactiva Open Arms, Oscar Camps, e molti dei volontari presenti a bordo della Open Arms durante l’ultima missione, hanno presentato presso la Procura di Palma di Maiorca, una denuncia contro: il Capitano della motovedetta libica 648 ”RAS AL-JADAR” MMSI 642124567, membro della Guardia Costiera libica e il comandante di eventuali altre imbarcazioni libiche intervenute in quelle stesse ore, per omissione di soccorso e per avere causato la morte di due persone”.
Altra denuncia, scrive la Ong nella nota, ha riguardato “il Capitano del mercantile ”TRIADES”, IMO n°9350082, battente bandiera panamense, per omissione di soccorso e omicidio colposo” e ” chiunque abbia responsabilitaÌ€ dirette o indirette o sia stato coinvolto a qualunque titolo nell’aver determinato gli esiti di quell’evento drammatico”. “Saranno ora le autorità Ì€ giudiziarie spagnole a valutare, in base agli elementi da noi forniti, in che modo dare seguito alla denuncia presentata”, conclude Open Arms.
Da qui l’esultanza dei razzistelli in quanto la Ong “non denuncia più il governo italiano”.
Peccato che le cose giuridicamente non siano cosi’ per i motivi che andiamo a spiegare.
1) La denuncia riguarda i due principali soggetti di cui Open Arms ha la registrazione della conversazione intercorsa, in cui il comandante del mercantile avverte la Guardia Costiera libica di aver avvistato un barcone in emergenza e i militari libici dicono che ci pensano loro al soccorso, invitando il mercantile ad allontanarsi.
La Open Arms non si fida e si dirige sul luogo del naufragio e scopre il gommone bucato dai libici, i due cadaveri e trae in salvo Josefa stremata.
a) il mercantile in base alla legge vigente aveva l’obbligo di intervenire vista l’urgenza della situazione
b) la Guardia costiera libica o non è intervenuta o se è intervenuta ha bucato un gommone con una persona ancora viva e senza recuperare i due cadaveri.
c) chi ha demandato i soccorsi alla Guardia Costiera libica in acque che non sono certificate dagli organismi preposti come “zona Sar libica” ?
Il governo italiano che quindi ha rinunciato a intervenire direttamente con mezzi adeguati e ha allontanato le Ong che avrebbero potuto prestare tempestivo soccorso. E’ infatti il centro di intervento italiano che deve coordinare i soccorsi come da impegni internazionali certificati.
Ricordiamo che la denuncia non a caso riguarda “chiunque abbia responsabilitaÌ€ dirette o indirette o sia stato coinvolto a qualunque titolo nell’aver determinato gli esiti di quell’evento drammatico”.
2) Il post di Salvini e lo sbarco negato a Lampedusa
Una volta recuperati i due corpi e salvata Josefa, Open Arms chiede di poter attraccare con urgenza a Lampedusa e resta in vana attesa per ore.
Salvini come suo costume aveva scritto che “Open Arms l’Italia la vedrà  in cartolina e che nessun porto italiano accoglierà  la nave” (ora finge di dimenticarsene)
Quindi di fatto, a fronte di una emergenza, nega la possibilità  di accogliere sia Josefa che i due morti nel naufragio, tanto che si scatena l’indignazione di molti media.
Solo quando il caso sta per esplodere in mano al governo italiano per i riflessi internazionali che sta suscitando, arriva una parziale marcia indietro: il governo pare disposto ad accogliere Josefa ma non i due cadaveri (probabilmente nel timore dell’effetto mediatico di funerali in Italia).
Salvini è alle corde, pressato dagli alleati, e alla fine propone lo sbarco sia di Josefa che dei due cadaveri ma non a Lampedusa, con una scusa ridicola: “Lampedusa non ha celle frigorifere”.
Come se non esistessero elicotteri che da Lampedusa in 30 minuti non possano trasferirli in qualsiasi altra località  della Sicilia in appositi contenitori   refrigerati.
In compenso propone, caso strano, come sbarco Catania, nota per una procura che da un anno indaga sulle Ong senza alcuna conclusione giudiziaria.
Quindi non è vero che “l’Italia si è immediatamente resa disponibile”, tanto è vero che Open Arms alla fine ha rivolto la prua verso la Spagna che “tempestivamente” si è dichiarata pronta ad accoglierla.
Se questo comportamento può o meno configurare “l’omissione di soccorso” lo deciderà  la magistratura spagnola che, ripetiamo, dovrà  accertare gli atti di “chiunque abbia responsabilitaÌ€ dirette o indirette o sia stato coinvolto a qualunque titolo nell’aver determinato gli esiti di quell’evento drammatico”.
E qui la catena del soccorso italiano potrebbe venire chiamato in causa.
3) Se si arrivererà  a una inchiesta giudiziaria, verranno per la prima volta chiarite le responsabilità  della Guardia Costiera libica.
Se Josefa testimonierà  un comportamento illecito dei libici, sanzionato da una sentenza, Salvini non potrà  più attaccare la Ong ma dovrà  ammettere di aver delegato a dei criminali il soccorso in mare.
E di fronte al mondo l’Italia sarà  il Paese che affida il respingimento nei lager e l’affogamento di madri e bambini a degli incapaci (nella migliore delle ipotesi) o a dei delinquenti (nella peggiore)
In ogni caso qualcuno ha poco da ridere.
Anche nell’ex Jugoslavia qualcuno rideva e si è trovato con le manette ai polsi.

