Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
AUMENTANO LE INSOFFERENZE PER LA GESTIONE DEI RAPPORTI CON L’ALLEATO E LA LINEA DEL BECCHINO DEL FU MOVIMENTO DEGLI HONESTI
Dopo l’accordo con Matteo Salvini Che prevede sì l’abrogazione dei tempi della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma che ne sposta l’entrata in vigore al gennaio 2020, aumentano i malumori tra i parlamentari grillini
Come una mazzata, è arrivata la stroncatura di Piercamillo Davigo. Il magistrato, nel pantheon del movimentismo, ha tuonato: “Vedremo gli effetti quando sarò morto, funzionerà da qui all’eternità “.
Parole che non sono passate inosservate in una parte del gruppo parlamentare 5 stelle.
Al fine pena mai si è aggiunto il fine fronda mai.
Perchè il dissenso non coinvolge una fetta di onorevoli tale dal destare per ora preoccupazione. Ma il caso che ha coinvolto i ribelli al Senato, ha causato fibrillazioni anche al di là del normale nella stanza dei bottoni del vicepremier e ha portato al deferimento di cinque senatori di fronte ai probiviri potrebbe ripetersi di qui a breve.
E riguarderebbe lo stesso versante: quello di un cedimento secco ai desiderata della Lega, rinnegando la piattaforma sulla quale M5s ha costruito la propria credibilità e il proprio consenso politico.
È Elena Fattori, in prima linea sulle critiche al decreto sicurezza, ad affidare a Huffpost le proprie perplessità : “Non vedo perchè rimandare al 2020 lo stop alla prescrizione. Non c’è bisogno di rinviare così a lungo per armonizzare con una riforma complessiva della giustizia”.
La senatrice poi tira una vera e propria stoccata: “Se però il nuovo corso di questo governo è lavorare su riforme meditate e complessive chiederei di fare altrettanto su immigrazione e sicurezza, congelare questo decreto scritto malissimo e lavorare insieme su una riforma complessiva con orizzonte 2020”.
Il collega alla Camera, Andrea Colletti, va oltre: “È una cagata pazzesca. Non ha senso – spiega all’Adnkronos – farla entrare in vigore dopo. Tanto vale farla entrare in vigore subito, visto che gli effetti li vedremo nel 2024, più o meno”.
Raggiunto al telefono, Gregorio De Falco si trincera dietro la prudenza: “Voglio prima leggere il testo”.
Più o meno la stessa linea di Nicola Morra, esperto senatore tra i più fermi custodi dei 5 stelle che furono: “Molto dipenderà da come si costruirà la norma sul processo penale”. Ma se gli si chiedono previsioni (non) risponde con ironia tagliente: “Lasciamo il lavoro ai raffinati cultori della materia”.
A microfoni spenti si raccolgono le perplessità di altri deputati. Di prima come di seconda legislatura.
“È l’ennesima volta che Salvini ci frega”, spiega un peones nel cortile della Camera. E allarga le braccia. Un suo collega è più prudente, ma altrettanto critico: “Io capisco gli hashtag e le campagne virali, ma qui la verità è che ci stanno mangiando in testa, così alle europee sarà un bagno di sangue”.
Perplessità diffuse, con gradi più o meno marcati di insofferenza. Non una valanga, ma una serie di mal di pancia che, decreto dopo decreto, si sommano nel mondo dei soldati 5 stelle, un mondo in cui per dirla con Albert Camus “tutto è dato e nulla viene spiegato”.
E che potrebbero a lungo andare scavare la roccia della leadership.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
“TROPPE VARIABILI, SOLO VAGHE PROMESSE DI FATTI FUTURI CON ESITI INCERTI”…”LA PRESCRIZIONE SERVE AI COLPEVOLI RICCHI CHE POSSONO PERMETTERSI BUONI AVVOCATI”
L’ex magistrato Gian Carlo Caselli vorrebbe la riforma della prescrizione presto, così come l’epocale
riforma del processo penale.
Ma non crede al governo gialloverde, “non capisco come possano passare dalla tempesta al sereno in mezz’ora”.
Dubita, e molto. “2020 dice il ministro Bonafede? Ma la riforma della prescrizione è tassativa o subordinata alla riforma del processo penale? Le variabili sono troppe. In ogni caso oggi il processo non è breve proprio perchè la prescrizione non s’interrompe mai”.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dice: “La riforma del processo penale sarà approvata nel dicembre 2019, prima dell’entrata in vigore della riforma della prescrizione”. Se ne riparla, se va bene, nel 2020. Si fida? Davvero avremo tempi certi?