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LA CONFESSIONE DI UN UFFICIALE LIBICO: “ERANO MORTI E LI ABBIAMO LASCIATI LI’, LA DONNA VIVA NON L’AVREMO VISTA”

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

POI AMMETTE: “NON SIAMO ADDESTRATI PER IL SOCCORSO IN MARE”… FONTI MILITARI AL “FATTO”: “I LIBICI AFFONDANO I BARCONI CON ANCORA LA GENTE A BORDO”

“Non siamo preparati alle operazioni di primo soccorso in mare”. L’ufficiale della Guardia costiera libica — in una conversazione che proteggiamo con l’anonimato — ammette un drammatico limite nei loro interventi in mare.
Un limite che collega al ritrovamento, il 17 luglio scorso, di due cadaveri e una superstite a circa 80 miglia dalla costa libica.
Il militare parla letteralmente di first aid, primo soccorso, quando fornisce la sua versione sul salvataggio dei migranti poi recuperati dalla nave Open Arms della ong spagnola Proactiva.
Il Fatto ha incrociato la sua testimonianza con altre fonti che confermano: “Accade spesso che sulle motovedette libiche non vi siano medici a bordo. Sì, non sono adeguatamente preparati per prestare un primo soccorso medico”.
È un altro elemento sul quale è necessario fare chiarezza e intervenire, dopo quello che il Fatto ha rivelato ieri, ovvero che i militari libici, per convincere i migranti a lasciare le imbarcazioni e salire sulle loro motovedette, spesso distruggono i gommoni con la gente ancora a bordo.
Torniamo alle parole dell’ufficiale libico. “Non siamo attrezzati per un primo soccorso medico — spiega — e inoltre, se troviamo un cadavere in mare, lo lasciamo in acqua, non possiamo portarlo a terra dove potrebbe restare per giorni e giorni”.
Il riferimento è ai cadaveri della donna e del bambino ritrovati poi dall’equipaggio di Open Arms.
Il militare sostiene che al momento del salvataggio erano già  morti, che qualcuno abbia provato a verificare se fossero vivi, ma sia per la donna sia per il bambino non c’era più nulla da fare.
E Josefa, la donna camerunense di 40 anni, che i volontari spagnoli hanno trovato aggrappata al relitto del barcone? “Era buio — conclude l’uomo — deve essere sfuggita alla vista dell’equipaggio della motovedetta”.
Ammesso che la donna e il bambino fossero già  morti, almeno di Josefa si può dire che è viva soltanto grazie all’intervento provvidenziale della Ong spagnola.
Oggi possiamo aggiungere che, a differenza delle Ong, le motovedette libiche viaggiano spesso senza medici a bordo e non sono attrezzate per un primo soccorso sanitario.
Il dato si aggiunge alle rivelazioni di più fonti militari, altamente qualificate, che raccontano l’abitudine dei libici di affondare le imbarcazioni con i migranti ancora a bordo per convincerli a salire sulle loro motovedette.
“Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta — spiegano fonti del suo dicastero — sta verificando la notizia: se fosse confermata sarebbe gravissimo”.
Fonti del ministero delle Infrastrutture, dicastero guidato da Danilo Toninelli (M5S), spiegano: “Dalla Guardia costiera italiana fanno sapere che a Roma queste procedure non risultano”.
Sulla vicenda interviene Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali, segretario di Sinistra italiana: “Ecco qua, ora cari Matteo Salvini e Danilo Toninelli, che fate? Denunciate Il Fatto Quotidiano? Andate alla ricerca delle fonti militari italiane che evidentemente schifate dalle pratiche libiche iniziano a raccontare la verità ?”.
Il Fatto, ovviamente, proteggerà  le sue fonti con l’anonimato e conferma la notizia in attesa che il governo decida di fare chiarezza.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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UN POPOLO BUE IN BALIA DELLE BUFALE: L’82% DEGLI ITALIANI NON SA RICONOSCERE UNA FAKE NEWS

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

I DATI DEL RAPPORTO INFOSFERA SVELANO COME UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE (SU CUI NESSUNO INDAGA) STIA CONDIZIONANDO LA POLITICA

Poche notizie affidabili sul web e un’incapacità  della maggior parte delle persone di riconoscere una bufala su internet.
Nonostante un uso quotidiano della rete che ha provocato un aumento dei malori legati “all’overdose di web”.
Sono questi, in estrema sintesi, i dati allarmanti che emergono dal rapporto Infosfera sull’universo mediatico italiano.
Lo studio è stato realizzato dal gruppo di ricerca sui mezzi di comunicazione di massa dell’Università  Orsola Benincasa guidato da Umberto Costantini, docente di Teoria e tecniche delle analisi di mercato ed Eugenio Iorio, docente di Social media marketing.
Per l’87% degli italiani i social network non offrono più opportunità  di apprendere notizie credibili e l’82% degli italiani non è in grado di riconoscere una fake news, una bufala sul web.
La ricerca completa, giunta alla sua seconda edizione, è pubblicata integralmente sul sito web dell’ateneo napoletano.
E’ stata realizzata in collaborazione con i ricercatori dell’Associazione Italiana della Comunicazione pubblica e istituzionale, del Centro studi democrazie digitali e della Fondazione Italiani – Organismo di Ricerca coinvolgendo un campione d’indagine superiore ai 1500 cittadini italiani, quindi con un errore statistico minimo che si attesta intorno al 2,5%
Il rapporto Infosfera, che è stato presentato alla presenza del Commissario Agcom, Mario Morcellini, raccoglie i dati sulla percezione del sistema mediatico, con particolare attenzione al livello di credibilità , fiducia ed influenza delle fonti di informazione.
Viene così disegnato il nuovo assetto dello spazio pubblico prodotto dai fenomeni della mediatizzazione, della disintermediazione, dell’information overload, della polarizzazione e della sottrazione di tempo e di attenzione.
L’overdose di web
Dalla ricerca emerge l’assoluta dipendenza degli italiani da internet. Il 95% del campione utilizza quotidianamente la rete, quasi il 70% lo fa per più di tre ore al giorno e il 32% per più di cinque ore. La metà  di questi tempi è impiegata sui social network. E crescono così i malanni da “overdose di web”. Stati d’ansia (8,68%), insonnia (16,84%), confusione e frustrazione (6,38%), dolori di stomaco e mal di testa (8,36%) e dimenticanze (9,93%).
I social media e i dispositivi digitali stanno ormai rimodulando le facoltà  mentali dell’individuo, il pensiero profondo, l’attenzione e la memoria. Il 69,34% degli italiani registra e memorizza le informazioni di cui ha bisogno sul telefono.
Il 79,93% ritiene di essere in grado di trovare facilmente le notizie di cui ha bisogno e tende a fare un largo uso di free media piuttosto che di media a pagamento.
“È innegabile – ha spiegato Eugenio Iorio, coordinatore scientifico della ricerca – che si tratti di dati inquietanti perchè in un’infosfera cosiÌ€ configurata i cittadini/utenti, sprovvisti dei piuÌ€ elementari strumenti di analisi e di critica della realtaÌ€ e privi di qualsiasi strumento di difesa, tendono ad avere una visione distorta della realtà , una visione sempre più prossima a quella desiderata dai manipolatori delle loro capacità  cognitive”.