Fare previsioni non è mai facile, ma in questo caso diventa un azzardo. Le tensioni interne al governo gialloverde e le suggestioni esterne intrecciate con variabili continue, nazionali e internazionali, sono talmente numerose da rendere il quadro problematico e confuso. Stando alle prime notizie devo confessare che non ho capito molto bene come stanno le cose. Sembrerebbe che la riforma della prescrizione sia inserita nel ddl anticorruzione che è ancora in fase di approvazione, quindi non so rispondere con sicurezza alla domanda sui tempi certi. In ogni caso la riforma della prescrizione slitterebbe al gennaio 2020, dopo la cosiddetta riforma epocale del processo penale. Ma, mi chiedo, sarà davvero approvata?
Ecco, cosa si risponde?
In ogni caso è una legge delega. Anche approvata vuole tutto un iter di un paio d’anni per diventare codice di procedura penale. Ma mi chiedo anche: il 2020, è una data indicativa per la riforma della prescrizione, cioè, subordinata all’entrata in vigore del nuovo processo penale o è tassativa? Ma se è tassativa, e cioè se deve entrare in vigore a prescindere dalla riforma del processo penale, non si scatenerà di nuovo la bagarre? Difficile dire una data, perchè mi sembra che si tratti soprattutto di promesse di fatti futuri con esito incerto. Dopo tante tensioni, mezz’ora per trovare la quadra non è una soluzione esaltante. Serve soprattutto a lanciare il messaggio che ci si è messi d’accordo sul problema, senza vincitori nè vinti. Ma questa non è una gara, è un vero problema che andrebbe affrontato davvero senza preoccuparsi dei messaggi che si vogliono dare.
Davigo obietta: “La prescrizione è una norma di diritto sostanziale, quindi si applica ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della norma. Per questo se ne vedranno gli effetti solo tra molti anni, quando sarò morto…”. E’ d’accordo?
Per quel che ho detto, certamente.
E’ più urgente dare certezza alla durata dei processi o fermare la prescrizione?
La contrapposizione tra certezza della durata del processo e riforma della prescrizione è del tutto fuorviante. Oggi il processo non è breve proprio perchè la prescrizione non s’interrompe mai. Se io fossi un avvocato nell’interesse del mio cliente utilizzerei la prateria di eccezioni possibili e la tirerei per le lunghe fino a che non interviene la prescrizione. Ma, attenzione, questo non vale per tutti. Solo i cittadini che sono in grado di pagarsi i migliori avvocati possono avvalersene, gli altri no, non hanno questo privilegio. L’esistenza stessa della prescrizione crea cittadini di serie A e di serie B, i secondi sono comunque stritolati dal processo.
Quindi, chi appaia le due questioni sbaglia?
La riforma della prescrizione non è una bomba atomica, è semplicemente un allineamento del nostro sistema a quello delle altre democrazie occidentali. Ovunque si interrompe, da noi no. La durata del processo, la sua brevità , si risolve con la riforma del processo penale, promessa ma tutta da vedere, mentre è necessaria. Soprattutto per quanto riguarda il sistema delle impugnazioni: in nessun altro paese ci sono tanti gradi di giudizio come da noi. Anche qui occorrerebbe un allineamento con le altre democrazie occidentali, soltanto che chi lo propone viene accusato di essere nemico delle garanzie. Come se tutti i paesi del mondo fossero giustizialisti, quando la vera garanzia è la durata certa del processo e non un processo che non finisce mai
Possiamo fare un esempio?
Un imputato per un reato bagatellare, confesso, che patteggia e quindi viene condannato ai minimi dei minimi della pena, cosa fa? Ricorre in appello perchè non c’è nessun filtro dove avrà la conferma della sentenza e ciononostante ricorre ancora in Cassazione. Così il processo non finisce mai perchè si spera nella prescrizione senza interruzioni. Ma così il sistema implode, risolviamo questo prima di tutto.
In questi anni, secondo la sua esperienza, l’attuale norma sulla prescrizione è stata utile per mandare assolti molti colpevoli?
Allungare i tempi del processo conviene a chi è colpevole, la prescrizione va in loro soccorso, c’è poco da fare. Chi è innocente a giudizio ci va. Ma con la prescrizione non c’è soltanto il problema dell’imputato, si travolgono le aspettative di giustizia delle parti lese, delle vittime, dei familiari. E’ denegata giustizia.
L’esito del processo Andreotti è uno dei casi più clamorosi?