(da agenzie)

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MENO LAVORO NERO? NO, ISPETTORI DEL LAVORO DIMEZZATI IN SETTE ANNI

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

MA AI SOVRANISTI SEDICENTI “SOCIALI” QUESTA COSA OVVIAMENTE NON FREGA UNA MAZZA… DA 4000 SONO STATI RIDOTTI A 1945, COSI’ I CONTROLLI NON SI POSSONO FARE

I numeri senza l’interpretazione perdono di valore.
Così accadrebbe se si leggessero in modo semplicistico i dati del lavoro nero dal 2010 al 2017 elaborati dall’Ispettorato nazionale del lavoro per la Nuvola del lavoro.
I lavoratori in nero nel 2010 erano 57.186 e l’anno scorso 38.775. Ma questa non è una notizia.
Contestualmente sono diminuite le ispezioni, i cosiddetti accessi ispettivi, dai 148.694 del 2010 ai 142.357 nel 2017.
Ma anche questa non è una notizia completa.
Nel 2017 di quei 142.357, 20.117 sono accertamenti non ispettivi ma amministrativo-contabili, cioè verifiche, ad esempio, sugli ammortizzatori sociali.
La cifra che riconsegna una giusta formulazione alla lettura dei numeri è quella del numero degli ispettori, 4.000 nel 2010 fino ai 1.945 nel 2017, come unità  adibite alle ispezioni.
Lo stesso Ispettorato nazionale del lavoro conferma che «è opportuno mettere in correlazione la graduale diminuzione degli accessi ispettivi registrata nel decennio in corso con il costante decremento del personale ispettivo in forza. A causa del blocco del turn-over nel settore pubblico, la consistenza della forza ispettiva è in continua diminuzione, a seguito di numerosi pensionamenti senza nuove assunzioni e a causa della necessità , presso diverse sedi, di utilizzare il personale ispettivo anche in attività  diverse dalla vigilanza ma necessarie al funzionamento delle strutture e alla erogazione dei diversi servizi di competenza».
Marco Bentivogli, segretario nazionale Fim-Cisl, racconta che, quando sono stati aboliti i voucher dal governo in carica, moltissimi giovani e meno giovani sono stati contattati dai datori di lavoro con un dictat: “da domani stai a casa”.
«Ora che non ci sono i voucher, soprattutto i giovani sono arruolati in nero. La soluzione non si limita al voucher, ma è necessaria una possibilità  contrattuale semplice. La complicazione del sistema fiscale e la riduzione delle ispezioni porta a un aumento del lavoro nero. Perchè? Il lavoro nero si può riconoscere in tre tipologie: lo spicchio criminale, il lavoro che ha difficoltà  di emersione per motivi economici e l’emersione del lavoro irregolare per mancanza di strumenti semplici».
L’Ispettorato nazionale del lavoro suggerisce un legame tra il lavoro sommerso e la flessibilità , o meglio ancora, semplicità  contrattuale:
«La progressiva contrazione del numero dei lavoratori in nero identificati nel corso dell’attività  di vigilanza va senz’altro ricollegata, da una parte, alla flessione occupazionale legata alla crisi economica, che ha inevitabilmente interessato anche il mercato del lavoro sommerso e, dall’altra, al notevole incremento che hanno avuto le forme contrattuali di lavoro flessibile — in particolare intermittente e accessorio — che in alcune aree territoriali ed in alcuni settori ha comportato una consistente riduzione di fenomeni di lavoro nero “tout court».
Bentivogli riconosce nelle nuove tecnologie, come la blockchain, la possibilità  di «avere quelle garanzie che nel passato erano necessariamente legate a una figura terza. L’esigenza di gestire l’attivazione o disattivazione di un contratto in funzione di alcune condizioni molto semplici, senza burocrazia, cancellerebbe molti alibi».
Non si può dire che siano diminuiti i lavoratori in nero, data la forte riduzione degli ispettori. Ma si può certamente dire che le ispezioni sono una tutela per chi lavora e che, al fianco di esse, sono necessarie nuove formule contrattuali che semplifichino i rapporti di lavoro. Si deve agire su più fronti. Sono ambiti che meritano l’attenzione della politica perchè l’economia e l’occupazione abbiano lo spazio che meritano.