L’elenco delle prescrizioni è, se non infinito, lunghissimo: caso Eternit, Calciopoli, il processo sul doping alla Juventus, etc… Il processo Andreotti fu una prescrizione clamorosa. L’uomo più potente d’Italia durante la prima repubblica, sette volte presidente del Consiglio e quasi trenta volte ministro, dichiarato colpevole per aver commesso il delitto di associazione a delinquere con Cosa nostra fino al 1980, è un fatto di una gravità inaudita e se scatta la prescrizione non è il miglior regalo che si possa fare alla nostra democrazia. Che è scattata, anche perchè i fatti per cui è stato dichiarato responsabile risalgono a una ventina d’anni prima dell’inizio dell’inchiesta, tra l’altro rapidissima. Un politico così potente che gode della prescrizione è una cosa che non va bene con la democrazia. Ma alla prescrizione si può rinunciare: solo rarissimamente accade. Andreotti non ha mai pensato di rinunciarvi. Attenzione: quando la corte d’Appello lo dichiara colpevole di quel reato fino al 1980, commesso ancorchè prescritto, la sua difesa fece ricorso in Cassazione. Prova che parlare di assoluzione è un nonsenso.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
MA VUOLE RUBARE L’1,5% AI POVERACCI IMMIGRATI CHE MANDANO POCHI EURO ALLE FAMIGLIE NEI PAESI DI ORIGINE
La Lega presenta emendamenti a favore di una ampliamento della rottamazione, che dovrebbe diventare ‘extralarge’ e comprendere anche avvisi bonari ed errori formali, oltre a imbarcare nella ‘pace fiscale’ vera e propria anche gli omessi versamenti.
La Lega chiede di specificare la possibilità per gli enti locali di consentire ai cittadini di sanare anche Imu, Tasi, o imposta sulle insegne, pagando solo il dovuto senza le sanzioni.
Altra richiesta targata Lega quella di introdurre una nuova tassa, che vada a rimpinguare il Fondo infrastrutture del Mef, da applicare su tutti i trasferimenti in denaro in Paesi extra Ue, un prelievo dell’1,5% su tutte le operazioni sopra i 10 euro.
Non compare invece tra gli emendamenti parlamentari il condono fiscale sulle cartelle, proposta che ancora deve essere affinata (per i costi che comporta) e che potrebbe arrivare come emendamento del governo o del relatore quando sarà ultimata.
Nessuna modifica invece per il momento alla norma della legge di Bilancio che stabilisce le modalità di rimborso ai risparmiatori truffati.
Dopo l’incontro odierno con i sottosegretari all’Economia Massimo Bitonci (Lega) e Alessio Villarosa (M5S) in molti si dichiarano delusi: “Anche oggi speravamo in un incontro più risolutivo con il governo ed invece non c’è stato tempo per molte domande che avremmo voluto fare, e che la stessa ‘Associazione vittime del Salvabanche’ non ha potuto fare. – dice il presidente dell’Associazione vittime del salvabanche, Letizia Giorgianni – Ad oggi rimane, per l’ennesima volta, il fondo di 1 miliardo e mezzo, ma sono ancora poco chiare le modalità del rimborso. I risparmiatori avrebbero voluto più chiarezza, che purtroppo non c’è stata. E rimangono ancora delle incongruenze. Si parla di rimborso degli azionisti al 30 per cento e permane da parte dell’Associazione vittima del Salvabanchè profonda insoddisfazione”.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
NORMALE CHE IGNORANTI RAZZISTI SFOGHINO LA LORO NULLITA’ SULLA TASTIERA
Insulti, offese, richieste di dimissioni. 
Le ultime ventiquattro ore diventano un incubo social per i ‘ribelli’ M5S, vittime di un’ondata inarrestabile di odio e rabbia per aver abbandonato l’Aula al momento del voto di fiducia al dl sicurezza targato Salvini, gesto in netto dissenso con la linea del Movimento di cui fanno parte.
Una mossa imperdonabile per gli elettori, che sui social e sulle pagine Facebook dei senatori ‘dissidenti’ scaricano tutta la delusione per quello che ritengono un vero e proprio “tradimento”.
Cinque i ‘colpevoli’ per iscritti e simpatizzanti, i senatori Gregorio De Falco, Paola Nugnes, Elena Fattori, Matteo Mantero e Virginia La Mura. Tre quelli presi particolarmente di mira dai commentatori: De Falco, Nugnes e Fattori i più colpiti e insultati da chi un tempo li aveva sostenuti.
Il leitmotiv è la richiesta di dimissioni, declinata e personalizzata a seconda del senatore cui è diretta.
Per De Falco è facile immaginare la quantità di rielaborazioni dell’ormai famigerato “salga a bordo, cazzo” rivolto al comandante Schettino: “Scenda dalla nave, cazzo”, “si dimetta, cazzo”, “se ne vada”, “si tolga dalle palle”, “iscriviti al Pd”, e così via i commenti più gettonati.
Al senatore non viene nemmeno risparmiato l’accostamento con l’infamia per eccellenza – “spero ti buttino fuori Giuda…30 denari ti bastano?, chiede Giuliana – o il giudizio su vicende estremamente private e personali, come quella del divorzio con l’ex moglie che diventa ora parametro per un giudizio politico: “Sicuramente sua moglie non la riteneva degno di rappresentare il popolo italiano onesto.. Ora si spiegano tante cose… Si dimetta!!”, intima fra i tanti Gianluc
“Una emerita stronza che sputa nel piatto della legalità che lei dovrebbe condividere”, è invece il commento destinato da Gianfranco a Nugnes, “sei una schifosa Sinistrella riciclata nel MOV5S…”, quello di Vincenzo, seguito dai tantissimi che ormai non si sentono “più rappresentati” dalla senatrice pentastellata, cui intimano di trasferirsi “al gruppo Misto” o abbandonare lo scranno di Palazzo Madama.
Pochi a sostenerla, tantissimi quelli che puntano il dito accusandola di non essere “in linea con la maggioranza dettata da tutti noi”, di anteporre “le sue ragioni personali” che “non interessano al movimento 5S” a quello che ritenevano essere un “dovere morale”, cioè votare sì alla fiducia sull’indigesto decreto di stampo leghista.
Risponde alle critiche Nugnes, ma poi abbandona il campo limitandosi a qualche ‘like’ ai sostenitori fra gli oltre 300 commenti
E se i ‘grillini’ social sono più clementi con i senatori Montero e La Mura -“Hai pensato solo alla carriera personale, sei il classico savonese voltafaccia…provo solo pena” diretto a lui, “complimenti per la sfiducia…..allora si dimetta. O gli interessa lo stipendio”, il commento per la senatrice sotto l’ultimo post – a subire l’ira degli iscritti è invece Elena Fattori.
“Prima donna” per Vale, che maledice “il giorno che sei entrata al Senato”, augurandole che “lo stipendio che prendi grazie al fatto che sei stata eletta dal M5S li spendi nei medicinali”.
“Traditrice” per tanti, l’opposizione di Fattori al dl Sicurezza le costa anche l’accusa di stare nel Movimento “solo per i soldini” guadagnati in due legislature. E poco importa che – a chi, come Lidia ad esempio, si appella alla fedeltà al contratto di governo come atto di “lealtà nei confronti dell’elettorato” chiedendone l’uscita dall’esecutivo -, la senatrice risponda che “mi dimetterò immediatamente da qualunque ruolo di governo”.
Agli iscritti non basta alcuna spiegazione o motivazione: i ‘ribelli’, scrivono parlando di “questi 5 primi sulla lista degli infami”, “devono solo sparire”, “si devono vergognare” e, soprattutto sperare che “il popolo degli onesti” non “li processerà per alto tradimento”.
(da Globalist)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
MANFRED WEBER PER IL DOPO JUNCKER ALLA COMMISSIONE UE
“I nazionalismi portano alle guerre”, sentenzia Angela Merkel di fronte alla platea del Ppe che a Helsinki le tributa l’applauso più lungo di tutti, ancora prima che inizi a parlare.
“Ancora non sapete cosa sto per dire…”, si schernisce lei, al suo ultimo giro di boa in politica, presto non più presidente della Cdu, cancelliera fino al 2021 e stop.
Merkel chiude un Congresso che decide di spostare i Popolari a destra con l’elezione di Manfred Weber, bavarese, attuale capogruppo a Strasburgo.
Sarà lui lo ‘Spitzenkandidat’ del Ppe, il candidato per il dopo-Juncker alla testa della Commissione europea per il voto di maggio. Ancora cristiano-sociali, ma più a destra: in questa corsa interna Weber era anche il candidato di Viktor Orban, di tutti i Popolari del sud e dell’est.
Non c’è storia per lo sfidante Alex Stubb, 50 anni, finlandese, vicepresidente della Banca per gli investimenti europea, curriculum lunghissimo di cariche istituzionali, conoscenza delle lingue, maratoneta, feroce critico delle violazioni dei diritti nell’Ungheria di Orban. La paga: si ferma al 20 per cento, contro il 79,2 per cento di Weber, 46 anni, curriculum decisamente più asciutto, volto perennemente in modalità ‘sorriso democristianamente rilassato’, prima elezione in Baviera, la terra di Horst Seehofer, il ministro degli Interni tedesco che è riuscito a spostare più a destra la linea della Cancelliera.
Dopo la proclamazione, sulle note di ‘One vision’ dei Queen, Weber e Seehofer si abbracciano. Ci mancherebbe. Ma questo è un dettaglio.
Il succo della questione lo spiega il presidente ungherese Orban ogni volta che parla con Antonio Tajani che gli chiede di moderarsi, soprattutto dopo che il Parlamento europeo gli ha votato una condanna per violazione dello stato di diritto dell’Unione. “Io potrei anche moderarmi – dice lui – ma poi qui in Ungheria vincono i ‘nazisti’…”. Storie di realismo politico.