(da “il Corriere della Sera”)

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MINACCE AI RISTORATORI CHE HANNO GIUSTAMENTE LICENZIATO IL CAMERIERE CHE AVEVA INSULTATO LA COPPIA GAY

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

I SOVRANISTI HANNO TROVATO UN NUOVO EROE

“Ieri è stato un susseguirsi di telefonate violente e volgari e non poche minacce di morte e di danni al locale, che pertanto oggi resterà  chiuso. Per non parlare della violenza sui social. Stamattina ci siamo ritrovati uno striscione omofobo e razzista di Forza Nuova di fronte il nostro locale, che è stato poi rimosso da noi stessi”.
Dopo la vicenda dello scontrino omofobo nel ristorante la Locanda Rigatoni a San Giovanni, i gestori hanno provveduto al licenziamento del cameriere responsabile del grave episodio.
La conseguenza del provvedimento nei confronti del dipendente ha suscitato la reazione del gruppo di estrema destra Forza Nuova che ha pensato bene di prendere le difese del cameriere, giustificando quindi il vile gesto condannato da più parti di scrivere “Pecorino no, Froci sì” su uno scontrino fiscale. Così questa mattina uno striscione con su scritto “Licenziato dalla vostra omofollia” è stato lasciato appeso davanti al ristorante.
“La vicenda dello scontrino ci offende come imprenditori – hanno dichiarato dalla direzione della Locanda Rigatoni – come lavoratori e come cittadini. Le conseguenze di un atto inqualificabile di una persona che è stata prontamente allontanata, stanno coinvolgendo le famiglie nostre e dei nostri lavoratori. Rinnoviamo la nostre scuse alla coppia coinvolta in questa spiacevolissima vicenda e la richiesta di un confronto e di un percorso condiviso con la comunità  LGBT, in modo tale che episodi vergognosi come quello capitato non possano e non debbano più ripetersi”.
E il Gay center insiste: “Ringraziamo le migliaia di persone che civilmente hanno esposto la propria protesta sul web e se ci sono state delle minacce di morte fatte al ristorante, invitiamo i proprietari a fare le denunce del caso”

(da “La Repubblica”)

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PERCHE’ SALVINI HA COSI’ PAURA DELLA MAGISTRATURA SPAGNOLA? HA QUALCOSA DA NASCONDERE?