Come anche quella del legame tra Orban e Matteo Salvini: a Tajani l’ungherese ha confidato anche ieri sera a cena che “in Italia il mio unico interlocutore è Berlusconi”, assente a Helsinki.
Parlando al congresso scuote un po’ l’Ue (“Non siamo stati capaci di tenerci gli inglesi dentro e i migranti fuori”) ma giura sull’unità del Ppe citando Helmut Kohl: “Ci ha insegnato che ci possono essere disaccordi, malintesi ma si sta uniti”.
Il nemico è a destra. E il Ppe si sposta a destra pensando di prosciugare l’acqua degli avversari.
“Dobbiamo avere la volontà politica di proteggere le frontiere cristiane, dobbiamo fare in modo che nessuno passi le frontiere europee senza passaporto…”, dice Weber immerso nel blu senza scampo che colora la scenografia di questo congresso, in ogni angolo se si eccettua la giacca aragosta della Merkel.
Applausi per Manfred, lui continua: “Io sono cristiano, sembra antiquato come approccio? Non mi interessa, l’importante è avere una base. Siamo orgogliosi del nostro retaggio cristiano, lo difenderemo ma ci vogliono atti concreti che servano a tutti i cittadini a prescindere dalla loro origine”.
Ancora: “Salvini, Le Pen e i polacchi, queste persone parlano molto di nazionalità , queste persone dicono che bisogna esser orgogliosi delle proprie nazioni che le loro nazioni sono migliori delle altre e che bisogna odiare l’Europa. La nostra risposta è questa: non voglio che gli egoismi creino delle separazioni e delle divisioni, siamo orgogliosi di avere ottenuto questa coesione tra l’identità europea”.
Ma sulla manovra italiana bocciata da Bruxelles,Weber già si comporta da candidato, morbido: “Siamo tutti sulla stessa barca, il budget italiano ha già avuto un impatto sui tassi della Grecia, ma io dico dobbiamo trovare un compromesso e sederci intorno a un tavolo”.
A Helsinki il Ppe si comporta da primo della classe. Tajani già annuncia che si ricandida come presidente del Parlamento Europeo: lui ancora sullo scranno più alto di Strasburgo, Weber alla Commissione (sempre che lo Spitzekandidat regga alla prova dei negoziati tra capi di Stato e di governo dopo il voto).
Ad ogni modo, a Helsinki l’aria è ultra-rilassata, come la faccia di Weber, in effetti. I due sfidanti non sembrano nemmeno tali: sempre seduti vicini, sorrisi e abbracci anche dopo la vittoria, “Alex ho bisogno di te in campagna elettorale”, “Certo Manfred ci sarò al cento per cento”.
Gli ultimi sondaggi danno il partito in calo ma ancora primo nel Parlamento Europeo anche al prossimo giro.
Il termometro segna un 25,4 per cento contro il 19,7 per cento dei Socialisti che soffrono la dipartita dei Laburisti britannici dall’Ue.
Il 25,4 vale 180 seggi a Strasburgo, contro i 63 che conquisterebbe l’Enfi, il gruppo del Front National e della Lega, dato all’8,9 per cento.
Poi ci sono i Conservatori e Riformisti, attualmente in maggioranza col Ppe e i Liberali: 7,7 per cento per loro, 54 seggi.
E infine il gruppo Efdd, Europa della Libertà e della Democrazia diretta, il gruppo in cui siedono gli eurodeputati del M5s, viene dato al 7,7 per cento, 55 seggi.
Sommati, Enf, Ecr (che includeranno anche Fratelli d’Italia, ma attualmente comprendono i Democratici di Svezia, estrema destra) e Efdd fanno quasi il 25 per cento.
Ma sono tre gruppi variegati, non fanno blocco comune in Parlamento.
Altro elemento di relativa tranquillità per un Ppe che nella sua parte italiana (Forza Italia) spera di includere Salvini, staccandolo dalla Le Pen e portandolo nel gruppo dei Conservatori, nella parte straniera gioca la partita convinto di poter dare ancora le carte.
“Mi raccomando: resistiamo in Italia…”, sussurra a Tajani Kristalina Georgieva, ex commissaria Ue ora alla Banca Mondiale. In sala i delegati cominciano a defluire.
Da Bruxelles la Commissione Europea ha appena ‘bastonato’ Roma con i numeri non ottimistici delle previsioni economiche per l’anno prossimo, cozzano con la manovra appena bocciata dall’Ue, un ‘taxi’ verso la procedura di infrazione sul debito. A Helsinki guardano all’Italia come una nazione completamente isolata. Anche se non ne parlano dal palco, tranne l’austriaco Sebastian Kurz: “Se alcuni membri dell’Ue non fanno come Spagna e Portogallo”, che hanno avuto la Troika, “se c’è un debito alto come in Grecia, non va bene. Se c’è un modus operandi come in Italia, questo non è corretto per l’Italia ma nemmeno per l’Ue”.