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

COME MAI NON HA MAI PRESENTATO LE PROVE CHE AVEVA ANNUNCIATO 5 GIORNI FA?… LA DENUNCIA DI OPEN ARMS VERSO L’AUDENCIA NATIONAL (TRIBUNALE NAZIONALE SPAGNOLO CHE NON E’ CONDIZIONABILE DA QUALCHE MANINA AMICA)

La denuncia per omicidio colposo e omissione di soccorso contro le autorità  di Italia e Libia è stata presentata alle autorità  di Palma di Maiorca.
E, secondo le leggi spagnole potrebbero far partire una vera e propria inchiesta anche con – eventuali – incriminazioni.
Per questo il caso potrebbe finire all’Audiencia Nacional. Ossia in un tribunale nazionale che potrebbe decidere di acquisire dati e testimonianze e affidare l’incarico alla polizia giudiziaria
Ma il caso, oltre che giudiziario, è soprattutto politico e le accuse di Open Arms al governo italiano a guida Salvini.
“Vogliono eliminarci perchè oggi siamo gli unici testimoni di ciò che accade nel Mediterraneo centrale”, ha detto Oscar Camps, dopo aver presentato la denuncia. “Josefa è l’unica sopravvissuta. Abbiamo trovato solo due corpi, ma potevano essercene di più, non lo so. Spero che l’Audiencia Nacional (il tribunale nazionale, ndr) voglia indagare la guardia costiera libica e ciò che hanno fatto gli italiani. Questo è il risultato delle politiche europee: l’Italia ha chiuso i suoi porti e persegue la nostra organizzazione”.
Nel frattempo, dopo le accuse di Open Arms e del deputato Erasmo Palazzotto, da Viminale solo silenzio: le prove inconfutabili che avrebbe dimostrato che la storia di Josefa era solo una fake news non sono mai arrivate.
Ed è chiaro il motivo: fake news erano le smentite del Viminale.

(da Globalist)

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LA FAKE NEWS DELLA FOGNA RAZZISTA: “JOSEFA NON E’ UNA VERA PROFUGA PERCHE’ HA LO SMALTO”

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

L’ENNESIMA BUFALA VEICOLATA SUL WEB E’ TALMENTE FINTA CHE NON INGANNEREBBE NEANCHE UN BAMBINO… BASTA VEDERE LE FOTO DI QUANDO E’ STATA RECUPERATA IN MARE

L’ultima bufala diffusa dai razzisti è che Josefa, che ha trascorso 48 ore aggrappata a una tavola di legno dopo il naufragio del barcone su cui viaggava, è che non è vero nulla: altro che migrante, Josefa è un’attrice al soldo delle Ong per screditare il Ministro Salvini. La prova incontrovertibile? In alcune foto si vede Josefa con lo smalto per unghie.
Ora, una persona con una media intelligenza fiuterebbe la bufala lontano chilometri, ma ai razzisti le cose vanno spiegate passo per passo: nelle foto, le centinaia di foto che circolano sul web e che sono state twittate in diretta dai volontari di Open Arms, Josefa – ovviamente – non ha nessuno smalto alle unghie.
L’altra versione della storia è che lo smalto la donna lo avrebbe avuto in Spagna, dove è sbarcata dove il suo salvataggio.
E quindi? Fosse anche che queste foto non siano bufale come quelle di prima, costruite ad arte, se in quelle lunghe ore trascorse in mare un volontario o una volontaria, forse per distrarre Josefa dal ricordo di quelle 48 ore in mare, le avesse messo lo smalto, questa sarebbe la prova che le Ong hanno inventato tutto?
I complottari razzisti devono decisamente impegnarsi di più. Anche se, come si vede dai tweet, basta anche questa notizia clamorosamente falsa per farli crogiolare nella loro coscienza marcia.