“Siamo sotto attacco da ovest e da est: l’Europa è l’unico modo per tutelare tutti”, dice Tajani tra gli applausi. “E’ il momento di dire no ai nazionalismi stupidi e limitati che respingono l’altro. Chi è patriota ama anche gli altri che vengono da lontano”, dice Jean Claude Juncker, anche lui a fine corsa politica come Merkel.
L’inno alla gioia, l’inno dell’Ue chiude il congresso in Finlandia, oltre mille chilometri di confine con la ‘minacciosa’ Russia, paese dove l’anno prossimo si vota anche per le politiche.
Sui banchi qualcuno dimentica i biscotti a forma di cuore distribuiti dai fans di Weber. Oggi non ci sono gli hotdog regalati ieri da Stubb. E non c’è nemmeno il Babbo Natale di ieri. Inizia la campagna elettorale che guarda già a maggio: la più difficile della storia europea, concordano tutti.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO E SALVINI CONCORDI SOLO NEL NON FAR SALTARE IL BANCO (PER ORA)
Immaginatela al ralenti, come fosse la scena madre del Divo di Paolo Sorrentino. Matteo Salvini,
Giulia Bongiorno e Riccardo Molinari solcano i corridoi di Palazzo Chigi.
Sono decisi: “La riforma della prescrizione così com’è non passa”. Entrano nella sala dove ad attenderli ci sono Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede.
Un vertice atteso per quasi quarantott’ore. Che inizia nel gelo di due posizioni totalmente contrapposte.
È lì che il ministro della Funzione Pubblica, l’espertissima avvocato Bongiorno, ha tirato fuori il compromesso che aveva accennato nei giorni precedenti al collega della Giustizia: approviamo la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma posticipiamone l’entrata in vigore al gennaio del 2020. Contestualmente mettiamo in campo una legge delega del governo per la riforma del processo breve, da approvarsi prima di quella data.
Capra (il “basta impuniti” sbandierato dai 5 stelle) e cavoli (il calcio del barattolo enormemente più in là e l’inserimento di caveat politici voluto dalla Lega) sono salvi. Il clima si distende.
Soprattutto dopo che il Carroccio ha assicurato a Bonafede che le redini della riforma del processo penale saranno nelle sue mani.
Perchè l’idea è tutta del Carroccio. E se ne era tanto ampiamente quanto formalmente parlato nei mesi precedenti, senza mai trovare uno sbocco, in colloqui che avevano sempre fatto registrare il gelo 5 stelle.
Che l’accordicchio sia un compromesso al ribasso e anche un po’ indigesto per entrambi lo si capisce quando a metà mattina le più alte fonti di governo dei due partiti spiegano il dettaglio con due sfumature crucialmente diverse.
La Lega spiega che la riforma entrerà in vigore solo “se” il nuovo processo penale vedrà luce. I 5 stelle che lo farà a prescindere nella data individuata. Nè le prime dichiarazioni pubbliche aiutano a dirimere l’arcano.
Il punto di caduta è politico e non tecnico.
L’entrata in vigore della prescrizione è subordinata a un accordo sul processo breve, ma non ne è tecnicamente legata.
“D’altronde non sarebbe possibile farlo in una norma di legge”, spiega il sottosegretario Vittorio Ferraresi. È una vittoria a metà per entrambi.
Di Maio fa partire la grancassa del #bastaimpuniti, alla quale si accodano tutti i suoi. Ma se è vero che i due provvedimenti viaggiano su binari asimmetrici, e che la norma cara al Movimento verrà approvata prima dell’altra.
Ma si sa anche il destino che hanno avuto pressochè tutte le riforme postdatate approvate dai governi precedenti: scoppiate come una bolla di sapone.
Al vertice i due leader si sono stretti la mano: “Non c’è nessuna intenzione di rompere su questo, andiamo avanti insieme”.
Ma le due compagini continuano a guardarsi con sospetto. I 5 stelle hanno nel cassetto di Riccardo Fraccaro la legge sul conflitto d’interessi.
E stanno valutando se metterla sul piatto da qui alle prossime settimane per usarla come strumento di pressione. Il Carroccio continua a vedere il fine prescrizione mai come fumo negli occhi.
“Ora chiudiamo, non possiamo passare per chi vuole difendere i corrotti” il ragionamento fatto da Salvini ai suoi. Ma il metodo seguito dagli alleati è stato giudicato inammissibile.