(da Globalist)

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PARTITI SENZA SOLDI, ENTRATE DIMEZZATE NEGLI ULTIMI 5 ANNI, FLOP DELLE DONAZIONI PRIVATE

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

RAPPORTO OPENPOLIS-AGI: LE ENTRATE DEL PD SCESE DEL 53%… LA LEGA PASSATA DA 12,5 MILIONI A 2,9… L’OASI DORATA DEI GRUPPI PARLAMENTARI

Quasi 13 milioni di euro in meno per il Pd. Quasi 10 milioni in meno per la Lega.
Una media negli ultimi cinque anni del 60% di entrante in meno.
Per i partiti italiani è crisi finanziaria. E’ quanto emerge dai dati di “Partiti in crisi – analisi dei bilanci dei partiti tra il 2013 e il 2017”, realizzato da Openpolis e Agi. Una contrazione derivante soprattutto dal taglio dei rimborsi elettorali operato dai governi Monti-Letta.
Nel dettaglio la situazione delle singole forze politiche emerge che, nel 2013, il Pd rendicontava entrate per 37,6 milioni di euro, di cui 24,7 milioni dai rimborsi elettorali (il 2×1000 ancora non era stato introdotto).
Nel 2017 i proventi della gestione caratteristica per i democratici ammontano a 17,7 milioni (-53%). I rimborsi elettorali, ormai eliminati, non contribuiscono più a questa cifra e il 2×1000 incassato dal Pd vale circa 8 milioni, un terzo di quanto offrivano i rimborsi nel 2013.
Altro esempio degli effetti del taglio del finanziamento pubblico lo si osserva con la Lega Nord. Nel 2013 incassava 12,5 milioni di euro: nel 2017 le entrate si riducono a 2,9 milioni.
Donazioni private, che flop.
E la contrazione si si giustifica anche con un sostanziale ‘flop’ nelle donazioni. Uno degli obiettivi delle riforme degli anni 2012-14 era quello di spingere i partiti a finanziarsi attraverso donazioni private. A questo scopo erano state previste dalla stessa legge delle agevolazioni fiscali quantificate in 27,4 milioni di euro per l’anno 2015 e in 15,65 milioni dal 2016 in poi, ipotizzando quindi donazioni molto superiori. Ma la realtà  è diversa: l’andamento discendente delle donazioni è stato netto tra 2013 e 2016. Il 2013 è stato l’anno record nei 5 esercizi considerati, con 38,45 milioni di euro da persone fisiche e 2,46 milioni da persone giuridiche.
Poi la tendenza negativa negli anni successivi è stata chiara. In particolare tra 2014 e 2016, i contributi da persone fisiche sono calati del 38%, quelli da persone giuridiche del 67%.
Se non ci fossero i parlamentari.
Restano essenziali per la vita dei partiti i contributi di singoli parlamentari. Nel caso di Sel e della Lega Nord, la quasi totalità  delle donazioni da persone fisiche nel 2017 è rappresentata dai contributi degli eletti.
A seguire, Scelta civica (83,9%), Fratelli d’Italia (72%), Alternativa popolare (70,7%). Per Partito democratico e Forza Italia la percentuale di incassi dagli eletti si aggira attorno ai due terzi delle donazioni da persone fisiche complessive (rispettivamente 67,3% e 66%).
La percentuale di contributi da eletti sul totale è inferiore al 50% nel caso del Partito socialista italiano (42%) e Rifondazione comunista (20,38%).
Tesseramento anno zero.
In media circa il 4,5% delle entrate dei partiti nel 2017 deriva dal tesseramento degli iscritti.
Tra i principali partiti a livello nazionale, solo per pochi le entrate dagli iscritti costituiscono una quota rilevante dei proventi.
Tra questi spicca Fratelli d’Italia, che nel 2017 ha raccolto dal tesseramento circa 380 mila euro, pari al 29,5% delle sue entrate caratteristiche.
Gli aderenti a Forza Italia hanno contribuito con le loro quote di iscrizione al 12% dei proventi (419 mila euro su quasi 3,5 milioni).
Da segnalare, tra i partiti minori, il caso del Psi che raccoglie quasi la metà  delle sue entrate dal tesseramento (282 mila euro su 578 mila).
Colpisce che per due partiti maggiori, storicamente radicati come Pd e Lega Nord, la quota di proventi dagli iscritti sia così bassa, rispettivamente lo 0,29% e lo 0,26%. Peraltro i bilanci a questa voce presentano cifre irrisorie anche in valore assoluto (51mila euro il Pd, 7mila la Lega Nord).
La ragione dello scostamento è che entrambi i partiti adottano modelli di finanziamento in base ai quali sono le strutture locali (sezioni, circoli, federazioni provinciali ecc.) a trattenere gran parte dei proventi delle tessere.
Non ci sono i soldi per gli stipendi.
Complessivamente le spese dei partiti sono calate del 75%, passando da 129 a 31 milioni.
Il settore più colpito dai tagli è stato l’acquisti di beni, calato del 90% (da 4,2 milioni di euro a 300mila euro). Dimezzate le spese per il personale: da 19,6 a 9,4 milioni. Tra queste, la voce stipendi è stata quella più colpita. Nei 5 esercizi considerati è passata da 14,5 a meno di 7 milioni annui, una contrazione del 53%.
L’oasi: i gruppi parlamentari.
E mentre calano le spese per il personale dei partiti, crescono quella per il personale dei gruppi parlamentari: da 38,6 a 40,3 milioni di euro.
Non conosciamo ancora il dato 2017 per i gruppi, ma basandosi su una media degli anni precedenti dovrebbe collocarsi tra i 39 e i 40 milioni.
Perchè? I gruppi sono titolari di una forma di finanziamento pubblico che è rimasta piuttosto stabile negli anni, e che vale complessivamente attorno a 53 milioni di euro annui (circa 32 milioni di euro alla Camera e 21 al Senato).
E questi contributi vengono corrisposti da ciascun ramo del Parlamento ai gruppi, in parte in quota fissa, in parte in base al numero di deputati e Senatori.
In massima parte servono per pagare i dipendenti che si occupano di assistere il gruppo. Ma possono anche essere utilizzati per pagare servizi, attività  di studio e per spese di comunicazione.
Di fatto negli ultimi anni sono andati sempre più ad effettuare attività  (e spese) che tradizionalmente competevano ai partiti politici. Ad esempio in occasione del referendum costituzionale del 2016, i gruppi Pd e M5s hanno rendicontato spese per lo svolgimento della campagna referendaria.