E una fortissima irritazione è stata generata dai veleni fatti circolare mercoledì da qlcuni ambienti M5s: “Il segretario della Lega vuole tutelare i suoi sotto processo”.
È una tregua che non coibenta le crepe che si sono allargate negli ultimi giorni. Quando Bonafede esce da Palazzo Chigi e inizia a dichiarare sull’accordo raggiunto, a cento metri di distanza le commissioni Giustizia e Affari costituzionali sono riunite per valutare l’ammissibilità dell’allargamento della legge al tema prescrizione.
Un deputato d’opposizione accende l’audio del pc e la voce del ministro si diffonde nella sala Mappamondo. Certificando lo scavalcamento totale del Parlamento. Scoppia la bagarre, con gli onorevoli dell’opposizione che fisicamente assediano i banchi della presidente Giulia Sarti. Che forza la mano, chiama una votazione e la chiude tra le proteste veementi di Pd e Forza Italia.
Bagarre totale. Roberto Fico riceve le delegazioni dei due partiti.
L’intera Montecitorio, dopo essere stata messa in stand-by per giorni, attende la definizione di un calendario che possa rimettere ordine nei lavori.
Ma soprattutto aspetta la riformulazione dell’emendamento sulla prescrizione, pietra di scandalo del mondo politico negli ultimi giorni. Perchè solo quando l’intesa verrà messa nero su bianco, si potrà fare la conta dei feriti e dei contusi nei rispettivi schieramenti.
Perchè la nebbia è ancora fitta sul campo di battaglia.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
LA APPENDINO SI DISSOCIA, ALLA FINE LE SCUSE STRINGATE… MA LA FERRERO HA RAGIONE QUANDO DICE CHE “CI SONO GRANDI INTERESSI IN BALLO, CON CAPITALI PUBBLICI E RICAVI PRIVATI”
Cresce il nervosismo, in casa Cinque Stelle – No Tav, in vista della manifestazione in programma sabato a Torino a favore della Torino-Lione ma anche contro le scelte della giunta Appendino: ne sono una prova le parole dure, ai limiti dell’insulto, usate da una consigliera comunale torinese M5s, Viviana Ferrero, che sulla questione tunnel parla addirittura di “guerra” e se la prende con i manifestanti.
“Quella del NoTav/Si Tav è una guerra – sostiene Ferrero in un post su Facebook – una guerra economica per i Si Tav dove si mettono capitali pubblici e ricavi privati, il miglior business degli ultimi 25 anni. Non aspettiamoci tregue o cedimenti. Daranno battaglia… convincendo disperati, anziani disinformati, madamin (signorine, ndr) salottiere, porteranno pullman di persone. Ci sono grandissimi interessi in ballo Questo ci darà comunque una ritrovata unità , ci farà capire per cosa siamo entrati nel Movimento, per quale ideale e sete di giustizia”.
Nel primo pomeriggio, di fronte all’esplodere della polemica e alla presa di distanza da parte della stessa sindaca Appendino, Ferrero ha espresso sempre su Facebook un “minimo sindacale” di scuse: “Rispetto la libertà di manifestare e quanti scenderanno in piazza. Mi scuso se qualcuno si è sentito offeso dalle mie parole”.
Nel frattempo i No Tav annunciavano, per l’8 dicembre, una loro manifestazione a Torino.
La sindaca Appendino ha preso le distanze dalla sua consigliera: “Il pensiero espresso su Facebook dalla consigliera Ferrero non rappresenta quello di questa amministrazione, che ribadisce il rispetto e l’ascolto di quanti parteciperanno alla manifestazione di sabato e delle loro istanze”.
Così, su Twitter, la sindaca di Torino Chiara Appendino commenta le affermazioni della consigliera M5s.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
IN UN VIDEO INSULTI E ACCUSE DI AVER PRESO SOLDI DAL PD: “OLTRE ALLA QUERELA PENALE, CHIEDEREMO I DANNI, COSI’ FINANZIERANNO IL MOVIMENTO NO TAP CHE LORO HANNO TRADITO”
I legali del movimento No Tap hanno depositato una querela per diffamazione a carico di quattro
attivisti del Movimento 5 Stelle.
La decisione è stata presa dopo che la ministra Barbara Lezzi aveva pubblicato sui social un video e alcuni simpatizzanti del M5S avevano postato una serie di insulti pesanti e illazioni di natura politica nei confronti di Gianluca Maggiore, portavoce del movimento che si oppone alla realizzazione del terminale del gasdotto a San Foca.
Maggiore nei post era stato accusato di aver preso soldi dal Pd per andare contro il M5S.