(da “La Repubblica“)

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QUANDO DI BATTISTA PROMETTEVA DI BLOCCARE IL TAP IN DUE SETTIMANE

Luglio 22nd, 2018 Riccardo Fucile

L’IMPEGNO IN UN COMIZIO A SAN FOCA IL 2 APRILE 2017… ORA NON HA PIU’ NULLA DA DIRE

O tempora o mores: in un meraviglioso estratto da un comizio di Alessandro Di Battista in Puglia e precisamente a San Foca il 2 aprile 2017 si può notare la cifra politico-esistenziale del MoVimento 5 Stelle: l’ormai ex deputato grillino prometteva che con il MoVimento 5 Stelle al governo il TAP sarebbe stato bloccato in due settimane.
La stessa promessa è stata fatta da Barbara Lezzi, ministra per il Sud del governo Conte, nel giorno del ricevimento al Quirinale del nuovo esecutivo: soltanto qualche giorno dopo la ministra “scoprì” che l’iter autorizzativo del gasdotto era stato già  completato.
Qualche giorno fa la ministra è stata contestata dai No TAP per la decisione del governo di confermare l’accordo per il gasdotto che passerà  per la Puglia.
Il video è stato pubblicato da Telerama sulla sua pagina Facebook.
L’episodio è avvenuto nel campus urbano di UniSalento ad un incontro organizzato dai Cobas alla presenza anche del rettore, Vincenzo Zara. La ministra è arrivata alla guida della sua auto preceduta da una pattuglia della Digos. La ministra si è presentata a sorpresa all’Università  di Lecce con il figlioletto di tre anni e ha fatto tutto il suo intervento in sala con il bimbo in braccio.
Il governo Lega-M5S ha confermato il TAP l’altro ieri durante una visita in Azerbaijan alla quale era presente anche il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.
Di Battista non pervenuto.

(da “NextQuotidiano”)

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