“Alla querela penale a breve farà seguito una richiesta di risarcimento danni. – afferma Maggiore -. Non ho bisogno dei loro soldi, donerò tutto alla cassa di resistenza del movimento No Tap. I Cinque stelle non vogliono più difendere la popolazione dal Tap come avevano promesso. Vorrà dire che useremo i loro soldi loro per difenderla”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 8th, 2018 Riccardo Fucile
INVECE DI INTERROGARSI PERCHE’, ALLEANDOSI CON I RAZZISTI, HANNO PERSO IL 5% DI CONSENSI, FANNO GIRARE LA BALLA CHE HANNO GUADAGNATO IL 10%
Da ieri sulle pagine di molti attivisti pentastellati ha preso a circolare la “notizia” che secondo gli ultimissimi sondaggi il MoVimento 5 Stelle sarebbe accreditato al 43% dei consensi.
Proprio nei giorni in cui si fanno più insistenti le voci di un ritorno alle urne a causa di una presunta crisi di governo tra Lega e M5S ecco che spuntano gli alfieri del meglio soli che male accompagnati che pretendono di dimostrare che il MoVimento è il primo partito con un margine decisamente rassicurante rispetto alla Lega.
Fonte di queste incredibili rivelazioni è il sito Essere-Informati.it che in articolo senza data che sta ottenendo molte condivisioni in queste ultime ore sostiene che «ultimi sondaggi portano il M5s al 43% grazie anche ad un listino unico se il centrodestra si riunisce.
Se si andasse alle elezioni oggi, il centrodestra potrebbe avere la maggioranza assoluta alla Camera». La spiegazione della bufala è tutta nelle prime righe dell’incipit ma a quanto pare i fan del M5S non se ne sono accorti.
Tra i primi a riportare la notizia (che come vedremo notizia non è) c’è Adriano Valente, il cui nome è già comparso nel report del PD sulla galassia dei siti “non ufficiali” legati al MoVimento 5 Stelle e già noto alle cronache per aver inventato la notizia di un uomo picchiato dalle forze dell’ordine perchè voleva entrare alla Leopolda.
Curiosamente Valente a febbraio aveva diffuso un falso sondaggio “dall’estero” sulle elezioni di marzo 2018.
C’è poi la pagina Facebook “Ah non è Roma” che ha come mission quella di mostrare agli italiani i grandi successi del M5S romano e non solo.
Anche in questo caso il sondaggio che vede il M5S al 43% è una bufala.
Si tratta infatti di una vecchia storia, già protagonista di un trionfante post da parte del deputato Manlio Di Stefano che aveva mostrato proprio la stessa schermata tratta da una puntata di Porta a Porta del 30 maggio dove veniva mostrata una scheda con i dati elaborati da Euromedia e dall’Istituto Piepoli.
Quella stessa schermata viene riportata anche nell’articolo di Essere-Informati. Non si tratta quindi di un sondaggio di questi giorni.
Per rendersene conto è sufficiente andare sul portale che elenca i sondaggi politico elettorali e cercare l’ultimo sondaggio realizzato da Euromedia per Porta a Porta, pubblicato il 18 ottobre scorso.
Anche all’Istituto Piepoli è stato commissionato un sondaggio analogo dalla trasmissione di Bruno Vespa.
I risultati danno, per la Camera, il MoVimento 5 Stelle al 27,5% e la Lega al 30%. Si tratta di dati che sono in linea con i sondaggi settimanali commissionati da La7 a SWG
Una volta appurato quindi che non si tratta di “ultimissimi sondaggi” nè di “sondaggi recenti” andiamo a spiegare cosa significa quella scheda con il MoVimento al 43%. Come ha correttamente scritto l’autore dell’articolo il sondaggio che dà il M5S al 43% è quello che testa il gradimento elettorale delle possibili alleanze e, nel caso della slide illustrata e fatta girare dai grillini, si illustra l’effetto nei sondaggi di una cosa che ancora non c’è, ovvero la lista unica di centrodestra.
Se Salvini, Berlusconi e Meloni si presentassero in una lista unica, unirsi non gioverebbe, spiegava all’epoca Vespa, perchè l’unione dei tre partiti avrebbe dato risultati peggiori rispetto al fatto che ciascuno corra da solo.
Infatti in studio Vespa commentava dicendo che: “Il dato clamoroso è che la lista unica di centrodestra schiaccerebbe il PD e favorirebbe il M5S”.
La cosa davvero divertente è che questa spiegazione è riportata anche nello screenshot che i sostenitori del MoVimento 5 Stelle stanno facendo girare per dire a tutti — dal momento che i giornali non ce lo dicono — che il MoVimento è il primo partito.
Non è così: a fine maggio 2018 il M5S sarebbe stato il primo partito se Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia avessero deciso di formare una lista unica. Quella lista unica però non è mai esistita e non esiste nemmeno ora.
(da “NextQuotidiano”)
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